Minima Cardiniana 388/5

Domenica 24 luglio 2022, Santa Cristina

ARTE, ARTE E ANCORA ARTE
ELEONORA GENOVESI
MADDALENA: IL MISTERO E L’IMMAGINE
Si può esistere senza arte, ma senza di essa non si può vivere” (Oscar Wilde)
Ed eccoci ancora qui a parlare di Arte… Vi confesso che personalmente non mi stancherei mai di parlarne perché, come dice Wilde l’Arte è vita.
L’Arte è un modo di essere, di porci nei confronti del mondo. L’Arte è un modo di sentire. L’Arte è stata la prima forma di comunicazione, l’Arte è stata, soprattutto nell’antichità, uno specchio del modo di pensare, di sentire, di vivere la realtà delle diverse civiltà. Per l’artista greco l’arte era portatrice di armonia e bellezza divina ma anche, come avviene in maniera molto chiara nella tragedia, era un mezzo attraverso il quale l’animo umano si risveglia e si rinforza.
Insomma: amate l’Arte perché amando l’Arte amerete voi stessi. Ed io mi sono amata ancora una volta andando a Forlì ai Musei San Domenico a vedere la splendida mostra dal titolo “MADDALENA: Il Mistero e l’Immagine” terminata lo scorso 10 luglio.
Una mostra incentrata sulla figura di Maria Maddalena che viene declinata in ogni suo aspetto. Questa esposizione forlivese, intrigante come le precedenti, è nata con l’intento di esplorare, attraverso alcune delle più preziose e affascinanti opere d’arte di ogni tempo, il mistero che tutt’oggi ci affascina di una donna di nome Maria di Màgdala.
Un viaggio emozionante nella storia dell’iconografia di Santa Maria Maddalena, attraverso “capolavori assoluti” che vanno dal III sec. d.C. al Novecento.
Ma procediamo per gradi.

Chi era la Maddalena?
Il nome, di origini antichissime, in aramaico Maryam, in ebraico Myriam, risalirebbe al luogo in cui è nata: Màgdala piccolo centro romano-giudaico in Galilea.
Questa figura avvolta nel mistero è collegata a eventi fondamentali riguardanti il racconto della vita e della morte di Gesù di Nazareth: la morte in croce, la sepoltura, la scomparsa del corpo, l’annuncio della resurrezione.
Discepola della prima ora, Maria Maddalena è, con altre donne, al seguito Gesù dalla Galilea fino al Golgota. Stante il racconto dei vangeli canonici, da sola o citata con altre donne, la Maddalena è la prima a vedere la tomba vuota dove il Cristo è stato deposto; è l’unica a vedere due angeli; è la prima a vedere il Cristo risorto e a parlare con lui prima che salga in cielo.
È lei la prima testimone di un fatto inaudito che affonda le proprie radici nel mistero e nell’intangibile, prima ancora degli Apostoli. Sulle sue parole si fonda la rivelazione dell’avvenuta resurrezione, quindi il destino delle prime comunità cristiane perdute e disorientate all’indomani della crocifissione, così come tanta arte della tradizione pittorica occidentale.
La sua figura è ininterrottamente presente, spesso come protagonista, nei Vangeli apocrifi e soprattutto in quelli gnostici. Ma questo ruolo di Apostola tra gli Apostoli derivato dall’essere colei cui si è presentato il Cristo risorto, cui è stato affidato il compito di annunciare l’Evento, viene notevolmente ridimensionato in ambito cristiano, in quanto investe la stessa identità di cristianesimo ponendo domande fondamentali sul ruolo della donna nella chiesa, sul monopolio maschile del patrimonio teologico-dottrinale che hanno notevolmente concorso all’emarginazione femminile.
Nella donna di nome Maddalena sono confluite e mescolate infinite figure femminili che simboleggiavano: il peccato, il pentimento, la fedeltà, la sofferenza, l’amore, l’ossessione, la sapienza, la carnalità, la penitenza, la santità. Ciò ha creato un intreccio narrativo cui l’Arte, più di ogni altro settore, ha dato voce e visibilità. E la mostra di Forlì prova ad addentrarsi in questo gioco di sovraimpressioni, di figure interscambiabili, i cui significati si moltiplicano nel corso dei secoli, come si può vedere nelle opere esposte.
L’arte ha posto il personaggio Maddalena al centro della produzione, dando vita a capolavori che segnano, nel tempo l’arte stessa. E come in uno specchio, ogni epoca l’ha guardata, contemplata cercando di trovare l’ideale di sé, della propria immagine; l’ha guardata dal buco della porta, scoprendo i propri vizi dentro le proprie virtù.
Come si può ben vedere non è semplice ritrovare l’autentica identità della Maddalena né ambiamo a cotanto.
Facciamo una scommessa con noi stessi: limitiamoci a leggerla come è stata vista nel corso dei secoli e scegliamo l’aspetto che più ci appartiene o che più ci piace di questa grande donna.
Ma prima di intraprendere questo interessantissimo percorso che va dai precedenti iconografici di epoca classica pre-cristiana, centrati sull’estetica del dolore e la teatralità delle emozioni, al Medioevo e poi al Rinascimento, al Barocco, fino alle rappresentazioni ottocentesche e novecentesche nelle quali la figura di Maddalena diviene emblema della protesta e del dramma di un’epoca, muniamoci di parole-chiave che ci aiutino nella lettura delle opere.

PAROLE CHIAVE: Mito
Da sempre il genere umano è alla continua ricerca di MITI. Una donna, un uomo, un racconto che possa essere un esempio o uno stimolo per tutti nelle azioni quotidiane.
E la Maddalena ne è un palese esempio da più di 2000 anni. Simbolo di importanti valori come amore, devozione, rinuncia, conversione; autorevole archetipo di religiosità e mistero; la Maddalena è sicuramente uno dei maggiori miti femminili della storia dell’arte.

