Minima Cardiniana 397/5

Domenica 23 ottobre 2022, San Giovanni da Capestrano

INFORMAZIONE E POLITICA
di Bruno Bosi
L’informazione è una relazione tra informato e informatore. Semplificando diciamo che per orientarci distinguiamo tra informazione che riguarda la cronaca, i consumi, lo sport, il meteo ecc. da una parte e l’informazione che riguarda la politica e l’economia. Nel primo caso si può accettare l’informazione come qualcosa che cala dall’alto, un rapporto unidirezionale che ognuno, teoricamente, è libero di prendere o lasciare. Nel caso dell’informazione politica la relazione è completamente diversa, le proposte politiche una volta che diventano provvedimenti e sono comunicati ai cittadini sono vincolanti, sono una limitazione della libertà per qualcuno e possono essere un’amplificazione della libertà per qualcun altro.
Un intreccio di connessioni estremamente complicato in società articolate come le nostre che si pretendono democratiche ma anche liberiste cioè occidentali. Il dilemma di queste società, fin dall’inizio della modernità, è sempre stato sulla gestione delle questioni economiche: fanno parte delle libertà individuali oppure sono di competenza della politica? La risposta non è facile, dipende dalle dimensioni dei fenomeni prodotti dalle conquiste della tecnica che vanno a stravolgere relazioni calibrate su strumenti che possono andare in disuso e sostituiti da altri che sfuggono ai controlli imposti da consuetudini o da regole non applicabili alla nuova realtà. La relazione tra informati e informatori, per quanto riguarda le notizie a contenuto politico, non può essere unidirezionale, cioè calata dall’alto ma deve connettere due parti dove la sovranità è degli informati se vogliamo rimanere in un ambito democratico. Per essere efficace l’informazione politica deve stimolare e dare spazio a proposte di cambiamento e miglioramento del sistema dominante. Ma deve esserci un metodo ben distinto dall’informazione unidirezionale, sia come contenuto che come valori di riferimento. Quando parliamo di politica serve moderazione, saper accettare dei limiti, riconoscere agli altri i diritti che pretendiamo per noi, come del resto abbiamo già fatto coi diritti politici di libertà: la libertà ha un solo limite, la libertà degli altri. Oggi la democrazia è in crisi, è svuotata di senso e di valori proprio perché travisata da una rappresentazione diseducante prodotta da un’informazione unilaterale calata dall’alto. Anziché promuovere una maggiore uguaglianza nel godimento di tutti i diritti, civili, politici, sociali, economici e culturali giustifica la corsa alla poltrona con relativi privilegi per i politici e l’accumulo illimitato di denaro per la finanza.
Nel nostro paese l’evoluzione delle istituzioni è stata ostacolata dalla mancanza di condivisione di qualsiasi iniziativa politica. La democrazia viene percepita come conflittualità mentre dovrebbe essere un metodo di ricerca della condivisione. Il dibattito politico è proposto al pubblico o al popolo sovrano nelle innumerevoli trasmissioni televisive dai toni scandalistici che fanno della conflittualità uno spettacolo. Questo consente di aumentare il numero di spettatori che dovranno sorbirsi la pubblicità, e porta introiti in grado di trasformare i conduttori di queste trasmissioni “false” in star dello spettacolo. Conflittualità aggressività maleducazione sono il pepe del successo e sono la rappresentazione che il popolo si fa della politica: falsa, inconcludente, ridicola e inutile. Questo va avanti da alcuni decenni, il risultato è un discredito della politica, della democrazia, della giustizia e dell’uguaglianza. Le trasmissioni scandalistiche non producono un sentimento di rifiuto per comportamenti scorretti anzi ormai sono accettati come normalità, uno spettacolo divertente. Vale anche per gli scandali che coinvolgono i rappresentanti eletti dal popolo. Forse è funzionale ad un disegno di discredito della politica e dei diritti politici in quanto riconosciuti uguali per tutti. Poi, a partire dal 2008, qualcosa deve essersi inceppato ma non va detto al pubblico delle trasmissioni delegate all’informazione. Il pubblico, gli elettori vanno ulteriormente addomesticati ad accettare non più la competizione ad arricchirsi ma la rassegnazione ad impoverirsi. Questo è il progetto del nuovo ordine proposto dal potere virtuale o extra terrestre di chi pretende di dominare il mondo col controllo della finanza. Ed ecco che informazione e politica miracolosamente e servilmente apprezzano l’efficienza dell’unanimità, sulla più opinabile delle alternative: la guerra. Prima con la pandemia poi con la guerra politici e conduttori diventano apologeti di un’unica versione dei fatti. Non sono ammessi dubbi. Da una parte tutto il bene dall’altra tutto il male. Si ipotizza la terza guerra mondiale con armi atomiche. Se i dominatori riusciranno ad evitarci questa catastrofe noi comuni mortali potremo pure rinunciare al riscaldamento, all’acqua calda, alla doccia; potremo abituarci ad una dieta a base di vermi e altre schifezze; in altre parole, accettare il declino e rinunciare ad un futuro migliore.
