Domenica 3 luglio 2022, San Tommaso Apostolo
ORMAI QUALCOSA SINISTRAMENTE SCRICCHIOLA…
Ebbene, sì, sta succedendo qualcosa: in cantina, o nella stiva, o dove accidente volete. Aspettate a preoccuparvi: o, se preferite, piano con i tappi dello champagne. Ma qualcosa succede.
È stato detto e ridetto – da Chomsky a De Benoist – che il sistema turbocapitalistico, i presupposti del quale erano già marci e decrepiti alla fine del XIX secolo e che pure aveva vinto due guerre e si presentava ormai (si presenta) come uno zombie pasciuto e trionfante, non sarebbe stato mai abbattuto da alcuna forza antagonista: semplicemente sarebbe, prima o poi, imploso trascinando con sé le sue infamie e le sue contraddizioni. Oggi, sembrava giunto a perfetta maturazione: la società civile frammentata e destrutturata in tutto il mondo; la resa perfino religiosa e culturale all’avanzante Nulla dovizioso di profitti e di consumi, la generale resa di fronte alla menzogna sistematicamente, mediaticamente e acriticamente imposta; la resa della coscienza e della memoria dinanzi all’infamia nihilista ultima espressione della quale è la cancel culture; l’avvento definitivo di un mondo nel quale la vita stessa non ha più senso.
Siamo precipitati in basso. Ma io non ho mai dimenticato la filosofia della caduta per le scale insegnatami dalla nonna Augusta, popolana fiorentina: “A forza di ruzzolare, poi arriva il pianerottolo…”. Alla fine della scala devi fermarti; e, se puoi, rialzarti più o meno dolorante. Ma quel dolore ti ha risvegliato: e, arrancando, se ce la fai riprendi a salire…
Sì, qualcosa comincia a scricchiolare. Lo ha avvertito Marina Montesano nella sua adorata Londra: e ce lo descrive.
MARINA MONTESANO
CRONACHE DALL’INGHILTERRA (E OLTRE)
Le brevi considerazioni che seguono partono dall’esperienza personale di questi ultimi mesi che ci piacerebbe chiamare post-pandemici, anche se forse non lo sono completamente, ma durante i quali muoversi fra un paese e un altro sembra esser tornato possibile. Ne ho felicemente approfittato viaggiando soprattutto in Inghilterra per convegni e altre attività varie, ma nel cercare di recuperare la situazione pre-pandemica, ho dovuto constatare che siamo ben lontani dalla normalità. Non credo però che la pandemia sia la sola responsabile, anzi, mi pare che abbia accelerato processi in atto, così come gli aumenti delle materie prima e di conseguenza di prodotti e servizi non sono dovuti soltanto alla guerra in Ucraina, ma paiono semplicemente emergere di più in una situazione già esacerbata da processi di lungo corso.
Qual è la relazione con i miei viaggi in Inghilterra? La relazione sta in un peggioramento nelle condizioni del viaggiare delle quali nei nostri media mi sembra non si parli abbastanza. Il paese è attraversato una crisi profonda che non mi pare legata alla Brexit. Nei trasporti inglesi ormai regna il caos: gli aeroporti e le compagnie aeree mancano di personale, i voli cancellati o in grave ritardo sono all’ordine del giorno; nella notte fra venerdì e sabato, arrivando anche io con oltre un’ora di ritardo, di notte, a Stansted, ho visto centinaia di persone sdraiate per terra in attesa di poter partire, un’immagine desolante. Arrivando ho anche appreso di un nuovo sciopero delle ferrovie, dopo quelli nei quali ero incorsa non più di due settimane fa.
Ci si potrebbe chiedere perché, con tutti i problemi che ci sono da noi, i nostri media dovrebbero preoccuparsi degli scioperi inglesi. Ecco, a me pare che la situazione in questo paese sia indicativa di quanto stia avvenendo un po’ dappertutto in Europa. I lavoratori dei trasporti soffrono per le condizioni di lavoro (turni inumani) e per i tagli o i mancati aumenti degli stipendi a fronte di prezzi in libero e incontrollato aumento. Il personale della British Airways addetto al check-in di Heathrow, per esempio, ha votato per lo sciopero a causa del rifiuto della dirigenza di revocare il taglio salariale del 10% imposto durante la pandemia. I voli sono ripresi regolarmente e così i guadagni, ormai, dunque perché non restituire i soldi ai lavoratori? La BA e la sua società madre, la IAG, hanno riserve miliardarie e prevedono un ritorno all’utile per questo trimestre, i CEOs riscuotono bonus e stipendi mai così elevati, eppure per le categorie più deboli del settore paiono non esserci soldi.