PAROLE CHIAVE: Mirrofora
Nel Nuovo Testamento viene raccontato di alcune donne impegnate nella sepoltura del corpo di Gesù: le celebri mirrofore (il cui significato è, letteralmente, “portatrici di profumi”) dedite al compassionevole esercizio dell’unzione del cadavere con unguenti profumati, tra i quali la mirra e il nardo. Una di queste è proprio Maria Maddalena, che diviene simbolo della cura per il corpo amato in vita e in morte.

PAROLE CHIAVE: Conversione
La figura di Maria Maddalena è diventata nei secoli un vero e proprio simbolo sotto diversi aspetti: umano, femminile e religioso. Il cristianesimo si è servito a proprio favore di questa figura femminile come di colei che aveva vinto il peccato per farne un esempio di CONVERSIONE.
La conversione da una vita di piaceri e lusso a una di predicazione e penitenza.

SIMBOLI
Nell’iconografia della Maddalena penitente si trova rappresentato molto spesso il teschio. Il teschio simboleggia lo scorrere del tempo e la transitorietà della vita.
E quale oggetto meglio del teschio può incarnare l’urgenza di meditare sul proprio passato? Urgenza che la Maddalena ha sentito fortemente e che, dunque, risulta fondamentale nella storia e nella rappresentazione della sua figura.
Il teschio si ricollega, quindi, alla sua conversione e, dunque, alla sua figura di asceta e penitente.
La Maddalena con la sua variegata e sfuggente identità ha ispirato gli artisti di tutti i tempi, che, nel corso dei secoli hanno creato iconografie complesse e mutevoli, destinate a grande successo e diffusione.
Da qui nasce quel mix di mistero e fascino, di seduzione e tormento, di devozione e peccato che ancora oggi ci seduce.
La Mostra ideata e realizzata dalla Fondazione Cassa dei Risparmi di Forlì in collaborazione con il Comune di Forlì e i Musei San Domenico, suddivisa in 11 sezioni, è strutturata in un percorso che include, non solo la pittura, ma anche la scultura, le miniature, gli arazzi, gli argenti e le opere grafiche, lette attraverso i più grandi nomi di ogni epoca.
Troviamo artisti come Masaccio, Crivelli, Van der Weiden, Bellini, Perugino, Barocci, Savoldo, Vivarini, il Garofalo, Alessandro Allori, Guido Cagnacci, Guido Reni, Johann Friedrich Overbeck, Gerardo Dottori, Mazzoni, Tiziano, Veronese, Tintoretto, Domenichino, Lanfranco, Mengs, Canova, Hayez, Delacroix, Böcklin, Previati, Rouault, Chagall, De Chirico, Guttuso, Melotti, Sutherland, Bill Viola e molti altri.
Nell’ovvia impossibilità di parlare di tutte le opere in mostra, il percorso scelto per raccontare questa mostra è quello della storia dell’evoluzione delle varie iconografie della Maddalena nel corso dei secoli.

L’estetica del dolore: iconografie nell’arte antica
Nel mondo antico, dall’Italia alla Grecia all’Oriente, la presenza femminile è una costante nell’ambito della cerimonia funebre, con 2 finalità ben precise: la prima che vedeva la donna quale aiuto nella sistemazione del defunto, la seconda che la vedeva come “lamentatrice”, ossia colei che eternizzava il rito funebre del defunto con il suo pianto. Si trattava non solo di donne della famiglia, ma anche di schiave e prefiche pagate per piangere. E la tradizione delle prefiche è perdurata in alcuni territori italiani sino agli inizi del secolo scorso.
Nel Sarcofago con scena del compianto di Melagro (180-190 d.C.) sono presenti figure di donne dolenti in atteggiamento pacato.
Altra figura femminile legata al culto dei defunti è quella della Menade che parrebbe sia stata presa a modello per la figura di Maria Maddalena ai piedi della croce o nella deposizione di Cristo, per piangere la morte del Signore. Ma l’atteggiamento della Maddalena derivante dalla figura della Menade presenta elementi più carichi ed incontrollabili rispetto a quelli delle prefiche dei funerali del mondo antico che erano decisamente più pacati, come si può osservare nella Menade danzante (copia di Età augustea di un originale di Kallimachos del 405-406 a.C., Roma Musei Capitolini). Ultima figura femminile che ha ispirato gli artisti per l’iconografia della Maddalena è la Nike di Samotracia.
Il movimento tipico della Nike potrebbe aver ispirato Domenico Zampieri, detto il Domenichino nella sua Assunzione di Maria Maddalena in cielo del 1616-1621 (Ermitage, San Pietroburgo).

Precedenti iconografici della figura della Maddalena nel medioevo
Maria di Magdala-la Maddalena- è tra le figure più rappresentate nella Storia dell’Arte. Secondo quanto scritto dall’evangelista Giovanni la Maddalena è la sola protagonista della scoperta della Resurrezione di Cristo e del suo annuncio agli apostoli. L’iconografia maddaleniana si modella sulla miriade di testi canonici ed apocrifi che nascono e si diffondono in Oriente ed Occidente.
La Maddalena fa il suo ingresso nell’arte figurativa come personaggio dell’epopea pasquale, inserito, sia, nel gruppo di donne che, in base ai testi evangelici, si recano al Sepolcro di Cristo (Visitatio Sepulchri) trovandolo vuoto, sia come protagonista del successivo incontro con Cristo Risorto.
Quella che è ritenuta la più antica rappresentazione iconografica della Maddalena tra le pie donne è stata rinvenuta tra i resti di una città della Mesopotamia meridionale nell’attuale territorio siriano.
