Minima Cardiniana 389/4

Domenica 31 luglio 2022, Sant’Ignazio di Loyola

ARTE, ARTE E ANCORA ARTE
ELEONORA GENOVESI
ANTONIO CANOVA: COLUI CHE IDEALIZZÒ LA BELLEZZA E SUBLIMÒ LA PENITENZA

Senza arte, la crudezza della realtà renderebbe il mondo insopportabile.”
(George Bernard Shaw)

Quella di Bernard Shaw trovo sia una frase di un’attualità sconcertante visti i tempi che viviamo. Si pensi solo al terrorismo psicologico in essere tra le notizie più disparate che circolano sui social e in televisione… E in tutto questo clima di incertezza ancora una volta l’Arte si riconferma essere un balsamo per l’anima. In fondo l’Arte è da sempre connaturata con l’uomo, praticamente è nata insieme all’uomo. Quando l’uomo era apolide, non sapeva parlare, né tantomeno scrivere, si è espresso testimoniando la sua presenza con l’Arte Rupestre.
L’Arte ha consentito all’uomo di dar voce al suo bisogno di comunicazione, al suo sentimento per il sacro, al suo desiderio di bellezza. Questo legame, partito nella preistoria, è andato avanti nel tempo per arrivare ai nostri giorni, giorni controversi e misteriosi. Un approccio all’Arte, a qualsiasi livello, diviene un incontro con la bellezza in tutte le sue possibili forme. E la bellezza si sa è altamente terapeutica… Ebbene sì l’Arte rende realmente tutto più tollerabile… E allora immergiamoci nella bellezza dell’Arte di Antonio Canova di cui il prossimo 13 ottobre ricorreranno 200 anni dalla sua morte.
Canova nacque a Possagno, un paese della Repubblica di Venezia, nel 1757 e fu cresciuto dal nonno paterno, anch’egli scultore, che intuendone da subito il suo talento, lo iniziò ai segreti del disegno.
Dopo un primo apprendistato a Venezia, all’età di 22 anni si reca a Roma, tappa obbligata per chi volesse studiare le opere dei grandi del passato. Ma Antonio Canova non si limitò a questo, visto che si confrontò con i principali esponenti di una nuova corrente artistica che si stava affermando: il Neoclassicismo.
Il Neoclassicismo, diretta conseguenza dello spirito critico del coevo Illuminismo che aveva investito soprattutto le arti figurative, è un movimento filosofico ed estetico sviluppatosi tra la metà del XVIII e la metà del XIX secolo in Europa. Nato come reazione agli eccessi ed alla teatralità barocche che sconfineranno nella frivolezza e leziosità del rococò, il Neoclassicismo trasse ispirazione dalla tradizione del classicismo greco-romano, adottando i principi di ordine, chiarezza, austerità, razionalità ed equilibrio, con uno scopo moralizzatore.
Questo recupero dello stile, dell’armonia e delle tematiche dell’arte classica da parte del Neoclassicismo è sicuramente debitore alla scoperta archeologica di Pompei i cui scavi iniziarono nel 1738 ed alle scoperte in campo archeologico di un personaggio quale Johann Joachim Winckelmann, fondatore dell’archeologia moderna. Anche se l’arte classica era stata rivalutata già dal Rinascimento, si trattava di una rivalutazione relativamente circostanziale ed empirica, a differenza dell’interesse di epoca neoclassica costruito su una base più scientifica, sistematica e razionale.
E Antonio Canova, non solo assimilò la lezione del teorico Winckelmann e del pittore Jacques-Louis David, ma dette un notevole contributo al Neoclassicismo divenendone un caposaldo. Il suo stile si ispirava all’arte dell’antica Grecia e le sue opere furono paragonate dai suoi contemporanei alla migliore produzione dell’antichità tanto da essere considerato il più grande scultore europeo dopo Bernini.
Ma Canova emerse nell’ambiente neoclassico europeo poiché non si limitò alla mimesi dell’arte classica, sindrome da cui erano affetti moltissimi suoi colleghi, ma andò oltre creando un personalissimo linguaggio frutto di una sua originale interpretazione dei classici. L’arte di Canova, secondo molti critici, può essere considerata come la sintesi del neoclassicismo greco interpretato secondo la visione di Winckelmann.
