Domenica 31 luglio 2022, Sant’Ignazio di Loyola
CRISI RUSSOAMERICANA. LA VOCE DI UN DIPLOMATICO CHE HA BUONA MEMORIA E CONOSCE LA STORIA
Dinanzi a tante chiacchiere e a tante “interpretazioni” che sono in realtà il risultato della disinformazione, della menzogna e nella malriposta sfiducia nella smemoratezza altrui, ecco la testimonianza di un diplomatico che conosce il suo mestiere e sa quello che dice. Non ne condividiamo tutti i giudizi (ad esempio quello, ispirato alla “retorica di stato” russa, riguardante il “neonazismo ucraino”, molto meno presente e condizionante di quanti vorrebbero sopravvalutare il pur caratteristico “caso Azov”): anche se non possiamo negare che ci scappi da ridere ogni volta che qualche politico italiano adamantinamente antifascista, di quelli pronti a gridare allo scandalo ogni volta che si apre un buco nel quale s’insediano tre ragazzacci di casa Pound, dichiara poi che in fondo quelli della “divisione Azov” sono brave persone e che comunque il fenomeno è irrilevante. Vero è che il mondo è pieno di gente pronta a gridare Al Lupo Al Lupo e secondo cui tutte le lucertole neonaziste occidentali sono dragoni dell’Apocalisse, mentre poi dinanzi al ben armato draghetto dell’Azov dichiarano che si tratta di un geco.
A quella gente dedichiamo l’ampia, ariosa, articolata panoramica proposta da Lavrov. Che ci facciano arrivare le loro controdeduzioni; che ne enumerino gli errori; che ne denunzino i falsi. Se ne sono capaci.
SERGEJ LAVROV
LA MESSINSCENA COME METODO DELLA POLITICA OCCIDENTALE
Articolo di S.V. Lavrov, Ministro degli Affari Esteri della Federazione Russa, per il Centro internazionale d’Informazione “Izvestia”.
Oggi, le Forze armate russe e le milizie della DNR (Repubblica Popolare del Donbass) e della LNR (Repubblica Popolare di Lugansk) stanno risolutamente svolgendo i propri compiti nel quadro dell’operazione militare speciale (OMS), cercando di porre fine alla palese discriminazione e al genocidio dei russi e di eliminare le minacce dirette alla sicurezza della Federazione Russa create, nel corso degli anni, dagli Stati Uniti e dai loro satelliti sul territorio ucraino. Poiché stanno perdendo sul campo di battaglia, il regime ucraino e i suoi patroni occidentali non esitano a inscenare “bagni di sangue” per demonizzare il nostro Paese presso l’opinione pubblica internazionale. Ci sono già stati Bucha, Mariupol, Kramatorsk e Kremenchuk. Il Ministero della Difesa russo, fatti alla mano, avverte ogni volta che si sta preparando la messa in scena di nuovi incidenti.
Le scene provocatorie messe in atto dall’Occidente e dai suoi tirapiedi hanno una firma riconoscibile. Scene, peraltro, che non sono iniziate in Ucraina, ma molto prima.
1999, provincia serba del Kosovo e Metochia, villaggio di Racak. Una squadra di ispettori dell’OSCE arriva sul luogo del ritrovamento di diverse decine di cadaveri in abiti civili. Il capo della missione dichiara immediatamente, senza alcuna indagine, che si tratta di un atto di genocidio, benché non rientri nei poteri di un funzionario internazionale trarre tali conclusioni. La NATO lancia immediatamente un’aggressione armata contro la Jugoslavia, distruggendo deliberatamente un centro televisivo, ponti, treni passeggeri e altre strutture civili. In seguito, si scopre che i cadaveri non erano di civili, ma di membri di una banda dell’Esercito di liberazione del Kosovo travestiti con abiti civili. Tuttavia, la messa in scena aveva già funzionato come pretesto per il primo uso illegale della forza contro uno Stato membro dell’OSCE dalla firma dell’Atto finale di Helsinki nel 1975. È significativo che il capo della missione OSCE, la cui dichiarazione è servita da “innesco” per gli attentati, fosse P. Walker, un cittadino statunitense. Il risultato principale dell’aggressione è stata la separazione forzata del Kosovo dalla Serbia e l’insediamento della più grande base militare americana nei Balcani, Bondsteel.
