Domenica 3 aprile 2022, V Domenica di Quaresima
EDITORIALE
AMEUROPA VERSUS EURASIA
Quando penso ai “valori del nostro Occidente”, dei quali tanti e tanto dottamente (per quanto non altrettanto analiticamente) straparlano oggi sui giornali, nelle TV, sui blogs e in quant’altro, io – vecchio ragazzaccio di San Frediano ormai forse un po’ rincoglionito, dati i miei vent’anni festeggiati nell’agosto del 2020 per la quarta volta – non riesco a non tornare con la mia mente decrepita a quel carissimo amico della mia infanzia, Uncle Ebenezer Scrooge, che all’epoca però io (stupido come adesso, ma anche molto più ignorante…) chiamavo Zio Paperone piegandomi bovinamente alla volontà di Mondadori che si piegava a quella della Disney Co.
Zio Paperone era una paradossale eppure a modo suo fedelissima e lungimirante caricatura dei sogni dell’Occidente moderno: solo che era un Occidente ingenuamente arcaico, che nel suo immenso maxideposito cubico sito in un’imprecisata collina alla periferia di Paperopoli amava tuffarsi e rinfrescarsi in un oceano di denaro. Danaro come quello di una volta, come Dio comandava: bei lucidi cerchietti d’oro. I pur leggendari dollari d’argento non erano nemmeno ammessi in quel paradiso, dove comunque di quando in quando i disegnatori disneyani ammettevano qualche verde mazzetta di banconote da chissà quanti dollari timidamente emergenti in quell’oceano luminoso del più magico tra i metalli.
Ed era largo di saggi, lapidari consigli, Zio Paperone: amava elargirli soprattutto ai suoi spiantati nipoti in eterna attesa di un’eredità irraggiungibile, giacché Zio Paperone è immortale. Ho cominciato a frequentarlo ch’ero coetaneo dei simpatici frugoletti Qui, Quo, Qua: e lui era già decrepito. Ora sono più vecchio di lui, per quanto non usi né cilindro né bastone (ammennicoli da magnati yankees d’un secolo fa, ormai in disuso) né tantomeno ghette. Mi piacerebbe semmai portare i suoi “favoriti” alla Francesco Giuseppe, ma non oso.
Fra i suoi consigli, ch’erano altresì insegnamenti, ho ancora in mente la seguente sua aurea (è il caso di dirlo) massima: “Il denaro non è tutto nella vita. Ci sono anche gli assegni, le carte di credito, le cedole azionarie, i buoni del tesoro, i lingotti d’oro, le pietre preziose, gli attestati di proprietà, i beni mobili e immobili eccetera”.
Negheremo che tutti questi siano valori? Ne conoscete altri, nel nostro beato Occidente moderno? Quali? La “libertà individuale”? Quel che ne resta è in effetti poca e per pochi: se poi la sottoponiamo alla distinzione fra “libertà di” e “libertà da”, ci rendiamo conto che è davvero povera cosa. La libertà di pensiero? Certo: i pochi che possano permettersela, ma è prudente che non la esprimano per non incorrere in dispiaceri dal momento che è vero che non esistono più da noi i sistemi di coercizione arcaici delle dittature d’una volta, ma Pensiero Unico e Political Correctness ci stendono attorno un’invisibile gabbia di fili elettrificati percorsi dalla disinformazione, dalle menzogne e dal conformismo tale da far invidia al peggior Lager e al più duro Gulag. Libertà di parola, di espressione, di residenza, di viaggio, di studio, di vacanze, di cure mediche, di stile di vita? Certamente: a patto di appartenere agli happy few che possono economicamente permettersi tutto ciò: altrimenti sei uno schiavo, e il 90% e più degli oltre sette miliardi degli abitanti della terra attualmente è tale. Libertà di religione o di non-religione? Senza dubbio: se vivi in un àmbito sociale che te la consente e hai la cultura sufficiente a goderne? Libertà come “democrazia”, contrapposta evidentemente a “dittatura” o ad altri termini ancora più strampalati che i media usano a casaccio, quali “autoritarismo”, “dispotismo”, “tirannia”, “autocrazia” eccetera, in un mondo che a gran passi procede verso restrizioni e condizionamenti che conducono a sempre nuove forme di oligarchie e di gerarchismi mentre i vecchi giochetti elettorali sono ridotti sempre più ad esili illusorie parvenze.
In attesa di risvegliarci da un sinistro incantesimo che ci fa vivere in un paese che rifiuta la guerra e respinge l’energia nucleare salvo poi ospitare in casa sua senza nemmeno accorgersene interi arsenali di ordigni nucleari vietati dalla Costituzione e che è costretto a miliardi di spese militari a sue spese e a suo danno, al servizio e a vantaggio di un esercito “occidentale” comandato da un generale che ha ricevuto i gradi a Washington e prende ordini dalla Casa Bianca, guardiamoci intorno. Quali sono, in realtà e nel concreto, i “valori dell’Occidente”, al di là di un certo livello di libertà individuale peraltro superficiale e apparente e di un certo livello di comfort e di comodità disponibili soltanto però da parte di chi se li può permettere, vale a dire di strati e ambienti sociali che di giorno in giorno si riducono a vista d’occhio in un contesto di concentrazione della ricchezza, di restringimento dei ceti medi e di allargamento a macchia d’olio della base proletaria-sottoproletaria?