La Visitatio Sepulchri la si ritroverà poi con una certa frequenza nei cicli decorativi dei Battisteri. Lo spazio della scena della Visitatio diventerà più complesso in età Carolingia e poi Ottoniana. I due temi della visita ai sepolcri e dell’incontro con Cristo Risorto saranno divulgati grazie ad avori di produzione bizantina e carolingia, come attestato dal Dittico della Passione, manufatto carolingio in avorio del IX secolo. Nel medioevo i temi magdalenici continueranno ad entrare nella liturgia pasquale interessando la decorazione dei testi sacri e gli arredi liturgici come il bellissimo Manoscritto dello Scriptorium di Nonantola dal nome Evangelistario di Matilde di Canossa della metà del IX secolo in cui si può vedere una Maddalena Mirofora, che insieme ad altre 2 pie donne sta portando gli unguenti al sepolcro di Cristo, venire fermata da un angelo che comunica l’evento della resurrezione.
A metà del XII secolo ha inizio il rapporto della Maddalena con il Crocifisso che sfocerà nei seguenti temi iconografici:
– La Maddalena stagliata ai piedi della Croce durante la Crocifissione;
– La Maddalena presente durante la Deposizione di Cristo dalla Croce;
– La Maddalena che piange Cristo nel Compianto.
Inizialmente l’immagine della Maddalena è vincolata al gruppo delle Tre Marie. E, a dispetto delle numerose Croci Dipinte del periodo, la figura della Maddalena non riuscirà ad emanciparsi dalla presenza delle altre Marie. Nelle estensioni laterali istoriate parteciperà solo come comprimaria come ad esempio nella Croce di Maestro Guglielmo o Croce di Sarzana del 1138. Solo nel 1200 la Maddalena acquisterà una completa autonomia iconografica.
Ma si deve a Giotto di Bondone il primo grande ciclo affrescato dedicato alla figura di Maria di Magdala del 1296 ubicato nell’ultima cappella a destra della Chiesa Inferiore di San Francesco ad Assisi. La scelta di realizzare un così ampio ciclo iconografico con le vicende della Maddalena fu probabilmente influenzata anche dalla Legenda Aurea di Jacopo da Varazze, che, dalla fine del 1200 divenne la principale fonte letteraria per le raffigurazioni ed illustrazioni delle vite dei Santi.
Un ruolo non secondario nell’autonomia iconografica della Maddalena lo ebbe sicuramente la devozione francescana alla Santa, considerata dai frati un modello di pentimento, redenzione, misticismo, eremitaggio. Il ciclo di Assisi avente come tema episodi della vita di Maria Maddalena, realizzato da Giotto e dalla sua bottega, divenne una sorta di regolamento per i pittori che successivamente si trovarono a realizzare opere analoghe, come il Maestro di Offida.

Precedenti iconografici della figura della Maddalena nel Rinascimento
Sviluppato il lascito giottesco, elaborata la complessità del culto e delle devozioni che la rendono partecipe a pieno, con i santi più popolari delle Sacre Conversazioni, la Maddalena assurgerà a tutti gli effetti al ruolo di patrona di confraternite e congregazioni delle quali caratterizzerà i gonfaloni e gli altari. L’unico attributo atto a far riconoscere il personaggio della Maddalena era l’ampolla con gli olii profumati. Questa scarsità di attribuiti fece sì, come nel caso dello stendardo realizzato nel 1395 da Spinello Aretino per una confraternita di San Sepolcro, che l’opera, che ritraeva la Maddalena con l’ampolla con gli olii nella mano destra e con il Crocifisso nella mano sinistra, venisse battuta all’asta a New York come “Madonna con un Crocifisso”.
Nei Paesi Bassi si diffuse la rappresentazione di signore con l’aspetto della Maddalena come un celebre ritratto di Caterina di Brabante che regge in mano un’ampolla, realizzato nel 1452 da Rogier van der Weyden.
E in Italia il crescente interesse per la pittura fiamminga portò alla realizzazione di Maddalene a mezza figura abbigliate in sontuosi abiti dell’epoca come nella Maddalena di Piero di Cosimo del 1495, presente in mostra e proveniente da Palazzo Barberini. Ma insieme a questo filone se ne sviluppò un altro personificato dalla Maddalena lignea di Donatello che trasuda pathos da tutti i pori.
L’opera di Donatello, che all’epoca fu considerata estremamente trasgressiva, deriva con tutta probabilità dalla sovrapposizione che ci fu nel corso del Quattrocento tra l’iconografia di Santa Maria Egiziaca e quella della Maddalena, come attesta anche la rappresentazione della Maddalena penitente realizzata tra il 1450 ed il 1460 da un anonimo pittore ferrarese. Ma la Maddalena donatelliana esaspera i caratteri della penitenza per rappresentare l’interiorità della Santa. La sua magrezza, la sua esasperata vecchiaia sono il segno dell’esperienza dell’ascesi compiuta nel deserto con tutta l’intensità possibile. Sulla scia di Donatello ecco una Maddalena orante di Francesco da Sangallo del 1519, vecchia, smagrita, provata dai digiuni, con i lunghi capelli o la Santa Maria Maddalena Penitente in terracotta invetriata di Andrea della Robbia del 1495.
Ma la Maddalena diviene anche uno dei personaggi fondamentali delle sacre rappresentazioni della Passione come visibile nei gruppi plastici diffusi nel corso del Quattrocento, soprattutto in Emilia-Romagna.
Si pensi al Compianto sul Cristo morto, gruppo scultoreo in terracotta smaltata del modenese Guido Mazzoni, databile al 1483/85, presente in mostra e proveniente dalla chiesa del Gesù di Ferrara, i cui personaggi sono caratterizzati da un marcato espressionismo, in particolare quello della Maddalena. Nell’iconografia del tempo la Maddalena esterna la sua disperazione con le braccia allargate o con le mani giunte contorte da uno spasimo.
Ma è con Masaccio che si avrà la vera innovazione: la figura della santa è vista di spalle, definita quasi totalmente dal rosso del mantello, la cui cromia esasperata genera la percezione del dramma. Tale è la forza della disperazione evocata dalle braccia spalancate che si parla di Menade ai piedi della Croce. In realtà la postura della santa vista di spalle è di origine trecentesca, si pensi alla Maddalena di Giotto nel Compianto del Cristo Morto degli Scrovegni.
