Minima Cardiniana 392/5

Domenica 18 settembre 2022, San Giuseppe da Copertino

ARTE, ARTE E ANCORA ARTE
TAMARA DE LEMPICKA, LA CATTIVA RAGAZZA DELL’ART DÉCO CHE SFIDÒ LE REGOLE
di Eleonora Genovesi

Una donna dovrebbe essere due cose: chi è e cosa vuole
(Coco Chanel)

Eh sì, la grande Coco che ha liberato le donne dalle pastoie dei bustini, aveva proprio ragione, anche se la sua asserzione dovrebbe avere valore per entrambi i sessi. Ma si sa: la libertà di essere se stessi per secoli è stata appannaggio esclusivamente maschile ad eccezione di rari casi come quello di un’Artemisia Gentileschi o molto dopo di una Marie Curie o di una Maria Montessori. Premesso che non sono femminista, né intendo parlare del cambiamento del ruolo femminile, dell’emancipazione e della differenza di genere nel corso degli ultimi 2 secoli, va però detto che per le donne il percorso di emancipazione è stato lungo e complesso.
L’occhio attento e censurante della società (di ogni società di ogni paese e di tutte le epoche), ha sempre tollerato e accettato de facto che le donne delle classi più umili e meno abbienti svolgessero attività lavorative extradomestiche, se non altro per mantenersi in caso di disastri economici (morte del marito in primis), ma ha sempre considerato come trasgressiva dell’ordine sociale costituito, ogni attività lavorativa di donne appartenenti a ceti sociali agiati.
La donna appartenente al ceto borghese, poteva e doveva essere colta ed istruita, ma solo per un fine personale di casta di appartenenza, e non certo per svolgere un’attività lavorativa autonoma.
Tutte le ragazze di buona famiglia che osavano voler svolgere un’attività intellettuale autonoma per avere una soddisfazione personale e anche economica erano viste come delle pericolose rivoluzionarie.
E questo ancora ad inizio anni Venti.
Tamara de Lempicka, osando sfidare le regole, ha trasformato la sua vita in un’opera d’arte: affascinante, misteriosa e stravagante, la pittrice è stata una vera e propria icona “pop” della sua epoca. Nel 1978 il New York Times la definì “‘Dea dagli occhi di acciaio nell’era dell’automobile”, come lei stessa si era immortalata alla fine degli anni Trenta nel celebre Autoritratto sulla Bugatti verde.
Eccentrica, elegante, trasgressiva, libera, viaggiatrice e alla moda, Tamara de Lempicka rappresenta il simbolo di un’epoca, protagonista indiscussa della pittura Art Déco.
L’Art Déco (nome derivato per estrema sintesi dalla dicitura Exposition internationale des arts décoratifs et industriels modernes, Esposizione internazionale di arti decorative e industriali moderne, tenutasi a Parigi nel 1925 e perciò detto anche stile 1925) è un movimento artistico che si sviluppa in reazione alle forme organiche dell’Art Nouveau. Parliamo di un fenomeno del gusto che coprì sostanzialmente il periodo fra il 1919 e il 1930 in Europa, mentre in America, in particolare negli USA, si prolungò fino al 1940: riguardò le arti decorative, le arti visive, l’architettura e la moda.
La sua principale differenza dall’Art Nouveau è l’influenza del cubismo, che conferisce al design Art Deco generalmente un carattere più frammentato e geometrico, nel quale tuttavia permangono anche le immagini basate su forme vegetali e curve sinuose di matrice Art Nouveau.
L’Art Déco abbraccia, non solo tutte le arti visive: dall’architettura, pittura e scultura alle arti grafiche, ma anche i campi del design come: mobili, ceramiche, tessuti, gioielli.
Gli artisti dell’Art Déco rendevano spesso omaggio alle influenze moderniste come Cubismo, De Stijl, e Futurismo nel tentativo di tornare a forme più elementari, inventando un nuovo stile che poteva essere visivamente piacevole, ma non intellettualmente minaccioso…
La ricerca della bellezza da parte dell’Art Déco in tutti gli aspetti della vita rifletteva direttamente la relativa novità e l’uso di massa della tecnologia dell’era delle macchine.
Ma torniamo alla nostra cattiva ragazza dell’Art Déco.
Tamara Rosalia Gurwik nacque a Varsavia nel 1898 e, dopo la rivoluzione comunista, si trasferì a Parigi, città che poteva garantirle in tenore di vita desiderato.
Viziata, capricciosa e bella, era cresciuta con la madre e la nonna Clementine, la quale la allevò convincendola di essere straordinaria. L’infanzia e l’adolescenza furono all’insegna dei viaggi e dei soggiorni in alberghi di lusso, stazioni termali e puntate ai casinò.
Decisa a diventare pittrice, frequentò l’Académie de la Grande Chaumiere e l’Académie Ranson, sviluppando uno stile del tutto personale. Nel frattempo aveva conosciuto e sposato l’avvocato Tadeusz Łempicka e nel 1922 espose per la prima volta le sue opere al Salon d’Automne.
Le prime prove mostrano già le caratteristiche che resteranno costanti nella sua produzione: figure costruite da linee fortemente spigolose, geometriche e una ridotta gamma di colori. I toni metallici contribuiscono alla creazione di immagini levigate e di figure che hanno le sembianze di manichini. Ogni dettaglio decorativo è indagato con estrema minuzia: sciarpe, cappelli, guanti, unghie laccate, boccoli definiti, ciglia finte, velette, perle e diamanti rendono le sue opere glamour e chic.

