Minima Cardiniana 391/2

Minima Cardiniana 391/2

Domenica 11 settembre 2022, Santi Proto e Giacinto

EDITORIALE
IL PARTITO VINCENTE, CHE NON GOVERNERÀ SU NULLA MA CHE DETERMINERÀ TUTTO
È molto probabile che, nella storia italiana di questi anni, si ricorderà tra breve che c’è stato un “prima” e un “dopo” il 25 settembre 2022. Molti sono gli indizi, al di là delle emozioni e delle preoccupazioni del momento, che ci suggeriscono che la misura è ormai colma e che la nostra classe politica, espressione di una società stanca e disorientata, deve cambiare radicalmente: nelle persone come, almeno in una certa misura, nei metodi e nelle prospettive.
Quel che è accaduto e che in parte continua ad accadere da noi è di una gravità che forse non si registra in altri paesi nei quali la situazione è per molti versi più difficile. La tendenza allo scollamento tra “paese ufficiale” – con i suoi politici, i suoi amministratori, i suoi media allineati e coperti sull’allineamento alla NATO e sulla subordinazione alle scelte del governo statunitense in politica internazionale, a partire dal costo per noi immenso e insostenibile delle sanzioni comminate alla Russia – e “paese reale”, ch’è sempre più preoccupato per i costi di queste scelte non sue a partire dal campo energetico fino al salasso imposto per far fronte a spese militari che stanno scomparendo nelle fauci spalancate della guerra ucraina, rischia di presentarsi con i risultati elettorali del prossimo 25 in tutta la sua drammaticità che purtroppo però ha molte probabilità di non venire immediatamente intesa e interpretata nel modo corretto. I partiti difatti, pur non esistendo più nel senso nel quale eravamo abituati a considerarli ed essendosi ormai trasformati in “comitati elettorali” che – fatte salve le debite, ma qualitativamente e quantitativamente trascurabili eccezioni – tendono a concentrare il potere decisionale e a metterlo a disposizione delle forze esterne che li guidano e li condizionano, faranno tutti il solito vecchio gioco dell’autoattribuzione della vittoria evitando con cura l’esame obiettivo della situazione. Del resto, lo hanno già fatto: la campagna elettorale si è basata su problemi pur importanti e fondamentali, quali le misure da prendere per fronteggiare la crisi economica già in atto e che più apertamente si paleserà man mano che saremo costretti a fronteggiare le conseguenze della crisi energetica e il contraccolpo di quella, più ampia, di tipo socioeconomico. Gli osservatori internazionali – leggetevi con attenzione gli articoli, qui pubblicati subito dopo il mio, di Dino Cofrancesco e di Anna Lotti – sembrano non prevedere che in Italia, a differenza di quanto accadrà in un centinaio di paesi tra grandi e piccoli, europei e non – il malessere postelettorale produrrà veri e propri moti di rivolta se non qualcosa di più grave: e tale pronostico, se risponderà al vero, sarà sintomo di qualcosa di ancora peggiore. Cioè di un’incapacità effettiva e profonda del paese, dei suoi quadri e delle sue istituzioni a rispondere alle difficoltà massicce ed immediate del momento.
I partiti e i loro dirigenti mentono, in quanto deliberatamente disprezzano e nascondono l’evidente verità: e i media li stanno quasi tutti, allineati e coperti, spingendo in quella direzione. Il primo argomento della futura competizione elettorale, il centro vitale su cui convergerà la scelta dei cittadini – di quelli che assolveranno al loro funzione di elettori e di quelli che, per molte e differentissime ragioni, non si presenteranno alle urne – sarà uno solo: la necessità assoluta, urgente, immediata di fermare questa guerra suicida non solo per il popolo ucraino che ne sta pagando direttamente il prezzo in termini di sangue e di distruzione, ma anche per l’Occidente nel suo complesso (con molte differenze interne, però) nonché per la Russia e quasi tutti i suoi alleati. Solo gli Stati Uniti d’America e, a livello di élites, i vertici delle lobbies internazionali ad essi più legati e tutto il sia pur vasto ambiente ad essi direttamente o indirettamente collegati (e si tratta, attenzione, di milioni di privilegiati: pochi tuttavia, rispetto agli oltre sette miliardi di esseri umani che popolano la terra) usciranno indenni e magari perfino arricchiti dal tritacarne avviato dalla demenziale politica di Biden e dei suoi soci, tra i quali non mancano alcuni nostri cinici e astuti connazionali.
