Minima Cardiniana 394/4

Domenica 2 ottobre 2022, Santi Angeli Custodi

IL DESTINO (SIA PURE NON MANIFESTO) DELL’OCCIDENTE
ASCESA, DECLINO E RINASCITA DELL’OCCIDENTE
di Bruno Bosi
Nel Medio Evo i paesi dell’Europa occidentale erano indicati come i paesi della così detta Civitas Cristiana in contrapposizione ad un oriente islamico. Con la riforma protestante e le guerre di religione, viene meno questa unità basata sulla cristianità, ma le affinità culturali che si erano create nei secoli precedenti portano questi paesi ad identificarsi nella definizione geografica di Occidente. Sono i paesi che avrebbero per primi imboccato la via della modernità, una corsa in avanti dovuta all’abolizione dei privilegi per nascita, che liberando delle energie ha consentito da un lato di incamminarsi lentamente verso la democrazia come forma politica di governo, dall’altro lato di procedere per primi sulla via dell’industrializzazione dove una serie di circostanze, di abilità, di coraggio fa sì che in poco più di un secolo possano usufruire di un progresso tecnologico che crea una distanza incolmabile tra questi e il resto del mondo.
Se si misura con grandezze riconducibili al PIL, possiamo dire che un’unica civiltà si è imposta riducendo le altre a posizioni marginali, in via di estinzione, espressioni folkloristiche. Una posizione di egemonia, contrassegnata da un’avidità senza scrupoli, che porta a giustificare la pretesa di ridurre tutta l’umanità e la natura al suo servizio. Naturalmente tutto questo non è né neutrale da un punto di vista politico, né naturale da un punto di vista ambientale. Da un punto di vista politico aveva dato origine al colonialismo, una situazione di dominio che ad un certo punto l’Occidente non ha più avuto la forza di mantenere. Oggi è all’origine del contrasto tra l’Occidente che pretende di imporre l’unipolarismo e chi rivendica una gestione multipolare della società divenuta globale grazie ai progressi tecnologici che riducono le dimensioni spazio e tempo. Da un punto di vista ambientale, la natura che aveva sempre tiranneggiato l’umanità, era considerata così forte da non poter essere scalfita, qualsiasi fosse il comportamento dell’uomo. Così ci sono voluti cento anni dall’affermarsi dell’industrializzazione per rendersi conto che anche la natura doveva essere tutelata dall’aggressione selvaggia del consumismo di massa. Se ci troviamo di fronte a una terza guerra mondiale in un contesto di surriscaldamento globale con effetti disastrosi per l’umanità evidentemente siamo su di una strada sbagliata che ci impone di cambiare rotta. Cerchiamo di capire come siamo arrivati in questa situazione per tentare di uscirne.
Durante gli ultimi secoli dell’antico regime resisteva un sistema medioevale decadente che anzi per reggersi doveva progressivamente estremizzarsi nell’assolutismo monarchico. A partire dalla fine del ’400 c’era anche una sempre più diffusa consapevolezza di poter pretendere più giustizia nelle relazioni tra esseri umani. La prima grande rivoluzione fu la riforma protestante con le lotte dei contadini tedeschi nel ’500. Nel ’600 abbiamo la rivoluzione inglese con le richieste dei livellatori per una più equa spartizione della terra. Nel ’700 queste aspirazioni confluiscono negli ideali diffusi dall’illuminismo che affermandosi hanno portato alla rivoluzione francese, alla fine all’antico regime ed all’inizio della modernità. Questi ideali vengono espressi per la prima volta in un programma politico con la Dichiarazione di indipendenza delle colonie americane: “Tutti gli uomini sono creati uguali, il Creatore ha fatto loro dono di determinati inalienabili diritti, tra i quali la vita, la libertà e la ricerca della felicità. Per salvaguardare questi diritti gli uomini si sono dati dei governi che derivano la propria giusta autorità dal consenso dei governati; ogniqualvolta una determinata forma di governo giunga a negare tali fini è diritto del popolo modificarla o abolirla, istituendo un nuovo governo che basi la sua opera su quei principi che sembrano i più adatti a garantire la sicurezza e la felicità dei governati”.
