Minima Cardiniana 372/3

Domenica 3 aprile 2022, V Domenica di Quaresima

VOCI DENTRO E FUORI DAL CORO
Eccone alcune “eccellenti”: un brillante De Anna, un veridico Santoro, un banale ed elusivo Letta, e me ne dispiace in quanto lo stimo e lo ritengo un amico: ma quel suo patetico appello alla “resistenza” e quel fingere di non capire quel che denunzia Santoro in quanto palesemente a corto di validi argomenti di replica mi hanno fatto – lo dico molto sinceramente – davvero dispiacere. Tra l’altro, siamo davanti a un Letta – eccellente studioso, va detto – che non esce un attimo da un eurocentrismo miope e ristretto, che non può non essere insincero. Le “nostre” (“nostre?) colpe dall’Afghanistan all’Iraq alla Libia alla Siria non sembrano toccarlo: Santoro le ha ripetute e sintetizzate con dura chiarezza, ma Letta finge di non aver rilevato la massima parte del messaggio a cui pur risponde. E allora dove va il PD?

LUIGI G. DE ANNA
GLI OCCHI DEI BAMBINI
L’Afghanistan è scomparso dai media. Troppo occupati a (dis)informarci su quanto accade in Ucraina, si dimenticano di un’altra, non meno vera tragedia: quella di una popolazione lasciata morire di fame.
Riporto di seguito quanto oggi, 31 marzo, scrive al Jazeera, il canale di news basato in Qatar. Le leggo perché sono ben informate, hanno una prospettiva a 360 gradi sui fatti del mondo e hanno approfondimenti cui contribuiscono esperti di vari paesi. Premetto che sulla guerra in Ucraina, al Jazeera è totalmente dalla parte atlantica, lo dimostrano i resoconti degli inviati, pochissimo viene dalla Russia, la scelta iconografica e in generale lo stile della narrazione. Qualche spiraglio però si apre; ad esempio nei rapporti sulla situazione in Palestina, viene ricordato che quanto sta succedendo nei Territori occupati non differisce affatto da quanto si ha in Ucraina, e cioè una parte di una nazione che dovrebbe essere sovrana è occupata da una potenza limitrofa. Ma naturalmente esiste una differenza fondamentale: in Palestina non abitano ebrei, né la Palestina minaccia militarmente una potenza nucleare qual è Israele. Il commentatore di al Jazeera ricorda che nessun Paese ha mai proposto sanzioni contro Israele per come ha trattato e tratta la popolazione dei Territori occupati e di Gaza e come i ricorrenti bombardamenti causino vittime tra i civili, compresi i bambini.
Già, i bambini: le vittime più innocenti tra gli innocenti. Ci hanno inondato di immagini di bambini ucraini che vagano tra le macerie stringendo il loro orsacchiotto. Quanti ne sono morti? La settimana scorsa l’ONU, il quale ha un osservatorio che si dedica al conto delle vittime civili dei conflitti, parlava di neppure settanta. Inutile dire che è comunque una tragedia. Ma i numeri sono numeri: e allora vediamo che cosa sta succedendo in Afghanistan, la tragedia dimenticata.
Ruchi Kumar scrive su al Jazeera un lungo rapporto su come sta vivendo Farahanaz, una afghana del Nord che era stata annunciatrice radio, e che ha ora perso il suo lavoro: “Come adulti ce la caviamo, ma quando I bambini mi chiedono di mangiare, non so cosa rispondergli. Quando abbiamo qualcosa, si tratta generalmente di pane, a volte con delle verdure, accompagnati da tè verde allungato. Lo zucchero è oggi un raro privilegio”.
La famiglia non può neppure provvedere all’assistenza medica della sorella, che è convalescente da una operazione chirurgica.
I componenti la famiglia di Farhanaz condividono la condizione di 23 milioni di afghani che stanno vivendo di stenti in quella che è diventata una crisi alimentare di proporzioni mai viste prima, come dice il Dr Ramiz Alakbarov, rappresentante speciale del segretario generale dell’ONU Antonio Guterres.