La storia dell’umanità è con continuo susseguirsi di eventi determinati dalla contrapposizione tra dominatori e dominati. Il progresso sta nella realizzazione delle aspirazioni dei dominati a condizioni di vita migliori. Il declino sta nell’inasprimento delle condizioni imposte dai dominatori. Oggi siamo indubbiamente in una fase di declino. Per invertire la rotta dobbiamo partire da un atteggiamento critico nei confronti della gestione attuale delle relazioni economiche e politiche, sia all’interno dell’occidente che nelle relazioni di questo col resto del mondo. Le nostre critiche sono originate dalla volontà e necessità di vivere umanamente in contrapposizione al modello imposto dalle istituzioni, deviate dalle assurdità del paradigma liberista dominante. Iniziamo col chiederci che cosa significa paradigma, una parola usata e abusata per disinformare. Serve per fare accettare acriticamente il garbuglio di miti, paradossi, e assurdità che insieme contribuiscono o costituiscono le relazioni del modello dominante: un 1% di dominatori e un 99% di dominati. Oggi il paradigma, una parola derivante dal greco antico, si indica anche con un neologismo anglo-digitale: “mainstream”. Entrambi sono usati per dare un senso di fatalità, che diventa normalità, ad una società dove ci sono disuguaglianze eccessive. Il paradigma è una visione della realtà, una tra le tante, che ad un certo punto riesce ad imporsi sulle altre. Se riconosciuta dalla comunità scientifica, che a sua volta deve essere riconosciuta come tale, da un giudizio sempre opinabile, assume il valore di una rivoluzione scientifica diventando la normalità. A quel punto deve essere accettata senza tener conto dell’origine storica e sociale, una fatalità. Il paradigma porta con sé l’accettazione, la sottomissione, la rassegnazione ad un punto di vista che pertanto deve essere subito. Si accetta un paradigma inconsapevolmente, ci si lascia incanalare da forze occulte in un percorso del quale non si conosce la destinazione. Non la conoscono coloro che la devono subire se non come rassegnazione o accettazione passiva del declino e non la conoscono i dominatori se non come primitiva soddisfazione per una smisurata bramosia di ricchezza virtuale e inutilizzabile. Il paradigma è un mito che si vuole divulgare dandogli una veste di normalità fatta passare per razionalità. Il mito è una rappresentazione tendenziosa della realtà che, proposta e imposta da una élite economica, politica e intellettuale viene accolta con un atto di fede. È una visione essenzialmente conservatrice che persegue l’immutabilità delle gerarchie nelle relazioni sociali: conservare i privilegi per chi ce li ha. Oggi il perno sul quale si fonda il mito dominante o paradigma è il riconoscimento della funzione di riserva di valore attribuita al denaro. Un potere eterno ed illimitato del denaro e di chi ce l’ha. La ricchezza virtuale, attribuita al denaro accumulato e accumulabile perché destinato a restare inutilizzato e inutilizzabile, è diventato il potere politico dei dominatori. In realtà è il prodotto di una fede, implementata da un’informazione di parte, che scompare se gli voltiamo le spalle.