Ma Masaccio la reinterpreta, attingendo dall’inesauribile repertorio antico con una grande libertà semantica.
La resa del dolore della Maddalena-Menade di Masaccio rompe quella che era la compostezza dei precedenti Compianti grazie al fortissimo contatto fra colore e disegno che ne esalta la potenza.
Ma non tutte le Maddalene del XV secolo prendono parte al dramma della Crocifissione attraverso l’esasperazione cromatica e la flessibilità del corpo. Durante tutto il secolo vi saranno innumerevoli varianti iconografiche che conviveranno nello stesso ambito.
Da un lato troviamo una forte componente tardo gotica come nella stupenda Santa Maria Maddalena di Carlo Crivelli dipinto del 1471/72 appartenente al registro centrale del Polittico di Montefiore e realizzato con tecnica a tempera e oro su tavola. Lo sfondo dorato esalta la raffinata bellezza di questa ragazza rappresentata di profilo ma con lo sguardo sorridente ed ammiccante rivolto verso lo spettatore che allude al passato da cortigiana della santa.
La Maddalena Mirofora di Carlo Crivelli si avvicina allo spettatore con una dimensione molto più umana permeata di un sottile erotismo. Col palmo della mano destra alza il vaso di unguenti, mentre con due dita dell’altra mano solleva con delicatezza le vesti, dalle quali sporge un piede seminudo.
I capelli sono lunghi e mossi. La veste di velluto, è molto scollata, con una parte del seno ben visibile al di sotto di un velo trasparente. La scelta è quindi quella di rappresentare la santa nel pieno della sua accattivante gioia di vivere, non in quello dell’espiazione e della preghiera. Dunque nell’opera di Crivelli la mortificazione della seduzione femminile che aveva segnato l’epoca precedente, si relega al ricordo.
La Maddalena di Montefiore nella sua eleganza formale ottenuta con l’uso di una linea fluida, delicata, melodica, che per usare l’espressione di Vittorio Sgarbi rende l’opera “quasi un Klimt”, non è solo un prodigio decorativo, ma una figura indimenticabile. Quella di una donna dotata di un sorriso ambiguo ed ammiccante che ci fa chiedere: ma questa donna si è veramente pentita?
Un’altra variante iconografica della Maddalena la troviamo nell’affresco di Piero della Francesca del 1460 ubicato nella cattedrale di Arezzo. La sua è una Maddalena Mirofora la cui imponenza le conferisce una bellezza statuaria.
La figura della Maddalena, incorniciata da un’arcata a tutto sesto dipinta, dallo stile classicheggiante, si erge a dimensioni naturali, con lo sguardo abbassato verso lo spettatore.
La veste ed il mantello sono trattati con un panneggio estremamente plastico, con il ricorso ai colori complementari rosso/verde, uniti al luminoso bianco della fodera. I capelli della santa sono lunghi come da tradizione iconografica, cadenti sulle spalle con ciocche, raffinatamente dipinte singolarmente. La luce, chiara e nitida, che conferisce ai colori un tono delicato e armonico, deriva dalla lezione di Domenico Veneziano. Maddalena tiene in mano l’attributo dell’ampolla degli unguenti, con il quale avrebbe cosparso il corpo di Cristo. Anche nella Maddalena pierfrancescana non vi è nessuna indulgenza alla sensualità ed alla penitenza.
A partire dall’ultimo quarto del Quattrocento sulla scena artistica di Firenze e della sua sfera d’azione, emergono 2 linee di tendenza che si contendono l’approvazione dei committenti e la pietà dei fedeli.
L’una faceva capo alla soave e quasi impassibile compostezza espressa da Pietro Vannucci detto il Perugino.
L’altra toccava l’apice nelle scene di appassionato ardore emotivo dipinte da Sandro Botticelli nella fase della sua tarda maturità. Due Maddalene pressoché contemporanee ben si prestano ad esemplificare questa antinomia di sentimento e di forma. Abbiamo, da un lato il San Girolamo e Santa Maria Maddalena del Perugino (1502-1523, Galleria Nazionale dell’Umbria) e dall’altro il Compianto di Botticelli del 1495 circa. La Maddalena del Perugino, Mirofora, riccamente vestita con abiti dai pregevoli ricami, nella mano sinistra tiene un libro e nella destra l’ampolla contenente il nardo. La gentilezza dei tratti del viso, la serenità dell’espressione idealizzano la figura della Maddalena ponendo l’accento sull’aspetto formale più che sulla sua interiorità.
In Botticelli, invece è il sentimento a prevalere grazie all’abbandono del realismo delle figure a favore di una pregnante ed incisiva espressività. La sua Maddalena, avvolta in un panno rosso, che abbraccia con grande tenerezza i piedi piagati di Cristo, emana un dolore intenso, profondo, espresso dagli occhi chiusi e dalla stretta delle mani. Tra questi 2 filoni si inseriscono le diverse Maddalene realizzate dal cortonese Luca Signorelli operante fra Toscana ed Umbria, che mixano sapientemente l’aspetto formale con quello emotivo senza che nessuno dei due prevalga sull’altro. Signorelli ci restituisce una Maddalena protagonista della scena come nella Crocifissione di inizio Cinquecento, dove in primo piano abbiamo Cristo crocifisso e la Maddalena inginocchiata con le braccia spalancate.
Tutti gli altri sono in secondo piano. Solo nella fase della sua maturità artistica, nella Deposizione di Umbertide del 1515, Luca Signorelli darà la preminenza al sentimento, ai moti dell’animo di leonardesca memoria. Troviamo una Maddalena dai lunghi capelli biondi e dal viso stravolto dal dolore che tende il braccio per raccogliere il sangue che cola dai piedi di Cristo, quasi a voler tenere per sé un qualcosa del suo Signore.