Su questa dichiarazione l’unico appunto è sul diritto alla “ricerca” della felicità. La felicità può dipendere da un’infinità di sfumature che rientrano nell’interiorità individuale, ma trattando di politica prendiamo in esame quegli aspetti che hanno a che fare col benessere materiale e con le relazioni tra umani. Così intesa la felicità per esistere presuppone una disponibilità di risorse che escluda la povertà e consenta un’esistenza dignitosa. Può essere impossibile da raggiungere se le risorse, sempre scarse, sono egoisticamente trattenuta da qualcuno in quantità tali da non poter essere utilizzate. Se per diritto alla felicità non si intende un qualcosa di puramente teorico, significa che deve esserci la possibilità non solo di cercarla ma anche di raggiungerla, e garantire queste condizioni è un dovere per istituzioni che si pretendono democratiche.
La modernità doveva esprimere nelle intenzioni dei rivoluzionari libertà uguaglianza e fraternità intesa come moderazione delle aspirazioni individuali. La libertà era la possibilità di determinare il proprio futuro senza i vincoli di ceto che avevano dominato l’antico regime nei secoli precedenti, ma doveva riconoscere come unico limite la libertà degli altri. La libertà è un diritto che per essere implementato in una società necessita della rimozione di istituzioni che ne sono la negazione, come era la nobiltà. L’uguaglianza non esiste, è un attributo che deve essere riferito a qualcosa per avere un significato. Fraternità era una prescrizione morale che non è possibile imporre con una legge, infatti prevalse la libertà di dare libero sfogo agli egoismi individuali. Ci vollero 150 anni e due guerre mondiali per rendersi conto che per rendere possibile una effettiva uguaglianza dei diritti di libertà, civili e politici, servivano ulteriori provvedimenti per tenere sotto controllo la spinta proveniente dagli egoismi individuali. Per riprendere un percorso ascendente della civiltà umana, dopo il disastro delle guerre mondiali, lo schema previsto dalla modernità fu rivisto con la Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo (DUDU) dove si arrivò ad una definizione più precisa dei diritti e dei principi da adottare per l’implementazione di questi. La DUDU dice esplicitamente che non può esistere benessere senza libertà ma è altrettanto vero che non può esistere libertà senza quel minimo di benessere che consenta l’accesso ad un’esistenza dignitosa. Nel preambolo si afferma: “è indispensabile che i diritti umani siano protetti da norme giuridiche, se si vuole evitare che l’uomo sia costretto a ricorrere come ultima istanza, alla ribellione contro la tirannia e l’oppressione”. La DUDU indica cinque categorie di diritti: civili, politici, sociali, economici e culturali. Questi devono essere riconosciuti a tutti gli esseri umani per la sola ragione di esistere, e quindi di appartenere alla comunità umana globale, riconosciuta come prima appartenenza. Quando si parla di diritti, questi devono essere distribuiti secondo i principi universali di giustizia e uguaglianza altrimenti diventano privilegi. Tutte le costituzioni del dopo guerra, compresa la nostra, si ispiravano a questi principi. Poi passati altri cinquanta anni in EU si aggiunge il diritto alla dignità come il risultato del godimento di tutti i diritti che spettano ad ogni essere umano. Ma è una dignità calata dall’alto, dalla benevolenza di chi ha troppo potere, politico o/e economico, che presuppone l’esistenza di chi ne ha troppo poco. Di fatto viene annullata la dignità che deriva dal lavoro. Anche questi provvedimenti non sembrano sufficienti a neutralizzare la spinta alla disuguaglianza che viene dal potere del denaro accumulato, senza limiti, per assecondare le pretese degli egoismi individuali che trovano espressione nel neoliberismo fino a giustificare una relazione di dominio esercitata dalla finanza predatoria.