Come a metà marzo ha dichiarato ufficialmente Alakbarov “In Afghanistan addirittura il 95 per cento della popolazione non ha abbastanza cibo… una cifra talmente alta da essere difficile da immaginare”. È una realtà devastante, considerato anche che la quasi totalità delle famiglie la cui responsabilità ricade su una donna (molte sono le vedove) stanno provando la fame.
Quanto descrive Alakbarov si riflette nella personale situazione di Farhanaz. Dopo la presa del potere da parte dei Talebani, ha perso il suo lavoro. Il fratello, che aveva collaborato con gli americani, è dovuto fuggire e lei è rimasta la sola persona che possa procurare il pane ai familiari. A causa della situazione creatasi, l’impiego delle donne in Afghanistan è ancora limitato, e il 60% delle donne che lavoravano con i media ha perduto l’impiego.
Il Dr Wahid Majrooh, già ministro della Sanità col precedente governo (uno dei pochi che ha avuto il coraggio di restare), ricorda come le difficoltà di approvvigionamento abbiano provocato un aumento dei casi di decessi per malnutrizione, particolarmente tra i bambini. La situazione è aggravata dal diminuito potere di acquisto, che impedisce alle madri di prestare le necessarie cure antenatali e postnatali, e questo influisce sulla mortalità infantile, oggi in enorme aumento.
Nei primi TRE mesi del 2022 sono morti in Afghanistan 13.700 infanti e 26 madri a causa di mancanza di cibo (dato del Ministry of Public Health MoPH). Nella provincia di Baghlan, ha dichiarato ad al-Jazeera il Dr Abdul Rahman Ulfat, capo del Reparto nutrizionale del Public Health Directorate, come ha potuto constatare di persona, esiste un mai verificatosi prima aumento di casi di malnutrizione e deperimento per fame.
“Quelli che sono più colpiti sono I bambini sotto i cinque anni perché sono più vulnerabili, il corpo ha bisogno di nutrimento per svilupparsi, se non assumono minerali, carboidrati e grassi moriranno”.
Agli ospedali affluiscono genitori afghani che portano bambini ridotti a pelle ed ossa, che gli addetti sanitari cercano di aiutare.
Secondo Ulfat, il peggiorare della situazione è da attribuirsi al deteriorarsi della situazione economica in Afghanistan, che colpisce anche la classe media a causa del progressivo impoverimento e della disoccupazione.
La situazione, continua Ulfat, è aggravata dal fatto che le agenzie internazionali di soccorso che dovrebbero aiutare a superare la crisi alimentare, devono affrontare la sfida finanziaria, causata dalle sanzioni internazionali. L’Afghanistan non ha soltanto bisogno di aiuti alimentari, ma anche di attivare urgentemente un efficiente sistema bancario. La maggior parte delle banche afghane sta operando oggi al limite delle possibilità di sopravvivenza.
È opportuno ricordare, aggiungiamo, che gli Stati Uniti hanno messo sotto sequestro i fondi afghani depositati in America (di proprietà afghana), e non solo, ma hanno deciso di usarne una parte come indennizzo per le vittime dell’11 settembre, anche se i Talebani non ebbero alcun ruolo; eventualmente l’indennizzo Biden dovrebbe chiederlo ai Sauditi…
John Sifton, direttore di HRW, ha dichiarato che in Afghanistan la crisi umanitaria è dunque originata da una crisi economica.
“Gli Afghani non hanno I soldi per comprare quanto si può trovare al mercato. Il personale sanitario è pronto a salvare le vite umane, ma non riceve né salario né rifornimenti di medicine. I fondi che potrebbero essere messi a disposizione internazionalmente non possono essere impiegati perché le banche non li possono trasferire o non possono avere accesso ad essi”.
Esiste dunque una crisi bancaria. Le restrizioni bancarie e le sanzioni imposte ai Talebani dagli Stati Uniti e altri Paesi hanno reso più difficile per gli enti assistenziali trasferire fondi e altre risorse finanziarie in Afghanistan. Le stesse banche afghane si muovono con cautela e hanno limitato il ritiro di contanti a causa della limitata disponibilità di liquidi attualmente verificatasi.