Va detto che il Cinquecento italiano è caratterizzato da un variegato scenario culturale dovuto alla diversità di tradizioni e di identità dei vari stati territoriali governati da corti rinascimentali diverse. Di conseguenza anche l’iconografia maddaleniana risente di questa diversità.
Si passa dal personale, intimo compianto della Maddalena a mezza figura del bresciano Romanino, attaccata alla croce nell’atto di adorare il Cristo agonizzante con la bocca aperta in un grido di disperazione, ad una Maddalena che è compartecipe di un cordoglio corale nelle Deposizioni e nei Compianti.
E allora come non citare la Deposizione, detta Pala Baglioni di Raffaello Sanzio?
Per la sua Deposizione Raffaello si ispirò ad opere classiche nelle quali è rappresentato il Trasporto di Melagro presente in alcuni sarcofagi romani. Sulla destra troviamo le pie donne con la Maddalena che accompagnano il trasporto del corpo di Cristo, una Maria Maddalena affranta e con i capelli scompigliati, che prende la mano dell’amato Messia.
L’intensità drammatica dell’espressione della Maddalena rivela il definitivo superamento da parte di Raffaello dell’insegnamento del Perugino per giungere ad una sintesi tra il perfetto equilibrio di matrice classica e le manifestazioni dei moti dell’anima come Leonardo definì i sentimenti e gli stati d’animo. Ma saranno pochi i pittori che seguiranno la linea disegnata da Raffaello.
E nel corso del Cinquecento continuerà questo dualismo iconografico che, da un lato predilige un dolore composto, pacato, come nell’area toscana, dall’altro esalta la risposta emotiva al dramma che si è consumato, come nell’area padana, dove gli artisti manterranno inalterata l’iconografia della Maddalena che risponde con eccitazione alla morte di Cristo: le braccia alzate, gli occhi rivolti al cielo, la bocca dischiusa in un lamento o in un urlo.
I pittori fiorentini nei loro Compianti declineranno con una notevole varietà espressiva l’aspetto emotivo della figura della Maddalena. Si passa dall’incredula constatazione della morte di Cristo da parte della giovane, bellissima Maddalena inginocchiata a terra con le mani strette nel Compianto di Andrea del Sarto, al partecipe cordoglio nel Bronzino, alla delicatezza della Deposizione di Jesi di Lorenzo Lotto.
Ma abbiamo anche l’iconografia della Maddalena Penitente cui appartiene il dipinto di Tiziano del 1566-67 dal titolo Santa Maria Maddalena penitente in cui la Santa è vista come una donna, sì penitente nella semplicità delle vesti e del volto espressivo rispetto alla sontuosità della pittura quattrocentesca che la raffigurava come una nobildonna dalla grazia cortese, ma al contempo come una figura carica di femminilità. La Maddalena di Tiziano si pone in un apparente equilibrio tra sensualità e ascesi, terra e cielo.
Altro tema iconografico di notevole importanza per il ruolo della Maddalena è quello del Noli me Tangere.
Nella Resurrezione di Cristo, tra tutte le figure evangeliche la Maddalena ebbe un ruolo predominante. Fu lei a scoprire la tomba vuota e ad annunciare agli apostoli l’accaduto.
Gesù apparve a lei come attestato dell’evangelista Giovanni, che così descrive l’episodio nel suo vangelo: “Gesù le disse: ‘Maria!’. Lei allora, voltatasi verso di lui, gli disse in ebraico: ‘Rabbù, Maestro’. Gesù le disse: ‘Non mi toccare (noli me tangere), perché non sono ancora salito al Padre; ma va’ dai miei fratelli e di’ loro: io salgo al Padre mio e Padre vostro, Dio mio e Dio vostro’” (Giovanni, 20, 16-17). Maddalena fu dunque non solo testimone oculare della resurrezione di Cristo, ma anche messaggera, scelta dal maestro Gesù per annunciare agli altri il miracolo avvenuto!
L’episodio conosciuto come Noli me tangere dettagliatamente esposto dall’evangelista Giovanni lo si trova già in alcune icone bizantine e in artisti del calibro di Duccio di Boninsegna e Giotto. Cristo risorto, posto sulla destra, riconosciuto dalla Maddalena che si protende per sfiorarlo, mentre continua il suo percorso, si ferma un istante, per dirle con gentilezza di non toccarlo “Noli me tangere”.
Ed è proprio il linguaggio dei corpi, a prescindere se l’ambientazione dell’evento fosse all’aperto o al chiuso, l’elemento di cui si sono serviti gli artisti per conferire una fortissima intensità al dialogo fra Cristo e la Maddalena.
Il giovane Tiziano nel suo Noli me tangere del 1511, pur ribaltando lo schema iconografico classico che pone il Cristo a destra, mentre lui lo pone a sinistra, riesce a rendere molto bene l’incredulità della Maddalena circa l’evento della Resurrezione.
La scena è ambientata in un paesaggio bucolico, la cui dolcezza contribuisce notevolmente ad esaltarne l’intimità.
In primo piano sulla sinistra c’è Cristo, raffigurato con le fattezze di un giardiniere e a destra la Maddalena, inginocchiata dopo aver riconosciuto il Salvatore mentre tende una mano verso la sua veste bianca.
Ma Cristo risorto la scosta con dolcezza, affidandole il compito di annunciare la sua Resurrezione, il più grande messaggio di speranza e di vita ai discepoli.
E ancora il Noli me tangere del 1525 di Benvenuto Tisi da Garofalo, della scuola ferrarese, sempre col Cristo posizionato a sinistra, la cui dolcezza, cromatica e lineare dell’ambiente circostante, esalta la dolcezza del dialogo gestuale fra i 2 personaggi. Il veto posto da Cristo risorto con un’espressione dolcissima e la tenerezza dello sguardo della Maddalena con la mano alzata, che più che voler toccare il Maestro sembra volergli dire: ho capito, si compenetrano con il contesto.
