Domenica 6 novembre 2022, San Leonardo
UNA GUERRA IN UCRAINA, UN LITIGIO A FIRENZE
DIBATTITO TRA FRANCO CARDINI E GIOVANNI PALLANTI
Con un intervento di Franco Cardini pubblicato sul n. 38 di ToscanaOggi è iniziato un dibattito sulla guerra della Russia in Ucraina. All’intervento ha risposto subito il direttore Domenico Mugnaini. Poi è seguito un intervento di Giovanni Pallanti che replicava a Cardini (pubblicato sul n. 39). Infine, Cardini ha inviato una lunga controreplica. Il dibattito è stato pubblicato online sul sito di ToscanaOggi (La guerra tra Russia e Ucraina: dibattito tra Franco Cardini e Giovanni Pallanti / Opinioni & Commenti / Home – Toscana Oggi).
La lettera di Franco Cardini
Caro direttore,
ancora una volta in poche settimane mi trovo obbligato a contestare in modo fermo e totale la posizione del tuo e pochissimo anche mio giornale sulla crisi che eufemisticamente definirò “russo-ucraina” (perché è russo-occidentale). Nella fattispecie mi rifiuto di accettare il contenuto dell’articolo pubblicato nel numero del 2 ottobre u.s. di ToscanaOggi, p. 7, dal titolo “Davanti all’escalation di Putin cresce la protesta. E anche la Cina è cauta”.
In linea generale, il solo parlar di “escalation da parte di Putin” dopo che da mesi gli Usa e i paesi suoi satelliti membri della Nato (quindi, e purtroppo in primis, il nostro: ora guidato – ed è il colmo – dalla leader di un partito che si dice “sovranista” mentre è palesemente asservito a una potenza straniera che ne occupa addirittura il territorio con basi militari fornite di quelle armi nucleari che esso ha esplicitamente respinto) è francamente ridicolo. Dalla fine del febbraio scorso i paesi che per definizione si dicono “occidentali” hanno accettato il diktat statunitense di sanzioni che in realtà scalfiscono forse la Russia ma investono pienamente l’Europa mettendola in ginocchio; essi riempiono l’Ucraina di armi senza le quali né l’esercito regolare né i miliziani (neonazisti e non) del bellicista Zelensky potrebbero resistere alle forze armate russe; ormai abbiamo prove numerose che oltre alle armi abbondano i “consiglieri militari” occidentali, e tutto dimostra come il conflitto in atto sia una guerra senza quartiere scatenata dall’Occidente contro la Russia con lo scopo di ridurne e condizionarne in modo deciso il ruolo nell’Europa Orientale e in Asia, quel ruolo ch’essa detiene a pieno diritto, come la storia dimostra. Il carattere cinicamente premeditato di una guerra scatenata – fin dal 2014 – dagli Usa e dai suoi satelliti occidentali contro la Russia, che ha pazientato a lungo prima di vedersi obbligata a rispondere, è ampiamente provato nel volume Ucraina 2022. La storia in pericolo (Lucca, La Vela, 2022), del quale i politici e i dirigenti dei media loro funzionali – il “paese legale” – hanno con ogni mezzo impedito la diffusione, ma che viene in questi giorni presentato in tutta Italia con successo. Il “paese reale”, che non ama essere raggirato, ha accolto favorevolmente altresì il volume di Francesco Amodeo, “Perché il conflitto è Nato”, Matrix Edizioni, che accuratamente ricostruisce i caratteri e le fasi del complotto contro la Russia che ha condotto all’aggressione in atto dal 2014, a fermare la quale i trattati di Minsk, disattesi, non sono bastati.