Quel ch’è certo è che le vecchie contrapposizioni sociopolitiche e socioculturali non esistono più. Il processo di globalizzazione, avviato ormai mezzo millennio fa, si è quasi concluso. Lo “stile di vita” e i “modelli culturali” del cosiddetto Occidente sono ormai patrimonio di tutte le upper classes del mondo, le alternative sono ridotte a nicchie per la maggior parte illusorie, l’antitesi Occidente-Oriente è un ferrovecchio. Ma se accettiamo l’equazione Occidente = Mondo della Modernità progressiva e del Privilegio, allora bisogna ammettere che buona parte della nostra Europa – quella del cristianesimo, dell’umanesimo, della philosopie des Lumières – non esiste più, per quanto abbia lasciato alcune patetiche tracce giuridicoformali e psicolessicali. D’altra parte, se all’interno del cosiddetto Occidente paragoniamo il concetto di libertà individuale statunitense (che a destra è libertarian, a sinistra è liberal) a quel pur pochissimo che ancora ci resta di libertà come sinonimo di coscienza civica e di senso di giustizia e di condivisione sociale (nonché, aggiungiamo pure, di “qualità della vita”) ancora vivi in parte della cultura europea, si è costretti piaccia o no a concluderne che l’equazione di cui prima dicevamo non esiste più, che bisogna smetterla di considerare Occidente ed Europa come sinonimi.
Parliamo allora di noi, qui e adesso. “Questa guerra c’insegna a punir”, cantava una vecchia canzone libertaria del ’15-’18 risolta in feroce e disperata parodia della Saga di Santa Gorizia. Ebbene, questa guerra iniziata non già nel 2022, come pur molti ancora gonadocefalicamente ripetono, bensì nel 2014 e forse ancora da prima, c’insegna – ci deve insegnare – a scegliere nuovi parametri e nuovi schieramenti. L’Europa è il piccolo apice nordoccidentale del grande continente eurasiatico: ma dall’indomani della seconda guerra mondiale un’alleanza presentatasi come “difensiva” e rivelatasi ormai come una mostruosa macchina politico-militare di istruzione delle sovranità e in prospettiva delle identità, la NATO sorta come organizzazione di difesa nordatlantica che a suo tempo ha spostato gli USA dalla sua tradizionale area egemonica sul Pacifico e si è quindi profondamente dislocata nel Mediterraneo, in Europa centrale e orientale, nel Vicino e Medio Oriente rischia ora davvero di “annullare l’Atlantico”, o meglio di spostarlo su una linea fluviale che almeno nei disegni di qualcuno mostra di ambire a coincidere con la linea Don-Golfo Persico (non dimentichiamo né la questione israelo-palestinese né la vergogna yemenita).
Dinanzi a tutto ciò, bisogna scegliere: non subito magari, gradualmente e saggiamente senza dubbio, ma con un rigore che ancora non è chiaro a tutti ma che lo diventerà. Ora che l’unanimismo artificiale e forzato “pro-Ucraina” (cioè pro-NATO) comincia a mostrar segni di metabolizzazione mentre sempre più evidente appare che pagheremo noi europei buona parte del peso delle demenziali sanzioni alla Russia, che sono direttamente o indirettamente dirette anche contro di noi, nonché di quelle del riarmo di un esercito “nostro” che noi non comandiamo e che non agisce dietro nostro ordine, resta la decisione di fondo che spetta a noi e solo a noi: se accettare in quanto europei di essere d’ora in poi “ameuropei” (ricordate America amara di Emilio Cecchi?) oppure riprendere un cammino millenario ch’era nostro fino dall’antichità e con sempre più severa consapevolezza dirci “eurasiatici”. Proposta paradossale? Meditate sulle carte geografiche che illustrano il piano One Belt one Road elaborato dal presidente Xi Jinping fino dal 2013; considerate il ruolo che in esso hanno Mediterraneo e Mare del Nord; richiamate quel che a suo tempo De Gaulle e Gorbaciov, in differenti occasioni, ebbero a definire “Casa Comune”; guardatevi dallo scegliere di restar vassalli della grande potenza più indebitata del globo, di rassegnarvi a esser parte di una decadenza che affonda abbracciata a un’altra decadenza in un matrimonio d’interesse stipulato più di sette decenni or sono e che non presenta più alcuna attrattiva. In politica internazionale non esiste vincolo nuziale indissolubile: e quello di allora, benedetto dallo stesso presidente statunitense che aveva premuto il bottone delle bombe di Hiroshima e di Nagasaki.
Oggi, ciascuno di noi europei è chiamato a scegliere se preferisce vivere nella periferia occidentale dell’Eurasia o in quella orientale dell’Ameuropa. Il sole è sempre sorto ad oriente, è sempre andato a morire a occidente. Decidiamo.
FC