“Questa irrisolta crisi di liquidità è la principale causa della peggiore catastrofe umanitaria che colpisce il mondo”, dichiara Jan Egeland, segretario generale del Norwegian Refugee Council (NRC), il quale aggiunge che l’organizzazione sta cercando si raccogliere 4.4 miliardi di dollari a favore degli Afghani colpiti dalla crisi alimentare.
E, avverte Egeland, “a meno che il Tesoro USA e le altre autorità finanziarie occidentali non ci permettano di avere accesso a questi fondi saremo costretti a continuare a lavorare con le mani legate, impossibilitati a portare questi soldi alle comunità che ne hanno disperatamente bisogno”.
Ricordiamo, per chiarezza, che non si tratta delle conseguenze di una carestia aggravata dalla siccità come si sta ad esempio verificando in Somalia, ma di un problema prettamente economico, legato allo strangolamento dell’economia afghana attuato dagli USA e alleati per “punire” I Talebani di averli cacciati dal loro Paese.
Farhanaz fa eco: “C’è un visibile senso di disperazione tra gli Afghani; c’è gente costretta a vendere i propri bambini e le proprie giovani figlie per poter sopravvivere. E molti continuano comunque a morire. Spero che I Talebani ci permetteranno di tornare al lavoro, così potremo aiutare le nostre famiglie, ma faccio appello ai governi del mondo di non voltarci le spalle. Anche loro sono responsabili di questa crisi e chiedo loro di non abbandonarci in questa miseria”.
Facciamo una proposta: e se Draghi, invece di aumentare le spese militari di centinaia di milioni di euro dicesse: “cari amici della NATO, non rifiutiamo di assolvere a quanto ci chiedete, ma invece di comprare dagli Stati Uniti armi letali, compreremo cibo e medicine per gli Afghani e gli Africani. Manderemo non istruttori militari ma medici e personale sanitario, perché i bambini che muoiono son uguali dappertutto”.
Anche se hanno gli occhi neri.

MICHELE SANTORO
LETTERA APERTA AL SEGRETARIO DEL PD
Caro Segretario Letta, osservo con sgomento gli attacchi che il suo partito rivolge contro quelle poche voci dissonanti, giornalisti e intellettuali, che osano sollevare qualche interrogativo sulla guerra in corso in Ucraina.
Chi le scrive a 18 anni era in piazza contro l’invasione da parte dei carrarmati russi della Cecoslovacchia; e quando, pochi mesi dopo, Jan Palach si diede alle fiamme in piazza San Venceslao a Praga, occupava l’università con un gruppetto esiguo di studenti.
Non ho mai avuto simpatie per Putin. Una mia trasmissione è stata tra le poche voci a denunciare gli orrori dei massacri in Cecenia e a considerare con disprezzo chi definiva una “democrazia con qualche difetto” la Russia di oggi.
Lei sa che, invece, padri nobili del suo partito hanno giustificato l’intervento armato del patto di Varsavia o hanno civettato a distanza con Putin sul superamento della democrazia. Il rispetto dei confini nazionali e dell’autodeterminazione dei popoli, le regole internazionali, esistono per molti a giorni alterni. L’Iraq di Saddam e la Libia di Gheddafi, per esempio, erano stati sovrani ma per rovesciare i dittatori si potevano bombardare. Come vede, Putin ha preso parecchie lezioni dalla Nato. I bombardamenti di Belgrado erano “illegali ma legittimi”; la modifica violenta dei confini della Serbia e la creazione di uno stato indipendente nei territori abitati in maggioranza dagli albanesi “erano l’unica soluzione per tutelare i diritti di una minoranza”. “L’Operazione Arcobaleno” terminò con l’allargamento della Nato ma “esclusivamente per ragioni umanitarie”. Invece, i russofoni separatisti in Ucraina sono “servi di Putin”, non hanno la stessa dignità dell’UCK di Hashim Thaçi, che grazie a quella “Operazione” divenne Primo Ministro, Ministro degli Esteri e Presidente della Repubblica del Kosovo. Oggi è sotto processo per crimini di guerra contro l’umanità davanti al Tribunale dell’Aia. Dettagli. Era proprio necessaria la nascita di quello Stato? Non bastava una vera autonomia amministrativa garantita da osservatori internazionali dell’Onu, la stessa che si sarebbe dovuta concedere al Donbass dopo una guerra ignorata che ha già fatto quattordicimila morti?