In linea particolare, contesto soprattutto alcuni passi dello scritto. L’articolista del nostro giornale chiama “farlocchi” i referendum che hanno condotto le quattro province; ma dovrebbe sapere che i referendum, per loro natura, sono molto spesso “farlocchi”: erano tali anche quelli che tra 1859 e 1860 portarono le popolazioni d’Italia a venir annesse dal Piemonte, e gravi sospetti pesano anche sul referendum monarchia-repubblica del 1946. L’articolista cita eventi, cose e persone del mondo russo-ucraino delle ultime settimane attingendo esclusivamente e acriticamente ai documenti e alle ricostruzioni forniti dalle autorità ucraine, parlando addirittura di una “reazione negativa” della Cina nei confronti di Putin (laddove il governo cinese si è limitato a consigliare a tutti prudenza a proposito dell’avverarsi di un’ipotesi nucleare), ignorando – volutamente? – i pur imponenti sforzi che i media e la diplomazia russi fanno per ridimensionare la notizia (se non proprio falsa, quanto meno molto equivoca) di importanti “vittorie” militari ucraine alle quali i russi risponderebbero rabbiosamente determinando numerose morti di civili, quando è vero invece che ci troviamo dinanzi a una situazione di stallo generale e che l’ecatombe dei civili ucraini è voluta fondamentalmente dal governo di Zelensky, deciso a usare il suo popolo come carne da cannone in una guerra che Biden e i suoi complici combattono contro la Russia usando armi e danaro occidentali, ma sangue ucraino. Allo stesso modo, si sottolinea il consiglio del leader ceceno a Putin, di servirsi di armi tattiche nucleari, tacendo però che esso è stato nettamente respinto dal Cremlino.
Infine, l’abuso più grave e la menzogna più inaccettabile. L’articolo è uscito su “ToscanaOggi” il 2 ottobre scorso, quindi ben tre giorni dopo l’allocuzione del presidente Putin a Mosca durante la cerimonia d’ingresso delle nuove province nella compagine russa: un discorso di estrema importanza, immediatamente diffuso nelle varie lingue dalle ambasciate russe. Che l’articolista non mostri di conoscerlo, può essere in fondo comprensibile. Se il giornale è uscito il 2 ottobre, significa che era pronto, e probabilmente stampato, proprio il 30. Ma è ciò appunto che determina la mia ferma richiesta rivolta a te di farne conoscere il contenuto ai lettori. Perché, come vi si legge con chiarezza, Putin si dice pronto a sedere immediatamente al tavolo delle trattative di pace, e aggiunge di aver già avanzato da tempo una proposta del genere.
Sono quasi certo che non leggerai il testo della versione italiana del discorso di Putin, che ti allego. Ed è un peccato, in quanto si tratta di un documento molto denso e teso. Ti invito comunque a leggere e a far conoscere almeno le piccole parti che sottolineo in grassetto.
Ora, dopo questo importantissimo discorso del tutto trascurato dai nostri politici, ignorato dai media, nascosto all’opinione pubblica, tutto è chiaro al di là di ogni ragionevole dubbio. Il presidente Putin con questo discorso si è impegnato solennemente dinanzi al mondo. Ha proposto per primo tra i belligeranti la pace. Ha posto un limite alle richieste russe e si è dichiarato disposto a sedere al tavolo dei negoziati. Sulle quattro province annesse non vuole e non può cedere: queste sono le sue condizioni; ma su qualunque altra cosa – a cominciare dai danni di guerra – c’è apertura e disponibilità; e, discutendo, possono nascere anche aperture ulteriori. È la logica della diplomazia: si parte dalla “proposte innegoziabili”, quindi ci si accorda.
È evidente che le parole di Putin, se non potranno più essere nascoste, saranno malevolmente interpretate e slealmente criticate. Li conosciamo, i politici e i media “democratici”. Ma resta il fatto solidissimo che il mondo vuole la pace. Gli unici che non parlano questo linguaggio sono il presidente degli Stati Uniti d’America, il suo Segretario di stato ch’è anche tutore ufficialmente autonominato del nostro nuovo governo e il suo agente a Kiev, il signor Zelensky. Non dubitiamo che si allineeranno in un’eventuale folle politica di ottuso rifiuto a ragionare anche la Nato e gli alti papaveri della Ue. Vogliamo sperare che le diplomazie dei paesi del mondo, il Papa, i governi europei di buona volontà, riprendano e sostengano questa proposta. La pace è a un passo: possiamo concretamente conseguirla in pochi giorni. Chi tacerà sarà un assassino della pace dinanzi al genere umano e alla storia.
Tanto ti dovevo.
