Minima Cardiniana 392/2

Domenica 18 settembre 2022, San Giuseppe da Copertino

CHI VINCE, CHE COSA VINCE, IN CHE SENSO VINCE?…
“MELONI VINCERÀ LE ELEZIONI MA L’EGEMONIA CULTURALE DELLA DESTRA È ANCORA LONTANA”
Intervista a Marco Tarchi a cura di Valerio Renzi
Marco Tarchi, politologo, è professore alla Facoltà di Scienze Politiche dell’Università di Firenze. Per lungo tempo impegnato attivamente a destra, è stato tra i punti di riferimento più autorevoli della Nuova Destra italiana. Oggi se la prende moltissimo quando – e gli càpita: come ad altri, del resto… – lo definiscono di destra: e ciò non perché sia “passato a sinistra”.
Voce spesso critica e dissonante, negli ultimi anni si è occupato in particolare modo di studiare le forme del populismo in Italia e non solo. L’intervista di Renzi mira a mettere in una prospettiva di più lungo periodo l’annunciata vittoria di Giorgia Meloni e della destra postmissina alle prossime elezioni.

Dal 2% nel 2013 all’annunciato trionfo alle elezioni politiche del 2022. Cosa vuol dire per la storia della destra italiana l’affermazione di Fratelli d’Italia come primo partito e l’affermazione della leadership di Giorgia Meloni?
Se le previsioni basate sui sondaggi saranno confermate, sarà il punto di arrivo di una lunga traversata nel deserto di un ambiente politico che da almeno mezzo secolo – anche a non voler considerare i ripetuti tentativi di inserimento nel sistema del periodo della segreteria missina di Arturo Michelini (1954-1969) – ha posto il tentativo di legittimarsi come forza di governo al di sopra di qualunque altra istanza. Destra nazionale nel 1972, Costituente di destra quattro anni dopo, svolta di Fiuggi e Alleanza Nazionale nel 1995, confluenza nel Popolo delle Libertà nel 2009, infine formazione di Fratelli d’Italia. Nel tragitto molte idee e molte caratteristiche estetiche e comportamentali sono state abbandonate, molte posizioni sono state modificate e in più di un caso rovesciate, e gli sforzi di trovare un equilibrio fra moderatismo e ribellismo non sono mancati, ma forse la meta è vicina.

Nel periodo dell’abbraccio con Berlusconi e alla successiva diaspora con la fine del PdL, solo l’esperienza di FdI ha avuto fortuna, tanto che la maggior parte di chi aveva scelto altre strade è poi tornato a quella che oggi sembra la casa unica della destra postmissina (pensiamo ad Augello quanto a Storace, e anche se ha già preso la porta di uscita ad Alemanno). Quali sono secondo lei le chiavi di questo successo? A sentire il gruppo dirigente di FdI soprattutto la coerenza, cosa ne pensa?
Molto ha voluto dire il recupero del simbolo della fiamma, giocato come un atto di sfida verso la pretesa di Berlusconi e dei suoi di assorbire e liquidare una storia (grazie anche ai ripetuti errori di Fini, che non ha mai dimostrato sagacia strategica e si è impantanato in un tatticismo condito di smisurate ambizioni personali). Hanno pesato sicuramente anche le scelte di alcuni dei personaggi più noti dell’epoca missina – La Russa in primis – e il fattore-Meloni: una donna, giovane, dinamica e spregiudicata negli atteggiamenti e nell’eloquio. Un mix che ha funzionato, facendo ipotizzare a molti simpatizzanti delusi che il loro piccolo mondo potesse ancora avere un futuro.

Il Msi e poi Alleanza Nazionale hanno sempre avuto una forte dialettica interna. Erano partiti dunque dove si discuteva, ci si divideva anche con acrimonia. Fratelli d’Italia sembra invece un partito monodimensionale costruito attorno a Giorgia Meloni. Anche FdI ha almeno in parte le caratteristiche di un partito personale?
All’inizio anche in Alleanza Nazionale – quantomeno dopo che al congresso fondativo di Fiuggi la componente più legata al passato se ne era andata – tutti sembravano monoliticamente concordi con Fini. E la cosa è durata per parecchi anni. È quello che nel mio libro Cinquant’anni di nostalgia (un’intervista ad Antonio Carioti pubblicata da Rizzoli n.d.r.) avevo definito “il complesso di Mosè”: un popolo che si pensava destinato al perpetuo esilio dall’Italia ufficiale era stato improvvisamente portato nell’area della legittimità, ed era riconoscente a chi lo aveva guidato in quell’impresa quasi miracolosa. Giorgia Meloni ha ripetuto, per ora in meglio, l’epopea. Chi potrebbe azzardarsi a contraddirla o criticarla, in questa fase?