Il mezzo per implementare il paradigma dominante è un’informazione falsa che risponde ad un potere proveniente dall’alto, da una dimensione virtuale con la quale non sono previsti strumenti istituzionali di dialogo. È il potere della finanza, grande, quanto è grande la disuguaglianza sociale. Dopo trenta anni di neoliberismo la disuguaglianza ha superato il precedente picco raggiunto prima delle guerre mondiali. L’informazione agisce tramite il condizionamento dei sentimenti, delle opinioni e della volontà di agire, operato da una disinformazione martellante e invasiva che può contare su mezzi di comunicazione potentissimi, complessivamente irresistibili. Riesce a produrre una rappresentazione degli eventi più forte della realtà volta ad esaltare la gloria del modello liberista che deve risultare invincibile per conservare forza di attrazione. L’opinione pubblica è trascinata a prendere posizione su relazioni conflittuali tra paesi lontani che la disinformazione ci fa apparire come questioni vitali, mentre ci sono tenuti nascosti i principi applicati nella distribuzione della ricchezza che produciamo col lavoro. Grazie alla crescita culturale del secolo scorso non è più possibile mobilitare i nostri giovani per andare alla guerra, ma si giustifica il ricorso ai mercenari, singoli o addirittura si può assoldare un’intera nazione, povera o addirittura fallita, presentata come un campione di democrazia. La vita e le sofferenze di chi è costretto ad andare a combattere non interessano a nessuno, anzi sono funzionali alla campagna di propaganda, per demonizzare l’avversario. Farebbe sorridere, se non servisse a giustificare una tragedia, l’obbligo imposto dalla liturgia dominante a chiunque voglia esprimere il suo parere sulla guerra di iniziare il discorso con un “Putin sia dannato”. Chi non accetta di sottostare al diktat occidentale viene simpaticamente etichettato come stato canaglia da abbattere con una rivoluzione colorata o anche con la guerra. L’informazione deve fare accettare l’accollo dei costi della guerra con la rinuncia ad un livello di benessere che in Occidente si credeva acquisito per sempre ed ulteriormente incrementabile. Come mai i dominatori non finanziano la guerra con una piccola parte dell’abnorme disponibilità finanziaria che viene loro attribuita, pari si dice a 40 volte il PIL mondiale? Perché possono solo prendere, questa ricchezza virtuale non potrà mai rientrare nell’economia reale, è diventata potere politico che consente di limitare la libertà e di fare la cresta sull’ultimo ciclo produttivo. L’informazione non dà spazio a chi cerca di immaginare o proporre un’alternativa verso la quale indirizzare le energie politiche provenienti dalla società, così si stanno atrofizzando per mancanza di ideologie e di utopie cadute in disuso. Il liberismo nega l’utilità ed anche l’esistenza delle ideologie, tutte tranne una: l’ideologia liberista. È la forma di integralismo più esasperato oggi presente sul pianeta. Le ideologie sono fondamentali per l’esistenza umana ma devono essere in continuo divenire. Le ideologie sono una lente di ingrandimento, originata da valori scelti in base alla sensibilità individuale, attraverso la quale l’individuo si rapporta o giudica la realtà. Senza un‘ideologia si spegne ogni aspirazione ad un futuro migliore istigando la moltitudine a riconoscersi in un inebriante appartenenza al modello vincente, alla società non più democratica, occidentale. Fino a quando resiste questa rappresentazione della realtà, messa in scena da una informazione falsa, consente una relazione di dominio, ormai comune a tutti i paesi che si pretendono democratici: da una parte una moltitudine di individui, che possono essere sudditi, produttori, consumatori, risparmiatori, credenti, ultimamente degenti ma sempre indigenti, e dall’altra parte un centro di potere che irradia questa moltitudine di autorità, di fede o di denaro, ma quest’ultimo in una situazione che deve essere di scarsità in quanto è la mancanza di denaro che lo rende prezioso per chi non ne ha. La moltitudine è un insieme di individui accomunati dalle condizioni materiali, ma omologati in una percezione individualizzata delle relazioni sociali, che ne impedisce una dimensione politica. È frutto di un’attività di progressivo addomesticamento della volontà individuale, con una informazione unidirezionale, volta all’annullamento delle capacità critiche e alla rassegnazione al declino. Ognuno è geloso del filo che apparentemente lo congiunge col vertice, non lo vuole condividere e non è più in grado di rendersi conto di vivere un rapporto unidirezionale dal vertice alla base appiattita, passiva e rassegnata, in una parola dominata. Per l’ideologia liberista la soluzione dei problemi deve essere individuale ed ha un solo nome: denaro. La possibilità di accumulare denaro non è vietata a nessuno, è una competizione dove vincono i migliori, pochi, ma devono esserci anche i vinti, molti. Si sorvola su un particolare: la competizione per essere tale deve assolutamente vedere i partecipanti partire alla pari e non dipendere dai risultati di competizioni passate. Se si riesce a stimolare la consapevolezza della condivisione di questa comune condizione di dominati, le pretese dei dominatori si dissolvono, come è avvenuto con l’antico regime o recentemente con i regimi comunisti.