2003, la famigerata esibizione del Segretario Powell al Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite con una provetta di polvere bianca presentata al mondo come spore di antrace presumibilmente prodotte in Iraq. L’imbroglio ha funzionato ancora una volta: gli anglosassoni e compagnia hanno bombardato l’Iraq, che ancora oggi non è riuscito a ripristinare pienamente la propria statualità. La bufala è stata rapidamente smascherata: tutti hanno ammesso che in Iraq non c’erano armi biologiche o altre armi di distruzione di massa. In seguito, uno dei promotori dell’aggressione, il primo ministro britannico Tony Blair, ha riconosciuto la falsificazione, dicendo qualcosa del tipo: beh, è stato un errore, capita a tutti di sbagliare. Lo stesso Powell si giustificò in seguito dicendo di essere stato “incastrato dai servizi segreti”. In un modo o nell’altro, l’ennesima provocazione messa in scena è servita come pretesto per attuare piani di distruzione di un Paese sovrano.
2011. Libia. Qui la trama del dramma è stata particolare. Non ci sono state vere e proprie bugie, come in Kosovo e in Iraq, ma la NATO ha interpretato in maniera palesemente fuorviata la risoluzione del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite. La risoluzione aveva imposto una zona di interdizione al volo sulla Libia per bloccare gli aerei da combattimento di Gheddafi che sono rimasti a terra. Tuttavia, le forze della NATO hanno semplicemente iniziato a bombardare le unità dell’esercito libico che combattevano i terroristi. Gheddafi è stato assassinato brutalmente, della Libia non è rimasto nulla – si sta ancora cercando di rimetterne insieme i pezzi e a guidare questo processo è stato scelto di nuovo un rappresentante degli Stati Uniti, nominato personalmente dal Segretario Generale delle Nazioni Unite senza alcuna consultazione con il Consiglio di Sicurezza. Nell’ambito di questo processo, i colleghi occidentali hanno più volte messo in scena accordi elettorali inter-libici, che si sono conclusi con un nulla di fatto. La Libia rimane un territorio ostaggio di gruppi armati illegali. La maggior parte di loro opera a stretto contatto con l’Occidente.
2014, febbraio, Ucraina. L’Occidente, rappresentato dai ministri di Germania, Francia e Polonia, ha di fatto costretto il Presidente Yanukovych a firmare un accordo con l’opposizione per porre fine allo scontro e risolvere pacificamente la crisi interna ucraina, istituendo un governo provvisorio di unità nazionale e tenendo elezioni anticipate entro pochi mesi. Tuttavia, anche in questo caso si è trattato di una messinscena: al mattino l’opposizione ha inscenato un colpo di stato, con slogan russofobi e razzisti, e i garanti occidentali dell’accordo non hanno nemmeno cercato di farli ragionare. Per giunta, hanno immediatamente iniziato a incoraggiare i golpisti nella loro politica antirussa, scatenando una guerra contro la loro stessa popolazione e bombardando le città del Donbass solo perché si rifiutavano di riconoscere il colpo di Stato anticostituzionale. Per questo, gli abitanti del Donbass sono stati dichiarati “terroristi”, sempre con l’incoraggiamento dell’Occidente.
Va notato che anche l’omicidio dei manifestanti di Maidan, che l’Occidente ha attribuito alle forze di sicurezza fedeli a Viktor Yanukovych e ai servizi speciali russi, era una messinscena, come è presto emerso. In realtà, la provocazione è stata inscenata dai radicali dell’opposizione che collaboravano strettamente con i servizi di sicurezza occidentali. I fatti sono stati presto svelati, ma ormai lo spettacolo era andato in scena.
Quando la guerra nel Donbass è stata fermata e grazie agli sforzi di Russia, Germania e Francia nel febbraio 2015 sono stati firmati gli accordi di Minsk tra Kiev, Donetsk e Lugansk, Berlino e Parigi hanno assunto un ruolo attivo, proclamandosene orgogliosamente garanti. E nonostante questo, per i successivi sette anni, non hanno mosso un dito per costringere Kiev – come esplicitamente richiesto dagli accordi di Minsk, approvati all’unanimità dal Consiglio di Sicurezza dell’ONU – ad avviare un dialogo diretto con i rappresentanti del Donbass al fine di concordare status speciale, amnistia, ripristino dei legami economici e svolgimento delle elezioni. I leader occidentali sono rimasti in silenzio anche quando Kiev – sia con Poroshenko, sia con Zelensky – ha preso provvedimenti in esplicito contrasto con gli accordi di Minsk. Inoltre, i tedeschi e i francesi hanno dichiarato che il dialogo diretto tra Kiev e DNR e LNR era impossibile, addossando la responsabilità alla Russia, nonostante questa non sia neanche menzionata nei documenti di Minsk e in tutti questi anni sia stata sostanzialmente l’unica a insistere sulla loro attuazione.
