Domenica 16 ottobre 2022, Santa Edvige
ARTE, ARTE E ANCORA ARTE
L’ARTE MUORE CON AUSCHWITZ E TUTTE LE ALTRE GUERRE? FALSO!
di Eleonora Genovesi
“La vita abbatte e schiaccia l’anima e l’arte ti ricorda che ne hai una”.
(Stella Adler)
Il momento storico che stiamo vivendo non si può certo definire dei migliori. L’eco di questa terribile, ingiusta guerra e di tutto ciò che ne consegue si sta propagando con sempre maggior ampiezza.
Appartengo alla generazione nata in pieno boom economico, a quella generazione che pensava che la parola guerra non avrebbe mai fatto parte del proprio vocabolario… Ma come si suol dire: mai dire mai… A volte mi sento come l’uomo dell’Urlo di Munch, con il mio urlo contro le guerre, tutte le guerre, che resta dentro di me desideroso di poter esplodere.
Mi sento giù e allora ancora una volta la mia adorata Arte viene in mio soccorso ricordandomi che ho un’anima da tutelare… Credo che la salvaguardia dell’anima sia stata anche la strada percorsa da quegli artisti che hanno vissuto l’orrore della guerra come il grande Marc Chagall.
I ragazzi chiedono di questa guerra e allora ho pensato di raccontare loro come l’Arte rappresentata dal Trittico “Resistenza – Resurrezione – Liberazione” di Marc Chagall abbia vinto sulla morte e sulla distruzione che caratterizzano tutte le guerre. È una tela potente, vibrante, e quando ne parlo sono pervasa da un’intensa emozione e commozione. Il Trittico dell’ebreo Chagall fa riferimento alla situazione venutasi a creare in Europa dopo la proclamazione delle leggi razziali nel 1938 ed alla successiva seconda guerra mondiale.
E allora ecco quel che ho raccontato oggi ai miei attoniti studenti proiettando la lezione sulla Lim. Man mano che vedevano le immagini è calato il silenzio.
“Dio mio, Dio mio perché mi hai abbandonato?” (Mc 15,34; Mt 27, 46).
Credo sia questa la domanda che si son poste tante persone dopo le leggi razziali del 1938. La Crocifissione bianca fu realizzata da Marc Chagall dopo la Notte dei Cristalli. Rappresenta un grido ancora attuale contro la follia dei nazisti del tempo e di tutti gli estremisti e i guerrafondai di oggi.
“Non hanno mai capito chi fosse veramente questo Gesù. Uno dei nostri rabbini più amorevole che soccorreva sempre i bisognosi e i perseguitati. Gli hanno attribuito troppe insegne da sovrano. È stato considerato un predicatore dalle regole forti. Per me è l’archetipo del martire ebreo di tutti i tempi”. Queste sono le parole di uno dei più significativi artisti del Novecento, un pittore russo di origine ebraica che ha raccontato attraverso i suoi suggestivi dipinti la difficile condizione storica in cui è vissuto e, in particolare, quel tragico periodo caratterizzato dalle stragi razziali della seconda guerra mondiale: Marc Chagall (Vitebsk, 1887 – Saint-Paul-de-Vence, 1985).
L’artista è nato nella cittadina di Vitebsk, nell’attuale Bielorussia, da una famiglia di fede ebraica e le sue origini hanno provocato conseguenze nella sua vita, soprattutto quando il nazismo ha preso il potere in Germania e sono state diffuse le leggi antisemite.