Per l’artista veneto lo studio della natura era basilare, ma ancor più importante era l’originalità in quanto unico strumento per creare, e non imitare pedissequamente, la vera “bellezza naturale” insita nella scultura classica greca, il cui canone costituiva il suo riferimento più potente.
Le opere di Canova richiamavano l’antichità ma erano plasmate con nuovi significati. Il repertorio artistico canoviano spazia da singole sculture a gruppi scultorei a monumenti funebri.
Per le sue sculture egli scelse spesso soggetti mitologici.
Si pensi al gruppo scultoreo di Amore e Psiche al Louvre, la favola dell’anima secondo Canova, in cui l’artista trasformò il mito narrato da Apuleio in un’immagine forse ancor più emozionante. Naturalismo ed idealizzazione anche qui si fondono, come sempre nelle sue opere: da un lato Canova prende spunto dalla realtà, dall’altra la trasforma per renderla più bella di quanto non lo sia effettivamente, per renderla più perfetta, più idealizzata.
Lo scalpello di Canova, fonde, in un unico fremito nel candido marmo, la fisicità degli amanti con un ideale di pura bellezza. Che si tratti di Amore e Psiche, o di Adone incoronato da Venere o delle Tre Grazie o della Paolina Borghese come Venere vincitrice e ancora… ancora… ancora…, la nudità dei corpi, resa con anatomico realismo come vuole il linguaggio della statuaria, non lascia trapelare volgarità, ma, al contrario sublima la bellezza idealizzandola.
E questa bellezza, raffinando i sensi, eleva l’animo dello spettatore che coglie nella perfezione dei corpi una serena e gioiosa compostezza spirituale. Ma attenzione perché l’idealizzazione della bellezza operata da Antonio Canova non è indice di sentimento represso o di visione razionale dei sentimenti. E qui lascio parlare Canova: “I nostri grandi artisti (nel corso degli anni) hanno acquisito un’enfasi sul lato della ragione, ma con questo non hanno più capito con il cuore”.
Le sue opere non sono fredde e razionali, ma ci porgono davanti agli occhi l’elevatezza dei sentimenti, forse anche un sottile raffinato erotismo.
In Amore e Psiche si coglie la tensione dell’attimo che precede il bacio e in quell’attimo c’è tutto il fremente desiderio che anticipa l’atto del baciarsi. O nelle Tre Grazie dove l’abbraccio in un girotondo delle tre sorelle esprime la tenerezza e l’eleganza della scena. I corpi avvolti da un morbido panneggio che le unisce, rappresentano la più armonica personificazione della purezza, del “bello ideale” di cui l’archeologo Johann Joachim Winckelmann era il principale portavoce. Ma al contempo il linguaggio delle braccia e gli sguardi delle tre protagoniste attirano chiaramente l’attenzione del visitatore che, ormai incantato, si perde tra le forme morbidamente flessuose delle dee.
Canova dà vita al marmo e qui lascio ancora parlare lui: “Cerco di trovare nella materia un qualcosa di spirituale che le serva da anima, la pura imitazione della forma diventa per me la morte, devo aiutarla con il mio intelletto e rendere queste forme nuovamente nobili con l’ispirazione, semplicemente perché vorrei che avessero una parvenza di vita”.