I principi vanno, vengono e oscillano come il dollaro. Putin va processato per crimini di guerra, giusto. E Bush, che ha provocato più di un milione di vittime in Iraq, no? Denazificare non è come deterrorizzare?
Abbiamo una legge che impedisce a volontari di andare a combattere in un paese straniero. Perché? L’Italia che bandisce la guerra considera un reato partecipare a una guerra in un paese straniero: ci potrebbe far apparire come cobelligeranti. Mandare armi come ci fa apparire? Allo stesso modo degli Stati Uniti.
Caro segretario Letta, vedo Lei e Draghi avvolgersi nella bandiera dell’Ucraina aggredita e rimanere inerti. Non avete pronunciato una sola parola per l’incredibile invito all’escalation di Biden. In compenso siete attivissimi nel ridurre al silenzio qualunque voce fuori dal coro.
In nome della libertà avete steso sull’informazione un velo di uniforme conformismo che nemmeno ai tempi di Berlusconi. La Rai fa pena: il dolore dei civili scorre nei video come un flusso senza punti interrogativi. Non si deve certo nascondere il dolore, come fa Putin con le sue televisioni. Tuttavia nei telegiornali mancano i perché, le analisi, le valutazioni imparziali sull’andamento della guerra, mentre abbondano gli annunci di vittoria di Zelensky e le sue esortazioni a fare di più. Più armi, più guerra, più massacri. Il problema è per fare che cosa. Ha ragione o ha torto quando dice “non avete il coraggio”? Dovremmo rischiare una terza guerra mondiale e la distruzione del mondo? Per far fare a Putin la fine stessa di Saddam e di Gheddafi senza che prema il bottone rosso? Gli insulti di Zelensky, le accuse di codardia, meritano una risposta da parte sua, caro segretario Letta. Lo strazio dei massacri, l’orrore di questa invasione di cui Putin dovrà portare la colpa di fronte alla storia, devono essere interrotti da un accordo senza vincitori o la guerra deve finire con la caduta di Putin? Il suo partito gronda di sdegno e di indignazione ma non sembra avere una risposta per questa domanda assai semplice, una visione da interporre tra quella del Presidente americano e quella del Presidente russo.
Infatti dobbiamo affidarci a Erdogan per una terza visione, per sperare in un cessate il fuoco. Erdogan, l’autocrate “buono” di turno che aderisce alla Nato. E l’Europa? È una parola che ormai si usa quando non si sa bene cosa dire, una cassa di missili affidata agli americani.
Niente di più.

LA RISPOSTA DI ENRICO LETTA
Caro Michele,
nella tua lunga e appassionata lettera ho cercato, senza trovarla, una parola: “resistenza”. Il valore fondante della nostra Repubblica, il segno distintivo della vicenda della sinistra in Italia.
La resistenza contro l’aggressore di un popolo che combatte casa per casa per la sua libertà. Che è anche la nostra libertà di cittadini italiani ed europei. Da un lato un esercito invasore, dall’altro un popolo invaso.
Io sto con quel popolo. E il Pd è e sarà sempre dalla parte dei popoli oppressi: dalla parte di Jan Palack [sic] proprio come te. Prima ancora, nel giudizio storico, contro i carri armati russi, a Budapest come a Praga, o sotto il muro di Berlino per festeggiare la ritrovata libertà.
Se per il popolo ucraino oggi oppresso – proprio ora sotto le bombe e i missili – c’è anche solo una possibilità di negoziato, lo si deve a un atto di resistenza fiera e senza compromesso. Lo si deve alla ribellione di chi non si consegna, non si arrende, non si inginocchia. Chi siamo noi per dire loro di inginocchiarsi? La lista degli errori dell’Occidente non può essere un argomento sufficiente per persuaderli alla resa.
