Domenica 27 marzo 2022, IV Domenica di Quaresima
EFFEMERIDI DELLA GUERRA
THOMAS MACKINSON
RUSSIA-UCRAINA. INTERVISTA AL GENERALE LI GOBBI
“Flop di Putin? Nessuno conosce i suoi piani. L’esercito procede a velocità discreta. E se avesse voluto una guerra lampo avrebbe attaccato Kiev dalla Bielorussia”.
Intervista al generale di corpo d’armata, già direttore delle operazioni presso lo Stato Maggiore Internazionale della Nato: “Il mio parere è che i russi stiano tentando di guadagnare un’area sul confine per inglobare le zone russofone e per creare una separazione tra loro e la parte di Ucraina a loro ostile. Ma soprattutto che tendano ad occupare tutta la zona costiera fino a Odessa e possibilmente ricollegarsi alla Transnistria, in modo da interdire all’Ucraina l’accesso al mare (e in prospettiva contenere la presenza NATO nel Mar Nero). Ciò al fine di guadagnarsi una posizione di forza da cui negoziare un cambio di confini”.
“Prudenza. Trenta giorni non fanno una guerra”. E se a invocarla è un generale di corpo d’armata, già direttore delle operazioni presso lo Stato Maggiore Internazionale della Nato, forse vale la pena interrompere per mezz’ora il bombardamento di notizie, dispacci e propaganda che arrivano dal fronte per ascoltarlo. Specie se a spezzare gli entusiasmi occidentali sulle probabili difficoltà incontrate dai russi è Antonio Li Gobbi, 68 anni, milanese, ufficiale della Difesa italiana, che è cresciuto sotto le insegne delle Nazioni Unite e della Nato ma era anche presente sul campo quando, nel 1999, le forze oggi su opposti fronti operavano insieme. E ha poi collezionato missioni su missioni, dalla Siria a Israele, poi Bosnia, Kosovo e Afghanistan.
Allora generale, come sta andando l’offensiva di Putin?
Stabilirlo in questa fase è quantomeno velleitario. Ci basiamo su informazioni che sono tutte, dico tutte, incomplete e tendenziose, da una parte e dall’altra. Anche quelle rilasciate con una certa abbondanza dall’intelligence Usa a supporto dell’Ucraina vengono comprensibilmente rese disponibili a fini propagandistici, essendo gli USA schierati e non neutrali. Inoltre, le cose sul campo di battaglia possono cambiare anche repentinamente.
In che senso?
Ovviamente tutti noi ci augureremmo un fallimento dell’offensiva russa, ma siamo sicuri che sia ciò che sta avvenendo? Noi non conosciamo quali fossero i reali piani russi e non possiamo essere certi che Mosca avesse pianificato una guerra lampo. Comunque, se guardiamo quel che accade sul campo, occorre purtroppo constatare che l’esercito russo procede sul terreno con una velocità che è discreta. Si dice che la Russia stia combattendo in ritardo una guerra del XX secolo, è vero. Allora rifacciamoci ad esempio alle grandi campagne in Europa del secondo conflitto mondiale. Ci ricordiamo noi italiani che gli alleati sbarcarono in Sicilia a luglio del ’43 e arrivarono alla pianura padana nell’Aprile del ’45? E questo con una superiorità di forze consistente, specie aerea. Quindi no, purtroppo, non stanno procedendo così piano.
Ma è un fatto che nessuna delle principali città ucraine è caduta, la stessa Mariupol resiste, a Kherson si combatte…
E chi ha detto che l’obiettivo fosse prenderle adesso? Leggo da giorni notizie e bollettini che enfatizzano la resistenza incontrata sul campo dall’esercito russo grazie alla “capacità di reazione” ucraina, superiore a quel che si pensava. Insieme ad analisi che accreditano per questo il fallimento dell’offensiva-lampo che “era nei piani di Putin”. Ancora una volta: ma chi lo ha detto?