A fronte di questa situazione, ci si aspetterebbe che il partito all’opposizione, soprattutto visto che si tratta del Labour, stia cogliendo al volo l’occasione per spalleggiare i lavoratori in sciopero: e invece no, niente. Anzi: David Lammy, Segretario di Stato ombra per gli Affari esteri, il Commonwealth e lo Sviluppo del Labour, si è schierato contro le richieste salariali dei lavoratori delle compagne aeree rappresentati dal sindacato Unite nella sua intervista al Sunday Morning Show della BBC, così come aveva negato il sostegno al sindacato dei ferrovieri. “Molti di noi vorrebbero un aumento del 10%”, ha detto Lammy. “In realtà, la maggior parte delle persone si rende conto che è improbabile che lo si ottenga”. Alla domanda diretta se sostenesse il personale addetto al check-in, che è membro di Unite, Lammy ha risposto: “No, non lo faccio. È un no. È un no categorico”. Alla domanda sul perché non li avrebbe sostenuti, ha risposto: “Perché sono serio quando si tratta di essere al governo, e quando si tratta di essere al governo è necessario sostenere i negoziati”.
Lammy ha detto che il Labour è il partito dei lavoratori, ma questo non significa che debba automaticamente schierarsi con i lavoratori contro i datori di lavoro in una controversia. Sebbene i lavoratori del settore ferroviario abbiano rivendicazioni legittime, ha suggerito, ci sono anche “persone che lavorano e che usano i treni per andare al lavoro”. Keir Starmer, l’incolore leader dei Laburisti, colui che ha sostituito Jeremy Corbin dopo le assurde accuse di antisemitismo, non dice niente di differente.
I lavoratori del settore sanitario non stanno meglio; ma qui in Inghilterra colpisce anche la crisi che sta attraversando il mondo universitario, in agitazione ormai dal 2018 e ancor più in questi ultimi tempi. Le università chiedono agli studenti rette elevatissime, alle quali solo i ricchi possono far fronte, mentre i ceti medi debbono indebitarsi pressoché a vita per garantirsi l’accesso all’istruzione superiore, ma i docenti vivono nella precarietà e fanno fronte a continui tagli di salari e addirittura delle pensioni. La crisi del lavoro, insomma, non tocca soltanto le categorie in partenza svantaggiate, ma anche aree che un tempo si consideravano privilegiate.
Come vedete, però, la situazione inglese non è diversa dalla nostra. La crisi delle sinistre europee è tutta qui: nel totale appiattimento sulle posizioni liberiste, ormai assunte a unico possibile sistema di governo. E questo in tempi di guadagni inusitati e assai poco tassati per il grande capitalismo, mentre al lavoratore si chiedono i sacrifici per sostenere gli aumenti dei prezzi. In fin dei conti, mi pare, la domanda è legittima: per quale ragione il Labour dovrebbe governare, in vista di quale cambiamento rispetto al governo Tory? Le sinistre finiscono per distinguersi dalle destre per cosa? Non per i diritti dei lavoratori, evidentemente, e tantomeno per la politica estera, dove il filoatlantismo è l’unica possibilità e coloro che dissentono sono denunciati ormai come antioccidentali, così come nell’America maccartista ogni voce “contro”, anche la più timida, era “antiamericana”. Da noi in Italia, oggi, le liste di proscrizione le stilano membri del PD, non di Fratelli d’Italia e della Lega, nel silenzio dei loro vertici. A tanto siamo arrivati.
I partiti di sinistra si distinguono, o fingono di farlo, appoggiando di quando in quando qualche legge sui diritti civili. A favore di donne, LGBTQ+, minoranze. Lo fanno tanto timidamente che praticamente nessuna delle loro proposte passa, si veda la fine dello ius soli o del ddl Zan, ma davvero poco importa: basta avere qualcosa da sbandierare per mostrare di non essere come “quegli altri”. Il che è particolarmente affliggente per chi, come me, su quelle battaglie è anche d’accordo, ma deve constatare che: 1. sono fumo negli occhi; 2. finiscono per essere divisive rispetto a quanti finiscono per convincersi che quelle battaglie sono in contrasto con lotte “più serie” e cogenti quali quelle per il lavoro. In realtà, non lo sarebbero affatto, anche a partire dalla banale considerazione che fra i lavoratori ci sono donne, minoranze, LGBTQ+ e quant’altro. Lottare per una cosa non escluderebbe lottare anche per l’altra, ma così non è nella percezione di molti, che ormai scelgono di non votare. E la colpa non è dei lavoratori che non si sentono più rappresentati o che non sono abbastanza colti da percepire nel modo corretto le battaglie per i diritti civili, la colpa è solo di chi li ha abbandonati e ha scelto di rappresentare il grande capitale industriale e finanziario contro di loro, cioè contro la maggior parte di noi. La colpa è di chi ci ha indotti a credere che non ci sia un mondo possibile differente da questo, che non sia nemmeno il caso di immaginarcelo, figuriamoci di realizzarlo. È per questo che le cronache dall’Inghilterra sono le cronache di casa nostra.
…eppure, qualcuno sta cominciando ad aprire gli occhi. Aspettate che arrivi il peggio della crisi in corso, fra ritorno dell’epidemia, carovita e inflazione incombenti e perdurare della demenziale guerra voluta dalla NATO. I pifferai delle multinazionali ci hanno fatti cadere in un malvagio sonno incantato: ma qualcuno potrebbe risvegliarsi. Quando riemergerà la nuova questione sociale, forse non si tratterà solo di cartelli, di cortei e di giornate di sciopero. Per parafrasare i Rosselli: “Oggi in Inghilterra, domani in Italia”.