Franco Cardini
La risposta del direttore
Con un lungo intervento, mi ha allegato anche il testo tradotto del discorso di Putin in occasione dell’annessione delle zone occupate in Ucraina che è impossibile pubblicare – sarebbero quattro pagine di giornale, ma i nostri lettori possono cercarlo tranquillamente su internet –, Franco Cardini torna a criticare le nostre posizioni sulla guerra in Ucraina. Abbiamo deciso di pubblicare il testo di Franco, lunghissimo, per il rispetto che abbiamo per lui anche se su questo tema proprio non ci intendiamo e le sue posizioni, notoriamente anti-Nato e pro-Putin, lo portano, sempre secondo noi, a una visione che non tiene minimamente conto di quanto sta accadendo, che c’è uno Stato aggressore e uno aggredito. E il secondo è fuor di ogni dubbio l’Ucraina. Io lo ringrazio perché oltre a essere un nostro collaboratore è anche un attento lettore di ToscanaOggi. C’è però in questo lungo testo un punto di partenza che non riusciamo proprio a comprendere. Se è vero che nel Donbass si combatte del 2014, ricordo ancora una volta all’amico/collaboratore e lettore, che qualcuno ha occupato, allora, la Crimea e che questo non è certo stato Zelensky. Mi fermo qui e lascio giudicare ai lettori le diverse posizioni, mentre spero che Franco apprezzi che non ho toccato il suo testo, pubblicandolo integralmente. Ci unisce invece il desiderio di pace. Anche qui però invito Cardini a riflettere e a non cercare di far passare Putin come un nuovo Ghandi: non è così. Insieme ci auguriamo di arrivare a un accordo che faccia tacere le armi, da una parte e dall’altra, fermo restando il diritto di uno Stato aggredito a difendersi. La pace si fa intorno a un tavolo al quale anche la Russia deve essere disposta a sedere.
Domenico Mugnaini
Pallanti: nessuna lettura storica o geopolitica giustifica la Russia
Per fortuna sua e nostra, Franco Cardini vive in un Paese democratico, perché se le cose che ha scritto a favore di Putin le avesse scritte contro Putin nella Russia di oggi, sarebbe un candidato o alla prigione o alla morte. Vladimir Putin, infatti, ha fatto uccidere, in maniera diversa, tutti i giornalisti e alcuni suoi ex amici oligarchi, con il veleno, a revolverate, o buttandoli dalla finestra. Questa è la fondamentale differenza fra i Paesi occidentali e democratici, tra cui l’Italia, e la Russia dell’ex colonnello del Kgb. Per quanto concerne la guerra che la Russia ha scatenato contro l’Ucraina, non c’è lettura storica o geopolitica che possa giustificarla.
Subito dopo la seconda guerra mondiale, Stalin volle che oltre all’Urss avessero un voto come Nazioni indipendenti nell’Assemblea delle costituite Nazioni unite (Onu), l’Ucraina e la Bielorussia. Questa è la prima prova che anche il regime sovietico considerava come sua una Nazione, riconosciuta anche dai sovietici, indipendente.
Per venire al 24 febbraio 2022, l’invasione russa dell’Ucraina non era solo per “difendere” il Donbass popolato in buona parte da russofoni, ma bensì per assoggettare l’intera Ucraina: tutti ricordano che circa sette mesi fa, i carri armati di Putin avevano semi accerchiato Kiev e le truppe speciali respinte dall’esercito ucraino erano quasi arrivate al palazzo presidenziale per uccidere Zelensky. Quindi la pace si potrà ottenere quando la Russia si ritirerà dall’Ucraina. Essere equidistanti fra i due Paesi in guerra, significa solo dare ragione alla prepotenza e alla violenza armata di Putin.
E ora un’annotazione sul rapporto fra i Paesi occidentali e gli Stati Uniti d’America. Quando negli anni Sessanta del secolo scorso, gli Stati Uniti invasero – forse anche per una causa giusta, quale era la lotta al comunismo – il Vietnam, molti cattolici democratici si schierarono per l’indipendenza e l’autodeterminazione di quel Paese. Nessuno fu imprigionato per le proteste anti-americane. Nella Russia di oggi, a differenza di quello che successe allora nelle università americane e in quelle italiane, chi critica la Russia per la guerra in Ucraina, viene condannato fino a quindici anni di carcere. Si calcola che un milione di uomini validi, fra i 18 e i 45 anni, siano scappati dalla Russia per non essere richiamati alle armi. Questo significa che anche il popolo russo ha chiaro quello che ha in testa Vladimir Putin.