Nello stesso tempo, i 150 anni dal 1800 al 1948, parallelamente alla codificazione di regole volte a garantire la possibilità di usufruire dei diritti civili, politici, sociali, economici e culturali avanza, con la sua ascesa e il suo declino, un altro modo di intendere le relazioni umane: il liberismo. Questo sistema è stato alla base della rivoluzione industriale inglese. Una realtà di fame e miseria nelle relazioni interne, e all’esterno il colonialismo come necessità di sottomettere continuamente nuovi territori in nome di un nazionalismo esasperato che avrebbe portato alle guerre mondiali. Al di là degli aspetti quantitativi della produzione è stato uno dei periodi peggiori per i lavoratori, la crudeltà con la quale erano trattati i cittadini inglesi più poveri, non ha uguali in tempi recenti, forse bisogna risalire a Sparta. “Cercate innanzitutto l’utile vostro: lo troverete quest’utile ottenendo la preferenza sopra degli emoli, tanto nel vendere, quanto nel lavorare; lo troverete nel fare i più lucrosi patti che si possa con quelli che vi offrono le loro derrate o prodotti, o i loro servigi. Li trarrete forse con ciò alla miseria, forse li rovinerete, fors’anco ne distruggerete la sanità e la vita. Ma di ciò non vi caglia: l’utile dei consumatori si è il fine al quale tendete; ed essendo ciascuno alla sua volta consumatore, voi cospirate all’utile di tutti, all’utile della nazione. Perciò non date retta a veruna considerazione, non lasciatevi smuovere da veruna compassione; perciocché forse sarete nel caso di dire ai vostri emoli: la vostra morte è la vita nostra”.
Questo era il programma liberista. Sostenere che fare del male agli altri produce il bene comune è difficile da credere e non può certamente essere un obbiettivo politico da codificare in una legge scritta. Ma nasce in Inghilterra dove non esiste il diritto scritto, le disposizioni giuridiche si basano sulla consuetudine. Un dato comportamento diventa consuetudine e assume valore di legge, ma il comportamento che si può imporre è sempre quello del più forte. Una legge scritta può essere cambiata modificata o annullata con un’altra legge mentre una consuetudine richiede tempi lunghi e convenienza per chi la deve accettare. Una volta che il potere politico è distribuito in parti uguali, escludendo la possibilità di limitare arbitrariamente la libertà degli altri, rimane per gli aspiranti dominatori il potere economico. Le conquiste di libertà, sicurezza e felicità codificate con la rivoluzione stavano per essere annullate da un nuovo elemento nato in Inghilterra alla fine del ’600 per finanziare una guerra: la cartamoneta. I ricchi prestavano il loro oro, che allora era la riserva di ricchezza, in cambio di pezzi di carta ai quali veniva convenzionalmente assegnato un valore superiore all’oro prestato. Il valore era garantito inizialmente dalla banca d’Inghilterra, ma era una scommessa che se andava a buon fine rendeva un utile e si poteva ripetere all’infinito, senza limiti. Questo metodo consentiva di concentrare forza economica in una data impresa come non era mai stato possibile prima di allora. I risultati furono strepitosi, le scelte in materia economica diventano profezie che si autoavverano. L’impresa poteva essere ad iniziativa pubblica o privata, economica o militare. Si innesca una competizione a procurarsi denaro prima tra privati poi anche a livello di stati nazionali che porta ad un’alleanza tra imprenditori capitalisti e politica per primeggiare nella competizione tra stati.
