Domenica 6 novembre 2022, San Leonardo
EDITORIALE
GIORGIA E I SUOI DRAGHI
C’è un’ironia talora sottile, talaltra feroce, nelle coincidenze. È presumibile che il presidente Meloni, che va fiera della sua fede cattolica sinceramente professata, sia felice del suo santo protettore, il guerriero Giorgio celebre sterminatore di draghi. Chi ha assistito, giorni fa, all’inedito e da molti inaspettato idillio tra il presidente del consiglio e il suo predecessore – che secondo un’attendibile testimonianza avrebbe definito “una fuoriclasse” quella che fino a pochi giorni fa veniva considerata dai media una ragazza della Garbatella dal pesante accento romanesco (mentre in realtà appartiene alla sparuta pattuglia dei politici seriamente poliglotti nel nostro paese) –, non ha mancato di alludere scherzosamente al cognome di Supermario.
Giorgia e il Draghi, dunque.
Non è in effetti improbabile, e per molte ragioni alcune delle quali sono emerse con chiarezza dal dibattito politico degli ultimi giorni e dalle argomentazioni di molti osservatori, che Meloni sia la prosecutrice di molti aspetti della politica di Draghi. Me, se vogliamo continuare con i giochetti lessicali, i draghi contro i quali si troverà a combattere sono enormi.
Quello che attualmente sta avvolgendo nelle sue spire il nordest europeo è il principale, il più insidioso e temibile. Giorgia deve al suo rigoroso, inflessibile, fin troppo spesso conclamato atlantismo l’appoggio politico e diplomatico statunitense che le ha spianato la strada per Palazzo Chigi mettendo a tacere, o riducendola drasticamente, qualunque voce oppositiva al riguardo. Ricordiamo bene il tono ossessivo, quasi monocorde, con cui da sinistra le si rinfacciava il suo “post”, se non addirittura “neofascismo”. Ma la guerra ha cambiato tutto: ed è stata il fattore forse decisivo della sua “resistibile ascesa”.
Ma c’è tutto il resto. Altri draghi, o draghetti, o dragoni. La questione energetica, l’autunno che avanza e che potrebbe preludere a un inverno rigido e difficile, la gente che adesso comincia a preoccuparsi del freddo e delle bollette e a porsi domande: sarà proprio Putin il solo responsabile del fatto che non potremmo farcela a pagare le conseguenze delle sanzioni comminate da Biden alla Russia? E le ha comminate poi sul serio alla Russia, oppure il vero obiettivo di esse siamo invece noialtri europei? Le manifestazioni per la “pace subito” nelle piazze e nelle strade delle città italiane sono state imponenti: non si discostano – o non troppo, o non ancora esplicitamente – dalla linea di quasi tutta la classe politica italiana (riassumibile nel dogma secondo il quale Zelensky ha tutte le ragioni e non deve cedere, a qualunque costo economico dell’Occidente e di perdite umane per la sua gente). Eppure, qua e là, si cominciano a notare crepe e cedimenti. Quanto reggerà la diga? Il papa sta parlando sempre più chiaro: l’ultracattolico Salvini può anche prenderlo sottogamba, ma la cattolica seria Meloni no, a lei la simpatia di Bergoglio serve.
Inoltre, la faccenda NATO-UE. Il presidente Meloni è per ora a suo totale agio nella prima, mentre qualche increspatura nei confronti della disunita e nelle sue intenzioni perpetuamente tale Unione Europea ce l’ha. Diamole tempo. Magari si ricorda del suo vecchio progetto di Confederazione Europea, mai portato avanti. Chi resta “in sonno” giova ai draghi. Ma Giorgia è una fedele di Giorgio: e non si sa mai.
Poi c’è la recrudescenza del problema COVID. Badate: del problema, non dell’epidemia. Ma in politica i problemi dibattuti, per quanto effettivamente non gravi (e non è detto che il COVID non lo sia), sono molto più pericolosi dei pericoli gravi magari, dei quali tuttavia non si parla.
E ciò conduce fatalmente a un’altra vecchia storia della quale per alcune settimane non si parlava quasi più: i migranti, l’Italia in prima linea con le sue coste. Reggerà la vecchia diga dietro la quale si trincera il governo, quella della distinzione tra “aventi diritto” in quanto profughi da una guerra e “clandestini” in quanto poveri disgraziati che fuggono dalla fame? Davvero si può tentar di arginare il problema rivolgendosi ai luoghi d’origine dei clandestini (ammesso di riuscire a identificarli) fingendo d’ignorare che il vero ostacolo sono gli interessi delle multinazionali che da decenni dissanguano l’Africa e che sostengono tanto i governi locali quanto il nostro, e che i loro interessi sono quindi intoccabili? E se tra i “clandestini” ci sono tanti bambini, che cosa faremo? Che cosa faremo, signor presidente, con i coetanei di Ginevra? Negheremo loro aiuto perché gli altri stati europei non fanno il loro dovere? Al povero mendicante, il soldato di Roma san Giorgio donò metà del suo mantello. Noi negheremo una coperta e un piatto caldo a qualcuno dei suoi compagni di sventura?
Il futuro d’Europa e del mondo è un campo cosparso di uova di drago. L’uno dopo l’altro, si stanno schiudendo. Ce n’è uno, in particolare, molto insidioso. È la crisi del senso civico della società, l’intensificarsi degli episodi di teppismo e di bullismo, il loro ripetersi nelle scuole, l’accanimento contro le opere d’arte dei musei presentato magari come “protesta” per la scarsa attenzione dei pubblici poteri nei confronti delle questioni legate all’ambiente.
Ecco: il recupero di un minimo di civismo nei comportamenti individuali e collettivi. La sovranista Meloni sa bene che, anche se volesse (e senza dubbio non vuole) cambiare politica nei confronti della guerra in Ucraina i padroni non glielo lascerebbero fare. E i padroni della politica estera e della diplomazia italiana sono gli USA.
Ma la politica interna, le questioni del permissivismo nel campo comportamentale di giovani e anche ohimè dei meno giovani, quella del “servizio civile” da troppo tempo accantonata, sono zone franche. La Voce del Padrone, lì, si fa molto meno sentire. C’è la questione della scuola e del suo risanamento: non solo edilizio. A queste cose un governo guidato da una sovranista può guardare con minor cattiva coscienza. Coraggio: diamoci una bella spallata. Le guerre altrui bisogna farle, o almeno finanziarle. Ma all’interno abbiamo mani libere.