Minima Cardiniana 386/6

Domenica 10 luglio 2022, Sante Rufina e Seconda

UCRAINA, UN PO’ DI STORIA
AMERINO GRIFFINI
I PRESIDENTI DELL’UCRAINA. LEONID KRAVČUK
Inizio questo viaggio tra i Presidenti dell’Ucraina, con il primo di essi, Leonid Kravčuk.
E lo inizio con una breve nota biografica relativa alla sua vita precedente alla sua elezione.
Nacque nel 1934 in una famiglia di contadini di etnia ucraina in un piccolo villaggio della Volinia di meno di un migliaio di abitanti in territorio a quell’epoca parte della Polonia, in seguito ceduto all’Ucraina in una delle operazioni chirurgiche territoriali della Storia.
Il padre morì in battaglia durante la Seconda guerra mondiale.
Leonid studiò Economia nell’Università di Kiev laureandosi a 24 anni e per un certo periodo fu insegnante di economia marxista.
Iscritto al Partito Comunista d’Ucraina (KPU) fin da ragazzo, percorse tutti i gradi della militanza in ascesa fino al vertice del partito, il Politburo, organo centrale di governo dell’Ucraina sovietica nel quale fu responsabile del Dipartimento che si occupava dell’ideologia marxista e della propaganda.
Nel luglio 1990 divenne Presidente del Parlamento ucraino e quindi toccò a lui, un anno dopo, in seguito al disfacimento dell’Unione delle Repubbliche Socialiste Sovietiche, dover gestire in Ucraina la transizione verso l’indipendenza che, sotto la sua presidenza, il Parlamento votò e approvò il 24 agosto 1991 in una seduta straordinaria sotto la pressione emotiva del tentato Colpo di Stato a Mosca (19 agosto) contro il Presidente Gorbačëv.
In quel mese di sommovimenti, il Parlamento dell’Ucraina il 27 agosto decise la messa fuori legge del Partito Comunista d’Ucraina (KPU).
Pretesto giustificativo fu la partecipazione di esponenti di quel partito al tentato golpe moscovita che fu interpretato come violazione dell’articolo 7 della Costituzione ucraina del 1978.
Una scelta paradossale che vide il partito che aveva sicuramente il favore della maggioranza degli ucraini diventare improvvisamente illegale e costretto a vivere in clandestinità. E per di più per una scelta pilotata dal maggior responsabile ucraino dell’ideologia e della propaganda marxista, ovvero Leonid Kravčuk. Al KPU inoltre furono sequestrate le proprietà del partito e i conti bancari, tutto fu trasferito dal partito allo Stato ucraino.
Tre mesi dopo, il 1° dicembre 1991, un referendum confermò la decisione indipendentista presa dal Parlamento.
Ed è da questa data che inizia il nostro viaggio di esplorazione della prima Presidenza dell’Ucraina.
Sì perché quel giorno, oltre decidere nel referendum sull’indipendenza dall’URSS, gli ucraini scelsero anche il loro Presidente.
Leonid Kravčuk vinse al primo turno elettorale, con oltre il 60% dei voti.
A quell’epoca era leader del Partito Socialdemocratico Ucraino (di difficile collocazione negli schemi occidentali, ufficialmente considerato partito di “centro”, ma che per taluni aveva addirittura un’ideologia “fascista”, termine che sappiamo bene non voler dire un granché usato com’è come il prezzemolo ovunque strumentalmente).
Kravčuk vinse grazie anche all’appoggio elettorale del Partito Comunista, partito che in quel momento, ricordo, era fuorilegge e tornerà legale in Ucraina solo il 27 dicembre 2001 (ma con lo stesso acronimo KPU si ricostituì nel 1993 come partito ucraino indipendente. Nel 2015 saranno varate leggi che vietano simboli comunisti e in conseguenza di esse, a luglio il ministero dell’Interno impedirà al KPU di presentarsi alle elezioni e a dicembre 2015 il partito sarà nuovamente vietato), e anche dell’appoggio di un settore dei Democratici Nazionali, roba di destra.
La trasformazione ideologica di Kravčuk fu stupefacente, ottenne sì il favore dei comunisti (illegali) ma anche e soprattutto quello degli anticomunisti presentandosi come un nazionalista ucraino.
Il suo principale antagonista fu Vyacheslav Chornovil, pubblicista, direttore di giornale e critico letterario, ex detenuto in URSS e anch’egli leader anticomunista; da ottobre 1991 divenuto anche grande Atamano dei cosacchi d’Ucraina.