Il pittore, a causa della sua “razza”, durante la seconda guerra mondiale fu costretto ad abbandonare Parigi per emigrare negli Stati Uniti dove si stabilì dal 1941 al 1948. La volontà di rappresentare il dolore umano, causato dalle discriminazioni e dalle brutalità perpetrate sulla razza ebrea da coloro che si ritenevano di una razza superiore poiché “pura”, si è accentuata in Chagall a seguito dei ripetuti pogrom, il termine russo con cui vengono indicate le violente devastazioni subite dagli ebrei per mano delle popolazioni locali avvenute in territorio russo e in altre aree del mondo. Durante questi atti di violenza, gli ebrei subivano aggressioni, che spesso si concludevano con la morte, e con saccheggi e distruzioni delle loro proprietà e degli edifici a loro connessi. Con l’ascesa del nazismo in Germania, nel 1933, la violenza era divenuta, secondo tale ideologia, strumento per riportare l’ordine, per eliminare tutto ciò che apparteneva alla razza inferiore. Nell’ampia e vasta scia di pogrom che sono stati attuati, il più tragico e devastante è stato quello comunemente conosciuto come la Kristallnacht, la Notte dei Cristalli, avvenuta nella notte tra il 9 e il 10 novembre 1938. Le strade delle città della Germania, dell’Austria e della regione dei Sudeti della Cecoslovacchia erano un cumulo di vetri in frantumi. I vetri delle case, delle sinagoghe e dei negozi di proprietà ebraica furono distrutti, le sinagoghe bruciate e saccheggiate, i magazzini dei negozi depredati e le vetrine ridotte in frantumi, i cimiteri ebraici vennero profanati… Tutto questo vi richiama alla mente qualcosa di attuale?
La Notte dei Cristalli è ricordata come uno dei momenti salienti della persecuzione ebraica: una notte di violenza per il solo motivo di appartenere a una razza diversa.
La notte che ha segnato un punto di svolta verso un mondo caratterizzato sempre più dall’odio e dalla morte. Ed è in concomitanza con la Kristallnacht che Marc Chagall ha realizzato la sua Crocifissione bianca. La denominazione “bianca” è dovuta alla prevalenza del colore bianco sullo sfondo del dipinto, che presenta anche sfumature sui toni del grigio, più chiaro verso il basso e più scuro verso l’alto.
L’opera è costruita con immagini e rievocazioni che provengono dal mondo cristiano e dal mondo ebraico, allo scopo d’imprimere sulla tela le sofferenze, le violenze e i soprusi patiti dagli ebrei. Primo su tutti, dal Cristo crocifisso, che sebbene sia il simbolo cristiano per eccellenza, diviene qui, e nella maggior parte delle Crocifissioni di Chagall, l’archetipo del martire ebreo. Gesù in croce è posto dall’artista al centro della composizione, illuminato da un ampio fascio di luce bianca. Sulla vita indossa un tallit, lo scialle di preghiera ebraico, e il capo non è circondato, come nell’abituale iconografia cristiana, dalla corona di spine, bensì da un panno bianco. Sulla croce è riportata ben due volte l’iscrizione INRI, acronimo latino di Iesus Nazarenus Rex Iudaeorum, ovvero Gesù il Nazareno, Re dei Giudei: di colore rosso in lettere gotiche per ricordare i pamphlet antisemiti dei nazisti e il colore del sangue, e di colore nero in lettere ebraiche scritto per esteso. Alla base della croce, che la illumina, è posta una Menorah, il candelabro a sette braccia, alimentato ad olio: è uno dei simboli più ricorrenti dell’ebraismo e il suo stesso nome rimanda alla luce; secondo la religione ebraica, è stato costruito da Mosè per l’Arca del Patto, ovvero la cassa rivestita d’oro che quest’ultimo ha realizzato per volere di Dio al fine di custodire la sua testimonianza, le Tavole della Legge. Appoggiata alla croce, è stata collocata una scala: utilizzata per l’atto stesso della crocifissione, questa indica probabilmente il legame tra cielo e terra.
Attorno a Gesù crocifisso, Chagall ha raffigurato varie scene: in senso antiorario, si vedono sopra la croce tre uomini e una donna, al posto dei consueti angioletti, che esprimono tutta la loro disperazione piangendo, portandosi le mani al viso e pregando perché la diffusa violenza e sofferenza giunga al termine al più presto. Sono raffigurate poi case dilaniate dalle fiamme e persino rovesciate, dal cui interno sono usciti alcuni abitanti impauriti.
Il villaggio ebraico è stato incendiato dai soldati che, armati, si trovano appena fuori dal centro abitato e innalzano fieri le bandiere rosse: il fatto riconducibile a un pogrom in territorio russo in cui il colore rosso delle bandiere indica l’appartenenza al comunismo di Stalin. Poco più in basso, l’artista ha dipinto una barca ricolma di profughi ebrei che stanno cercando di buttare l’ancora per salvarsi e attraccare su terra sicura. Una scena ancora molto attuale, nonostante siano trascorsi ottant’anni dalla data di realizzazione del quadro, una scena che esprime la fuga dalle terre natie con la speranza di salvare le proprie vite in parti del mondo non contaminate dalla guerra e dalla devastazione. Nell’angolo in basso a sinistra, tre uomini anziani stanno cercando di proteggere, sottraendola all’indubbia distruzione, una Torah, le leggi e i comandamenti ricevuti sul monte Sinai; nella tradizione ebraica la Torah indica i primi cinque libri della Bibbia, dalla Genesi alla morte di Mosè. Uno dei tre uomini in fuga, nella prima redazione del dipinto, portava al collo un cartello con scritto “Ich bin Jude”, “Sono ebreo”, ulteriore segno di riconoscimento.
