Minima Cardiniana 387/2

Domenica 17 luglio 2022, S. Alessio

MA COME VA LA GUERRA?
MICHELE RALLO
GLI USA HANNO GIÀ PERSO LA GUERRA, MA L’EUROPA NON SE N’È ACCORTA
Mentre la guerricciola in Ucraina – anzi, a spese dell’Ucraina – fa lentamente il suo corso, la grande guerra globale mossa dagli Stati Uniti contro la Russia si è, di fatto, già conclusa. Con la vittoria di Mosca su Washington o – se preferite – di Putin su Sleepy Joe, il bell’addormentato nel bosco della Casa Bianca. Dei volenterosi ausiliari europei (dalla donnetta di Bruxelles al draghetto nostrano e a tutto il resto dell’allegra brigada) non vale neanche la pena di parlare.
Intendiamoci: la guerra sul campo continua, e continuerà ancora fino a quando gli ucraini (il popolo ucraino, intendo, non l’inquietante corte di Zelensky) non capiranno di essere soltanto carne da macello delle strategie atlantiste; o fino a quando i russi si stancheranno di questo tira-e-molla e decideranno – come ha minacciato Putin – di “fare sul serio”. Spero con tutto il cuore che una tale ipotesi non abbia mai a verificarsi, perché ciò potrebbe significare – per esempio – il bombardamento massiccio di Kiev e delle altre città ucraine; il bombardamento vero, tragico, quello che non distingue fra obiettivi militari e obiettivi civili, quello che non lascia scampo a nessuno; non le punture di spillo di oggi, quando i russi combattono con le stesse armi degli ucraini, senza fare ricorso ad armamenti ben più potenti (e letali).
Certo è anche possibile che ciò rientri nella strategia degli americani, che questi vogliano spingere la Russia a radere al suolo l’Ucraina, in modo da poter additare l’odiato Putin alla riprovazione del mondo civile. D’altro canto, questo è un metodo che gli USA hanno utilizzato già altre volte, soprattutto come strumento per avere la giustificazione morale ad entrare in guerra. È già avvenuto con la prima guerra mondiale, quando hanno provocato i tedeschi fino a quando questi – stupidamente – hanno preso a silurare i mercantili americani che rifornivano l’economia e la macchina bellica inglesi. Fino all’affondamento del cargo Vigilantia e all’annegamento del suo equipaggio (marzo 1917).
Idem con la seconda guerra mondiale: i giapponesi sono stati provocati a sangue, sino alla folle reazione di Pearl Harbor. Dopo di che, Roosevelt ebbe servito su un piatto d’argento il pretesto per venir meno al solenne impegno preso con gli elettori, secondo cui mai avrebbe mandato “i nostri ragazzi” a morire nella guerra europea.
Ma torniamo a oggi. Sul terreno – dicevo – la piccola guerra ucraina continua, alimentata dall’invio palliativo delle armi occidentali. Ma la grande guerra, quella che – secondo le strategie americane da scuola elementare – avrebbe dovuto mettere in ginocchio la Russia, è platealmente fallita. Anzi, è rimbalzata come un boomerang sul capo di chi la aveva promossa.
E non mi riferisco soltanto agli utili idioti dell’Unione Europea, mandati avanti come carne da cannone nella guerra delle sanzioni decisa a Washington. Mi riferisco soprattutto agli stessi americani, che apparentemente soffrono meno degli europei per l’effetto boomerang.
In realtà, i grandi sconfitti della guerra sono proprio loro, gli inventori della politica delle sanzioni, imposta agli alleati europei come prova di fedeltà alla religione atlantista. È proprio questa politica che è fallita, non riuscendo a “fare del male” alla Russia. Ha invece fatto del male, molto male proprio all’economia degli sfortunati alleati europei. Ma quella che è entrata in crisi – ancor più clamorosamente – è la dittatura planetaria del dollaro e, con questa, l’egemonia unipolare che Washington voleva imporre al mondo intero.
Procediamo con ordine. Innanzitutto è fallita l’idea balzana – una vera e propria americanata – di assediare economicamente la Russia. Perché? Perché la Russia è uno Stato-continente che è pienamente autosufficiente sia dal punto di vista alimentare che da quello energetico. Inoltre, è il più importante produttore di materie prime al mondo. Non ha quasi debito pubblico e, quel poco che ha, è pienamente garantito da una delle maggiori riserve auree del pianeta.