Perché secondo lei non è così?
Io non posso sapere quali fossero i piani del Cremlino. Quello che penso è che se l’intendimento fosse stato condurre una “guerra lampo” verosimilmente l’intera campagna sarebbe stata impostata in maniera diversa. Ad esempio tentando di sfruttare il fattore sorpresa e puntando decisamente su Kiev per “decapitare” da subito la leadership ucraina ed imporre la resa. Ma molti dati oggettivi sembrano smentire che questo fosse l’intendimento.
Ad esempio?
Oggi si dice che la guerra è iniziata da un mese. In realtà è iniziata nel 2014 se non prima. La cosiddetta “operazione militare speciale” di Putin è la sua evoluzione. Del resto, quando si pianifica una guerra lampo non si fanno per mesi grandi manovre sul confine che provocano da subito l’approntamento dell’avversario per la difesa. Inoltre l’avvio stesso dell’operazione potrebbe far sorgere sospetti.
In che senso?
Putin ha impiegato all’inizio circa 200mila uomini, una componente importante, ma le sue forze terrestri ammontano a 850mila uomini, contro un esercito ucraino che da solo ammonta anch’esso a quasi 200mila uomini, ma che può contare su una riserva mobilitabile di 900mila. Ovvero sembra non si sia neppure tentato di ottenere quella superiorità numerica, che era un must per chi attaccava in una guerra “classica”. Inoltre i russi, anziché concentrare le proprie forze per condurre un poderoso attacco decisivo, le hanno diluite in una manovra avvolgente a Nord, Est e Sud dell’Ucraina, fornendo agli ucraini l’importante vantaggio tattico di “manovrare per linee interne”. Né all’inizio abbiamo visto il massiccio impiego dell’arma aerea indispensabile a supportare una campagna lampo. Invece forse se avessero voluto fare una campagna lampo avrebbero tentato una rapida e potente puntata offensiva corazzata dalla Bielorussia dritto su Kiev, per ottenere una rapida capitolazione.
E perché ha fatto diversamente?
Beh questo bisognerebbe chiederlo ai russi. Comunque con una campagna lampo, ove questa avesse avuto successo, si sarebbero poi trovati alle prese con una nazione ostile e ancora motivata a combattere. Una situazione ingestibile anche per un eventuale governo fantoccio installato a Kiev. Il mio parere è che i russi stiano tentando di guadagnare un’area sul confine per inglobare le zone russofone e per creare una separazione tra loro e la parte di Ucraina a loro ostile, ma soprattutto che tendano ad occupare tutta la zona costiera fino a Odessa e possibilmente ricollegarsi alla Transnistria, in modo da interdire all’Ucraina l’accesso al mare (e in prospettiva contenere la presenza NATO nel Mar Nero). Ciò al fine di guadagnarsi una posizione di forza da cui negoziare un cambio di confini.
E allora perché attaccare altri centri, colpire civili etc?
Perché in quest’ottica, Putin potrebbe avere interesse a terrorizzare le popolazioni per farle scappare, soprattutto quelle che potrebbero essergli in futuro ostili. Presumo per due ordini di motivi. È più facile controllare e gestire aree occupate quasi disabitate che non trovarsi popolazioni, spesso ostili, tra i piedi. Inoltre il biblico movimento retrogrado di profughi intralcia i movimenti delle truppe ucraine che manovrano per difendersi e crea problemi organizzativi non indifferenti all’Ucraina e ai suoi alleati. Infine, quel movimento di gente disperata dà anche un’idea di disfatta che nuoce al morale dei difensori.
In sostanza ci sta dicendo che stiamo prendendo un abbaglio, non stiamo capendo nulla di quel che succede?