Se qualcuno aveva dei dubbi sul fatto che Minsk fosse un’altra messa in scena, questi sono stati fugati da Poroshenko, che il 17 giugno 2022 ha dichiarato: “Gli accordi di Minsk non significavano nulla per noi, non avevamo alcuna intenzione di attuarli… il nostro compito era quello di allontanare la minaccia… di guadagnare del tempo per ripristinare la crescita economica e costruire la potenza delle Forze Armate Ucraine. L’obiettivo è stato raggiunto. Gli accordi di Minsk hanno esaurito il loro compito”. Il prezzo di questa messa in scena lo sta ancora pagando il popolo ucraino, che per anni è stato costretto dall’Occidente a rassegnarsi a vivere sotto l’oppressione di un regime neonazista e russofobo. E quando O. Scholz ora chiede di costringere la Russia ad accettare un accordo sulle garanzie di integrità territoriale e sovranità dell’Ucraina, sta facendo uno sforzo vano. Un accordo di questo tipo c’era: gli accordi di Minsk, uccisi solo da Berlino e Parigi facendo da scudo a Kiev, che si è apertamente rifiutata di applicarli. Così la messa in scena è finita, “finita la commedia” (n.d.t.: in italiano nel testo).
Tra l’altro, Zelensky è un degno successore di Poroshenko, davanti al quale era pronto a inginocchiarsi teatralmente in un comizio elettorale all’inizio del 2019 per porre fine alla guerra.
Nel dicembre dello stesso anno, egli stesso ha avuto la possibilità di attuare gli accordi di Minsk: a Parigi si è tenuto il “vertice di Normandia”, dove, in una dichiarazione adottata al massimo livello, si è impegnato a risolvere le questioni relative allo status speciale del Donbass. Naturalmente non ha fatto nulla e Berlino e Parigi lo hanno coperto ancora una volta. Un altro documento tanto pubblicizzato si è rivelato essere nient’altro che una messa in scena ucraino-occidentale – esattamente in linea con la logica di Poroshenko – per guadagnare tempo e rifornire di armi il regime di Kiev.
E poi la Siria. Dopo l’attuazione dell’accordo del 2013 per la distruzione delle armi chimiche siriane, ratificato dall’Organizzazione per la proibizione delle armi chimiche (OPCW), che grazie a questo accordo ha vinto il Premio Nobel per la pace, nel 2017 e nel 2018 si sono verificate provocazioni plateali con la messa in scena dell’uso di armi chimiche a Khan Sheikhoun e nel sobborgo di Damasco di Douma. Sono stati diffusi video in cui compaiono persone, chiamate “Caschi Bianchi” (che si sono proclamate un’organizzazione umanitaria, ma non si sono mai presentate nel territorio controllato dal governo siriano) che aiutano i presunti residenti avvelenati, senza indossare indumenti protettivi o utilizzare accessori di protezione. Tutti i tentativi di convincere il Segretariato tecnico dell’OPCW a svolgere il proprio lavoro in buona fede e a garantire un processo di indagine trasparente sugli incidenti, come richiesto dalla Convenzione sulle armi chimiche (CAC), sono stati infruttuosi. Ciò non sorprende: il Segretariato Tecnico è stato a lungo “privatizzato” dai Paesi occidentali, i cui rappresentanti vi occupano posti chiave. Proprio loro hanno collaborato a orchestrare le suddette bufale, che Stati Uniti, Gran Bretagna e Francia hanno utilizzato come pretesto per lanciare attacchi missilistici e dinamitardi sulla Siria, un giorno prima che una squadra di ispettori dell’OPCW, su nostra insistenza, arrivasse sul posto per indagare sugli incidenti, dopo la strenua resistenza opposta dall’Occidente all’invio degli ispettori.