E qualche sciocchino – a Washington o a Bruxelles – pensava di metterla in crisi chiudendo i McDonald’s? Le sanzioni potranno certamente dare fastidio a Mosca, potranno costringerla a non vendere più gas e petrolio sui mercati “occidentali”. Ma l’unico disturbo per i russi sarà quello di vendere al resto del mondo. Penso al “sistema” commerciale globale noto come BRICS, acronimo risultante dalle iniziali dei suoi membri: Brasile, Russia, India, Cina, Sudafrica; con Iran e Argentina che hanno recentemente chiesto di potervi aderire. Si tratta di una alleanza economico-politica di fatto, formata da 5 (fino a questo momento) grossi paesi in forte crescita economica e, soprattutto, ricchi di risorse naturali “strategiche”; e che ha tra i suoi obiettivi dichiarati quello di giungere alla “de-dollarizzazione” del mercato finanziario internazionale.
Orbene, il BRICS e in genere tutto il mondo che non sia “occidente” (il Global South) formano oggi un enorme mercato a disposizione di Mosca. Un mercato che non aderisce alle sanzioni occidentali, e che prosegue tranquillamente l’import-export con la Russia.
L’unico concreto risultato ottenuto dai clan del Democratic Party americano, fino a questo momento, è stato quello di far fare un ulteriore passo avanti ad un processo di de-dollarizzazione del mercato globale che, prima delle sanzioni, muoveva timidamente i primi passi. Adesso, invece, si è irrobustito e mira ben più in alto: alla creazione di una nuova valuta mondiale “di riserva” alternativa al dollaro, che venga utilizzata nelle transazioni finanziarie internazionali e che fondi la sua forza nella produzione delle materie prime.
Dunque, mentre ad esser messa in ginocchio dalle sanzioni è – purtroppo – l’economia della colonia europea degli USA, il dominio globale del dollaro appare in fortissima difficoltà. E, con esso, l’egemonia planetaria degli Stati Uniti d’America, che proprio sul dollaro basavano la loro potenza.
Ecco perché, a prescindere dal lento andamento sul campo ucraino, la guerra Mosca-Washington ha già un perdente: l’America. Ma in Unione Europea non sembrano essersene accorti. E, giulivi come tante Vispe Terese, corrono saltellando incontro ad una crisi che potrebbe avere proporzioni catastrofiche. L’importante è fare un dispetto a Putin. Come quel certo marito che, per fare un dispetto alla moglie…

GIORGIA AUDIELLO
KISSINGER DÀ UNA NUOVA LEZIONE DI REALISMO POLITICO SULLA CRISI UCRAINA
Reintegrare la Russia nel sistema europeo, affrontare la questione della fine del conflitto, sconfiggere l’invasione dell’Ucraina e non la Russia come Stato: sono alcuni dei punti fermi che Henry Kissinger ha posto tornando a parlare pubblicamente della Russia e della questione ucraina con la stampa britannica in occasione della presentazione del suo nuovo libro Leadership, impartendo così alcune lezioni di realismo politico. All’antica rivista britannica “The Spectator”, invece, l’ex diplomatico americano ha prospettato tre possibili scenari di risoluzione del conflitto.
L’analisi di Kissinger è particolarmente degna di nota, in quanto è considerato uno dei più grandi statisti viventi, nonché il più longevo (ha da poco compiuto 99 anni): è stato l’architetto della politica estera americana sotto l’amministrazione Nixon e non solo, l’artefice del primo disgelo tra USA e Cina, ma anche l’anima delle strategie golpiste statunitensi in America Latina – specialmente in Cile con la rimozione di Allende e l’insediamento di Pinochet – al fine di costruire e conservare a qualunque costo l’egemonia a stelle e strisce. Se, dunque, sono indubbie le sue doti di stratega e la sua spiccata intelligenza di analista, non mancano di certo al suo attivo spregiudicate azioni politiche da nascondere più che da mettere in mostra. Si può dire, in breve, che il politico tedesco naturalizzato americano è stato una delle colonne portanti della politica di potenza americana dagli anni Settanta in avanti.
