Minima Cardiniana 365/7

Domenica 13 febbraio 2013, Santa Fosca

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Il recente libro di Giovanni Armillotta dedicato all’Africa
Nello scrivere un libro sull’Africa – specie in questa parte del mondo – spesso si corre il rischio anzi, se vogliamo, noi lettori corriamo il rischio di annoiarci. Lunghe prese di posizioni istituzionali, poi una storia cronologia che – a pretesto di documenti su cui è riportato un fatto – esime l’autore a prendere posizioni contro – con molte opinioni – e invece a favore di un recente passato.
Nel recente libro di Giovanni Armillotta – Africa, il continente del terzo millennio. Chiave della modernità dal colonialismo al risveglio, Milano, Ledizioni, 2021, 444 pagine, € 19,90 – questo pericolo non c’è, e già dalla lettura dell’Introduzione dell’Autore, la quale toglie il velo a tanti luoghi comuni, frasi fatte e banalità con cui i Paesi “padri della democrazia” hanno martoriato tale Continente, basandosi pure su precetti etico-religiosi da far spavento.
La storia è uno specchio, e si può imparare dal passato e specie dal presente. Pensando ai cinque secoli di schiavitù e sfruttamento dell’Africa da parte delle potenze coloniali – rectius dell’Occidente – i crimini che i colonialisti liberal hanno commesso sono infiniti.
Chi divise segretamente l’Africa negli anni finali del sec. XIX, trasformando il Continente in colonia e protettorato, con poi le ipocrite maschere del mandato? Chi ancor prima ha ottenuto più profitto dalla tratta degli schiavi durata 300 anni, che ha causato la perdita di centinaia di milioni africani? Chi oggi, oltre a controllare il commercio e molti eserciti e governi “amici” d’Africa, l’ha trasformata nel proprio mercato di approvvigionamento di minerali e prodotti e terre agricole, causando la perpetuazione del colonialismo mascheratosi da multinazionali? Chi restringe a lungo termine e influisce sullo sviluppo economico sostenibile dei Paesi africani? Chi ha privato il Continente dell’autonomia alimentare? Chi sta promuovendo le cosiddette nuove lingue e nuove tribù in Africa, creando conflitti etnici e istigando lotte religiose, distruggendo così l’ordine sociale ed economico dell’Africa, e peggiorando le tradizioni culturali? Basti l’assurda guerra civile che sta sorgendo in Camerun da parte degli africani anglofoni che vogliono staccarsi dai connazionali francofoni. Gente nera anglofona? francofona? e che fine hanno fatto le loro lingue originali e ancestrali, distrutte da inglesi e francesi? Destrue, divide et impera e poi vendi le armi contemporaneamente alle due parti.
Lo scopo è far restare i Paesi africani in stato di povertà, arretratezza e bisogno: però i Paesi occidentali si sottraggono alle proprie colpe, attraverso il buonismo, il politicamente corretto e l’“accoglienza”.
Su questo “peccato originale” ed attuale commesso dai Paesi occidentali contro l’Africa, nascono gli Stati eternamente in via di sviluppo. È una lezione profonda che si legge dal libro di Armillotta. Dopo che i Paesi occidentali hanno occupato l’Africa “direttamente” o “indirettamente”, l’ex sovrano coloniale ha cercato di mantenere il controllo del Continente attraverso alcuni meccanismi. I paesi occidentali hanno aumentato significativamente il loro intervento in Africa. Attuano politiche che collegano gli aiuti all’attuazione o meno della “democrazia” – la loro: formato esportazione, pari alle sigarette Nazionali di nota memoria. Essi, le proprie multinazionali, il Fondo monetario internazionale, la Banca mondiale, il marcato e visibilissimo neo-colonialismo francese, hanno stabilito rigorose condizioni di “democrazia”, “libertà” e “diritti umani” per ogni elemosina che elargiscono all’Africa.
Utilizzando l’approccio “carota+bastone”, ottengono il proprio controllo sugli affari interni dei Paesi africani ed il loro intervento nella scelta delle strade di sviluppo e nelle alleanze, paventando la “cattiva” Repubblica Popolare Cinese, che invece aiuta questo Continente sin dai tempi – miserrimi per Pechino – della Grande Rivoluzione Culturale Proletaria.
Questa è la ragione occidentale di fondamento del sottosviluppo a lungo termine dell’Africa. Il vecchio ed il neo-colonialismo, i predicati dai “missionari occidentali” hanno la stessa essenza, sia in ingiustizia che in disuguaglianza. E al contempo l’Occidente ha paura della forza della Cina, preoccupato per il successo del “modello cinese”, e teme che le relazioni Cina-Africa saranno sfavorevoli.
Gli interessi del “mondo libero” temono la sfida e hanno paura che il rafforzamento del peso e dell’influenza congiunti della Cina e dell’Africa negli affari internazionali possa sfidare l’Occidente e il suo ordine politico ed economico internazionale dominante.
Pertanto, quando si considerano tutti i tipi di interventi e influenze, non dobbiamo solo indagare sulla sua origine, ma anche comprenderne le radici.
Per tale ragione il libro di Giovanni Armillotta va letto da chi è interessato a capire le reali ragioni di povertà, disperazione, assoggettamento politico e immigrazione che colpiscono il Continente più ricco di risorse naturali del nostro pianeta.
Chi desiderasse maggiori informazioni può rivolgersi direttamente all’Autore: ga57@yahoo.com