La capacità dell’Occidente e del subdolo Segretariato tecnico dell’OPCW di organizzare messe in scene è stata evidente anche negli avvelenamenti di Skripal e Navalny. In entrambi i casi, le numerose richieste inviate ufficialmente da parte russa all’Aia, a Londra, a Berlino, a Parigi e a Stoccolma rimangono senza risposta, sebbene siano formulate nel pieno rispetto dei requisiti della CAC e debbano essere esaudite.
Allo stesso modo, occorre rispondere alle domande sulle attività segrete che il Pentagono (attraverso la sua Threat Reduction Agency) ha svolto in Ucraina. “Le scoperte fatte dalle forze dell’Operazione Militare Speciale nei laboratori militari-biologici nei territori liberati del Donbass e nelle aree adiacenti indicano chiaramente violazioni dirette della Convenzione sulle armi biologiche e tossiche (BWC). I documenti sono stati presentati da noi a Washington e al Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite. È stata avviata una procedura di chiarimento della BWC. A dispetto dei fatti, l’amministrazione statunitense sta cercando di giustificarsi sostenendo che tutte le ricerche biologiche svolte in Ucraina erano esclusivamente pacifiche e di natura civile. Ma non ci sono prove.
Su scala più ampia, le attività militari-biologiche del Pentagono in tutto il mondo, soprattutto nello spazio post-sovietico, richiedono la massima attenzione alla luce delle prove sempre più evidenti di esperimenti criminali, spacciati per pacifici, con gli agenti patogeni più pericolosi, al fine di creare armi biologiche.
La messa in scena di “crimini” commessi dalle milizie del Donbass e dai partecipanti all’Operazione militare speciale russa sono già stati menzionati in precedenza. Il costo di queste accuse è illustrato da un semplice fatto: dopo aver mostrato al mondo la “tragedia di Bucha” all’inizio dell’aprile 2022 (si sospetta che gli anglosassoni abbiano avuto un ruolo nella “regia della scena”), l’Occidente e Kiev non rispondono ancora a domande elementari: se siano stati definiti i nomi delle vittime e quali siano i risultati degli esami autoptici. Come nei casi Skripal e Navalny sopra descritti, la “prima” pubblicitaria dello spettacolo messo in scena dai media occidentali è andata in onda e ora “è impossibile riprendere le fila della storia”, smentire non serve a nulla.
Questo è il senso dell’algoritmo della politica occidentale: inventare una falsa informazione, gonfiarla fino a farla diventare una catastrofe universale nel giro di due o tre giorni, bloccando l’accesso della popolazione a informazioni e valutazioni alternative, e quando i fatti si fanno strada, vengono semplicemente ignorati, al massimo citati nelle ultime pagine delle notizie a caratteri piccoli. È importante capire che non si tratta di innocui giochi di guerra mediatici, perché tali rappresentazioni sono direttamente utilizzate come pretesto per azioni piuttosto concrete: punire i Paesi “accusati” con sanzioni, compiere barbare aggressioni contro di loro con molte centinaia di migliaia di vittime civili, come nel caso dell’Iraq e della Libia, tra gli altri. O – come nel caso dell’Ucraina – per usarla come materiale sacrificabile nella guerra dell’Occidente contro la Russia. Inoltre, gli istruttori NATO e i puntatori dei sistemi lanciarazzi multipli sembrano già dirigere le azioni delle Forze Armate Ucraine e delle Forze di Sicurezza Nazionale direttamente “sul campo”. Spero che tra gli europei ci siano politici responsabili e consapevoli delle conseguenze di questa situazione. In questo contesto è interessante che nessuno nella NATO e nella UE abbia stigmatizzato le parole inopinatamente pronunciate dal capo di stato maggiore dell’aeronautica tedesca Gerharz, che ha dichiarato necessario prepararsi all’uso di armi nucleari e ha aggiunto: “Putin non cerchi di competere con noi”. Il silenzio dell’Europa suggerisce che essa ignora con compiacimento il ruolo della Germania nella propria storia.
Se guardiamo agli eventi odierni attraverso la lente della storia, l’intera crisi ucraina si presenta come un “grande gioco” basato sulla sceneggiatura promossa un tempo da Zbigniew Brzezinski. I discorsi sulle buone relazioni e sulla disponibilità dell’Occidente a tenere conto dei diritti e degli interessi dei russi che la dissoluzione dell’URSS ha colto nell’Ucraina indipendente e in altri Paesi post-sovietici, si sono rivelati solo una finzione. Già all’inizio degli anni 2000, Washington e l’Unione Europea hanno iniziato a chiedere apertamente a Kiev di decidere con chi stare: con l’Occidente o con la Russia?
