Minima Cardiniana 387/1

Domenica 17 luglio 2022, S. Alessio

EDITORIALE
C’ERA UNA VOLTA UN TERMOVALORIZZATORE CATTIVO…
Tempi di fiabe. Le quali – filologi, linguisti e antropologi ce lo hanno insegnato da tempo – sono tutt’altro che piacevoli e ingenui racconti per bambini. Sono mythoi tremendi, sotto ai quali è celato ogni volta un durissimo kérigma. È da quest’apparenza serena e ottimista sotto la quale sta celato un perfido inganno che papa Francesco ha voluto metterci in guardia quando ci ha diffidato, a proposito del conflitto che ha l’Ucraina come suo centro, dalle troppo facili e manichee soluzioni che assolvono una parte e condannano l’altra. È naturale che il capo della Chiesa cattolica si opponga a qualunque risorgere dell’eresia manichea: anche perché il ritorno a tentazioni del genere significa invariabilmente un tuffo nel semplicismo. E il semplicismo, non la complessità, è l’esatto contrario e il nemico più implacabile della sacrosanta semplicità.
Ma scovare il Lupo Cattivo – o l’Orso Cattivo – e affibbiargli ogni sorta di responsabilità è una vecchia tattica di stravolgimento della verità che purtroppo continua a funzionare. E che sembra funzioni anche adesso, nel clamore delle polemiche successive alla sequenza di fatti – essa stessa già di per sé allucinante – che ha condotto alla tragicommedia della non-sfiducia a Draghi seguita dalla sue non-dimissioni da questi rimesse nelle mani di Mattarella e dalla non-accettazione di esse da parte di quest’ultimo. Il sociopoliticopsicodramma conoscerà una nuova puntata mercoledì prossimo. Aspettatevi ulteriori sorprese.
Per ora siamo allo stadio di una comica che rischia di non essere ancora quella finale. Il Lupo Cattivo sarebbe quella parte dell’oggetto misterioso Cinque Stelle (non Partito, Non Movimento, non Cosca, non Lobby…) che ha scelto un momento inadattissimo per scatenare, col pretesto del Termovalorizzatore romano, una crisi che ha molto divertito qualcuno al Cremlino e dintorni che, registrando la vera o presunta uscita di scena a rotazione di Boris prima e di Supermario poi – due “falchi” dello schieramento occidentale antiputin –, si è chiesto (non c’è due senza tre) chi sarà il terzo a cadere. Macron, ad esempio, mica è messo granché bene…
Il sarcasmo russo sarà irritante, però non è ingiustificato. Ma come? Pochi giorni dopo la rovinosa caduta di Boris Johnson scivolato sulla buccia di banana della corruzione e del ridicolo, ecco arrivare il caso-Draghi. E l’Arcimigliore, il Salvatore della Patria, l’Insostituibile Bocca della Verità che subito abbocca all’amo e vola al Quirinale lasciandosi dietro un caos che potrebbe preludere perfino a un caos peggiore? Vuole che sia il presidente della repubblica a stopparlo, fornendogli così una paradossale crescita di prestigio? Oppure l’Olimpo che sta sulle nostre teste – il governo statunitense, la NATO, il semprevigile pritaneo dei Signori Semisconosciuti delle lobbies di Davos – ha in mente una nuova mossa, un nuovo Asso (si fa per dire) nella manica?
Certo, comunque sia, un fatto è certo: non è che le beviamo tutte. In parlamento fanno finta di nulla o quasi, ma alla storia del Termovalorizzatore causa della crisi non ci crede nessuno. Al massimo, può essere un casus belli, cioè un pretesto: ma allora quali sono le ragioni sostanziali? A pensar male si fa peccato, ma spesso ci si azzecca. Non c’entreranno per caso in qualche modo anche la guerra e la non sopita questione delle armi all’Ucraina votate in parlamento che ha conosciuto una sia pur rapidamente silenziata protesta fra senatori e deputati e un ancorché per il momento ancora impreciso e indeciso ma vasto e dilagante scontento nell’opinione pubblica del “paese reale” e della sua maggioranza che, se proprio non è silenziosa, si fa per ora di tutto per mantener priva di voce? Salendo al colle, Draghi ha recitato la sua poco convinta sceneggiata nei confronti dell’élite parlamentare che disprezza o ha dato prova della crescente disistima del paese nei suoi confronti, tanto più approfondita quanto più sta andando avanti questa drôle de guerre impostaci insieme con le sanzioni formalmente antirusse e sostanzialmente antieuropee dalle demenziali scelte di Biden che appare sempre più deciso a combattere fino all’ultimo ucraino pur di “ridimensionare” le ambizioni russe di poter in qualche modo recuperare il potere e il prestigio perduto dall’URSS oltre una trentina di anni or sono; e sempre più intenzionato a farlo, costasse ciò anche un prezzo altissimo come un definitivo accordo russo-cinese in funzione antiamericana, vale a dire una scelta politica e diplomatica che gli Stati Uniti pagherebbero carissimo?