Il punto immediato è però che ormai sono sempre più numerosi coloro che scorgono più o meno lucidamente l’abisso spalancato dinanzi a noi e che ci sta divorando. Chi sono? Per rispondere, dovremo analizzare attentamente – e con ogni probabilità non sapremo, non potremo, qualcuno nemmeno vorrà farlo – i risultati elettorali concentrandoci sulla struttura del partito che uscirà vincitore dal responso delle urne il 25.
Sarà un partito ampio, eterogeneo, contraddittorio e per giunta praticamente invisibile anche se ormai non più totalmente muto: in un primo momento, che potrà essere anche molto lungo e forse eterno, non riuscirà ad esprimere il suo disagio e dovrà lasciare che siano altri a interpetrarne le ragioni. Poi vedremo.
Si tratta del partito di chi non andrà a votare, oppure votando esprimerà un voto bianco o nullo. Esaminiamone approssimativamente le componenti: rinunziando però almeno per ora ad azzardarne ipotesi di percentualizzazione (solo un referendum popolare sinceramente espresso, che non si farà, potrebbe fornircene le cifre grosso modo esatte). Proviamo a descrivere grossolanamente, gruppo per gruppo, i non-elettori:
1. Gli happy few, ben consci che i risultati delle elezioni coinvolgeranno anche molti di loro, ma consapevoli altresì di avere tra gli elettori e gli eletti, specie quelli che si autoproclameranno o saranno proclamati vincitori, il loro grande o piccolo “comitato d’affari”: quelli che hanno la possibilità di condizionare o d’influenzare in qualche misura il voto altrui, quelli che più o meno a ragione o a torto confidano nella loro buona condizione economico-finanziaria e/o nella solidità del loro nucleo familiare e dei loro amici e conoscenti.
2. Il purtroppo consistente ancorché variegato gruppo di quanti, per preconcetta convinzione o per esperienza più o meno fallace, sono convinti che il voto “non serve”, che gli eletti saranno comunque eteroguidati o yes-people (attenzione a non pronunziare parola maschiliste, tipo yes-men), che “tutto resterà come prima” o che al contrario “bisogna che tutto cambi perché tutto resti come prima”, però non vogliono o stimano inutile impegnarsi di persona al riguardo perché “non ne hanno voglia”, la politica “non interessa loro”, oppure “è una cosa sporca” e bisogna “farla fare agli altri”.
3. Quelli, magari few ma non certo happy, che invece qualche idea a proposito di cose da cambiare ce l’avrebbero ma non sanno o non possono riconoscersi in alcuna “forza in presenza” fra quelle schierate per il 25. Fra tali persone vi sono gli illusi e gli utopisti, gli stanchi e gli sfiduciati, ma anche chi ritiene opportuno agire dopo le elezioni e sa già o crede di sapere, in tutto o in parte, le necessità di un futuro e la qualità degli scenari che in esso potrebbero delinearsi (per esempio i socialdemocratici russi fra ’14 e ’17, che prevedevano la débacle militare del loro paese e stavano organizzando le possibilità di gestirne le conseguenze: socialdemocratico in russo si dice bolshevik). È questo il gruppo dei non-votanti più interessante, al quale dedicheremo a Dio piacendo l’editoriale dell’ultima domenica precedente le elezioni;
4. Quelli che per ragioni sociali o intellettuali non hanno idee e ritengono di non avere nemmeno interessi, quelli che non sanno che pesci prendere e che sono o si stimano socialmente impotenti e irrilevanti, oggetto ma non soggetto di storia. Doveroso cercare di scuoterli, inutile il provarcisi.
Questo sarà il composito partito che vincerà moralmente le elezioni. Certo non governerà: anche se entro qualche tempo molti di loro giocheranno un ruolo nel paese.
