Minima Cardiniana 370/1

Domenica 20 marzo 2022, III Domenica di Quaresima
S. Ippolito, S. Gioacchino, Equinozio di Primavera

IN MEMORIAM
UGO TOGNAZZI
(CENTENARIO DELLA NASCITA 23 marzo 1922 – 23 marzo 2022)
Ugo Tognazzi era un mio vecchio amico. Non lo amavo granché negli Anni Cinquanta, quando girava l’Italia con le sue “donnine” d’avanspettacolo. Lo stimavo un guitto, un goloso erotomane.
Cominciai a ricredermi a poco a poco, tra gli Anni Cinquanta e gli Anni Sessanta, quando faceva coppia fissa con Vianello per scene divenute “classiche” (la parodia di Soldati e la “salama da sugo”, la segheria che produce un solo stuzzicadenti e un mucchio di “trucoli” eccetera). Mi colpì la sua interpretazione del Federale di Salce: nel maremagnum dell’antifascismo totalizzante e piramidale, talvolta maniacale, una ventata d’umanità. I suoi films seri (Il commissario Pepe, I viaggiatori della sera) erano forti e toccanti. In Vogliamo i colonnelli! dette un volto penetrante a un’estrema destra velleitaria, volgare, ridicola eppure a modo suo molto più “pulita” dell’establishment dinosauresco e gerontocratico della Prima Repubblica: mi sono chiesto spesso che cosa ne sarebbe venuto fuori se avesse potuto far una chiacchierata col vecchio deputato “storico” missino di Pisa, “Beppe” Niccolai. Quanto ad Amici miei, diventò presto un “classico” che mi fece capire meglio la mia città. E la Cage aux folles, che illuminò una settimana di seminari parigini piuttosto noiosi…
Incontrai finalmente sul serio un Tognazzi un po’ stanco, un po’ triste ma sempre formidabile negli Anni Ottanta, a Firenze naturalmente, dov’eravamo insieme nella giuria di un premio finanziato dalla famiglia Folonari: un premio una volta tanto onesto, ma poi i Folonari – grandi imprenditori ma gente in fondo semplice – si fecero risucchiare dai consigli di un paio di teste d’uovo (dico “d’uovo” perché sono un signore) che misero tutto nelle mani di quattro noiosi baroni accademici pieni di fisime e di pregiudizi, oltre che di se stessi; e il premio, che per qualche anno aveva messo di nuovo dopo molto tempo Firenze al centro dell’opinione pubblica almeno nazionale, svaporò. Ma intanto Tognazzi ed io avevamo stretto solida amicizia e coscientemente spazzolato ristoranti, trattorie, vinerie, gargotte, tripperie e lampredotterie del centro, della periferia e del territorio, e lui mi aveva fatto fare il pieno di risate raccontandomi i retroscena della lavorazione di Amici miei: grazie a lui feci un po’ d’amicizia con Proietti, con Gassman, con Stoppa, con Celi. Tutti contatti che poi mi avrebbero fatto fare autentici figuroni tra ’94 e 2002, quando mi accadde di lavorare prima in Rai e poi a Cinecittà. Ma intanto lui se n’era andato.
Nel 2002, dopo otto anni fra cinema, TV, soggettisti, copioni, molti mi offrirono di cambiar mestiere, di passare al cinema o alla televisione; i presupposti c’erano, le amicizie me le ero fatte: Avati, Cecchi Gori, la Lux Vide, Monicelli, Laudadio… Ma io, da buon vecchio felino, non sono un leone da palcoscenico e tantomeno da grande o da piccolo schermo: sono un vecchio gatto che sta bene solo se acciambellato sulla poltrona di una bella biblioteca o di un vecchio archivio. Arrivò Aldo Schiavone, col suo nuovo Istituto socioantropostorico fondato in Palazzo Strozzi: ancora odore di vecchie carte e di vecchi libri, ormai complicato dal gracidare e dalle lucine del computer. Ciao Via Teulada, good bye Via Veneto. Dalla Cinecittà Celeste, che da qualche parte deve ben esistere in parallelo con la Cinecittà Terrestre secondo una ferrea analogia agostiniana, il vecchio Ugo deve aver sorriso scotendo il testone e meditando un intingolo paradisiaco da cucinare la sera con gli angeli. Qualcosa alla panna, senza dubbio.

ILARIA ALPI E MIRAN HROVATIN
(Mogadiscio, 20 marzo 1994)
Sembra ieri, eppure sono passati già 28 anni. E sembra un milione di anni fa, perché ormai la sovraesposizione all’uragano di eventi e di notizie cui siamo esposti e il disordine della controinformazione-disinformazione che ci travolgono sono divenuti ingestibili. Troppa memoria disordinatamente gestita equivale al buio e all’azzeramento. È uno degli aspetti del nuovo totalitarismo che ci minaccia e che, con il suo effetto anestetizzante, è forse peggiore di quelli che siamo abituati a esorcizzare.
Nella lotta continua che molti di noi fanno per tener vivo il dovere della memoria non dimentichiamoci di questi due coraggiosi, generosi reporters, inghiottiti quasi trent’anni or sono nell’inferno somalo. Erano gli anni nei quali stavamo uscendo dall’ubriacatura del crollo dell’Unione Sovietica e dell’illusione degli USA come ultimo impero sul quale – a dispetto delle sue continue sconfitte militari – mai si sarebbe spento il sole. Il sole dell’Occidente hegeliano, quello della sera che splende eterno inchiodato all’orizzonte, senza tramonto.
Ebbene. Alla faccia dell’ormai dimenticato Francis Fukuyama, questo sole sta tramontando. Magari è riuscito a imbottigliare anche Putin, magari reggerà un po’ contro la Cina. Ma la sua ora è quasi sonata. Sic transit gloria mundi, specie quando non è affatto gloria. A differenza di quelli romano, bizantino, asburgico, napoleonico, britannico, zarista e sovietico, a differenza di quello millenario cinese, l’impero occidentale del profitto e della globalizzazione scomparirà nel nulla. Auguriamoci nel modo più indolore possibile per i popoli che ha massacrato e affamato. Non lo rimpiangerà nessuno.