Dopo la sconfitta presidenziale, Chornovil proseguì l’attività politica e alle elezioni per il Parlamento del 29 marzo 1998 il suo partito, il Movimento Popolare Ucraino (Rukh), di centro-destra e anticomunista, arrivò secondo nei consensi, dopo quelli del rifondato Partito Comunista ucraino che ottenne il 24,65%.
Chornovil si sarebbe dovuto candidare nuovamente alla Presidenza dell’Ucraina nell’ottobre 1999 ma il 25 marzo di quell’anno rimase vittima, con il suo autista, in un oscuro incidente avvenuto sull’autostrada, quando un camion con rimorchio si mise all’improvviso in orizzontale sulla carreggiata.
Il giorno dopo, il ministro dell’Interno (e capo dei Servizi Segreti) Yury Kravchenko, si affrettò a dichiarare che si era trattato di un incidente e che le indagini non avrebbero preso in considerazione nessuna ipotesi diversa.
Il camionista all’origine dell’incidente, Volodymyr Kudela, fu amnistiato e non fece un giorno di carcere. In seguito il ministero dell’Interno farà sapere che era morto d’infarto, ma si saprà che invece era vivo e viveva in una località segreta.
Il ministro dell’Interno Kravchenko a sua volta morì il 4 marzo 2005, ufficialmente per “suicidio”, per due colpi di pistola, uno dal mento verso l’alto e uno alla tempia! Curiosa morte; si potrebbe definire: un doppio suicidio.
Comunque, tornando al primo morto, il mancato Presidente Vyacheslav Chornovil, il suo funerale fu imponente, le stime sui partecipanti alle esequie ondeggiano tra 150 e 250mila persone.
Invece, il primo Presidente dell’indipendente Ucraina, Leonid Kravčuk, che ho tralasciato per narrare le vicende di morte (e molte ne leggerete nelle biografie dei vari Presidenti che seguiranno), rimase vivo ma non arrivò in fondo al suo mandato e fu costretto a ricandidarsi alla Presidenza in una elezione anticipata, il 19 luglio 1994.
Anticipo di una elezione presidenziale causato da una situazione di instabilità politica, scioperi (in particolare quelli ad oltranza dei minatori) e la prima gravissima crisi economica del Paese. Tuttavia, durante la sua presidenza, Kravčuk non fu coinvolto in scandali gravi o inchieste giudiziarie.
Tra gli atti più rilevanti del suo mandato presidenziale, ci fu, pochi giorni dopo la sua elezione e su mandato della Verkhovna Rada (il Parlamento ucraino), l’8 dicembre 1991, la firma dell’accordo di Belaveža, località in Bielorussia, nei pressi del confine polacco.
Quell’atto firmato da Kravčuk per l’Ucraina, da Boris Eltsin per la Russia e da Stanislau Suskevic per la Bielorussia, segnò la fine dell’Unione Sovietica.
All’accordo di Belaveža seguì, il 21 dicembre successivo, quello di Alma Ata, in Kazakistan, firmato inizialmente da russi, ucraini e bielorussi, che sancì la nascita della Comunità degli Stati Indipendenti (CSI) e, in seguito, ricevendo l’adesione di Azerbaigian, Armenia, Moldavia e degli “stan” (Tagikistan, Uzbekistan, ecc.).
Il 6 maggio 1992, Kravčuk si recò negli USA per incontrare George H. W. Bush, con il quale sottoscrisse un accordo che prevedeva l’impegno dell’Ucraina a passare rapidamente ad una economia di mercato, alla riduzione delle barriere al commercio e a favorire investimenti delle imprese americane, aiutata dagli Stati Uniti in questo sforzo.
Inoltre, l’Ucraina si impegnò a rinunciare alle armi nucleari e a completare la rimozione di tutte le armi nucleari tattiche sul suo territorio entro il 1° luglio 1992, nonché tutte le altre armi nucleari entro sette anni in conformità con il Trattato START-1 (Strategic Arms Reduction Treaty) ovvero, gli accordi internazionali aventi l’obiettivo di limitare o diminuire gli arsenali di armi di distruzione di massa.
Per giungere a ciò gli Stati Uniti si impegnarono ad utilizzare una parte di 400 milioni di dollari già stanziati dal Congresso degli USA, cioè aprendo una linea di credito di 110 milioni di dollari per l’Ucraina.
In linea con questo accordo, il 18 novembre 1993, il Parlamento ucraino decise di ratificare il Trattato START-1 impegnandosi a ridurre il numero di armi e testate nucleari in cambio però chiese miliardi di risarcimento, quantificati in 2,8 miliardi di dollari.