Donna blu con chitarra è uno dei dipinti di genere della de Lempicka che attinge ad un tema spiccatamente tradizionale: le rappresentazioni allegoriche delle arti.
In questo caso, la musica è raffigurata come una bella ed elegante donna dai capelli scuri, assorta nel fare musica. Tamara de Lempicka è stata profondamente influenzata dal Rinascimento con opere viste al Museo del Louvre. Sebbene vi siano influenze cubiste nella modellazione dei piani, la figura femminile risulta completamente moderna, sensuale e alla moda de Lempicka. Infatti, a differenza delle composizioni cubiste in cui gli oggetti e gli sfondi sembrano cambiare costantemente, in questo dipinto ogni singola componente dell’opera assume uguale importanza. Inoltre, l’abito blu brillante rifiuta la consueta tavolozza scialba del primo cubismo. I dipinti della de Lempicka presentano spesso tavolozze limitate, ma il colore è raramente tenue e la cromia che seleziona è molto spesso al passo con i gusti dell’epoca. Del resto lei stessa è la perfetta incarnazione di una figura femminile dandy dall’esistenza sopra le righe, che si inserisce in un sentiero, che a suo tempo fu tracciato da figure quali, fra le altre, Lavina Fontana, Elisabetta Sirani, Artemisia Gentileschi, Berthe Morisot, e la contemporanea Frida Kahlo; donne il cui amore per l’arte non ha risparmiate loro umiliazioni e biasimo, da parte di una società ancora dominata dal modello patriarcale.
Che però Tamara ha tenacemente combattuto, attraverso ritratti che esprimono una femminilità, insieme, potente e leggiadra, ispirata anche dalla dichiarata bisessualità dell’artista, che fa luce, così, sulla nuova sensibilità sessuale che caratterizza il Novecento.