Proprio per questo le sue dichiarazioni sulla Russia non possono passare inosservate: il suo realismo politico lo ha portato ad affermare che ora è il momento di capire come porre fine al conflitto, in quanto “non si può semplicemente continuare a combattere senza un obiettivo”, un chiaro messaggio ai leader del G7 che sembrano voler prolungare indefinitamente lo scontro in Ucraina. Ma il punto più importante del discorso di Kissinger è che va sconfitta l’invasione dell’Ucraina e “non la Russia come Stato e come entità storica”, perché la Russia è parte integrante dell’Europa e, guardando già oltre il conflitto, lo statista si è spinto ad affermare che quando le armi taceranno “la questione del rapporto fra Russia ed Europa andrà presa molto seriamente”. Secondo l’ex diplomatico, l’obiettivo deve essere quello di “tornare al corso storico per cui la Russia è parte del sistema europeo. La Russia deve svolgere un ruolo importante”. E questo è ciò che ha suscitato più scandalo nel mondo liberal occidentale che sogna, in ultima analisi, la rimozione di Putin dal potere: il politico americano ha fatto intendere, tuttavia, che ciò non accadrà. Parlando del presidente russo coi corrispondenti londinesi, infatti, ha asserito: “l’ho trovato un intelligente analista della situazione internazionale dal punto di vista russo: che rimarrà tale e che dovrà essere considerato quando la guerra finirà”.
In sintesi, ciò che Kissinger sembra suggerire è una trattativa col Cremlino che preveda anche la cessione di alcuni territori ucraini: questo è ciò che aveva già asserito al Forum di Davos e su cui in seguito ha dovuto fare retromarcia, travolto dalle pressioni degli ambienti politici e della stampa occidentale, nonché dal risentimento dello stesso Zelensky che, a suo dire, avrebbe frainteso le sue parole. Tuttavia, la sostanza non cambia: la Russia è un’entità storico-politica determinante e inscindibile dall’Europa e, per questo, non si può pensare di recidere ogni legame, una volta cessato il conflitto, come paventato dal leader tedesco Scholz e da altre cancellerie europee. Anche perché il rischio di una simile prospettiva è che la Russia stringa una partnership sempre più stretta con Pechino e lo stratega americano sa bene che l’abbraccio tra Cina e Russia implicherebbe un indebolimento fatale dell’asse occidentale in favore delle grandi potenze emergenti.
Stabilito ciò, Kissinger non ha potuto – beninteso – non schierarsi dalla parte di Kiev pur ammettendo nuovamente che “l’Occidente è stato poco sensibile ad offrire l’ingresso nella Nato all’Ucraina, perché questo significava che tutta l’area tra il muro di Berlino e il confine russo sarebbe stata riempita dalla Nato, inclusi i territori da cui nella storia sono state lanciate aggressioni contro la Russia”. Una chiara presa di posizione a favore di uno dei caposaldi di Vladimir Putin che aveva ammonito i leader occidentali di “non superare la linea rossa” molto prima dell’inizio dello scontro in atto. Detto ciò, al giornale britannico “The Spectator”, Kissinger ha illustrato tre possibili esiti della guerra: il primo è quello che vede la Russia vincitrice, con il mantenimento di tutti i territori conquistati fino ad ora; il secondo prevede la riconquista da parte ucraina di tutti i territori annessi alla Russia sin dal 2014, compresa la Crimea; infine, l’ultimo esito è quello prospettato dallo stesso Kissinger già a Davos, ossia il ripristino dell’integrità territoriale ucraina antecedente all’operazione militare del 24 febbraio.
Considerati gli sviluppi militari sul campo, la prima opzione delineata da Kissinger pare – al momento – la più probabile, ma in ogni caso, un elemento emerge chiaramente dal ragionamento dell’ex consigliere di Nixon: con la Russia soprattutto l’Europa dovrà tornare a trattare e a riprendere le relazioni diplomatiche perché da questo dipende il futuro assetto di equilibri internazionali. La posizione della Russia nello scacchiere internazionale è, dunque, determinante: in base a come la Russia vedrà se stessa e si posizionerà dipendono anche le sorti dell’Occidente. Kissinger ha asserito, dunque, che Mosca potrà pensarsi “come un’estensione dell’Europa o come un’estensione dell’Asia ai margini dell’Europa”. E questo farà la differenza per il futuro degli assetti globali. Spingere la Russia nelle braccia cinesi, potrebbe rivelarsi un errore fatale.
(www.lindipendente.online, 4 luglio 2022)