Ma contestualmente l’Ucraina, con il pretesto di dover “studiare a fondo la situazione”, pose nuove condizioni che di fatto mantenevano il suo possesso dell’armamento nucleare. Nonostante avesse ricevuto garanzie di sicurezza da parte di Russia, Stati Uniti, Gran Bretagna e Francia, pretese garanzie anche da Pechino.
Russia e USA non potevano certo accettare un “accordo” beffa di quel tipo e furono costrette a ricominciare negoziati che si conclusero il 3 febbraio 1994 con la ratifica del Trattato START-1 originale e poi, il 16 novembre dello stesso anno, l’Ucraina entrò a far parte del Trattato di Non Proliferazione nucleare (TNP) come Stato non nucleare.
Nella nuova trattativa l’Ucraina riuscì ad ottenere dagli USA a titolo di risarcimento 500 milioni di dollari e con la Russia, in cambio del rientro in Russia delle armi nucleari, stipulò un accordo per la fornitura di combustibile nucleare per le centrali nucleari ucraine per un importo di 160 milioni di dollari.
Altro atto di notevole rilievo della Presidenza Kravčuk fu l’accordo del 15 aprile 1994, siglato a Mosca tra Eltsin e Kravčuk, relativo alla Flotta del Mar Nero (fondata nel 1783 per decreto dalla Grande Caterina II, Imperatrice di Russia), dopo anni di contrasti seguiti alla fine dell’URSS, sfiorando in taluni momenti anche l’avvio di un conflitto armato tra i due Stati.
L’accordo del 1994 fu la base di altri che seguirono e che portarono alla definizione di proprietà e affitti della Flotta russa in Crimea, tra i quali quello del 1997, valido fino al maggio 2017 in base al quale la Federazione Russa pagò ogni anno un canone di 97,75 milioni di dollari all’Ucraina.
In seguito, altri motivi di contrasto e nuovi accordi, prima del conflitto in corso, hanno esteso la durata dell’affitto per la Flotta russa del Mar Nero di stanza in Crimea, fino al 2042, in cambio l’Ucraina ha ricevuto uno sconto del 30% sul gas russo.
In mezzo a tutti questi trattati che si sono sempre conclusi con un fiume di denaro che giungeva in Ucraina (ma a chi oltre gli oligarchi?), nel settembre 1993 Kravčuk decise di commemorare il 60° anniversario dell’Holodomor, il genocidio per fame che nel 1933 provocò milioni di morti.
Le cifre, quando si tratta di genocidi, sono sempre controverse, e anche in questo caso oscillano tra i 2,5 milioni e gli 11 milioni (nella sola Ucraina). Il terzo Presidente dell’Ucraina, dopo Kravčuk, Viktor Yushchenko parlando al Congresso degli Stati Uniti, il 6 aprile 2005, sostenne che i morti erano stati 20 milioni, una cifra che pare davvero esagerata ma che piacque agli americani sempre ansiosi di immaginare nemici cattivissimi (che più cattivi non si può).
Il dramma dell’Holodomor ebbe origine dalla scelta ideologica che partiva dalla Russia di Stalin, di eliminare la classe borghese dei kulaki (contadini “possidenti”) e di collettivizzare le terre. Ideologia che si incrociò con le teorie strampalate dell’agronomo ucraino Trofim Lysenko che non credeva nella Genetica. Su di lui ho già scritto di recente trattando del filosofo Igor’ Rostislavovič Šafarevič.
Ligio alle decisioni prese altrove, a dicembre del 1932 il Comitato Centrale del Partito Comunista Ucraino emise un decreto che non ammetteva deroghe e lo fece applicare scrupolosamente dalla GPU ucraina (la Polizia segreta).
Per essere classificato come kulako era sufficiente “l’utilizzo di un operaio agricolo per una parte dell’anno, il possesso di macchine agricole un po’ più perfezionate del semplice aratro, di due cavalli e quattro mucche”.
Ciò provocò una serie di reazioni a catena: per rientrare nei limiti consentiti, i contadini uccisero centinaia di milioni di animali (cavalli, maiali, bovini, capre, ecc.); la resa inferiore della produzione agricola fu interpretata dalle autorità come una forma di resistenza e scattarono le deportazioni, le esecuzioni di massa, le carcerazioni; chi era sospettato di nascondere animali o cibo veniva considerato un ladro al quale veniva applicata la pena di morte per aver tentato di rubare allo Stato. Rapidamente, la fame e le malattie dilagarono, si giunse anche al cannibalismo per sopravvivere.