Lasciamo intanto che Enrico Letta e Giorgia Meloni facciano il loro derby giocando allo stendhaliano Rosso e Nero, cercando entrambi di attrarre nella loro sfera, rispettivamente, i Rosa e i Bigi. I due avversari sono in fondo ben assortiti nella loro quasi assoluta diversità: il Professore pisano di alta prosapia e la Biondina della Garbatella potrebbero nella sostanza metter da parte le loro differenze storiche, emozionali e sentimentali per riconoscersi reciprocamente in uno stesso partito, atlantista e liberista. Dispongono perfino di una struttura psicopolitica simile, in quanto entrambi ossessionati sia dai “fratelli-coltelli” dei loro rispettivi schieramenti, sia dal “fantasma dell’accerchiamento” e dalle “Quinte Colonne” interne. Letta teme a ragione sia chi all’interno del PD si lamenta ch’egli non dica “mai nulla di sinistra”, sia chi al contrario vorrebbe che il partito incarnasse un futuro di centrosinistra ancor più centrista e per questo è attratto dal “Terzo Polo” (e, lasciando perdere l’imprenditore “mazziniano” dal cognome calendariale prestato alla politica e abbigliato in maschera da leader mediaticamente presa in affitto, non è improbabile che Matteo Renzi nel clima che si creerà a partire dal 26 settembre trovi, da quel formidabile sfasciacarrozze che è, qualche nuova carrozza da sfasciare). La Meloni (scusate il maschilismo strisciante, ma io sono un po’ troppo old fashion per rinunziare all’articolo determinativo quando chiamo per cognome signore o signorine) ha realpolitically buttato a mare sentimentalismi, nostalgie e malintesi che la legavano a quel simbolo che pur figura ancora – unico nel panorama politico italiano, oltre a qualche partitino di sinistra – nell’emblema del suo partito e ha esplicitamente abbracciato una sorta di “estremismo atlantista” che paradossalmente incarna i sentimenti e le aspirazioni dei “moderati di centrodestra”, quei “borghesi piccoli-piccoli” tutti ordine-per-le-strade-e-ferie-da-godere-in-pace che rifuggono da qualunque grande passione e amano le idee “a bagno-maria” e sono felici che sia una ragazza carina che parla un linguaggio diretto a guidarli. Ma Giorgia, al pari di Enrico, teme i concorrenti: che in parte sono gli stessi, che potrebbero preferirle il dichiaratamente centrista Renzi; e in parte i “residui duri-e-puri” rimasti nei “Fratelli d’Italia” perché in un modo o nell’altro nostalgici del MSI (e, badate, ormai più del MSI che del troppo esorcizzato e malinteso ma per nulla presente fascismo) o perché, specie i giovani, restii ad allinearsi sull’atlantismo meloniano e magari qua e là tentati da quel che il grande, compianto Pennacchi definiva “fasciocomunismo”. Non a caso, sia Letta sia la Meloni insistono sulla necessità di “non disperdere i voti”, ignorando volutamente d’indagare sul carattere di quelle “dispersioni”: forse più impegnate e impegnative, e quasi certamente più etiche, di quanto entrambi non credano.
Quanto a me, mi ostino a pensare che non sia colpa mia ma non mi sono mai sentito fuorischemi come adesso: e, vi giuro, me ne dispiace molto. Ci sono amici i quali – sapendo che coincidenza vuole che io stimi personalmente miei cari amici sia la Meloni, sia Letta, sia Renzi – mi scrivono o mi telefonano meravigliandosi (e qualcuno indignandosi) in quanto nessuno di essi mi ha “offerto qualcosa”: in termini elettorali, s’intende. Quando mi trovo arreso dinanzi a tanta ingenuità, rispondo che hanno fatto benissimo e che è tutto normale: ho ottantadue anni, sarebbe un po’ osceno che mi mettessi a questa età – dopo aver sempre evitato di farlo – in caccia di poltrone, strapuntini e comunque di qualunque sedile inadatto alla mia età a parte le panchine dei giardini pubblici.
In realtà quei tre amici sanno bene, come lo so io e non possono ignorare coloro che abbiano letto qualche mia riga (lavori storici a parte, beninteso: ma, anche lì…), che il loro atlantismo e il loro liberismo sono esattamente agli antipodi della mia cultura, delle mie idee, delle mie aspirazioni, insomma di tutto quel che di me fa un eurosocialista-cristiano. Una leggenda urbana che circola con ostinazione nella mia città sostiene che anni fa, quando le cose erano molto diverse da allora, alcuni maggiorenti cittadini proposero a Renzi d’imbarcare Cardini in non so più quale carrozzone appunto renziano; al che Matteo, con una bella risata, avrebbe risposto su per giù: “O bravi: così alla prima occasione ci vota contro!”.
Aveva, ed ha, perfettamente ragione; come ce l’avranno avuta gli altri due, se mai ci hanno fatto sopra un pensierino. Il che non toglie per il resto che io voglia bene ad entrembi (notate la finezza del neologismo): e se non si amano fra loro sono fatti loro, non miei. Ad entrembi auguro il massimo successo: e per entrembi temo trappole che scatterebbero in seguito ad esso e che francamente non so come farebbero ad evitare. Per il resto, convinto con ciò di agire anche per il loro bene. Quanto a me, ritengo di appartenere – a proposito di quanto or ora dicevamo – a uno dei sottogruppi del gruppo 3 del “partito dei non-votanti” e mi riservo di spiegarne a Dio piacendo le ragioni domenica prossima.
Quanto a voi, cari amici lettori, fate quel che volete e quel che la coscienza vi suggerisce: e che la Provvidenza vi aiuti. Se siete ottimisti, vi e mi auguro sinceramente di avere ragione voi: e, soprattutto, torto io. FC