Dal 2014. L’Occidente è inequivocabilmente al comando del regime russofobico che ha portato al potere con un colpo di Stato. Anche la presenza di Zelensky sul palcoscenico di un forum internazionale ancora più importante fa parte di una messa in scena. Fa discorsi patetici e poi, quando improvvisamente propone qualcosa di sensato, viene bacchettato, come è successo dopo il round di Istanbul dei colloqui russo-ucraini: a fine marzo sembrava esserci un po’ di luce nel dialogo, ma Kiev è stata costretta a fare un passo indietro, sfruttando tra l’altro l’episodio apertamente orchestrato di Bucha. Washington, Londra e Bruxelles hanno iniziato a chiedere a Kiev di non iniziare i negoziati con la Russia fino a quando l’Ucraina non avesse raggiunto la piena supremazia militare (particolarmente decisa è stata l’azione dell’ex primo ministro britannico B. Johnson, insieme a molti altri politici occidentali ancora in carica ma che hanno già dimostrato simile livello di inadeguatezza).
La dichiarazione del capo della politica estera della UE, J. Borrell, secondo cui il conflitto dovrebbe terminare con “una vittoria dell’Ucraina sul campo di battaglia”, suggerisce che anche uno strumento come la diplomazia sta perdendo il suo significato nella “rappresentazione scenica” della UE.
Più in generale, è interessante osservare come l’Europa, “costruita” da Washington sul fronte anti-russo, soffra più di altri di sanzioni insensate, svuoti i propri arsenali fornendo armi a Kiev (senza pretendere di sapere chi poi le controlla e dove finiscono), liberando il proprio mercato per i successivi acquisti di prodotti militari-industriali statunitensi e del costoso GNL americano al posto del conveniente gas russo. Queste tendenze, unite alla fusione pratica della UE con la NATO, fanno sì che i discorsi fatti finora sulla “autonomia strategica” della UE non siano altro che una rappresentazione. La politica estera dell’“Occidente collettivo” è un “teatro per un attore solo” che per giunta porta alla ricerca costante di nuovi teatri di guerra.
Parte della strategia geopolitica contro la Russia consiste nel concedere all’Ucraina e alla Moldavia (che sembrano anch’esse destinate a un destino poco invidiabile) lo status di Paese candidato perpetuo alla UE. Nel frattempo, viene pubblicizzata la “comunità politica europea” avviata dal presidente francese Macron, in cui non ci saranno particolari benefici finanziari ed economici, ma si chiederà la piena solidarietà con la UE nelle sue azioni antirusse. Non si tratta più di un principio di “o l’uno o l’altro”, ma di “chi non è con noi è contro di noi”. Lo stesso Macron ha spiegato di che tipo di “comunità” si tratta: la UE inviterà tutti i Paesi europei – “dall’Islanda all’Ucraina” – a farne parte, ma non la Russia. Devo dire subito che noi non ne abbiamo bisogno, ma la dichiarazione stessa è rivelatrice, svela l’essenza di questa nuova impresa conflittuale e divisiva.
L’Ucraina, la Moldavia e altri Paesi, che oggi vengono corteggiati dalla UE, sono destinati a fare da comparse nei giochi dell’Occidente. Gli Stati Uniti, in quanto principali produttori di questi spettacoli, scelgono la musica e la trama, sulla base delle quali viene scritta una sceneggiatura anti-russa in Europa. Gli attori sono pronti; hanno competenze acquisite in “Studio Kvartal 95”; saranno in grado di dare voce a testi pieni di pathos non peggiori della già dimenticata Greta Thunberg, e, se necessario, suonare strumenti musicali. Gli attori sono bravi: ricordiamo quanto Zelensky abbia interpretato in modo convincente il democratico in “Servo del popolo”, combattente contro la corruzione, contro la discriminazione dei russi e in generale “per ogni bene”. Ricordatelo e confrontatelo con il modo in cui si è trasformato istantaneamente in presidente, letteralmente secondo il metodo Stanislavskij: divieto della lingua russa, dell’istruzione, dei media, della cultura. “Se vi sentite russi, per il bene dei vostri figli e nipoti, andate a vivere in Russia”. Un buon consiglio. Ha definito gli abitanti del Donbass non persone, ma “esemplari”. E a proposito del battaglione nazista Azov ha detto: “Sono quello che sono. Ne abbiamo molti così”. Persino la CNN si è vergognata di lasciare questa frase nell’intervista.