Parlamentari e protagonisti dei media si sono finora ben guardati da evocare nella loro polemica lo spettro della guerra in corso e di stabilire una relazione diretta fra essa e la crisi di governo italiana: ma la cosa è nell’aria. Tra i “governati”, tra le casalinghe di Voghera e i maestri di Vigevano, la cappa oppressiva del totalitarismo liberal-liberistico e il dogma del “pensiero unico” fondato sul bislacco principio che i russi diffondano sempre e soltanto disinformatzija stanno perdendo visibilmente quota, e i loro sicofanti ricevono sempre meno fiducia e fanno sempre meno audience.
Ma non tiriamo la corda: lasciamo che, se non intervengono ulteriori scelte inconsulte che accelerino l’escalation sino alla tragedia facendosi scappare le ultime occasioni d’Intesa, il progetto Biden vada in fondo. Le provocazioni sotto forma di aiuti d’ogni genere, a cominciare dall’invio di armi, continueranno e s’intensificheranno. Anche in occasione dell’ultimo G 7, l’inquilino della Casa Bianca si è mostrato per quello che è: costi quello che costi, avanti tutta; e se tra gli alleati nella crociata antirussa vi saranno (come vi saranno) anche stati retti da governi corrotti, o screditati, o dichiaratamente dispotici, tanto peggio: they are certainly sons of a bitch: but they are ours sons of a bitch. Come il corrotto governo sudvietnamita che tirava dritto per la sua strada nonostante i bonzi che si davano fuoco; al pari dei colonnelli greci, della banda di Pinochet in Cile, dei patetici aspiranti golpisti italiani, del Guatemala dove i sicari del despota democratico Rios Mont facevano a pezzi i preti missionari americani rei di sostenere le richieste dei campesinos, dei malavitosi alla Bolsonaro, degli emiri petrolieri arabi assassini di giornalisti scomodi.
Ma se le cose stanno così, diciamocela tutta. Il Termovalorizzatore non c’entra nulla. La faccenda di un Draghi che sale al Colle, per quanto nessuno lo abbia sfiduciato, è una sceneggiata che parla, in realtà, un linguaggio forse meno ridicolo, ma ancora più grave di quanto non possa sembrare. Al di sopra di Draghi e di Mattarella (chi non dispone di sovranità diretta deve pur avere sopra di lui un sovrano) qualcuno ha stabilito che nella felice Italietta, capofila dei lustrascarpe della Casa Bianca e della NATO, non è ammissibile che un partito del governo fedele esecutore dei dettami d’Oltreatlantico si permetta di dissentire anche solo in parte: non esser d’accordo sull’invio agli ucraini delle armi che sono loro necessarie ad ammazzare e a farsi ammazzare è un reato che rasenta l’alto tradimento. Conte e i suoi se ne debbono andare, costi quel che costi. Il PD, come al solito, non ha capito nulla e punta a un’impossibile mediazione: il prossimo governo, che avremo fra qualche giorno e che sarà ancora sotto la presidenza di Draghi, sarà fatto tutto e soltanto di partiti che approvano l’intensificazione del conflitto: anche se – alla faccia di quel che resta della democrazia – è ogni giorno più chiaro che la gente non ne vuol sapere. Come al solito, è stato Renzi a parlar più chiaro, in rotondo eloquio fiorentino. Draghi, e poi Draghi, e fortissimamente Draghi: ovvìa. E chi ‘un lo vòle, ha da uscì da’i’ggoverno, aete hapito?
Sì, caro Matteo, abbiamo capito e ormai lo sappiamo: questa è una guerra russo-americana e va combattuta fino in fondo, almeno salvo diverse indicazioni o miracoli. Alcune settimane or sono fu Luciano Canfora a proclamarlo e giù tutti a dargli sulla voce fino all’ingiuria e alla ridicolizzazione. Questa settimana, è “Limes” a sancire la medesima verità sulla copertina del suo ultimo numero: e chi qualche giorno fa sghignazzava, adesso non ride più.
Altro che Termovalorizzatore. FC