Le lettere di Volpe a Croce
È un libro davvero importante, questo “La storia ci unisce e la realtà politica ci divide, un poco”. Lettere di Gioacchino Volpe a Benedetto Croce, 1900-1927, a cura e con un saggio introduttivo di Eugenio Di Rienzo, Roma, Società Editrice Dante Alighieri, 2021, pp. 185, euri 9.
Non c’è dubbio che Eugenio Di Rienzo, storico dell’Università di Roma studioso di rapporti internazionali e di storia della cultura contemporanea, sia oggi uno dei nostri migliori specialisti dell’Italia durante il periodo compreso fra le due guerre: rispetto al quale dimostra di aver messo a frutto in modo originale e libero da pregiudizi “postideologici” di sorta la grande lezione di Renzo De Felice.
Di Rienzo ha fornito negli ultimi anni contributi essenziali e decisivi alla storia del pensiero dei massimi protagonisti della vita politica e culturale del nostro paese tra fine Ottocento e fine Novecento nonché ai loro complessi, intricati rapporti: con studi dedicati soprattutto a Gaetano Salvemini, a Gioacchino Volpe, a Benedetto Croce, ma anche a Giovanni Gentile, a Benito Mussolini, ad Antonio Gramsci e negli ultimi tempi allo stesso Gabriele D’Annunzio.
Ora, in un libro dall’apparenza stringata – le dimensioni di un perfetto pocket – e in evidente margine ad altre ricerche, Di Rienzo si assume un còmpito in realtà gravoso e pericoloso in quanto nelle fonti ch’egli esamina sembrano riassumersi tutte le aporie e le contraddizioni della controversa – non facile e, aggiungiamolo pure, non felice: anzi, per più versi amara – storia dell’Italia unita, dell’imperfetto “farsi degli italiani” (tanto per parafrasare una celebre pericope), della travagliata storia del regno, del suo fallimento, del suo passaggio alla repubblica e del suo difficile collocarsi nella dinamica dei contesti “occidentale”, europeo e mediterraneo.
Oggetto di questo studio è un grosso carteggio: o meglio, la parte di esso che riguarda le missive di uno dei due corrispondenti. Per oltre un quarto di secolo, tra 1900 e 1927, Gioacchino Volpe e Benedetto Croce mantennero un fittissimo scambio epistolare (un’ottantina le sole missive dello storico di Paganica al filosofo di Pescasseroli), che Di Rienzo ha vagliato con scrupolosa attenzione e che peraltro s’incrociò con altre corrispondenze del medesimo tipo: con Giovanni Gentile, ad esempio. Anzi, il “triangolo” Croce-Gentile-Volpe si rivelò fondamentale, specie sul piano del superamento dei limiti “materialistici” di Labriola, di Loria, di Arias e di altri.
Un’amicizia e una stima reciproca collegava i tre coprotagonisti del rinnovamento degli studi storici, filosofici e letterari dell’inizio del secolo: e la rivista di Croce, la “Critica”, ne è testimone. Tuttavia la lunga drammatica contingenza del decennio teso tra la metà del secondo e la metà del terzo decennio deteriorò e alla fine compromise senza possibilità di soluzione alternativa i rapporti che avevano già subìto una nella sostanza irreversibile scossa con riferimento alla prima guerra mondiale: “La politica ci divide, un poco”, aveva scritto Volpe a Croce commentando l’opposizione tra le rispettive posizioni, interventista del primo, neutralista del secondo, riguardo all’ingresso dell’Italia in guerra al termine di un periodo di ambigua neutralità. Più tardi, in modo speciale dopo il delitto Matteotti, la rottura divenne insanabile; e mentre Gentile e Volpe palesavano le loro scelte e Salvemini intraprendeva la via dell’esilio, Croce – che in un primo tempo si era pur mostrato favorevole al fascismo e in quanto senatore aveva mantenuto una posizione lealistica nei confronti del governo – aumentava la sua distanza dagli ex amici e intanto si avvaleva della sua personale “dittatura”, quella sulla “repubblica delle lettere”, per modificare (inacerbendoli anche oltre quel che sarebbe stato obiettivamente opportuno) i suoi giudizi anche sui piani culturale e scientifico.
Al di là della dottrina e dell’accuratezza della ricostruzione di una dinamica oltre che intellettuale anche umana, questo è un libro amaro. Come sovente accade nei casi della storia e anche della vita, gli eventi assumono talora il ritmo di un Totentanz che fatalisticamente incontrollabile trascina chi si trova nella loro corrente.