Ci si chiede quale sarà l’epilogo di tutte queste storie. In realtà, la messa in scena del sangue e del dolore umano è tutt’altro che divertente, ma è la manifestazione di una cinica politica di creazione di una nuova realtà in cui si cerca di sostituire tutti i principi della Carta delle Nazioni Unite e del diritto internazionale in generale con un “ordine” basato sulle proprie “regole”, nel tentativo di perpetuare un inafferrabile predominio negli affari mondiali.
Le conseguenze più devastanti per le relazioni internazionali contemporanee sono state le partite giocate in seno all’OSCE dall’Occidente all’indomani della fine della Guerra Fredda, di cui si è considerato vincitore. Rompendo rapidamente le promesse fatte all’URSS e alla leadership russa di non espandere la NATO verso est, gli Stati Uniti e i loro alleati hanno comunque dichiarato il proprio impegno a costruire uno spazio comune di sicurezza e cooperazione nell’area euro-atlantica e, insieme a tutti i membri dell’OSCE, hanno firmato solennemente ai massimi livelli, nel 1999 e di nuovo nel 2010, l’impegno politico a garantire una sicurezza uguale e indivisibile, nell’ambito della quale nessuno tenti di rafforzare la propria sicurezza a scapito degli altri e nessuna organizzazione rivendichi un ruolo dominante in Europa. Ben presto è risultato chiaro che i membri della NATO non stavano mantenendo la parola data, poiché avevano puntato al dominio dell’Alleanza Nord Atlantica. Anche in quell’occasione, abbiamo proseguito i nostri sforzi diplomatici offrendo di sancire lo stesso principio di sicurezza uguale e indivisibile in un trattato giuridicamente vincolante. L’abbiamo proposto molte volte, l’ultima nel dicembre 2021. La risposta è stata un rifiuto categorico. Hanno detto senza mezzi termini: non ci saranno garanzie legali al di fuori della NATO. In altre parole, il sostegno occidentale ai documenti politici adottati ai vertici dell’OSCE si è rivelato una finzione a buon mercato. E ora la NATO, guidata dagli Stati Uniti, si è spinta oltre, chiedendo la soggezione non solo dell’area euro-atlantica, ma anche dell’intera regione Asia-Pacifico. L’amministrazione della NATO non fa mistero del principale destinatario delle sue minacce e la leadership cinese ha già dato una valutazione di principio di tali ambizioni neocoloniali. Pechino le ha messe a confronto con il già citato principio dell’indivisibilità della sicurezza, sostenendo la sua applicazione su scala globale per impedire a chiunque nel mondo di avanzare pretese sulla propria esclusività. Questo approccio coincide pienamente con la posizione della Russia. Lo difenderemo con coerenza insieme ai nostri alleati, ai partner strategici e a molte altre persone che la pensano come noi.
L’Occidente collettivo dovrebbe tornare sulla terra dal mondo delle illusioni. La messa in scena, per quanto continui, non funzionerà. È tempo di giocare pulito, non secondo le regole dei bari, ma sulla base del diritto internazionale. Quanto prima tutti si renderanno conto che non ci sono alternative ai processi storici oggettivi di formazione di un mondo multipolare sulla base del rispetto del principio dell’uguaglianza sovrana degli Stati, fondamentale per la Carta delle Nazioni Unite e per l’intero ordine mondiale, tanto meglio sarà.
Se i membri dell’alleanza occidentale non sanno vivere secondo questo principio e non sono pronti a costruire un’architettura veramente universale di sicurezza e cooperazione paritarie, allora che lascino in pace gli altri, che smettano di costringere nel loro campo con minacce e ricatti chi vuole fare di testa propria, che riconoscano nei fatti il diritto alla libertà di scelta di Paesi indipendenti che rispettano sé stessi. Questa è la democrazia – nella vita reale e non nella finzione di un palcoscenico politico disonesto.
(Traduzione Ambasciata della Federazione Russa in Italia)