Forse Cardini ha un sedimento romantico e nostalgico di un mondo diviso tra imperi che, per loro natura, erano sovranazionali, non per pacificare i popoli ma per dominarli con imperatori e dittatori. Che la Russia abbia una mentalità imperiale come gli zar e poi Stalin e oggi Putin, lo prova anche la richiesta della Finlandia e della Svezia, tradizionalmente neutrali, di entrare a far parte della Nato. Cardini ha diritto di pensare tutto quello che vuole, ma i fatti sono questi. Ed è impossibile chiedere la pace accusando in modo subliminale l’Ucraina di avere le stesse responsabilità della Russia perché si difende in armi contro l’aggressore.
Un’ultima annotazione. Ci sono dei pacifisti in Italia, che citano la nostra Costituzione, ricordando che l’Italia ripudia la guerra come mezzo di soluzione delle controversie internazionali. Bene. Ma nella Costituzione italiana c’è scritto anche che la difesa della Patria è un sacro dovere dei cittadini. San Giovanni Paolo II diceva: “Chi ama la propria Patria ama anche quella degli altri”. Ecco perché l’Ucraina va difesa dalla pressione di Mosca.
Giovanni Pallanti
Cardini: Russia versus Ucraina e aggressione dell’Occidente alla Russia
Dedico questo scritto alla memoria
del grande Giulietto Chiesa: amico
sincero e impareggiabile, coraggioso
e generoso, calunniato e dimenticato
da troppi, amato da chi non tradisce
e ama la Libertà.
Conosco e sincerissimamente apprezzo da molto tempo l’amico Giovanni Pallanti, il suo coraggio civico (ricordo bene quand’era vicesindaco), la sua vivezza intellettuale. So bene che a causa della sua franchezza egli ha sacrificato anche un futuro politico che avrebbe potuto portarlo molto in alto. Mi dispiace pertanto che egli offenda la sua intelligenza con articoli pretestuosi come quello comparso su “ToscanaOggi” del 23 ottobre 2022 a p. 2.
L’Incipit, per cominciare. Andiamo! La battuta “se tizio fosse in Russia (o, a scelta, in Cina, a Cuba eccetera) non potrebbe dire quello che dice eccetera” fa parte di un vecchio noioso e un po’ squallido armamentario liberale riciclato dalla seconda guerra mondiale. Lo so che Giovanni è un churchilliano, e non lo perdonerò mai per questo come lui non mi perdonerà mai il fatto che io sono uno stalinista. Ci è mai stato, in Russia, Pallanti? Si è mai occupato un po’ sul serio di quel paese? Io sì, ci ho anche studiato e ho là molti amici meravigliosi, putinisti e antiputinisti: si trovano bene, stanno ricostruendo la loro dignità dopo l’assalto liberista dei Chicago Boys di trent’anni fa (fu quello, lungamente preparato dagli USA, a distruggere definitivamente il già compromesso sistema comunista: che non crollò affatto “spontaneamente” dall’interno); sono solidali con il loro governo che difende la loro dignità contro l’assalto subdolo delle multinazionali dell’Occidente che stanno affamando il mondo e anche quando manifestano contro Putin e magari finiscono qualche giorno in galera non farebbero mai il cambio tra il suo autoritarismo e la libertà “all’americana”. La “libertà” di un paese con un debito pubblico e un debito estero vertiginosi; quella dell’astronomica sperequazione sociale; quella dove meno della metà della gente va a votare o viene privata del diritto a votare per un nonnulla; quella dei buoni cittadini che tengono liberamente armi da guerra in casa e sparano impunemente a chi “viola” magari per sbaglio la loro “proprietà” calpestando l’erba del loro giardinetto; quella del “destino manifesto” che ha seminato guerre dappertutto negli ultimi tre quarti di secolo, dal Vietnam all’Iraq; della polizia che ammazza i neri come se nulla fosse; quella degli slums miserabili dove non arriva l’istruzione e dove l’unica libertà è quella di morire di fame; quella dei pezzenti alcolizzati che marciscono in tuguri di lamiera sotto il sole cocente della deep America con la bandiera stars and stripes sul tetto; quella dei superricchi e dei superpoveri, dei mascalzoni (magari geniali) come Nixon e Bush jr, dei matti come Trump e dei rincorbelliti come Biden. Il bravo Pallanti dovrebbe leggere un po’ più di Noam Chomsky, a proposito di Occidente e di USA. Quanto a quel che egli afferma alla fine del suo articolo sul sacro dovere dei cittadini di difendere la Patria, la lezione del patriarca di Mosca Kirill è esemplare.