Una volta toccato il fondo con gli orrori della guerra abbiamo avuto uno dei rari momenti di lucidità dei politici che ha partorito la DUDU. Questa prevedeva un mondo dove le nazioni grandi o piccole potevano e dovevano convivere in pace libere di seguire la propria strada verso un futuro migliore. Il progetto fu subito stravolto dalla contrapposizione bipolare. Ci si doveva schierare da una parte o dall’altra. L’Europa occidentale rinunciava alle sue pretese di dominio sul resto del mondo. Le pretese rinunciate dall’Europa vengono fatte sue dalla nuova potenza emergente. Da allora l’Europa si accoda servilmente alla volontà USA andando a costituire un unico blocco, con una dimensione che può ancora consentire di aspirare ad una relazione di dominio. Il bipolarismo vedeva da una parte i paesi più ricchi ed evoluti anche da un punto di vista sociale e civile, dall’altra i paesi che tentavano di costruire una società come indicato dalle teorie marxiste. Il risultato per questi paesi che partivano da posizioni molto arretrate fu estremamente deludente, vuoi per la pressione imposta dai paesi occidentali vuoi per gli egoismi individuali dei politici di questi paesi che portavano alla corruzione e al tradimento degli ideali di uguaglianza ufficialmente perseguiti. Paradossalmente gli ideali marxisti traditi nei paesi a socialismo reale portavano effetti positivi nei paesi occidentali che questi ideali non avevano mai accettato. Contribuivano al progresso delle nostre società in quanto sostenevano la possibilità di un futuro migliore per i lavoratori con una distribuzione più equa della ricchezza prodotta col lavoro. Indicavano la possibilità di un’alternativa che non era realizzata dove imperavano le teorie marxiste ma era pur sempre un’alternativa ideale. Fino a quando è esistita questa alternativa l’occidente ha vissuto una fase di progresso per un periodo durato 40 anni, condizionato dai principi della DUDU il cui risultato più eclatante fu l’abolizione del colonialismo. La politica non poteva mettere in discussione il sistema capitalista e le sue contraddizioni, per non indebolirlo nel confronto tra i due sistemi economici impegnati nella guerra fredda. Il potere politico deve chiedere la disponibilità delle risorse economiche, necessarie alla sua esistenza, al potere economico. La politica se le deve guadagnare assecondando le richieste di chi ne ha la disponibilità: i capitalisti industriali al tempo del liberismo, i capitalisti finanziari in tempo di neoliberismo. La competizione liberista deve produrre dei vinti e dei vincitori, questo è il suo punto di forza in quanto spinge all’arrampicamento sociale. La politica deve incentivare le performance dell’economia e nello stesso tempo porre rimedio alle ingiustizie sociali che questa produce, è una contraddizione irrisolvibile. Anziché risolvere i problemi strutturali insiti nel capitalismo deve trovare dei rimedi di carità pubblica o privata, il welfare, andando ad appesantire la burocrazia già inefficiente e ritagliandosi un potere di discrezionalità che amplifica il rischio di rapporti clientelari. Per questo la politica oggi viene disprezzata e percepita come fonte di uno sperpero di risorse che possono essere prelevate solo da chi lavora.
Poi col crollo dei paesi comunisti abbiamo di nuovo l’affermazione del liberismo o neoliberismo con la transizione dal capitalismo industriale al capitalismo finanziario. I principi indicati dalla DUDU vengono spudoratamente calpestati dai nuovi dominatori che si sono ritagliati una dimensione virtuale, extraterrestre una specie di nuovo Olimpo irraggiungibile da eventuali rimostranze umane. Quando l’economia dei paesi occidentali identificata nel sistema capitalista, ha costretto alla resa l’antagonista comunista, pretende carta bianca nella strutturazione di una nuova società. Si riprendono indietro i diritti concessi nel secolo scorso. La strada da seguire per il nuovo corso neoliberista veniva indicata dalla Thatcher nel discorso di insediamento alla guida del governo conservatore nel 1979: “Dove c’è discordia porteremo armonia, dove errore la verità, dove il dubbio la fede, dove c’è disuguaglianza porteremo la speranza”.