Ricordare e commemorare l’Holodomor nell’Ucraina del 1993 non fu un gesto privo di significato, soprattutto se a farlo fu uno dei più importanti ex comunisti d’Ucraina.
Nel corso della sua Presidenza, Leonid Kravčuk si barcamenò tra spinte e prese di posizione politiche opposte, si espresse per l’ingresso dell’Ucraina nella NATO il più presto possibile e operò per l’ingresso nell’Unione Europea, ma nel contempo non disdegnò la politica di cooperazione con Mosca.
Molti, nel governo gli remarono contro, a iniziare dal Primo Ministro Leonid Kuchma che alla fine fu il suo sfidante (vincente) nelle elezioni anticipate per la Presidenza del Paese.
Eppure tutte le colpe della catastrofe economica nella quale si trovò l’Ucraina nel 1994, in parte dovettero pur essere del governo Kuchma, non solo del Presidente Kravčuk.
Fu un rapido scivolare verso la crisi, quello che portò alla fine politica di Kravčuk, il quale – come vedremo con i successivi Presidenti – di certo fu il meno invischiato nella corruzione.
Sua fu certamente la colpa – e se ne assunse la responsabilità – del fallimento della Compagnia di navigazione del Mar Nero, la più grande flotta mercantile al mondo (250 navi) che era stata fondata dall’Impero degli Zar di Russia nel 1833 con base ad Odessa e che, con la dissoluzione dell’URSS, l’Ucraina si era accaparrata facendola diventare demanio dello Stato.
Non può essere stata (almeno non tutta) colpa di Kravčuk anche la scelta di passare dalla pianificazione economica sovietica a quella di mercato, che precipitò in breve milioni di ucraini nella povertà mentre gli oligarchi si arricchivano a dismisura e nonostante il vero fiume di denaro che arrivava dagli accordi con gli USA e con la Russia, dei quali ho fatto cenno e che fecero dell’Ucraina il Paese europeo più corrotto e uno dei più corrotti al mondo (rimasto tale anche nell’ultima statistica mondiale, del 2020, situato al 117° posto, assieme a Sierra Leone e Zambia).
E dopo la guerra in corso (se l’escalation di Biden e dei suoi più fedeli europei non ci porteranno alla Terza guerra mondiale), vedremo dove andranno a finire le montagne di denaro che ogni giorno chiede, pretende e ottiene Zelensky (assieme alle armi sempre più micidiali) e come sarà gestita la ricostruzione, e da chi.
E a proposito di corruzione e di criminalità organizzata, è necessario accennare a ciò che accadde nel 1991 dopo la Dichiarazione d’Indipendenza dell’Ucraina (24 agosto 1991) e che si riversò – aggravando la situazione economica giorno dopo giorno – sul Kravčuk nel 1994. Dunque, per cercare di liberarsi del rublo, all’indomani dell’Indipendenza, il governo ucraino decise di autorizzare la circolazione del rublo solo per alcuni prodotti e servizi, per altri prodotti si dovevano utilizzare solo dei coupon che si chiamavano “karbovanet” (senza considerare che il mercato nero, parallelamente, utilizzava regolarmente dollari USA).
I karbovanet – nella logica della privatizzazione di ciò che era stato collettivo nell’economia statale sovietica – corrispondevano a porzioni di beni aziendali, una specie di micro azionariato.
Gli stipendi venivano pagati in parte in rubli e in parte in karbovanet (che, tra l’altro, erano stampati male, non numerati e quindi si prestavano a contraffazioni).
Ne approfittò la criminalità organizzata.
Quando in Russia, nel luglio 1993, fu varata la riforma monetaria, l’Ucraina interruppe drasticamente la circolazione del rublo (che continuò a circolare al mercato nero a fianco del dollaro) e i karbovanet divennero l’unica moneta legale.
Nel frattempo però ne avevano fatto incetta società finanziarie e organizzazioni senza scrupoli che erano diventate così proprietarie di gruppi industriali e finanziari.
Fu l’ennesima catastrofe che si abbatteva sul popolo ucraino (che non poteva che rimpiangere, per certi versi, i bei tempi dell’Unione Sovietica).
I karbovanet si svalutarono, i prezzi aumentarono vertiginosamente (raggiungendo addirittura il 10.000%), e fu piena iperinflazione.
Come se tutto ciò non bastasse, alla fine del 1993 si aprì un’altra falla nella barca ucraina: nel Donbass iniziò uno sciopero ad oltranza dei minatori che volevano ricevere il loro salario, anzi pretendevano che fosse aumentato e, udite, udite: chiedevano il ripristino di legami economici del Donbass (russofono) con la Russia.