E poi, insomma e suvvia, caro Giovanni, vediamo di esser seri, con quel tuo “se certe corse le avesse scritte in Russia” con quel che segue. Se ciò che dici lo pensi anche sul serio, non è escluso che tu abbia ragione. Perché la Russia è indietro. È rimasta al 1984 di Orwell, al Tallone di ferro di Jack London. Ai tempi di Hitler e di Stalin gli oppositori s’imprigionavano, si torturavano, si ammazzavano. Che cattivo gusto, che cruento Grand Guignol, che inutile e pericoloso metodo per far loro addirittura pubblicità! Oggi si fa di meglio: all’oppositore che democraticamente schiamazza si risponde spegnendogli democraticamente l’audio, invitandolo in TV per tagliargli la parola o per ridicolizzarlo, non recensendo e non facendo circolare i libri che scrive anche se si chiama Luciano Canfora, o Massimo Cacciari, o Moni Ovadia. Noialtri viviamo in una democrazia avanzata, che diamine! Col dubbio, beninteso, che le “democrazie avanzate” siano in realtà “quel che avanza della democrazia”.
Ma veniamo a quello che affermi nella sostanza. “Per quanto concerne la guerra che la Russia ha scatenato contro l’Ucraina, non c’è lettura storica o geopolitica che possa giustificarla”. Un paio di zebedei. Per capire le cose, caro mio, bisogna studiarle eccome. Sempre. Con il generale Mini, ex comandante del settore della NATO (e fuggito con orrore da quello schifo) ho scritto un libro, Ucraina. La guerra e la storia, pubblicato dalle edizioni del “Fatto Quotidiano”; e quindi, sempre con lui e con una collega universitaria, abbiamo coordinato un libro di una trentina fra studiosi e giornalisti, Ucraina 2022. La storia in pericolo (Lucca, edizioni La Vela), assolutamente bipartisan, dall’estrema sinistra di Luciano Canfora all’estrema destra di Francesco Borgonovo passando per Cacciari e Ovadia. Siamo stati boicottati dai politici e dai media: e ce ne vantiamo.
Pallanti, che ha molte virtù ma forse il vizietto di una certa pigrizia, preferisce la scorciatoia degli slogans e dei luoghi comuni tanto amati dagli aedi del “pensiero unico” all’informazione seria e spregiudicata. Senza curarsi di spiegarci nulla che giustifichi il suo punto di vista, parte dall’indomani della seconda guerra mondiale quando Stalin impose che all’ONU oltre all’URSS fossero ammesse con diritto di voto come nazioni indipendenti anche Ucraina e Bielorussia (i tre gruppi nazionali che, con la Russia vera e propria, costituivano fin dal XVII secolo “tutte le Russie” degli zar Romanov). Pallanti finge di credere che ciò significasse da parte del Maresciallo un obiettivo riconoscimento d’indipendenza, anzi di sovranità. Sa benissimo che così non fu: Jozip Vissarionovich mirava solo a poter disporre nell’assemblea delle Nazioni Unite non di un solo voto sicuro all’ONU – quello dell’URSS –, bensì tre. Un colpo magistrale da parte sua, come al solito. Punto e basta.
Ma qui, ecco il colpo di scena. Dall’immediato dopoguerra Pallanti fa un triplo salto mortale per collegarsi direttamente al 24 febbraio 2022 e all’“invasione russa dell’Ucraina”, che sarebbe stata l’inizio di tutto. Sappiamo bene ormai tutti – nonostante l’indecorosa “congiura del silenzio” dei nostri politici e dei nostri mass media – che la guerra attuale ha purtroppo lunghe, lontane radici. Dalla fine del secolo scorso è cominciata implacabile la marcia verso est della NATO, la quale snaturando i princìpi per i quali era nata ha allargato i suoi confini presidiati da missili dotati di testata nucleare con l’intento di controllare e di condizionare sempre più il macrocontinente eurasiatico e impedire lo sviluppo di un sano multilateralismo che sarebbe (sarà) il solo in grado di mantenere nel mondo un equilibrio globale e di salvarci da future guerre devastanti. Putin, che (ricordate l’incontro di Pratica di Mare, il 28 maggio 2002?) era giunto addirittura a un filo dal vagheggiar a sua volta l’ingresso del suo paese nella NATO, si rese conto ben presto che le cose stavano altrimenti: e lo denunziò fin da una celebre allocuzione della conferenza di Monaco dell’11 febbraio 2007, nella quale metteva esemplarmente in guardia gli USA e i suoi satelliti europei. Risultava ormai chiaro che la NATO era, in realtà, ben altra cosa di una pura alleanza difensiva. Quanto allo “spontaneo ingresso” dei paesi euro-orientali nella NATO stessa, cavallo di battaglia di tutta la propaganda liberista, in realtà si è trattato dei risultati di un sistematico, progressivo lavoro di intelligence, di propaganda, d’intimidazione, di menzogne, di ricatti diplomatici ed economici, di corruzione, ch’è stato alla base delle varie rivoluzioni “arancioni”, “dei fiori” e via dicendo. La russofobia e i timori isterici di tanta parte del mondo euro-orientale che si è immaginata un “neoimperialismo del Cremlino” ha condotto a infamie come il recente assassinio della figlia ventinovenne del “filosofo” Dugin, un ideologo eurasiatista un po’ visionario fatto assurgere al ruolo di consigliere culturale di Putin.