Ma parallelamente al processo di idealizzazione della bellezza, Antonio Canova compie anche un’opera di sublimazione del dolore come nella Maddalena Penitente ammirata nella mostra a Forlì. Canova sceglie di rappresentare Maria Maddalena mentre è in ginocchio su una pietra, scelta mai avvenuta prima nella scultura, con il busto e la testa leggermente in torsione. Mediante questa nuova modalità di rappresentazione Canova ha voluto trasmettere il forte pathos e il dolore provati dalla donna. Ma non si tratta di un dolore urlato con il linguaggio gestuale, bensì di un dolore sublimato, reso dalla levigatezza del corpo patinato di Maddalena, dai suoi lunghi, mossi capelli, non scomposti come quelli della Maddalena donatelliana, che elevano e stemperano il dolore in malinconia. Canova con la sua Maddalena stabilì un prototipo di sublimazione del dolore stemperato in malinconia, scelta questa che influenzò artisti come Auguste Rodin. Tornando al movimento Neoclassico va detto che questo era contraddistinto anche da una sorta di sfondo politico che era quello della democrazia dell’antica Grecia, sua fonte di ispirazione, e della repubblica della cultura romana, con i valori associati di onore, dovere, eroismo e patriottismo. E Canova resta fedele a questi principi a dispetto del fatto che il Neoclassicismo, grazie anche alla sua associazione con il passato classico, divenne uno stile aulico usato da principi e monarchi come veicolo di propaganda delle loro persone e delle loro gesta, o anche strumento per rendere le loro dimore ancora più belle.
E l’integrità morale di Canova è attestata dal suo rapporto con la politica del suo tempo attraverso le opere che realizzò per la Casa d’Austria e la Casa di Bonaparte. Ai desideri di legittimazione (leggi Bonaparte) e glorificazione dei governanti, aspirazioni che erano in palese confitto con il desiderio di neutralità politica che lo scultore era fermamente deciso a mantenere, Canova rispose con la creazione di opere che vennero rifiutate o aspramente criticate dai committenti che le ritenevano non conformi ai loro desiderata. Si pensi al gruppo di Ercole e Licia del 1795 rifiutato dall’imperatore d’Austria o al ritratto allegorico dipinto per Napoleone da titolo Napoleone come Marte pacificatore, titolo che è tutto un programma.
E questo suo rigore morale è confermato da quanto fece per il patrimonio artistico italiano messo in pericolo dalle voglie napoleoniche. Antonio Canova, nel 1802 divenne ispettore generale delle Antichità e Belle Arti dello Stato Pontificio, e a lui Ercole Consalvi, segretario di Stato dalla Santa Sede, aveva affidato il non facile compito di recuperare le opere d’arte trafugate dai francesi in seguito al Trattato di Tolentino del 1797. Così nell’ottobre del 1815 rientrarono da Parigi in Italia ben 249 opere d’arte trafugate dai francesi, che rientrarono nelle loro sedi tra i festeggiamenti delle popolazioni locali, tra le quali spicca la figura di un cittadino illustre, un “certo” Giacomo Leopardi, che inneggiò al rientro delle opere italiane in patria.
Antonio Canova, il maestro, l’uomo, il diplomatico, il protettore delle Arti, che tende a rappresentare una bellezza ideale sublimando le emozioni umane, facendole trasparire dalla superficie liscia e morbida del marmo, attraverso la resa dei movimenti. E chi può sintetizzare la persona di Antonio Canova meglio del grande Giulio Carlo Argan? Lascio a lui la parola: “La forma non è la rappresentazione fisica (cioè la proiezione o il “doppio”) della cosa, ma la cosa stessa sublimata, incorporata dal piano dell’esperienza sensoriale a quello del pensiero. Così, Canova realizza nell’arte quella stessa trasformazione della sensazione in idealismo che, in campo filosofico, è realizzata da Kant, nella letteratura da Goethe e nella musica da Beethoven”.
Ecco a voi Antonio Canova colui che idealizzò la bellezza e sublimò la sofferenza.
Se dovessi definire l’arte di Canova con 3 termini userei: Naturalezza, Raffinatezza, Pacatezza.
Perché la forza dell’arte di Canova risiede nella semplicità, nella grazia che rispecchia a pieno il motto di Winckelmann: nobile semplicità e quieta grandezza.

L’arte è un’attività umana il cui fine è la trasmissione ad altri dei più eletti e migliori sentimenti a cui gli uomini abbiano saputo assurgere.
(Lev Tolstoj)