Inoltre, i minatori chiedevano le dimissioni di Kravčuk.
Detto e fatto: la Verkhovna Rada accontentò i minatori, non so cosa fu delle altre loro richieste, ma sfiduciò il Presidente e indisse elezioni presidenziali anticipate.
Povero popolo ucraino che non sapeva che sarebbe passato dalla padella nella brace.
Il 26 giugno 1994 si tenne il primo turno delle elezioni. Tra i sette candidati, Kravčuk ottenne il 38,36% mentre il suo sfidante principale, il capo del Governo Leonid Kuchma, ottenne il 31,17%.
Al secondo turno però il verdetto si rovesciò, Leonid Kuchma batté Kravčuk ottenendo il 52,15% dei consensi.
Del vincitore di queste elezioni scriverò nella seconda puntata. E ce ne sono di cose da scrivere: omicidi, truffe internazionali, … da sobbalzare sulle poltrone ma anche da far sorridere se si riesce a vincere la rabbia per ciò che accadeva a quel povero popolo.
Il bistrattato Leonid Kravčuk restò in Parlamento come deputato fino al 2006 nel Partito Socialdemocratico.
Alle elezioni presidenziali dell’ottobre-novembre 2004 appoggiò la candidatura del filorusso Viktor Yanukovic.
A fine novembre di quell’anno Kravčuk dovette subire l’umiliazione della revoca di una laurea honoris causa da parte di un’antica Accademia universitaria di Kiev, per essere stato contrario alla mitizzata “rivoluzione arancione” degli attivisti di piazza che in quelle elezioni presidenziali erano sostenitori di Viktor Yushenko, candidato favorito degli Stati Uniti.
Di questo terzo Presidente dell’Ucraina e delle “rivoluzioni colorate” avrò modo di scrivere in seguito.
Per il momento basti sapere che il quotidiano britannico “The Guardian”, di area laburista ma considerato uno dei giornali più autorevoli per la sua imparzialità e l’accurata verifica delle fonti, proprio in quel novembre 2004 in un articolo dal titolo “Campagna USA dietro il tumulto a Kiev”, sulle “rivoluzioni colorate” in Georgia, Serbia, Bielorussia e Ucraina, individuò la (pesante) manina statunitense, sempre tramite le stesse organizzazioni, elencando tra esse il Dipartimento di Stato degli USA, il National Democratic Institut del Partito Democratico americano e ONG come l’Istituto della Società Aperta del miliardario George Soros.
In questo importante articolo “The Guardian” scrisse, lapidario: “Ufficialmente, il governo degli Stati Uniti ha speso 41 milioni di dollari (21,7 milioni di sterline) per organizzare e finanziare l’operazione durata un anno per sbarazzarsi di Milosevic dall’ottobre 1999. In Ucraina, si dice che la cifra sia di circa 14 milioni di dollari”.
Due anni dopo, alle elezioni per il rinnovo del Parlamento del 26 marzo 2006, Kravčuk fu capolista di una coalizione di partiti che per l’occasione si chiamò Blocco di Opposizione “Non così!”; coalizione della quale faceva parte anche il Partito Socialdemocratico d’Ucraina del quale era un dirigente. Nell’elenco dei candidati della coalizione elettorale spiccavano i nomi di altri esponenti filorussi del mondo politico e culturale ucraino. Blocco che ottenne solo l’1,1%.
Nel 2009 uscì dal Partito Socialdemocratico sdegnato per il comportamento antidemocratico dello stesso per aver scelto verticisticamente, a porte chiuse, di candidare alla Presidenza dell’Ucraina nel 2010, il leader del Partito Comunista Ucraino, Petro Symonenko, con un’alleanza di tutte le forze di Sinistra e di Centrosinistra (una specie di “campo largo” lettiano, per azzardare un esempio italiano).
Una candidatura unitaria (dalla quale si sfilò solo il Partito Socialista) dal risultato a dir poco disastroso: al primo turno Symonenko uscì di scena ottenendo solo il 3,54% dei consensi.
Infine Kravčuk si ritirò a vita privata e trascorse gli ultimi anni in una dacia di proprietà dello Stato, in una zona “bene” dalle parti di Kiev.
Leonid Kravčuk è morto il 10 maggio di quest’anno a Monaco di Baviera, a 88 anni, lontano dalla guerra che ancora dura nel suo Paese e ricevendo post mortem i pubblici omaggi e ringraziamenti dell’attuale Presidente Zelensky.