E non possiamo nemmeno negare che se Zelensky si fosse arreso, con la nostra colpevole inerzia sullo sfondo, oggi non ci sarebbero né un tavolo delle trattative, né forse una parvenza di speranza per il futuro della democrazia.
Del resto, non solo in Ucraina ma anche in Polonia, a Vilnius o a Praga, a Stoccolma o Helsinki, non ci sono processi alla Nato, ma appelli alla protezione della Nato e dell’Europa.
Un’Europa che peraltro ha avuto una reazione ferma, intransigente, finalmente degna.
Dici che non esiste, l’Europa. Io dico che esiste eccome e che anzi sta dimostrando, come diceva Jean Monnet, di trovare dentro la crisi le ragioni più profonde della propria unità. È accaduto con la pandemia, con un piano di ricostruzione finanziato con debito comune. Accade oggi, con la guerra. Questo sono le sanzioni. Questo è il sostegno alla resistenza ucraina. Questo è il sì, finalmente senza ambiguità, all’accoglienza di milioni di profughi. Questa è anche, per inciso, la reazione ferma e unitaria agli accenti troppo marcati di Biden sul cambio di regime, che in tanti in Europa abbiamo stigmatizzato, me compreso.
Atti politici inequivocabili coi quali a Putin diciamo che non si cede ai ricatti.
Se abbiamo fatto errori in passato, il primo è nell’aver sottovalutato per anni la natura di Putin e dopo il 2014 l’aggressività di un regime che invadeva Paesi sovrani, soffocava il dissenso e violentava la verità.
A proposito di verità: bisogna dire con chiarezza quanto pervasiva sia stata per anni e anni in Occidente la propaganda di Putin. Davvero avvaloriamo una par condicio delle fonti che mette sullo stesso piano la Tass e Reuters? Sputnik e Le Monde o il Guardian? L’ultimo dei media occidentali ha una credibilità infinitamente più alta di quelli che sono solo portavoce di Putin nella propaganda di Stato.
E a proposito di pluralismo: in Russia c’è un regime che i giornalisti li ammazza e i dissidenti li incarcera; l’Italia è certamente il Paese europeo dove più intenso è il dibattito e dove le voci critiche rispetto alle scelte del governo hanno più spazio rispetto a quelle favorevoli.
L’idea che ci sia qui da noi un tentativo di oscurantismo nei media, per di più avallato o alimentato da Pd, è falsa e inaccettabile. Perché un conto sono le posizioni sull’invasione della Russia, sulle quali continueremo a confrontarci, un conto il presunto soffocamento delle voci “libere”. Che in verità sono squillantissime su tutti i nostri media.
Per quanto ci riguarda l’indignazione, più che un maccartismo immaginario, la continueremo a riservare a un’aggressione che in una notte, tra il 23 e il 24 febbraio scorsi, ha portato milioni di ucraini a non svegliarsi più in casa propria. Che ha causato la morte di migliaia di civili ucraini e di migliaia di giovani militari russi. Persone che hanno terminato la propria esistenza per colpa, prima di tutto, dell’imperialismo di Vladimir Putin e del suo regime.

L’AMERICA DI GIORGIO GABER
A noi ci hanno insegnato tutto gli americani. Se non c’erano gli americani a quest’ora noi eravamo europei. Vecchi, pesanti, sempre pensierosi, con gli abiti grigi e i taxi ancora neri.
Non c’è popolo che sia pieno di spunti nuovi come gli americani. E generosi, e buoni, e giusti.
Non c’è popolo che sia più giusto degli americani. Anche se sono costretti a fare una guerra, per cause di forza maggiore, s’intende, non la fanno mica perché conviene a loro. No! È perché ci sono ancora dei posti dove non c’è né giustizia, né libertà. E loro, eccola lì, pum! Te la portano. Sono portatori, gli americani. Sono portatori sani di democrazia. Nel senso che a loro non fa male, però te l’attaccano.