E ancora il Noli me tangere del Veronese del 1580 che ci mostra in primo piano un Cristo, avvolto nel suo mantello di un rosa argenteo da cui affiora un busto tornito, che più che allontanare, sembra benedire la Maddalena inginocchiata dinanzi a Lui. Ed anche qui vi è un dialogo muto fatto di sguardi e di gesti permeati di dolcezza che viene esaltato dall’ambiente circostante. E questa inclinazione ad un naturalismo che evidenzia il sentire dei due protagonisti continuerà per tutto il Cinquecento per poi affermarsi nel secolo seguente.

Precedenti iconografici della figura della Maddalena nel 1600
L’importanza del ruolo della Maddalena negli episodi evangelici realizzati in pittura ed in scultura dagli artisti dei secoli precedenti, prosegue nel corso del Seicento, arricchendosi di nuove varianti che rispecchiano il mutamento di clima avvenuto. Alla fine del Cinquecento sarà Michelangelo Merisi detto Caravaggio con il suo crudo realismo a dare alla figura della Maddalena una grande intensità espressiva nell’opera Maddalena penitente del 1596/7 che vede la protagonista seduta su una sedia al centro della scena in un ambiente spoglio con le mani sul proprio grembo e lo sguardo verso il basso (e come suggerisce il titolo), mentre sta facendo penitenza. A terra sulla sinistra vediamo una boccetta di vetro con gli unguenti segno di riconoscimento del personaggio e alcuni gioielli a simboleggiare il rifiuto del peccato, dell’avidità e della vanità da parte di Maria Maddalena. Caravaggio porta così lo spettatore in modo diretto a capire cosa stia avvenendo: la conversione.
Il capo della Maddalena reclinato sulla spalla e la lacrima che scende giù da un occhio ci indicano il sentimento di dolore per i peccati commessi ed il pentimento che precedono la conversione.
Quella che ci consegna Caravaggio è l’esperienza interiore della conversione della Maddalena che sembra stia accadendo sotto il nostro sguardo.
E la stessa intensità interiore la ritroviamo nella Maddalena che piange la morte della Vergine nel dipinto La Dormitio Virginis del 1605. Qui la Maddalena piegata su se stessa sta vivendo un momento di grande dolore per la perdita della madre di Cristo, un dolore nel quale possiamo immedesimarci.
Ed ecco il grande Caravaggio sottolineare nelle sue opere il ruolo della Maddalena con l’originalità che lo contraddistingue.
Nel corso del Seicento l’iconografia della Maddalena si declina su 2 versanti: uno che ci racconta della sua avventura spirituale e l’altro che esalta la sua bellezza, spesso con immagini dalla valenza erotica. E a questi 2 filoni si aggiungono altre innovazioni artistiche quale risultato degli sforzi degli artisti di trovare soluzioni che suscitino nuove emozioni nello spettatore. Un esempio è l’opera realizzata nel 1663 da Giovan Battista Langetti dal titolo Cristo in croce con la Maddalena in cui l’autore con grande originalità dà al dipinto un taglio obliquo, cosa mai avvenuta in precedenza per l’iconografia della Crocifissione in cui il crocifisso era sempre visto frontalmente. La scena immersa nella tempesta esalta la disperazione della Maddalena che, come le antiche menadi, alza gli occhi pieni di lacrime verso l’alto per guardare il volto rigonfio di Cristo.
Ma tornando ai 2 filoni dell’esperienza spirituale della Maddalena e della sua bellezza femminile, si cita per il primo La Maddalena penitente di Domenico Fetti del 1617 circa. In questo dipinto di straordinario impatto emotivo, l’artista, modulando gli effetti luministici e cromatici, ci mostra la santa mentre medita su un teschio che tiene nella mano sinistra, simbolo della natura effimera della vita terrena.
E che dire della Maddalena penitente di George de la Tour del 1640 (non presente in mostra) se non che è di una bellezza straordinaria?
Le opere di Georges de La Tour costituiscono un’originale sintesi della lezione di Caravaggio sull’uso della luce in pittura, non dimenticando però anche la tradizione della pittura fiamminga circa l’uso del colore e gli effetti a “lume di candela”.
La scena della Maddalena Penitente è ambientata all’interno di una stanza buia con pochi elementi di arredo.
La Maddalena, dai lunghi capelli, è rappresentata seduta, davanti a un tavolo assorta nei suoi pensieri.
La sua mano destra è poggiata su un teschio, i suoi piedi sono scalzi e la camicia bianca lascia scoperte le spalle.
La luce proveniente da una lampada, ci fa vedere sul tavolo dei libri, una croce e una corda usata per flagellarsi, elementi atti a ricordarci la Passione di Cristo e la fragilità dell’esistenza umana. La luce emanata dalla lampada crea un’atmosfera misteriosa, silenziosa e senza tempo che, seppur illuminando solo il lato destro del suo volto, ci fa percepire la profondità della meditazione della santa.
La lampada della Maddalena Penitente, però, non serve solo a creare un’atmosfera emozionante ma è un elemento che allude alla fragilità della vita umana.
Significato ripreso anche nella mano che accarezza il teschio e che è una riflessione sul tema della morte.
La fiamma e il teschio simboleggiano il tempo che passa inesorabile e che lascia solo la possibilità di pensare a ciò che è stato ma non di tornare indietro per rimediare agli errori. Invece nel 2 filone che esalta la bellezza femminile della Maddalena troviamo il dipinto del 1640 di Artemisia Gentileschi dal titolo Santa Maria Maddalena.
La figura della Maddalena proposta dalla Gentileschi è colta nel suo aspetto più sensuale e terreno: nonostante l’estasi religiosa, la donna appare in tutta la sua carnalità e quelli che dovrebbero essere i simboli del suo pentimento (il teschio, la candela e l’unguento) vengono volutamente posti in secondo piano. Questa interpretazione si riallaccia al filone iconografico che guarda alla Maddalena, non più come la Santa penitente e sofferente, bensì come la donna dalla bellezza voluttuosa e dalla forte spiritualità.