Le nostre società occidentali, negli anni 60 del secolo scorso, avevano intrapreso la strada per una effettiva realizzazione dei principi alla base della democrazia, e ribaditi dalla Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo (DUDU) subito dopo la seconda guerra mondiale. Una rivoluzione culturale dove espressione artistica e richieste dei lavoratori esprimevano scelte politiche che andavano incontro alle aspirazioni ad un futuro migliore. I politici delle democrazie occidentali non si sono dimostrati all’altezza dei compiti a loro riservati, quanto alla realizzazione di un progetto di società, tutto da costruire a piccoli passi, con un impegno costante ad un’equa distribuzione di tutti i diritti riconosciuti all’umanità. Qualsiasi società o istituzione una volta creata acquista una vita propria e tende alla conservazione, fino ad un certo punto è un aspetto necessario, anche la stabilità è un valore, ma l’immobilità no, diventa la morte. Deve esserci un movimento in direzione del progresso oppure la decadenza in direzione del declino diventa inevitabile e la società per conservarsi tende ad incrementare l’oppressione sui dominati. Per arrivare ad un’inversione di direzione sono inevitabili forme di pressione che surriscaldano le relazioni, come la febbre in un corpo che trascura la prudenza in condizioni climatiche avverse. Non conviene ignorare questo segnale ma apportare i correttivi necessari ad eliminare gli attriti, facilitare questo, sarebbe il compito dell’informazione. L’informazione dovrebbe essere la voce dell’effervescenza della società, uno stimolo continuo, anche a costo di produrre degli eccessi momentanei. Senza diventare integralisti, con moderazione, sensibilità e razionalità, ma determinati a rifiutare le assurdità, altrimenti l’aspirazione ad un futuro migliore viene soffocata dalla disinformazione prodotta dal pensiero unico per conservare i privilegi a chi li ha.
La sensibilità e la razionalità sono i mezzi individuali per conoscere, giudicare e scegliere. L’apprezzamento per il bello, il giusto, la condivisione, la convivialità portano a preferire la pace alla guerra, il giusto all’ingiusto, il sano all’inquinato, il riposo alla fatica, la conoscenza all’ignoranza ecc. Razionalità e sensibilità diventano il buon senso e la moderazione nella gestione delle relazioni coi nostri simili che richiedono di saper accettare dei limiti. La sensibilità alimenta l’intelligenza emotiva, la creatività, trova espressione nell’arte come potere metafisico di penetrare nell’individuo e di condizionarne le aspirazioni. La razionalità alimenta l’intelligenza cognitiva e trova spazio o è il linguaggio della politica e dell’economia. Se la razionalità non tiene conto della sensibilità individuale, può essere pesantemente condizionata dai valori imposti dai dominatori di una data società. È l’omologazione, una scorciatoia per raggiungere una forma di condivisione forzata o unanimità, per consentire rapide decisioni politiche e per imporle. Un esempio, il metodo adottato per affrontare la pandemia poi la guerra, basato sulla strumentalizzazione dell’emergenza. Oggi si arriva a preferire l’intelligenza artificiale in quanto non può tenere conto degli aspetti emotivi, oppure vengono analizzati per usarli in operazioni di marketing. Le scelte dei consumatori vengono determinate dalle campagne pubblicitarie, poi visti gli ottimi risultati il metodo viene applicato anche per determinare le scelte politiche dei cittadini.