Il golpe georgiano del 2008 fu al riguardo un caso esemplare: per fortuna parato sufficientemente bene dal Cremlino, che patrocinò in risposta la nascita della repubblica popolare dell’Ossezia del sud, sganciatasi dal governo prezzolato e corrotto della “nuova” Georgia.
Da allora, la Danza Macabra delle congiure e delle provocazioni occidentali tese a impedire alla Russia di assumere di nuovo il ruolo che le spetta nel contesto del mondo eurasiatico e nell’interesse dello stesso equilibrio internazionale (altro che “minaccia alla Polonia e ai Paesi Baltici”, pretesto per il loro schieramento nucleare diretto da Washington!) assunse un ritmo parossistico, culminato nel colpo di stato a Kiev nel febbraio 2014 contro il legittimo governo di Viktor Janukovych, nelle elezioni del successivo maggio vinte dall’ultranazionalista ucraino Petro Poroshenko (oligarca, “re del cioccolato”, proprietario della TV 5 Kanal) e nella dichiarazione d’indipendenza della Crimea dall’Ucraina (legittima in analogia con quella degli Stati Uniti d’America del 1776 e del Kosovo del 2008) con successivi referendum e annessione della Crimea alla Russia, il 16 marzo successivo.
La risposta dei nazionalisti ucraini alla perdita della Crimea, che valse una pesante rappresaglia sanzionistica degli Stati Uniti e dell’Unione Europea contro la Russia (avversata, allora, da un nobilissimo discorso di protesta pronunziato da Giorgia Meloni alla Camera dei Deputati italiana), fu lo scatenarsi di una ridda di violenze antirusse che, nel Donbass, assunse in qualche caso caratteristiche prossime al genocidio nel confronti delle genti autenticamente russe ivi residenti (ricordate il massacro di Odessa del maggio 2014, con 42 morti ufficiali e, pare, oltre 150 morti effettivi, che si cercò di attribuire ai filorussi e dove in realtà agirono a favore degli ultranazionalsti ucraini anche alcuni gangsters georgiani?).
Da allora cominciò la guerra: nel Donbass, a partire dal 2014 sino al 22 maggio 2022 si stimano cadute 14.000 persone tra civili e militari. Obiettivo di queste violenze, peggiorate dopo la vittoria elettorale di Zelensky nel 2019 appoggiato dall’oligarca Ihor Kolomojs’kyi e dalla banca Privat Group, erano tutti gli ucraini che non intendevano rinnegare le loro profonde radici – risalenti al medioevo e ribadite nel Seicento durante le guerre cosacche contro ottomani, tartari e polacchi – che facevano di russi e ucraini un popolo solo sia pure scandito da lingue e tradizioni diverse nella profonda, fraterna affinità. I due successivi “protocolli di Minsk” del 5 settembre 2014 e dell’11 gennaio 2015, che stabilivano un’intesa tra Russia e Ucraina, furono entrambi unilateralmente disattesi dall’Ucraina mentre il governo Poroshenko fomentava la guerra civile e immetteva nella Guardia Nazionale Ucraina i neonazisti del “Reparto Azov”.