Da un lato, una figura femminile mondana, fasciata in elegantissimi e fruscianti abiti alla moda, frequentatrice di club dove trascorrere notti folli bagnate di gin.
Le donne di Tamara sono disinibite e sensuali, ballano il charleston e il tango, hanno buon gusto nel vestire. Come lei stessa, del resto, che si fece disegnare abiti dagli stilisti più in voga dell’epoca, come Schiaparelli, Vionnet o Patou. E il suo stile pittorico si rifà alla fotografia di moda, al cinema, portando nella pittura un’indiscussa ventata di modernità e mondanità. Dall’altro lato, le opere della Lempicka sono caleidoscopiche: vi si ritrova la dolcezza materna, commovente nei ritratti della figlia Kizette, uno in particolare in abito rosa, vicino per stile e sensibilità al Picasso dei periodi Blu e Rosa (ma la coincidenza cromatica è solo coincidenza, appunto).
Nei dipinti di Tamara de Lempicka vi si ritrova la donna intesa come soggetto protagonista della nuova società del primo dopoguerra, una figura modana, indipendente, con i suoi interessi e la sua voglia di vivere.
Una donna forte, decisa, autonoma e irraggiungibile, che non per questo rinuncia alla forte carica sensuale. Una donna orgogliosa e sicura di sé che esprime fierezza e audacia è l’idea di una femminilità vissuta al limite dell’autocelebrazione. I suoi quadri vogliono essere dei dipinti moderni e anticonformisti, proprio come era l’artista, un’esaltazione di chi vive e dichiara apertamente le proprie idee senza condizionamenti sociali e temporali.
Il suo Autoritratto in Bugatti verde altro non è che il simbolo dell’emancipazione femminile, immagine di modernità per eccellenza. Come si legge in Le Figaro (1930): “L’automobile non segnerà soltanto un’epoca, ma sarà il simbolo della liberazione della donna: avrà fatto, per spezzare le sue catene, molto più di tutte le campagne femministe e le bombe delle suffragette. Dal giorno in cui ha afferrato un volante Eva è diventata uguale da Adamo. Quando una donna avrà tra le mani una forza di diciotto cavalli che guiderà col mignolo, si farà beffe dell’uomo che, da secoli, le dice: Io sono il tuo padrone perché ho dei muscoli più forti dei tuoi e perché posso asservirti con la maternità”.
La pittrice si ritrae in caschetto e guanti di daino al volante di un’auto sportiva Bugatti verde. Il suo sguardo da diva, accentuato dal color ghiaccio degli occhi, conferma la fierezza di una donna che si sente simbolo dell’emancipazione femminile.
Tamara amava avvolgere la sua vita con un alone di fascino e di mistero, amava giocare con la propria identità, amava reinventarsi ogni giorno, creando un personaggio destinato a diventare leggenda. Ma Tamara è stata anche donna, artista, moglie, madre e amante, figlia di un’epoca ruggente.
E poi nel 1932 la depressione di cui fu vittima, causata dal matrimonio del suo ex marito, fece virare la sua arte verso soggetti religiosi che le pareva dessero sollievo alle sue pene, come la Santa Teresa D’Avila di chiara ispirazione berniniana.
Le donne ritratte, sempre impeccabilmente vestite lasciavano trasparire un connubio di straordinaria modernità eleganza, seduzione, voluttà, erotismo, ma anche di inaspettata castità, a volte. Sono donne che raccontano un’epoca eppure le sentiamo ancora e vive ai giorni nostri.
Una donna affascinante Tamara De Lempicka, straordinaria donna e pittrice, di origine polacca, che nei suoi dipinti in modo netto e vivace ha saputo stigmatizzare un’epoca, la sua, quella dell’art déco divenendone la maggior esponente femminile nel periodo “des année folles” di Parigi.
La donna che aveva conquistato D’Annunzio, passato le notti a discutere nei caffè ed appoggiato Marinetti nell’ideale di rinnovamento futurista, è incapace di affrontare l’astrattismo che si diffonde dopo la seconda guerra mondiale e preferisce esiliarsi dalla scena pittorica a partire dalla metà degli anni Cinquanta.
Muore a Cuernavaca, in Messico, nel 1980. Impressionata dalla storia dell’eruzione del Vesuvio, chiese di spargere le proprie ceneri su un vulcano in Messico.
Ed io mi chiedo quali siano le Tamare de Lempicka degli anni duemila… Eh sì perché parrà strano, se non incredibile, ma nell’epoca del digitale che dovrebbe significare il progresso, il futuro, al di là delle apparenze si tenderebbe a tornare indietro… E penso proprio alle nuovissime generazioni che, come capita di vedere spesso, da quel palcoscenico privilegiato che è la scuola, tendono ad identificare la loro realizzazione con l’essere in coppia.
Parlando con loro, perché credo fermamente che insegnare sia cercare di conoscere i nostri allievi, ci si rende conto che, a 15 anni, anziché coltivare dei sogni, delle aspirazioni, si vedono solo ed esclusivamente come partner.
E allora ancora una volta l’Arte mi viene in aiuto con quella formidabile donna che è stata Tamara de Lempicka, la regina del moderno, la pittrice della mondanità e dell’emancipazione femminile, quella che ha realizzato i suoi sogni e le sue aspirazioni a prescindere da tutto, una donna che ha reso la sua femminilità soggetto e protagonista di quell’opera d’arte che è stata la sua vita.
Tamara de Lempicka icona di tradizione e modernità presentata alle ragazze, come fosse una nuova amica, che le incita ad emanciparsi da una visione obsoleta della figura femminile, seppur mascherata da un’apparente modernità digitale… Fare della propria vita un’opera d’arte, la propria opera d’arte, unica e per questo fantastica.
“Cerco di vivere e creare in modo tale da imprimere, sia alla mia vita, sia alle mie opere, il marchio dei tempi moderni”. Lo scrisse Tamara Rosalia Gurwik (1898-1980), meglio nota come Tamara de Lempicka.
Prima ancora che estetica, la modernità di Tamara è concettuale, grazie alla sua capacità di interpretare i tempi, nello specifico intuendo l’imminente cambiamento del ruolo della donna all’interno della società…E allora applichiamo il concetto del “tornare indietro per andare avanti”… Facciamo della nostra femminilità una piccola ma unica opera d’arte.

Ogni grande opera d’arte ha due facce, una per il proprio tempo e una per il futuro, per l’eternità”.
(Daniel Barenboim)