La razionalità deve dare gli elementi per scegliere un percorso in direzione di un futuro migliore. Dobbiamo iniziare il percorso rendendoci conto che stiamo correndo ad una velocità vertiginosa senza sapere dove vogliamo andare. L’unica evidenza è una direzione di declino. Per questo difendere e riproporre i principi che hanno accompagnato la nostra civiltà fino a quando era in una direzione ascendente, non è da considerare una postura retrograda o conservatrice, ma una ripartenza da basi solide in quanto fondate sull’aspirazione ad un futuro migliore. Il cammino della nostra civiltà ci ha portati a conquistare l’uguaglianza del diritto alla libertà che consiste nella libertà di scelta del nostro futuro, ma la scelta deve essere condivisa. I dominatori e i loro servi, politica e informazione, si preoccupano solo di tagliare i ponti col passato, come se il presente non dipendesse dal passato e il futuro dal presente. La civiltà è un qualcosa in continuo divenire, non può restare immobile o avanza o è costretta a regredire. Per avanzare deve andare in direzione dell’inclusione di chi fino ad oggi è stato escluso e non l’esclusione dichi fino ad oggi era incluso Assistiamo al tentativo di destrutturare istituzioni ma anche valori e principi che ci hanno accompagnati nella crescita culturale, sociale ed economica fino alla fine del secolo scorso in nome di un nuovo ordine che per quel che possiamo vedere porta a disastri e non al progresso. Disuguaglianze patrimoniali eccessive, rischio di guerra atomica, sfruttamento distruttivo dell’ambiente. Per regredire basta lasciarsi trasportare dall’egoismo e dalla pigrizia, una forma di rassegnazione o inazione passiva e stupida in cambio delle briciole da usare principalmente ai fini di distinzione sociale dove ognuno se è furbo deve pensare solo per sé. La rassegnazione è il prodotto di un vizio, la pigrizia, l’ingordigia di ricchezza o di denaro risponde ad un altro vizio, l’egoismo. La relazione tra i portatori di queste due attitudini diventa l’invidia poi rancore, dovuta alla ostentazione di potere di acquisto al quale si attribuisce la funzione di distinzione sociale. A qualsiasi livello è uno stimolo all’arrampicamento sociale, da perseguire senza scrupoli, senza tener conto degli esclusi e dell’ambiente. Produce divisione e conflittualità tra i dominati mentre è la forza di chi domina dall’esterno, da una dimensione virtuale extra terrena.
Oggi tutti gli ingenti mezzi a disposizione del potere economico-politico dominante vanno nel tentativo di sorreggere il modello a capitalismo finanziario e in questo modo si nega la possibilità di intraprendere un’altra strada. Nonostante questo, molti si rendono conto che la crescita del PIL e del tasso di urbanizzazione, gli unici indici presentati come indicativi dello stato di salute delle nostre società, sono risultati inversamente proporzionali alla qualità della vita. Dobbiamo ammettere che la spartizione della ricchezza segue dei criteri assurdi, che senza volere inseguire una uguaglianza assoluta, impossibile e comunque anche questa ingiusta, sarebbe possibile e vantaggiosa per tutti una minore disuguaglianza con la possibilità di una pacifica convivenza, senza compromettere l’ambiente. Si inizia ad avvertire che ciò che rende la vita degna di essere vissuta è quello che non si può comperare col denaro: rispetto per l’ambiente, per i nostri simili, per la sostenibilità che ci deve responsabilizzare nei confronti delle nuove generazioni. Esiste una ricerca spontanea di un modello alternativo, che per ora è l’unico settore in crescita all’interno di una società in crisi su tutti i fronti. Senza un supporto delle istituzioni “alternativo” tende ad assumere un valore marginale, utopistico, destinato al fallimento e pertanto un esempio negativo da non seguire, e che giustifica il modello imposto dai dominatori. Il supporto delle istituzioni potrebbe essere semplicemente un’informazione corretta, al contrario l’informazione è completamente succube degli egoismi di chi controlla i flussi finanziari. L’informazione si ostina a difendere un sistema ormai irreversibilmente declinante, produce e irradia il mondo con una visione assurda degli eventi che grazie alla potenza dei mezzi d’informazione assume il valore di realtà. Lo vediamo con la guerra dove per ora i popoli europei accettano questa rappresentazione seppure contro i propri interessi e contro ogni logica di convivenza pacifica.