E ancora la sensuale Maddalena penitente del romagnolo Guido Cagnacci, realizzata fra il 1625 ed il 1627, che ci restituisce un’immagine della santa carica, da un lato di grande pathos, e dall’altro di grande sensualità, data la particolare insistenza sul seno della ragazza che viene offerto senza filtri all’osservatore. La Maddalena ha tutti i suoi attributi tipici: dal vaso d’unguento in fondo sulla destra, agli strumenti di penitenza come il teschio che ricorda la caducità della vita, il crocifisso che invece ricorda la sofferenza di Cristo, il flagello per mortificare il corpo e le vesti grezze che ricoprono le gambe della santa, simbolo di umiltà. Ma tutti questi elementi vengono offuscati dai seni della donna che paiono offrirsi allo spettatore. La Maddalena Penitente di Cagnacci resta una delle opere più belle e sorprendenti di tutta l’arte del Seicento.

Precedenti iconografici della figura della Maddalena dal neoclassicismo al simbolismo
Ma la grande svolta nella rappresentazione visiva della figura della Maddalena a livello iconografico e formale avviene a metà Settecento. L’opera cui si fa riferimento nel secolo dei Lumi è la Maddalena leggente di Antonio Allegri detto Correggio, un piccolo olio su rame, perso nel 1945 e poi ritrovato e battuto all’asta a New York nel gennaio di quest’anno. Il Correggio rappresenta la Maddalena sdraiata nella grotta, mentre, con il capo poggiato sul palmo della mano destra, legge la Bibbia retta dalla mano sinistra.
Quando fu dipinta, la Maddalena leggente rappresentava un’iconografia piuttosto inusuale in Italia. Era invece un soggetto più noto nelle Fiandre e in quelle regioni francesi, come la Provenza, che erano legate alla devozione di santa Maria Maddalena. E nel 1779 circa Pompeo Batoni dipinse una Santa Maria Maddalena sdraiata mentre legge la Bibbia, cosa che fece di lui l’erede del Correggio, collocando in primo piano l’oggetto che simboleggia la penitenza e l’ascetismo ossia il teschio. Invece l’altro elemento caratterizzante la Maddalena vista come Mirofora cioè il vaso con l’unguento è messo in secondo piano. Unico accenno alla sensualità è il piccolo seno che esce in parte dall’abito bianco.
Straordinaria poi la Maddalena penitente in marmo realizzata nel 1812 da Antonio Canova.
In quest’opera l’artista effettua una reinterpretazione lontana da ogni connotazione squisitamente religiosa. La santa nella sua sensuale nudità sembra più un’eroina che anticipa il romanticismo che una penitente. Canova, come nelle sue corde, dà prova di grande virtuosismo plasmando il marmo fino a farlo vibrare come se in quel marmo rivivesse l’anima incarnata della Maddalena. Ancora una volta questo grande artista supera la barriera tra pittura e scultura infondendo al marmo il corpo e l’anima di una creatura viva, il corpo e l’anima della Maddalena.
La reinterpretazione più originale della Maddalena del Canova si deve a Francesco Hayez con la sua straordinaria Santa Maria Maddalena penitente nel deserto del 1825, ritenuta icona esemplare della poetica romantica, in cui vediamo in primo piano, seduta accanto ad un albero, una conturbante figura femminile dalla pelle chiarissima, levigata dagli effetti luministici, che si stacca con forza dal contesto ambientale notturno. La donna dai lunghi morbidi capelli che paiono accarezzarle il corpo tiene in mano una croce ed ha il viso rivolto verso l’alto con uno sguardo estatico. Dopo la croce, l’unico altro elemento che ci rimanda alla Maddalena è il vaso con gli unguenti posto accanto al piede della donna. Con Hayez, in piena epoca romantica, la figura della Maddalena penitente assume una forte carica sensuale, che ben si sposa con la vita libertina condotta dal pittore, tanto da trasformare un’icona della pittura sacra e religiosa in una versione moderna della medesima, velata da un vago senso di malinconia.
Ma è in Francia negli anni della Restaurazione e della Monarchia di luglio che la figura della Maddalena assume un’assoluta centralità nella pittura sacra.
Un esempio è il Cristo in croce di Eugène Delacroix del 1835 in cui la figura della Maddalena ci appare quella di una popolana sofferente, con i lunghi capelli scomposti, ai piedi della croce intenta a guardare il Cristo. Molto interessante la versione simbolista di fine Ottocento data da Böcklin nel suo dipinto: La penitente Maria Maddalena del 1873 in cui la santa è ritratta in primo piano con la mano sinistra che sorregge la testa e con la mano destra che regge un teschio. Il compianto di questa Maddalena è autentico.
Böcklin riesce a trasformare il dolore per la perdita di Cristo in un dolore del tutto esistenziale e soggettivo.
Il volto provato e piangente in primo piano della Maddalena riporta a un dramma personale, a una spiritualità tormentata, riflesso della sua epoca che si riallaccia al mistero dell’umano. Di tutt’altro tipo la Maddalena nella grotta di Joseph Jule Lefebure del1876 giunta a Forlì dall’Hermitage di San Pietroburgo. Jules Lefebvre fu un finissimo ritrattista noto per i suoi nudi. Il dipinto ritrae Santa Maria Maddalena all’entrata di una grotta.
La santa è raffigurata completamente nuda, con un corpo sinuoso, i capelli rossi fuoco, mentre si copre il viso con un braccio. La tela riporta un episodio tratto dai testi apocrifi secondo cui la Maddalena, dopo la morte e resurrezione di Cristo si recò in Gallia per divulgare il messaggio di Gesù e qui visse i suoi ultimi anni in totale ascetismo a piangere i suoi peccati. Ma Lefebure non ci restituisce certo l’immagine di un’asceta bensì di una donna conturbante che sprizza erotismo da ogni dove.