L’America è un arsenale di democrazia. E quello che mi ha sempre colpito degli americani è questo gran desiderio, questo gran bisogno di divulgare, di esportare il loro modo di vivere, la loro cultura… no, non la cultura… le innovazioni, i fatti di costume; ecco, sono portatori sani di cose nuove, gli americani. Sempre nel senso che a loro non fanno male però te le attaccano.
Alla fine della seconda guerra mondiale, sono arrivati qui e hanno portato: jeep, scatolette, jeans, cultura… no, non la cultura… movimenti dinoccolati, allegria, progresso, cultura… no, non la cultura… la Coca-Cola, il benessere, la tecnologia, lo sviluppo…
E di colpo, l’Europa, la vecchia cara Europa, coi suoi lampioncini fiochi, le sue tradizioni, i fiumi, i violini, i valzer…
Di colpo luci e neon, e vita e colori, e poi ponti, autostrade, televisioni, grattacieli, aerei… Chewing-gum! Non c’è popolo più stupido degli americani.
La cultura non li ha mai intaccati. Volutamente. Sì, perché hanno ragione di diffidare della nostra cultura, vecchia, elaborata. Leonardo, Shakespeare, Voltaire, Hegel, Schopenhauer. Ma certo, più semplicità, più immediatezza. Loro hanno sempre creato, così, come andare al cesso.
L’America è un paese di giovanotti. Gli americani sono gli unici al mondo che a Disneyland non si sentono idioti neanche per un attimo. No, io non ce l’ho mica con l’America, no, anzi, mi piace. Ce l’ho con gli americanisti di tutto il mondo. L’America, si sa, è stato un errore di navigazione. Mica ci volevamo andare, ci siamo cascati. Ecco cos’è l’America, è uno scivolo, una buca, un’enorme buca col risucchio. No, un momento, mica ci son cascati tutti subito. All’inizio c’era anche il vento dell’Est, che tirava, come dice la parola, un po’ più in là. Sì, l’Unione Sovietica, con le sue promesse, il suo senso di uguaglianza, di giustizia, l’Internazionale Socialista, la sua cultura… no, la cultura, anche lì…
E l’Italia, con le sue macerie, ma già con le sue prime luci al neon, oscillava, oscillava: “Meglio di qui… no, meglio di là…”. Chi faceva il tifo per l’uno, chi faceva il tifo per l’altro, insomma, si discuteva, ci si dibatteva tra due culture… ma no, quali culture, tra due bulldozer! Ecco.
Poi a un certo punto, senza preavviso, senza nemmeno che un colonnello dell’aviazione ce lo dicesse, il vento dell’Est smise di soffiare. E da quel momento, tutti nella buca col risucchio.
Ma come? Non eravamo diversi? Non si oscillava? Non ci si dibatteva? Macché, più niente. Tra un imbucato e l’altro non si riconosce più nessuno. Quelli di destra, maledizione, mi diventano sempre più democratici. Quelli di sinistra, sempre più liberali. Quelli di centro… no, quelli di centro niente da dire: sono sempre stati bucaioli, loro. Ma dagli altri, non me lo aspettavo.
E ora tutti a dire: “Che bella la buca… ma che bella la buca… non c’è niente di più democratico della buca… a me piace la buca di Reagan… no, io sono per quella di Clinton, Kennediano, eh già, perché c’è buca e buca eh, viva la buca”.
La buca è l’ineluttabile destino dell’umanità. È lo sviluppo incontrollato e selvaggio, è la spietata legge del più forte intesa come selezione naturale della specie. È l’eroico sacrificio di qualsiasi giustizia sociale. È la vittoria totale del mercato. È il trionfo dell’unica visione del mondo. La buca è l’America!
Ed eccoci qui anche noi, liberi, liberali, liberisti, siamo per la rivoluzione liberale, ma con la solidarietà, siamo liberistici e per il liberalismo, siamo liberaloidi, libertari, libertini, libertinotti. Liberi tutti!
No, a me l’America non mi fa niente bene. Troppa libertà, non c’è niente che appiattisca l’individuo come quella libertà lì. Nemmeno una malattia ti magia così bene dal di dentro.