C’è una tendenza culturale nostra, occidentale a considerare militarmente poco capace e sottovalutare le forze di chi non ha i nostri stessi valori o a cui arbitrariamente attribuiamo, in base ai nostri standard, un livello di civiltà inferiore al nostro. Succede da quando Publio Quintilio Varo si fece massacrare dai barbari nella Foresta di Teutoburgo. Questa sottostima se viene smentita sul campo spesso fa effetto catapulta e ci proietta in modo schizofrenico verso la presunzione opposta: presi dall’angoscia finiamo a pensare di avere di fronte il Dottor Stranamore, o un pazzo. Potrebbe essere, certo, ma anche questa potrebbe essere una semplificazione pericolosa. Anche quanto si parla del rischio nucleare agitato da Putin andrei cauto.
Non crede alle minacce di Putin?
Quando ha dichiarato di aver messo in stato di massima allerta le forze nucleari era, a mio avviso, un messaggio per la stampa, il grosso pubblico. Non possiamo pensare che non lo fossero prima, mica fanno orari da ufficio. Voleva far sapere ai popoli dell’occidente che se i loro governi insistono a fare la guerra con le sanzioni lui può arrivare anche a quello. Idem per il pubblico interno, per dire che nonostante tutto restiamo una potenza nucleare.
Nell’ultima intervista rilasciata dal suo portavoce Peskov il tema è tornato…
Ha detto che in caso la Russia dovesse soccombere potrebbe ricorrervi. Ma questo è nella dottrina russa. Peraltro, anche se i russi hanno capacità e dottrina, a meno di una degenerazione totale del conflitto credo sia abbastanza remota l’eventualità che la usino, quando dall’altra parte hanno una potenza nucleare. Perché è vero che l’Ucraina non fa parte della Nato e ha rinunciato alle sue armi nucleari con gli accordi del 1994, ma è altrettanto evidente che a un attacco nucleare russo in Ucraina inevitabilmente corrisponderebbe una risposta nucleare Usa contro la Russia. E i russi non possono non saperlo.
Si vedono queste scene di militari russi che piangono, disperati, disinformati: può partire da loro una rivolta?
Ho avuto ripetuti contatti con il contingente russo impiegato in Kosovo nel 1999 perché era contermine al mio settore e i russi allora operavano sotto la Nato. Da un punto di visto logistico, dell’equipaggiamento e del vettovagliamento dei soldati era disastroso. Ma loro sono abituati a un sistema dove il soldato è poco considerato, sono abituati all’idea che possa soffrire. Era un altro mondo, è vero. Comunque riterrei una rivolta militare poco probabile.
E le sanzioni possono portare a una rivolta interna?
Sarebbe certamente una soluzione invidiabile, ma forse ottimistica in tempi brevi. Certo noi possiamo forse avere resoconti dello scontento nelle grandi città europee come Mosca e San Pietroburgo, ma cosa sappiamo veramente delle informazioni accessibili al resto dei 145 milioni di russi che abitano magari in centri più piccoli o in aree rurali? Al netto di contromisure e sponde che la Russia può tentare dobbiamo essere prudentemente pessimisti e considerare che possa volerci molto tempo prima che si manifesti un fronte interno solido.
Esistono precedenti?
Noi siamo stati oggetto di sanzioni nel 1935 per l’improvvida occupazione dell’Etiopia. Non così forti, certo, ma non è che hanno provocato la caduta del regime. Ci sono voluti otto anni e tutta una serie di eventi perché cadesse Mussolini: ci sono voluti la perdita tutti i possedimenti coloniali, tre anni di guerra disastrosa, l’occupazione della Sicilia e i bombardamenti su Roma!
Ancora non si spegne la polemica sulle armi, era giusto darle?