Iconografie novecentesche della Maddalena: la protesta ed il dolore
In epoca moderna la religiosità dell’arte si trasforma, passando dal livello trascendentale ad un livello più squisitamente umano che investe anche la sfera individuale e sociale del soggetto. Già dalla fine del XIX secolo i sentimenti propri della Maddalena assumono un carattere personale, umano come ci dimostra l’opera Le Tre Marie ai piedi della Croce del divisionista ferrarese Gaetano Previati del 1888/91.
L’artista in questa tela ritrae in primo piano i piedi di Cristo con 2 grossi chiodi che li tengono fermi sulla croce ed i volti delle tre donne che stanno per baciare i piedi. In qualche modo è come se la Crocifissione passasse in 2 piano, veri protagonisti del quadro sono i volti delle 3 donne i cui tratti somatici, con l’aiuto di una cromia essenziale, esprimono una grande sofferenza.
Il critico Roberto Consolandi afferma che: “Le Tre Marie: la Maddalena, la Madonna e Maria di Cleofa che guardano con dolore ai piedi fissati con i chiodi. L’espressionismo è ormai vicino”. Con un salto temporale arriviamo al 1924 con l’opera Crocifissione di Primo Conti che è l’unico scomparto superstite del Trittico del Golgotha donato nel 1926 dall’artista al convento di Santa Maria Novella a Firenze. Durante l’occupazione tedesca del convento sparirono le due scene laterali con il Calvario della Madonna e l’Imbalsamazione del Cristo. Nella Crocifissione di Conti troviamo la Maddalena seduta ai piedi della croce, avvolta nella sua informale tunica rossa, i lunghi capelli castani ed uno sguardo perso di chi non riesce a interiorizzare l’accaduto.
L’opera segna indubbiamente il punto più alto della ricerca di Primo Conti, lungo tutto il corso degli anni Venti, all’interno di una matrice pittorica di dichiarato recupero seicentista come attestato dal nitore del disegno. A differenza di quegli artisti che nel corso del Novecento hanno avuto difficoltà a dar voce alla fede cristiana, per il francese George Rouault la dimensione di fede è, al contrario, la fonte ispiratrice di tutta la sua attività artistica. Con il suo Cristo in croce del 1936, graficamente di matrice fauvista, il volto di Cristo e il pianto delle donne ai piedi della croce sono sì il simbolo della presenza del dolore nel mondo, ma di un dolore illuminato dalla fede nella resurrezione.
Arriviamo al 1941 con la Crocifissione di Renato Guttuso in cui si riscontrano la nudità e l’atteggiamento scomposto delle Baccanti, cosa che costò all’artista una messa al bando da parte della Chiesa, con la sospensione a divinis per i chierici che avessero guardato l’opera. Dell’opera fu considerata blasfema la nudità di 2 delle pie donne, in particolare quella che abbraccia il crocifisso di Cristo, identificata con la Maddalena. Nella realtà Guttuso attraverso la nudità di quei due corpi femminili intendeva rendere l’idea di drammaticità dell’accaduto in un ambito “atemporale”. La morte di Cristo denuda in senso lato l’’umanità. Stilisticamente nell’opera troviamo richiami a Picasso, De Chirico e Morandi per arrivare al colorismo acceso tipico dell’espressionismo tedesco, visibile nel cavallo blu alla sinistra del quadro. Quest’opera è l’esatto opposto dell’armonia e dell’ordine poiché lascia spazio all’inquietudine ed all’incertezza. Cito le parole dello stesso Guttuso: “in quel quadro […] c’era una disperazione, un grido, qualche cosa che cercavo di spiegare a me stesso”.
Era il 1941, il paese era in guerra.
Chiudo questa lunga, mi auguro non tediosa, carrellata di opere sulla Maddalena con La Deposizione dalla croce di Marc Chagall del 1968-1976.
La Bibbia resta da sempre una fonte di ispirazione assoluta e privilegiata nella pittura di Chagall ma, come nel suo stile, la sua rivisitazione del tema assume un carattere onirico, fuori dal tempo storico la cui ambientazione appare irreale, quasi sospesa, fondendo gli eventi della crocifissione e del compianto in una colloquialità grafica e cromatica di una creatività unica nel suo genere.
Il corpo deposto del Cristo è allungato al suolo in primo piano secondo una personalissima quanto immaginaria interpretazione. Su un surreale e splendente fondale domina il giallo-oro come simbolo di sapienza al centro della rappresentazione, da cui emerge la figura della Vergine avvolta nel suo manto di un rosso acceso che tiene in mano il Bambino.
Ed ecco sulla sinistra la Maddalena in verde che con le mani sfiora il costato di Gesù quasi volesse rianimarlo.
E sullo sfondo una miriade di personaggi biblici di un grigio sfocato che si perdono all’orizzonte.
Ancora una volta Chagall si è servito della forza espressiva del colore per esprimere il dolore dell’uomo, la ricerca della salvezza ed il compianto legato alla perdita. Nella deposizione di Chagall la simbologia femminile ha un ruolo fondamentale, come nelle sue corde, reso attraverso l’intenso cromatismo del rosso fuoco del mantello della Vergine, del verde intenso dell’abito della Maddalena che spicca ancora di più perché accostato al giallo della veste di una pia donna. Ancora una volta Marc Chagall con questa splendida Deposizione ci rapisce in un sogno in cui il dolore è mitigato dalla speranza della salvezza.
Si chiude così il percorso di questa avvincente mostra da cui esco ritemprata per aver allargato i miei orizzonti.
Ma, a conferma che l’Arte sia il balsamo dell’anima, la visione della mostra ha lenito il dolore provato per una brutta notizia appresa quella mattina in treno.
Perché l’Arte è crescita, è sollievo, è appagamento e molto molto altro ancora.
Perciò Arte, Arte e ancora Arte

L’arte non si può separare dalla vita. È l’espressione della più grande necessità della quale la vita è capace” (Robert Henri)