Come sono geniali gli americani, te la mettono lì, la libertà è alla portata di tutti, come la chitarra. Ognuno suona come vuole, e tutti suonano come vuole la libertà.
(Giorgio Gaber, E pensare che c’era il pensiero, tour teatrale, 1995/96)

MARCO TRAVAGLIO
ASPETTA E SPARA
Questo articolo di Marco Travaglio, uscito su “Il Fatto quotidiano” del 3 aprile 2022., è un autentico pezzo da antologia.
Gli sono grato perché BHL è un faro della mia vita. Fino a qualche anno fa lo era Giorgio La Malfa, ma BHL lo supera alla grande. Ed è anche un benefattore. Quando non so che cosa pensare su qualcosa e non ho tempo né competenza per farmi un’idea, leggo BHL, abbraccio con entusiasmo e senza pensarci due volte la tesi opposta alla sua e mi sono sempre trovato bene, senza sbagliare nemmeno una volta.
Quando le cose parevano volgere al meglio, ecco abbattersi sulla resistenza ucraina una catastrofe che potrebbe esserle fatale: Bernard Henri-Lévy, per gli amici BHL. Che non è un corriere espresso, ma lo stagionato nouveau philosophe (a proposito: la qualifica ha una data di scadenza, come gli yogurt, o è vitalizia?) dell’Armiamoci & Partite. Decollato dalla tour Eiffel a bordo dei colletti all’insù tipo strega di Biancaneve, s’è paracadutato su Odessa rischiando di incontrare Giletti. E ora annuncia su Rep l’imminente “ritirata di Putin” perché “il suo esercito si sta afflosciando”, “l’ora del declino è scoccata” e manca un pelo alla “vittoria ucraina”: basta “un incremento minimo degli aiuti”. I pappamolla vorrebbero trattare per evitare inutili stragi, ma “il momento non è ancora arrivato”. Ci farà sapere lui. Intanto lasciamoli sterminare ancora un po’ e sbavagliamo Biden, che trova sempre le parole giuste (“ha detto pane al pane”): purché “difenda ogni centimetro” di Ucraina che – sorpresa! – è un “santuario della Nato” (quindi ha ragione Putin). “L’America sta tornando” e ci sono ottime speranze per la terza guerra mondiale. Del resto Pupetto Montmartre di Champs-Élysées è un grande fan delle guerre col culo degli altri. Non se n’è persa una. Serbia, Afghanistan, Iraq, Libia, Siria: allons enfants!
Purtroppo porta sempre malissimo a chi appoggia. Memorabile, nel 2011, la missione a Bengasi per reclutare ribelli anti-Gheddafi, promuovere a partigiani della libertà capitribù e tagliagole, proporsi come mediatore tra loro e la Nato, spingerla a bombardare tutto fino alla sodomizzazione e all’assassinio del rais. “La Libia entra nella democrazia, sono fiero”, esultò al rientro. Risultato: 11 anni di guerra civile. Nel 2020, ancora fiero, atterrò a Misurata per il meritato premio. E la popolazione glielo tributò volentieri, come raccontò lui stesso in uno straziante reportage su Rep (all’inizio s’era spacciato per inviato del WSJ, che però l’aveva smentito): “Libia, sputi e spari. Così mi hanno dato la caccia nel deserto”. Salvato dal linciaggio, fu rimpatriato con l’ordine di non mettere più piede in loco. L’anno scorso, lacrimante per l’indecorosa fuga americana da Kabul, si aviotrasportò in Panshir chez Massoud jr. per scongiurare la pace dopo appena 42 anni di guerra e annunciò su Rep che la disfatta talebana era vicina. Risultato: talebani al potere e Massoud jr. scappato in Tagikistan. Se aggiungete che, nelle sue molte vite, il délabré philosophe ha sposato Trotzky, Mao, Mitterrand, Cesare Battisti, Sarkozy e pure Renzi e Calenda, potete ben comprendere la nostra trepidazione per gli ucraini. Nella vita ci si può salvare da tutto, persino dall’armata russa. Da BHL no.