Va ricordato che le sanzioni volute da Washington contro la Russia ebbero conseguenze molto pesanti sulla stessa economia europea, mentre non toccarono minimamente – al contrario! – la società statunitense il governo della quale l’aveva promossa e imposta. Questo fenomeno sperequativo si è riproposto, con esiti ancora più distruttivi, con la “seconda ondata” di sanzioni antirusse, quella avviata a partire dal 24 febbraio che ha veduto i governi europei fare a gara nell’inasprire – a danno degli interessi dei loro popoli – il disagio da esse derivanti che non ha al contrario scalfito gli interessi americani. Ovviamente, tutto peggiorò dopo l’avvento al potere in Kiev nel luglio 2019 del “servitore del popolo”, l’attore comico Volodymyr Zelensky celebre per aver interpretato alla TV ucraina il ruolo di un comune cittadino che diventa premier sbaragliando il corrotto sistema politico precedente. Coincidenza o “strategia mediatica annunziata”?
Conosciamo il resto: provocazioni e violenze continue cha hanno costretto Putin – forse caduto in un tranello e senza dubbio disinformato a proposito della preparazione statunitense di un apparato politico-militare in Ucraina – al passo del 24 febbraio 2022 che, se egli non lo avesse compiuto, gli sarebbe valso una caduta verticale del consenso all’interno del suo paese.
Ma ora, con l’arrivo dell’autunno e dell’inverno, non è improbabile che i popoli si rendano conto che il loro assenso alla politica statunitense ha costituito una scelta profondamente autolesionistica: e allora si chiederanno chi voglia ad ogni costo portar avanti la guerra e perché, a quale scopo. Il soccorso all’Ucraina, che fino ad ora è stato larghissimo in termini di armi, di appoggio tecnologico, di fondi finanziari? Fino a che punto continueremo ad accettare che la guerra continui fino alla sconfitta totale della Russia e a un cambio di regime al suo interno che conduca all’accettazione generale anche in quell’area dell’egemonia statunitense? E che cosa accadrà in seguito? E che cosa farà la Cina, la quale invece dal canto suo sembra invece diretta a una sua “aggressione” all’Occidente, ma in termini economici e strutturali pacifici (alludiamo ovviamente al progetto, avviato già dal 2013, del cosiddetto One Belt One Road), con itinerari terrestri e navali dal Pacifico alle coste europee dell’Atlantico e la periferizzazione del continente americano?
Da tutto ciò deriva che la Russia è disposta – contrariamente a quanto si continua a dire – a sedere al tavolo dei negoziati; ma Zelensky no, in quanto il suo boss Biden non è disposto a tollerare un esito del conflitto diverso dalla rovina della Russia.
Ma si obietterà che Putin non vuole la pace e non l’ha mai chiesta: se lo facesse adesso, ciò avverrebbe semplicemente in quanto il suo attacco militare – determinato come risposta obbligata alle violenze dei nazionalisti ucraini, pena la sua perdita di credito presso i suoi concittadini – non ha avuto l’esito ch’egli sperava. Ma tale errato parere si fonda sull’ignoranza dei fatti. Nel suo discorso ufficiale del 30 settembre scorso a Mosca, dinanzi al popolo russo e al corpo diplomatico straniero (quindi a tutto il mondo) in occasione dell’ammissione delle due repubbliche popolari del Donbass nel contesto della compagine federativa russa, Putin dichiarava letteralmente: “Chiediamo al regime di Kiev di cessare immediatamente il fuoco, tutte le ostilità, la guerra che ha scatenato nel 2014 e di tornare al tavolo dei negoziati. Siamo pronti per questo, è stato detto molte volte”.
Eccoci al punto. Si tratta di un testo ufficiale, ottenibile in traduzione giurata da tutte le ambasciate russe del mondo. Ma i media europei ci hanno taciuto questa disponibilità: anzi, hanno sempre sostenuto che, al contrario, il governo russo era refrattario a ipotesi del genere. Ora che la notizia ha cominciato a circolare, i nostri politici e gli anchormen dei programmi televisivi hanno obiettato che l’unica credibile proposta di pace da parte di Putin sarebbe non una richiesta di cessate il fuoco, bensì un “cessate il fuoco” unilaterale russo. Ma ciò è contro qualunque costume diplomatico e militare. I “cessate il fuoco”, per loro natura, debbono essere bilaterali e concordati. Il gioco torna quindi a Biden: che non vuole accettare e impedisce di accettare allo stesso Zelensky, in quanto il suo scopo è la distruzione del credito della Russia come grande potenza oppure la sostituzione del governo di Putin con uno diverso, magari “arancione”, al fine di “finlandizzare” gradualmente l’intera Eurasia.