Il problema è complesso e può essere valutato sotto due diverse prospettive: politiche ed etiche. Dal punto di vista “politico” è chiaro che una tale decisione comporta uno schieramento, ovvero anche se non “combattiamo” direttamente veniamo considerati come “nemici” da uno dei due (senza peraltro essere considerati veri “alleati” dall’altro). Schieramento che ci impedisce oggi e, temo anche in futuro, di assolvere un ruolo di mediazione. Certo un tale ruolo poteva eventualmente essere assolto dall’UE nel suo complesso e non dall’Italia da sola. Quindi la decisione “politica” doveva necessariamente essere assunta a livello europeo. È un peccato che, nonostante gli sforzi di Macron, l’UE non sia riuscita ad imporsi come arbitro tra Russia e Ucraina in relazione ad un conflitto in piena Europa. Questa è una valutazione politica che trascende dall’aspetto etico. Dal punto di vista “etico” è certamente giusto aiutare Davide contro Golia. Ma se è veramente l’etica e non la real politk a guidare le nostre scelte allora non si capisce perché non intervenire anche militarmente. Quindi, in fondo quella assunta dall’UE, su pressione statunitense, è una posizione di compromesso tra interesse politico e difesa dei valori etici. Forse l’unica soluzione possibile, oggi, ma forse non soddisfacente né sotto l’aspetto politico né sotto quello etico.
Lei le avrebbe date le armi?
Ripeto è una decisione politica. Certo se l’Europa fosse riuscita a imporsi come elemento neutrale di riferimento per negoziare, sarebbe stato molto meglio. Non si è stati in grado di assolvere un tale ruolo, che sarebbe spettato all’Europa, e allora è inevitabile dare le armi, anche per tranquillizzare, forse ipocritamente, la nostra coscienza. Ma resta sempre una soluzione di compromesso.
Perché l’Europa ha perso la possibilità di mediare?
Perché forse non ha affrontato problema ucraino come UE dal 2014 ad oggi, nonostante due nazioni europee, Francia e Germania, avessero un ruolo nell’ambito degli accordi di Minsk. Forse ci sarebbe stata la possibilità di fare di più per prevenire, ma ormai è inutile fare recriminazioni.
C’è chi, guardando ai più grandi interessi in campo, tira in ballo l’espansione della Nato inizia e pensa che agli Stati Uniti questa guerra per procura faccia comodo su altri piani
La NATO si è espansa verso est anche perché molti paesi ex patto di Varsavia e alcune ex repubbliche sovietiche volevano entrare nell’alleanza perché percepivano la minaccia russa… È vero che c’è stato per anni un avvicinamento dell’Ucraina alla NATO, sponsorizzato dagli Usa. Nel 2008 si era parlato di un ingresso insieme alla Georgia che saltò per l’opposizione di Francia e Germania. La Nato poi fa quello che i suoi membri, che ora sono 30, decidono di fare. Le decisioni sono prese all’unanimità, ogni nazione membro dell’alleanza ha la possibilità di bloccare decisioni con cui non concorda.
Biden usa l’Europa per indebolire Russia e Cina?
Non credo si possa affermare che ci fosse un piano Usa architettato in quest’ottica. Peraltro, una crisi che impegna militarmente la Russia e indebolisce economicamente l’UE, inevitabilmente danneggia due dei maggiori competitor degli Stati Uniti su scala globale. Tra l’altro in un momento i cui si parlava di autonomia strategica europea, con un Macron che diceva “la Nato è morta”. Con la percezione di una minaccia militare da Est si rinsalda la Nato, che era uscita malconcia dall’Afghanistan e si rafforza il legame Europa-Usa, che era un po’ deteriorato sin dall’epoca Trump. Inoltre, inevitabilmente, il progetto di difesa europea, per il momento, rischia di essere rimesso in naftalina.
La difesa comune è già morta?
Si inizia dai piedi non dalla testa. Ha senso, ma deve partire da una comune concezione di difesa e di politica estera. Non è che se metti insieme lo strumento hai una difesa comune. Altrimenti finisce in uno strumento debole, da utilizzare giusto per le parate. Si parla ora di questa prima forza d’intervento da 5mila uomini. Erano quelli all’aeroporto di Kabul. Non ci vai da nessuna parte. Servono solo a dire “c’è questa situazione, ci mando qualcuno, faccio qualcosa”. Ma poi quali sono le missioni comuni? Bisogna individuare le aree dove la Nato non c’è e domandarsi cosa si vuole fare, nel Mediterraneo, in Africa ad esempio. Importante è che le forze nazionali siano interoperabili e con una struttura di comando.