Fratelli d’Italia vuole farsi interprete di un “italian Conservatism” dai tratti originali (il riferimento è al convegno così intitolato in via di organizzazione da parte della Fondazione Tatarella). È una piattaforma ideologica credibile a suo avviso? Quali sono le caratteristiche?
Lo è, in buona parte non per suo merito. Ad aver ridato vigore e capacità di attrazione al conservatorismo sono gli eccessi dell’odierno progressismo: un dato che, a sinistra, mi pare sia stato colto solo da Luca Ricolfi. In un momento storico in cui quella parte politica, in tutto l’Occidente, preme l’acceleratore sull’indiscutibilità di qualunque diritto/desiderio individuale, in cui in film, romanzi, saggi, testi teatrali, canzoni le tematiche Lgbt sono assunte come paradigma della “società giusta”, la cancel culture, l’ideologia woke, la gender theory, l’assolutizzazione dell’“inclusione”, l’elogio a prescindere dell’immigrazione (vista come una “risorsa” senza fare cenno ai suoi costi e danni), la celebrazione del multiculturalismo e del cosmopolitismo sono diventate la cifra identitaria di tutto ciò che si oppone alla destra, che quest’ultima si presenti come un argine e un’alternativa è addirittura ovvio. È inevitabile. Ed è facile prevedere che lo spartiacque conservatorismo/progressismo, affermandosi, provocherà un altro scossone, dopo quello dato dal successo delle formazioni populiste, alle preesistenti appartenenze politiche e partitiche. E credo che, se non ripenserà ai rischi che questo slittamento verso il radicalismo comporta, la sinistra ne pagherà il prezzo più elevato, ora che non ci sono più voci come quella di Danilo Zolo che sapevano scorgere e denunciare autorevolmente questa deriva.

Fine vita, diritti riproduttivi delle donne, diritti civili. La destra italiana sui temi etici continua ad avere un’agenda molto schiacciata sulle posizioni del Vaticano – nonostante la distanza da Bergoglio. Di più: dove già governa come in Abruzzo e nelle Marche queste posizioni – in particolare sull’aborto – già si sono concretizzate in politiche concrete. Non rischia di difendere posizioni che nella società sono lontane dalle sensibilità delle nuove generazioni?
Per le ragioni che ho ricordato poco fa, l’irrigidimento su queste posizioni è, al contrario, uno dei suoi punti di forza. Se si allineasse, come ai tempi di Fini, sulle tendenze progressiste sul piano del costume, segnerebbe, nel breve periodo, la propria fine. Ovviamente, ciò significa che dovrebbe assumere l’iniziativa e mettere in piedi una strategia di penetrazione “gramsciana” nelle mentalità collettive, anche se non soprattutto negli ambienti giovanili, non limitandosi a posizioni reattive ma lanciando una controffensiva culturale – ma sarebbe più esatto dire metapolitica – per valorizzare in positivo la propria visione del mondo e della società. Ma che Fratelli d’Italia sia all’altezza di un compito così impegnativo è quantomeno dubbio. Come Meloni ha ricordato anche di recente, nel caso specifico degli artisti, sembra che negli ambienti intellettuali le simpatie per la destra siano del tutto assenti. Non è un caso. Molti decenni di insensibilità al problema di battersi sul terreno della cultura, uniti alle scontate conseguenze di una lunga fase di egemonia del Pci in quegli ambiti, non potevano che dare quei frutti. E costringere, salvo casi rarissimi, chi ha idee di destra ed opera in campo cinematografico, musicale, letterario, accademico e così via a tacere e mimetizzarsi. Sarà molto difficile modificare questo stato di fatto.

Il partito di Gianluigi Paragone ha aggregato quello che resta dei gruppi dell’estrema destra italiana e candidato esponenti delle sigle che hanno riempito le piazze no vax e contro il green pass. Con lo spazio istituzionale e nella società a destra occupato saldamente da Meloni, alla destra radicale non resta che farsi interprete di una destra in stile trumpiano, i cui gradienti principali sono il complottismo e l’estrema difesa dei diritti individuali del cittadino proprietario?
Probabilmente sì. Anche se si tratta di una condizione instabile e precaria, perché quello messo in piedi da Paragone, nel più puro stile di un populismo allo stato brado e all’ennesima potenza, non è e non potrà diventare un partito. È un aggregato momentaneo, destinato a sfaldarsi se l’impresa di approdare in parlamento non riuscirà. Le vicende legate alla gestione della crisi sanitaria hanno, in effetti, suscitato molte contrarietà e insofferenze, ma i tentativi di sfruttarle con velleitari conati insurrezionali hanno provocato un effetto boomerang, creando diffidenza verso i tentativi di canalizzare quell’insofferenza in direzioni politicamente più efficaci. Quelle frange dell’estrema destra che perseverano nel folclorismo nostalgico e nel culto della violenza non hanno nessuno spazio nel quadro politico attuale. E anche se puntassero sulle prevedibili tensioni sociali che la crisi energetica e le conseguenze della crescente inflazione attiveranno in autunno, sarebbero presto scavalcate da gruppi e movimenti capaci di darsi un’immagine più credibile.
(fanpage, 16 settembre 2022)

Non posso non complimentarmi con l’amico e collega Marco Tarchi per la lucidità, la chiarezza, la concretezza, l’equilibrio di quest’analisi: dove fra l’altro si ha il coraggio di richiamare in campo la metapolitica, quel che consentirebbe al partito della Meloni di cercar di costruire un argine anche là dov’esso è più debole, la dimensione intellettuale. Anche la dimensione atlantista, quella che a Giorgia ha fatto perdere molti consensi (ma, del resto, guadagnarne altri forse meno qualificati ma più numerosi), avrebbe potuto essere se non respinta o evitata quanto meno aggirata e ridimensionata da una buona iniezione di metapolitica. Mi pare sia andato perduto il senso profondo della distanza, se non della contrapposizione, tra conservatorismo e reazione; e sia accettata ormai senza più alcun residuo dubbio l’accezione volgarmente negativa a quest’ultimo termine. Ma non credo che dimenticare Donoso Cortés per ripescare Marcello Pera sia stata una buona operazione politico-intellettuale; e nemmeno che pagherà sul piano elettorale. Last but not least: un ulteriore grazie a Tarchi per aver ricordato Danilo Zolo, uno studioso e un cittadino di coraggio con le idee del quale dovremmo tornar a fare i conti (Franco Cardini).