Anche qui dei quattro obiettivi proposti il più facile da raggiungere sembrerebbe essere quello di una minore disuguaglianza; invece non si promette per questo problema una soluzione come per gli altri tre, si indica un generico rimedio che può andare bene per tutti i mali e che può solo servire per sopportare con rassegnazione le ingiustizie dovute alla disuguaglianza. L’individuo diventa un ingranaggio di un meccanismo più grande di lui, col quale, rinunciando a comprenderne il funzionamento, diventa difficile entrare in un rapporto critico. Ci si accontenta della gratificazione data dalla possibilità di consumare e del miraggio dell’arricchimento possibile, in quanto non vietato. È l’edonismo reaganiano teorizzato dal presidente degli USA, così definito dall’enciclopedia Treccani: “Desiderio consumistico di vivere bene a dispetto degli altri, senza farsi troppi scrupoli, sfruttando a proprio vantaggio le disuguaglianze insite nel sistema capitalista liberista”.
Nell’uso comune indica la tendenza estremamente individualista che la società occidentale ha assunto a partire dalla fine degli anni ’80. Rappresenta una sorta di legge della giungla, in cui non c’è spazio per la solidarietà sociale e dove la competizione per emergere economicamente e socialmente è senza esclusione di colpi. Questo era il programma del presidente degli USA, potenza egemone della nostra epoca, che ha condizionato lo sviluppo economico mondiale degli ultimi trenta anni. Inizialmente il nuovo corso neoliberista sembra un trionfo, ma coi nuovi mezzi di comunicazione che apparentemente annullano le dimensioni spazio e tempo, l’evoluzione o involuzione della società corre molto più velocemente che non nel 19° o 20° sec. Dopo 20 anni di edonismo e deregulation confluiti nel neoliberismo abbiamo la crisi finanziaria del 2007 che ci porta ad un passo dal crollo di tutto il sistema capitalista, consumista e finanziario. In quell’occasione la necessità di dare attuazione ai principi della DUDU per quanto riguarda i diritti sociali ed economici è stata ammessa da tutti i capi di stato. Il presidente americano dichiarava: “Ridistribuire la ricchezza frutto del lavoro, a chi materialmente la produce, solo questo può riportare il mondo ad una crescita sostenibile, in direzione della felicità”, ma subito smentita da un’altra dichiarazione sempre del presidente Obama: “la condotta dei grandi gruppi finanziari va considerata riprovevole sotto il profilo etico, ma dal punto di vista legale non si può imputare loro nulla”.
Quindi si accetta che un potere finanziario abnorme, al punto da sottomettere il potere politico, determini una nuova etica dell’ingiustizia mentre dovrebbe essere l’etica dei diritti uguali per tutti a determinare le scelte politiche. Come è possibile una tale deriva in un mondo dove ormai tutti i governi si definiscono espressione democratica della volontà dei rispettivi popoli? Tutti i paesi che si identificano in un’appartenenza occidentale hanno la necessità di rivitalizzare le loro istituzioni ma non hanno politici capaci del ruolo di precursori di un futuro migliore. Un rilancio della politica può partire solo dal basso, dall’aspirazione ad un futuro migliore, nella consapevolezza che i diritti che pretendiamo per noi li dobbiamo riconoscere anche agli altri. Come avvenuto per il diritto alla libertà. Lo stato che in occidente ha puntato sulla democrazia si trova ad un punto di svolta. Deve scegliere se salvare la democrazia, che non può essere imposta con la guerra, ma con l’applicazione dei principi di giustizia e uguaglianza per tutti i diritti, anche sociali, economici e culturali, oppure accettare l’egemonia di un centro di potere più forte dello stato.