Nata come un’unica composizione nel 1937 con il titolo di “Rivoluzione”, l’autore, sconvolto dalla guerra e dallo sterminio, nel 1943 taglia l’opera in tre sezioni e la ricompone in questa maniera. Riuscirà a terminarla solo nel 1952. I primi due pannelli sono intimamente legati tra loro: in essi Chagall esprime il tragico destino degli Ebrei, di cui Cristo è l’incarnazione. Un destino nel contempo attuale e atemporale: “È l’essenza stessa della persecuzione” scrive Sylvie Forestier “che si manifesta in quest’immagine: Cristo, in quanto ebreo, è martire da tutta l’eternità”.
Il terzo scomparto, “Liberazione” (1952) nel suo sfolgorio cromatico esprime da una parte la felicità del pittore per la fine dell’Olocausto e per la creazione dello Stato ebraico, dall’altra la vittoria della vita e dell’arte sulla morte. Tre cerchi concentrici evocano il sole oppure la ruota del destino. La figura dominante che si erge dal centro rosso è quella del violinista, a cui è affidato il compito di esprimere gioia e luce attraverso la musica del suo strumento.
Attorno i temi più cari all’artista: la madre sulla soglia della sua casa, vicino a lei il gallo, spesso metafora del pittore, la città natale, il candeliere, l’occhio scrutatore, il matrimonio con Bella allietato da un altro violinista, la capra, il circo con i suoi giocolieri, musicisti e acrobati, un violoncellista: “forme sonore come suoni”, scrisse Chagall. Infine il pittore stesso, nell’atto di dipingere, con un’espressione accesa e serena che fa dimenticare la smorfia di raccapriccio, quando era disteso nel mezzo di una strada insanguinata, nel tetro pannello “Resurrezione”.
La gioia cromatica che inonda il dipinto sembra sprigionarsi dal violino stesso, magico strumento che suona, con i colori, un inno all’amore e all’arte e alla vita.
Leggendo le tre tele da sinistra a destra vediamo come il rosso del sangue, del furore, della sofferenza retrocede per lasciare spazio alla luce della Pasqua. In Liberazione in alto a sinistra il crocifisso brilla vittorioso, vivente, mentre prima dominava la scena: ora è la vita illuminata da lui ad essere rappresentata.
Gesù è ormai il vivente che ci lascia in eredità la responsabilità di gioire: suonare il violino, dipingere, sposarsi, amarsi… di fare memoria della sofferenza vissuta senza soccombere sotto il suo ricordo, cercando di non perpetuarla perché ormai ne siamo liberi.
Il sole rosso al centro di Liberazione è quel sole che ogni mattino torna a ricordarci che si può ripartire e ricominciare… ogni giorno! Riprendendo le parole dell’omelia: “dove c’è sofferenza e dolore senza vie d’uscita, c’è il Vivente che porta la liberazione, la salvezza”.
Chagall dunque testimonia con la sua opera di come la potenza e la forza dell’arte vincano la morte. Nessuna Buchenau, Dachau, Bergen-Belsen, Auschwitz passate e presenti, hanno avuto la meglio sulla vita perché: l’arte è stata a quei tempi ferita, come lo è oggi, è stata essa stessa una ferita, ma una ferita che è diventata luce…
Dunque L’arte è una ferita che diventa luce.
Con l’augurio che si anteponga il bene del pianeta ad interessi individualistici, con l’augurio che si capisca che è meglio siglare un accordo del continuare la guerra, con l’augurio che non si renda la guerra l’unica soluzione alla guerra, lasciamoci illuminare dalla luce dell’Arte.
“Arte significa mostrare Dio dentro ad ogni cosa che esiste”.
(Hermann Hesse)