Cosa pensa degli scontri sull’aumento delle spese per la difesa?
Sono sorpreso del clamore. Otto anni fa un premier italiano ha sottoscritto questo accordo, su pressione di Obama. Quindi presuppongo che se siamo seri dovesse già esserci un piano per raggiungere tale obiettivo. Oltre a vedere quanto si spende, occorre veder come si spende e tentare di ottimizzare e razionalizzare le spese, puntando sull’ammodernamento in ottica interforze e di collaborazione con i partners europei. Insomma il bilancio della difesa non deve essere un tesoretto con cui acquistare prodotti dell’industria nazionale che non si riescono a vendere all’estero e che magari alle nostre forze armate non servono.
Insomma prima di spendere sarebbe meglio sapere come…
Lo stesso reclutamento nell’esercito dagli anni Novanta è stato usato come leva occupazionale e non per garantirne l’efficienza e l’operatività. Non a caso abbiamo inglobato un surplus di personale con contratto a tempo indeterminato che non è commisurabile a quanto avvenuto in altri paesi. Ora molti si avviano verso i 50 e non sono più idonei a fare gli assaltatori sono sempre caporali e caporalmaggiori, tutti fucilieri sulla carta, ma con un età che non lo fai più Alla fine si scoprirà che non si tratta neppure di spendere di più ma solo di spendere meglio.
(il Fatto Quotidiano, 24 marzo 2022)
RAFFAELE IANNUZZI
LA GEOPOLITICA DEL PAPA: UN NUOVO SGUARDO SULLA REALTÀ
La “geopolitica di papa Francesco”, con le sue parole apparentemente “difficili”, traccia piuttosto la via di una salvezza che supera sia le ipocrisie occidentali sia gli interessi belligeranti provenienti da oltreoceano.
Papa Francesco, nel corso di un discorso rivolto nella Sala Clementina alle rappresentanti del Cif (Centro Italiano Femminile), ha affermato, con vigore profetico e acutezza analitica riguardo all’attuale situazione dell’Ucraina, che “la vera risposta non sono altre armi, altre sanzioni, altre alleanze politico-militari, ma un’altra impostazione, un modo diverso di governare il mondo, non facendo vedere i denti, un modo ormai globalizzato di impostare le relazioni internazionali”.
Il contesto del discorso del Pontefice è la guerra in atto e la conseguente risposta, anche da parte del Parlamento italiano, di aumentare del 2% del Pil l’acquisto di armi, così da potenziare la sicurezza degli Stati e fronteggiare la minaccia russa.
Secondo copione ormai consolidato, le parole del Papa, estrapolate dal contesto, sono state interpretate a seconda dello schieramento oggi in aperto conflitto. Michele Brambilla sul quotidiano La Nazione annota: “Fuori da ogni ipocrisia, diciamo che sono parole difficili” (Le parole difficili del Papa, 25 marzo 2022). Brambilla ha ragione: sono “parole difficili”, è il destino delle parole cariche di verità: “sì, sì, no, no, il di più viene dal maligno” (Mt 5,37).
Ma siffatte parole trovano adeguata comprensione ed articolazione nel contesto di un’analisi che viene da lontano: “La storia degli ultimi settant’anni lo dimostra: guerre regionali non sono mai mancate, per questo io ho detto che eravamo nella terza guerra mondiale a pezzetti, no?, un po’ dappertutto, fino ad arrivare a questa, che ha una dimensione maggiore e minaccia il mondo intero. Ma il problema di base è lo stesso: si continua a governare il mondo come uno “scacchiere”, dove i potenti studiano le mosse per estendere il predominio a danno degli altri”.