Le radici della volontà di dominio di un unico vertice unipolare derivano dal modello o sistema occidente, il vincitore della guerra fredda e apparentemente il predestinato al dominio sulla società globale. L’antagonismo tra i due sistemi economici, capitalismo e comunismo, aveva comportato una contrapposizione ideologica estrema che aveva spinto l’occidente alla cementificazione in un unico blocco. Vengono cancellate le differenze politiche, con un processo di integrazione economica, monetaria, commerciale e militare. Tutto ciò avviene senza che ci sia un autorità o una istituzione politica sovrastante che spinga in questa direzione. Paradossalmente viene escluso il metodo democratico nelle decisioni in quanto tutti i paesi aderenti a questo progetto sono considerati democratici. Sembra che il tutto sia dovuto ad una tacita convenienza che può più di una legge o di un trattato internazionale nel determinare una convergenza dei politici statali sempre gelosi della loro formale sovranità. Il tutto avviene senza la regia di una autorità politica che probabilmente sarebbe rifiutata come era stato rifiutato l’impero. La situazione attuale è stata ed è tuttora pesantemente condizionata e dominata dall’Occidente, la più grande concentrazione di potere politico economico e militare mai esistita, e lo è stata senza istituzioni politiche preposte alla guida. Eppure, nonostante la vittoria nel confronto bipolare, il sistema occidente sembra entrato in una fase di declino irreversibile. La scomparsa della voce del socialismo come freno alle pretese liberiste consente all’egoismo dei dominatori, pochi, di estremizzarsi e diventa difficile che il ruolo di dominati riservato a molti sia pacificamente accettato. Viene a mancare quel minimo di coesione indispensabile per l’esistenza di qualsiasi comunità. Oggi il sistema Occidente è superato, non ha più una ragione di esistere, è sottomesso da un sistema che ne ha copiato la sua mancanza di una struttura istituzionale ritagliandosi un’identità addirittura virtuale: la finanza globale. Questa non persegue l’interesse dei popoli occidentali ma il dominio dei ricchi sui poveri senza distinzioni di razza, di religione, di nazionalità. Un’organizzazione che si pretende sovrastatale ma non è più politica bensì finanziaria, per darsi una ragione di esistere deve trovare dei nemici comuni, e concentrarsi in quell’attività che era centrale per l’istituzione politica stato: la guerra. Il blocco Occidentale non ha più ragione di esistere in quanto non rispecchia più un’identità di interessi tra una parte e l’altra dell’Atlantico, i motivi di divergenza superano quelli di convergenza, se le istituzioni devono cercare il benessere dei cittadini. Come nella migliore tradizione anglosassone questa divergenza viene dissimulata con la definizione inclusiva di atlantismo dove l’unico motivo di convergenza è l’imposizione dell’unipolarismo. Il tentativo di omologazione globale su un unico valore o un’unica fede nel denaro è disumano, contro l’umanità e contro l’ambiente in cui dobbiamo vivere. Alla conferenza di Parigi sul riscaldamento globale erano presenti 192 capi di stato, tutti indebitati e quindi con scarsa possibilità d’azione. Era presente anche la finanza globale con i10 uomini più ricchi del mondo, accreditati di una ricchezza che è un multiplo dei debiti complessivi degli stati e dei privati che si dichiaravano, bontà loro, disponibili a prestare il loro denaro per risolvere i problemi ambientali del nostro pianeta. Non possiamo essere così imbecilli da pensare di poter far dipendere la realtà dalla fede in qualcosa che è una pura convenzione. Questo è un atteggiamento di pigrizia e egoismo per eludere le nostre responsabilità riguardo al futuro delle nuove generazioni.
Chiediamoci quali sono i compiti del potere politico nei paesi che si pretendono democratici: garantire la libertà e rimuovere gli ostacoli che impediscono di dare un esito positivo alla ricerca della felicità. Equivale a dire che la ricerca di un futuro migliore è il motore del progresso contrapposto alla rassegnazione al declino. Se le nostre società dedicassero, le energie che dedicano a promuovere il consumismo, alla diffusione dei valori espressi nella Dichiarazione universale dei diritti umani, l’umanità non sarebbe incamminata verso un orizzonte di disastri ambientali e di disuguaglianze che portate all’estremo creano sempre più povertà, esclusione, insicurezza e violenza. Il rilancio di una politica che sappia ascoltare le aspirazioni ad un futuro migliore provenienti dal basso è ancora possibile senza ricorso alla violenza grazie alla conquista avvenuta nei due secoli passati dell’uguaglianza dei diritti politici. Questo era il primo passo in direzione di una società democratica, ma la democrazia per essere effettiva non può limitarsi a mere formalità elettorali, deve informare di sé tutte le relazioni anche economiche, sociali e culturali.