Per poter riportare il cammino della nostra società dal declino al progresso dobbiamo rivalutare la politica. La responsabilità di riabilitare la politica, agli occhi dei cittadini, ricade interamente sui mezzi d’informazione. La percezione della politica per i cittadini è l’informazione. Per società ricche come le nostre deve esserci la possibilità di mantenere mezzi d’informazione liberi dal potere soffocante delle esigenze di marketing. Al posto di programmi che strumentalizzano lo spettacolo della conflittualità come occasione di vendita di spot pubblicitari devono esistere programmi che diffondono la necessità di collaborazione per perseguire relazioni pacifiche coi nostri simili nel rispetto dell’ambiente. Anche nel campo dell’informazione come della politica deve esserci un cambiamento con una rottura sostanziale rispetto al presente. La prima cosa da fare sarebbe l’abolizione dell’ordine dei giornalisti oppure lasciarla per i reporter, ma non può esistere una corporazione degli opinionisti. L’informazione deve avere un ricambio continuo degli attori, non personaggi che si trascinano per decenni con trasmissioni tese ad evidenziare la litigiosità degli ospiti ma al contrario devono stimolare la ricerca di punti di contatto. Il nostro paese non è mai riuscito a portare avanti un programma di riforme per l’estrema difficoltà a condividere proposte politiche di rinnovamento. Poi improvvisamente scoppia l’unanimità sulla più opinabile delle soluzioni: la guerra. È impossibile concedere l’attenuante della buona fede, giornalisti ed opinionisti o sono imbecilli o corrotti. La stessa cosa era avvenuta colle disposizioni di limitazioni della libertà, proibite dalla nostra costituzione, pure queste come la guerra, in occasione del covid. È una comunicazione che si pretende efficace solo perché diffonde paura per giustificare con l’emergenza provvedimenti assurdi. E la soluzione viene sempre più indicata nella difesa del sistema dominante sbagliato, fino al crollo inevitabile. È un’informazione che impedisce, anziché stimolare, correttivi che farebbero bene a tutti, anche ai privilegiati in quanto potrebbero evitare di arrivare al crollo pericoloso per tutti. Ma lo sconcertante servilismo dei conduttori delle trasmissioni false ci spinge sempre più velocemente in direzione del baratro. Anche qui bisogna dare spazio ai giovani, con un ricambio continuo, e un confronto con persone che i giovani possano accettare come interlocutori saggi e disinteressati. Il contradditorio dovrebbe essere tra i giovani che portano le esigenze proiettate al futuro, esponenti del mondo del lavoro che portano realismo, sapienti che portano saggezza e moderazione, politici che devono recepire le esigenze e tradurle in istituzioni ad hoc, nei limiti del possibile. Lo svolgimento di queste mansioni non deve essere fonte di privilegi, una giusta retribuzione e niente di più. Questa sarebbe una crescita culturale e la cultura non cresce con la retribuzione. Il servilismo sì. Se tutto l’apparato destinato all’informazione è in mano a forze conservatrici in quanto la forza è di chi ha il controllo della ricchezza che pensa solo a difendere i propri privilegi, i giovani per esprimersi devono solo ricorrere alle barricate? No, i nuovi mezzi d’informazione possono far circolare le idee come non era mai stato possibile nei tempi passati ma deve esserci un’educazione in questo senso, un’opera di stimolo ad acquisire le capacità di dialogare su argomenti che vanno ad incidere sul futuro degli stessi giovani. Devono esserci gli strumenti per far conoscere ed avanzare le proposte prodotte. Si devono allenare le capacità di fare politica mettendo da parte il politichese e il politicamente corretto. Si deve iniziare dalle scuole, come esistono spazi per l’educazione fisica devono esserci spazi per l’educazione politica, ambienti tipo “tavola rotonda” dove i ragazzi devono imparare a disputare su argomenti d’attualità. Stimolare un dibattito su un tema prestabilito di attualità che deve essere un dialogo che coinvolge tutti i presenti, un evento dinamico che non prevede un pubblico passivo che deve solo applaudire alla fine. Un metodo applicato a partire dalla scuola dell’obbligo, dall’università e dall’ambiente di lavoro, da strutture tipo agorà che dovrebbero essere fornite a livello di comune o di quartiere. Si creerebbe una selezione per futuri leader politici con un ricambio continuo. Un leader deve unire nella condivisione non dividere nella conflittualità. Esiste ancora, nonostante la pressione del pensiero unico, la sensibilità per la ricerca di un miglioramento delle relazioni sociali. Se ne è avuta conferma quando le disposizioni sul covid sono andate ad intaccare i diritti di libertà previsti dalla nostra costituzione. La reazione del movimento no-vax ha messo assieme individui provenienti dalle