Il Papa da tempo ha richiamato l’attenzione sulla compresenza, da un lato, di molteplici conflitti regionali, pressoché trascurati dalla narrazione dominante, dall’altro, di una “terza guerra mondiale a pezzetti”. Quest’ultimo aspetto non è affatto trascurabile: il mondo postmoderno, come aveva intuito già trent’anni fa il sociologo e filosofo francese Jean Baudrillard (1929-2007), non fa la guerra come la facevano le grandi potenze nel Novecento. Molti sono i fattori che velano e, insieme, disvelano altre dinamiche, pesantemente oggettive. Ecco perché Papa Francesco usa parole appropriate quando parla della necessità di costruire “un’altra impostazione”. Non è astratto pacifismo, è realismo cristiano inserito, come vuole il metodo dell’incarnazione, nel mondo storico.
Non solo. Il Pontefice tematizza anche il ruolo delle “sanzioni”: “la vera risposta non sono altre sanzioni”. Qui il suo pensiero si raccorda perfettamente con una ciclopica quantità di analisi geopolitiche ed economico-strategiche, che vedono nello strumento delle sanzioni la volontà di minare alla base la forza di un leader al comando di un Paese e, di conseguenza, possono legittimamente essere definite “atti ostili”. Esse sono anche un’arma a doppio taglio, perché colpiscono tanto il sanzionato quanto il sanzionatore.
Il Papa pensa “altrimenti”, ha un altro pensiero, ecco perché le sue parole sono “difficili” da capire. Eppure, si trova in buona compagnia. Anche un personaggio del calibro di Henry Kissinger, consigliere per la sicurezza nazionale e Segretario di Stato degli Stati Uniti durante le presidenze di Richard Nixon e di Gerald Ford tra il 1969 e il 1977, ha avuto modo in passato di scrivere sul Washington Post (5 marzo 2014) un articolo molto importante che va nella stessa direzione indicata dal Pontefice.
Papa Francesco si richiama alla grande tradizione del realismo, inevitabilmente anche politico, di sant’Agostino e di san Giovanni Paolo II. La geopolitica del Papa, con le sue “parole difficili”, tracciano la via di una salvezza che supera sia le molte ipocrisie occidentali sia i troppi interessi belligeranti provenienti da oltreoceano. Chi vuole intendere, intenda.
(Informazione Cattolica, 26 marzo 2022)
NOTISIE DALLA GUERRA. IN BREVE
Usare la “Z” russa è reato in due Stati tedeschi
La Bassa Sassonia e la Baviera hanno annunciato sanzioni penali per l’uso del segno “Z”, la lettera dell’alfabeto presente sui tank russi inviati in Ucraina, nei luoghi pubblici. “Chiunque per mezzo del segno “Z” esprima pubblicamente approvazione per la guerra aggressiva del presidente russo Putin contro l’Ucraina dovrebbe aspettarsi un procedimento penale in Bassa Sassonia”, ha annunciato il ministro dell’Interno della Bassa Sassonia Boris Pistorius. Stessa posizione è sostenuta dal ministro della Giustizia del Land, Georg Eisenreich: “La libertà di opinione è una delle principali virtù della nostra costituzione, ma finisce dove inizia il diritto penale”.
Ministra degli Esteri tedesca: fornire armi è necessario
Quando il mondo cambia, la politica deve cambiare: così la ministra degli Esteri tedesca, Annalena Baerbock, ha giustificato le forniture di armi dalla Germania all’Ucraina nel quadro del contrasto all’invasione russa. Parlando alla conferenza dei Verdi a Cottbus, la ministra ha detto: “Sosteniamo gli ucraini in modo che possano difendersi e combattere per la loro sicurezza e la pace”.