La politica siamo noi cittadini normali, non dobbiamo aspettarci soluzioni da una classe dirigente che si auto gratifica con il potere che noi le deleghiamo. Alla politica non può essere delegato il potere di intaccare la libertà individuale, sarebbe un rischio enorme. Gli esseri umani sono come sono, per metà buoni e per metà cattivi. Non si può abolire l’imbecillità con una legge così come non si può imporre la convivialità e la condivisione o la fraternità. La politica deve stimolare la valorizzazione delle capacità individuali lasciando spazio a socialità, convivialità, giustizia ed uguaglianza come valori irrinunciabili al posto di un unico valore riconosciuto al denaro, intervenendo su quegli strumenti che, legittimati e istituzionalizzati, si dimostrano portatori di conflittualità e povertà o limitano la libertà. È qui la differenza sostanziale tra il liberismo che con mezzi subdoli, ma di una potenza sconvolgente, condiziona la libertà individuale e la politica che dovrebbe agire allo scoperto sugli strumenti istituzionalizzati per perseguire il bene comune. Quindi non proibire l’avidità di denaro ma togliere la funzione di riserva di valore al denaro, non impedire ai singoli il desiderio di uno stile di vita consumista ma impedire una pubblicità falsa ed ingannevole, delegittimare l’uso dei mezzi di comunicazione se diventano dei mezzi di controllo sui singoli individui, se impediscono di riflettere, di pensare autonomamente. Accettare dei limiti o moderazione anche nella bramosia di denaro è il primo passo per preferire nelle relazioni con gli altri, la pace alla guerra e la collaborazione alla conflittualità. È ciò che è avvenuto con l’implementazione dell’uguaglianza dei diritti politici dove nessuno può pretendere di avere più potere di un altro. Poi le capacità, abilità e meriti individuali salvaguardano un naturale margine di disuguaglianza. L’uguaglianza non può e non deve essere assoluta ma neppure la disuguaglianza, ci vuole moderazione per convivere in pace coi nostri simili. Solo se la politica sarà in grado di agevolare una svolta in questa direzione potrà esserci una soluzione per i problemi sociali e ambientali. Spetta a noi cittadini dei paesi occidentali imporre alle nostre istituzioni questo cambio di direzione per ritornare ad avere un ruolo di avanguardia nella marcia verso una società globale multipolare. Un modello da imitare per l’elevato livello di qualità della vita che consente ai suoi cittadini, senza aver nulla da temere dal confronto con altre realtà, libere di scegliere strade diverse dalla nostra. Se invece lasciamo che i nostri politici si sottomettano al vertice unipolare, insieme ci porteranno alla povertà e alla guerra col pretesto di imporre una democrazia che non è più tale, mentre in realtà vogliono imporre o mantenere il loro dominio sull’umanità. Con questo non intendiamo demonizzare gli artefici del capitalismo, ma per salvare quello che c’è di buono in quel sistema deve esserci anche una pressione che esprima gli interessi della stragrande maggioranza dei cittadini traditi dai politici che si danno da fare per convincerci dell’inevitabilità del declino. Le correzioni da apportare al sistema, per evitare un crollo pericoloso per tutti, devono essere sostanziali. Togliendo la funzione di riserva di valore per il denaro, sottoponendolo ad una scadenza, tutto andrebbe a posto da solo, avremmo la moderazione nella bramosia di denaro, l’accettazione di un limite all’accumulo, pur nel rispetto della disuguaglianza delle capacità individuali. Per preparare il terreno ad una riforma, così radicale ma indispensabile, dobbiamo iniziare a riformare quegli elementi che possono contribuire ad una rivitalizzazione della politica: informazione, istruzione, lavoro e governabilità.