più disparate posizioni sociali e politiche superando divisioni ormai cristallizzate da decenni e che sembravano insuperabili. Si sono riscontrati propositi di solidarietà che si temevano scomparsi per sempre. Naturalmente l’informazione ha dato risalto solo all’aspetto divisivo scatenando una nuova conflittualità tra no-vax e sì-vax. Poi se la protesta diventa di piazza si inseriscono elementi provocatori per screditare quel che c’è di giusto nella protesta. Ma il prossimo inverno potrebbe essere caratterizzato dalla necessità di rinunce da parte di una quasi totalità della base della nostra società. Questo potrebbe unire, senza distinzione di ideologie politiche, nel rifiuto del declino e nella pretesa di un futuro migliore. L’informazione servile agli interessi dei dominatori non riuscirà a screditare le pretese del popolo unito. Le classi dirigenti occidentali che rivendicano la superiorità delle loro istituzioni democratiche faticheranno a giustificare un tentativo di stroncare le proteste. Mantenere viva, cioè effervescente la società è il compito dell’informazione politica andando a stabilire una comunicazione sia dal basso verso l’alto, dagli elettori ai delegati, alle istituzioni, che da queste ai cittadini. Fondamentale a questo scopo è un’informazione libera, e per essere libera deve essere accessibile a tutti non succube di chi ha il controllo della ricchezza o dei dominatori. Unire e non dividere è la missione di un leader politico, i predestinati ad un progressivo impoverimento sono il 99%, questo deve evidenziare l’informazione. Deve esserci la possibilità nei prossimi mesi di imporre la presenza nelle trasmissioni televisive che si occupano di attualità di dare voce a rappresentanti scelti da quei cittadini che hanno acquisito la coscienza di essere dominati e per questo definiti antisistema. I non votanti e coloro che sono stati privati alle ultime elezioni della possibilità di organizzarsi efficacemente per avere una rappresentanza in parlamento devono trovare il modo di comunicare col grande pubblico quali sono i motivi del loro rifiuto della rappresentazione che l’informazione dà della situazione attuale. Per fare questo serve umiltà e unità, se anche gli antisistema continuano a litigare tra di loro non andiamo da nessuna parte. Diciamo che noi vogliamo salvare il sistema, evitare il crollo, migliorandolo, eliminando quegli aspetti che lo rendono insostenibile. Bene, il movimento 5S era nato spontaneamente per questo scopo, e inizialmente ha avuto un successo enorme, ha avuto il grande merito di dimostrare che la ci si può fare. Poi abbiamo assistito alla degenerazione, ma erano all’inizio possiamo capire che abbiano commesso degli errori. Erano avversati da tutti i vecchi partiti ma avevano dimostrato che l’opinione pubblica era stanca della vecchia classe dirigente, un vero terremoto politico. Oggi con la liquefazione dei partiti che si definivano di sx, si dovrebbe saggiare la disponibilità dei 5S ad una collaborazione con le nuove forze antisistema. Forze fresche e determinate potrebbero contribuire a rivitalizzare il movimento salvandolo da una profonda crisi di identità e a farne la principale forza di opposizione. Opposizione che dovrebbe essere costruttiva, senza preclusioni dovute all’antagonismo non più giustificato tra dx e sx visto che la maggioranza attuale è inedita per il nostro paese. Aspettiamo di vedere come si muove, non credo che farà peggio di chi li ha preceduti. Dovrebbero dimostrare la lungimiranza di tenere conto della pressione di una forza di opposizione che in realtà sarebbe maggioritaria, comprendendo M5S, partitini antisistema, non votanti e reduci in fuga dal PD. Pressione che dalla piazza potrebbe anche determinare una breve durata della legislatura con conseguente pesante penalizzazione dei governanti alle prossime elezioni. Ma noi non vogliamo questo, sarebbe una perdita di tempo, e siamo anche convinti che chi vuole il cambiamento può avere risultati migliori dall’opposizione che non dal governo. Deve essere una opposizione responsabile ma determinata, postura che è più facile da assumere da una posizione di forza che non da una di debolezza dovuta ad un inutile frammentazione. Credo che Conte sia l’unico che può aiutarci ad avere visibilità dai mezzi di informazione in tempi rapidi. Noi possiamo aiutare lui a ritrovare un’identità che ora è abbastanza indefinita in quanto il movimento 5S, come tutti gli altri partiti è ossessionato dalla corsa alla poltrona, e non riesce più a recepire le informazioni che vengono dalla base. Se noi partitini antisistema non riusciremo a convergere, uniti su posizioni condivisibili da un’ampia parte della società, è perché anche tra di noi è iniziata la corsa alla poltrona, il pericolo più grande per forze politiche che si affacciano per la prima volta sulla scena politica.