Biden a Putin: “Putin è un dittatore, non può restare al potere. Non pensi a toccare territorio Nato”
“La colpa della guerra è solo di Vladimir Putin e non deve neanche pensare a toccare un centimetro del territorio della Nato”. Ha detto a Varsavia il presidente americano Joe Biden citando l’articolo 5 dell’Alleanza Atlantica: “Un obbligo sacro”. Il presidente americano si è rivolto direttamente a Putin precisando che “il nemico non è il grande popolo russo” ma solo la politica di Putin che ha definito “un dittatore che vuole ricostruire un impero” e “un tiranno”. Il presidente degli Stati Uniti, nel suo messaggio alla Polonia, ha messo in evidenza la differenza tra la democrazia dell’Occidente e l’autocrazia della Russia. “Non date per scontata la democrazia – ha detto, parlando da Varsavia – è stato un lungo percorso. Noi abbiamo ben chiara la differenza tra democrazia e autocrazia. Ucraini e polacchi sono in prima linea per difendere i valori democratici, libere elezioni, la libertà d’espressione, libertà di abortire, se uno lo vuole. Noi siamo al vostro fianco”.
Guerra Ucraina, i sondaggi di Pagnoncelli: il 69% degli italiani non la pensa come Draghi
Dopo l’intervento in video-collegamento del Presidente Zelensky a Montecitorio, la parola è stata data al Premier Draghi, il quale in risposta, ha spiegato che davanti ai massacri, “l’Italia farà tutto il possibile”.
Appare piuttosto chiara la posizione di Draghi sulla situazione e, condannando le azioni di Putin ha chiarito come l’Italia continuerà ad inviare aiuti militari alla resistenza. Ma dal sondaggio la posizione del premier non sarebbe completamente sostenuta dal popolo italiano, visto che la maggior parte vorrebbe negoziare con Putin.
Sulla presa di posizione del Governo nei confronti della guerra e sulla generale situazione internazionale, sono stati presentati da Nando Pagnoncelli i dati di un sondaggio molto interessanti, durante il programma “Di Martedì” su La7.
Il sondaggio ha esplorato le ultime opinioni degli italiani sulla guerra Russia-Ucraina, riportando il punto di vista sulla Russia e la posizione di Mario Draghi.
In particolar modo, sono state indagate le opinioni degli intervistati in merito agli accadimenti delle prossime settimane: anche se un terzo degli intervistati non sarebbe in grado di dare una risposta, il 39% ritiene che Putin stia vincendo, mentre il 28% ritiene che la vincitrice sia Kiev.
Riguardo le decisioni di mettere un punto definitivo al conflitto, la maggioranza degli intervistati (il 43%) pensa che l’Ucraina dovrebbe arrendersi, soprattutto visto l’esito della resistenza in termini di vite umane.
Al contrario, il 42% ritiene che nonostante le perdite di vite umane, l’Ucraina dovrebbe continuare la sua missione di resistenza. Il restante 15% invece, non si esprime.
A margine dalle ultime decisioni prese dal Governo, il sondaggio scava nell’opinione degli italiani anche sul comportamento che l’Italia dovrebbe assumere a riguardo.
Per il 69% l’Italia dovrebbe negoziare con la Russia, evitando di inviare armi in Ucraina, ma cercando di trovare una mediazione definitiva. Di contro, solo il 21% degli intervistati si è detto a favore della linea dura, finora intrapresa. Del totale, il 10% non si esprime.
Infine, alla luce di una minaccia nucleare russa, Pagnoncelli ha misurato il timore italiano di una terza guerra mondiale. Per scongiurare il pericolo di una guerra la posizione di Unione Europea, Nato e Ucraina di mostrarsi forti nei confronti di Russia è quella giusta per il 42%. Il 29% ritiene invece, che non si arriverà ad una terza guerra mondiale, mentre il 15% pensa che il Presidente ucraino, Zelensky dovrebbe abbandonare la guida dell’Ucraina.
…e insomma, in tutta questa ridda di opinioni e di statistiche, l’uomo e la donna “della strada” che cosa casso dovrebbero pensare? Ci vorrebbe un nuovo Lukács, che scrivesse una nuova Distrusione della ragione…