Questi i fatti, che Pallanti distorce sino ad affermarne erroneamente (mi auguro per ignoranza, non per disonestà) l’esatto contrario: “Che la Russia abbia una mentalità imperiale come gli zar e poi Stalin e oggi Putin, lo prova anche la richiesta della Finlandia e della Svezia, tradizionalmente neutrali, di entrare a far parte della NATO”. Nemmeno per idea. Pretestuose fantasie, caricature del pensiero senza dubbio “egemonista” di Putin e della sua eco in Europa: ciò dall’Università di Turku è autorevolmente attestato da un collega fiorentino, eminente filologo e linguista ormai da decenni residente in Finlandia. Il parossismo antirusso del mondo slavo e baltico è frutto di vecchi pregiudizi – senza dubbio innestati su eventi sei-novecenteschi e sulla triste memoria del prepotere sovietico tra 1945 e 1990 – che la macchina propagandistica statunitense ha sistematicamente, implacabilmente ingigantito e diffuso con un impegno anche finanziario enorme e che hanno fatto breccia nelle opinioni pubbliche di quei paesi sfruttandone l’ingenuità e la disinformazione. Leggetevi Russofobia di Giulietto Chiesa e perfino un lungo racconto storico di uno studioso notissimo, Alessandro Barbero, che – “inspiegabilmente”? “Stranamente”? – non ha avuto un grande successo, Romanzo russo.
Insomma, Pallanti se la prende con me e con i colleghi che – da Cacciari a Zamagni: scusate se è poco – insieme con me hanno di recente firmato un appello secondo quale, insieme con papa Francesco, si chiede “la pace subito”. Senza se e senza ma, come si usa dire. Contro l’appello si è già schierato “Il Foglio” di Giuliano Ferrara con un furibondo articolo a firma Capone (pseudonimo eloquente o nomen omen?). Noialtri saremmo gente che chiede “la pace accusando in modo subliminale l’Ucraina di avere le stesse responsabilità della Russia perché si difende in armi contro l’aggressore”. In materia d’interpretazioni allegre, siamo quasi al massimo.
Ma, come diceva Cyrano, “giunto al fin della licenza, io tocco”. Chapeau, caro Giovanni. L’inizio mi aveva deluso, con quella fiacca e un po’ sciatta adesione al luogo comune “se Cardini quelle cose le avesse scritte in Russia eccetera” (in Russia a dire il vero ho scritto molto di peggio). Alla fine del tuo scritto ti sei riscattato alla grande, da par tuo, con uno sfoggio di quell’olimpica arroganza ch’è al tempo stesso uno dei più colossali tuoi difetti e uno dei più splendidi tuoi pregi. “Forse Cardini ha un sedimento romantico e nostalgico di un mondo diviso tra imperi che, per loro natura, erano sovranazionali, non per pacificare i popoli ma per dominarli con imperatori e dittatori”. Ecco con quanto regale naturalezza si parla di cose di cui non si sa e non si capisce un accidente: e si parla di storia, con magistrale saccenteria, a uno che magari sarà anche un pover’uomo e un professionista men che mediocre, ma ch’è pur sempre appunto un professionista che magari a torto gode come tale di una certa stima, che lavora senza posa da almeno oltre sei decenni, che ha scritto decine di libri e centinaia di articoli alcuni dei quali tradotti in molte lingue estere (russo compreso, ovviamente). Questo è un lato della tua indole che mi piace e che mi diverte: e magari, quando spari senza pensarci su certe sentenze, a volte cogli perfino nel segno perché sei persona intelligente e di buona cultura. Ma la storia, quella, non è nulla di speciale: è solo un umile lavoro che, per essere fatto bene, ha bisogno di umili specialisti. Lasciala a chi la sa fare, a chi ha gli strumenti del mestiere. Tu confondi gli antichi imperi con i moderni imperialismi, che sono semiomonimi ma altra cosa. Tu combini un pasticcio indigeribile usando a vanvera parole come “imperatore” e “dittatore”: due termini fra l’altro dalla dinamica intricatissima sotto il profilo semantico. Lascia perdere, evita di offendere e di calunniare gli sforzi di chi, il suo lavoro, lo fa senza pretese ma con un certo impegno e un certo coraggio. Poi, la prossima volta che ci troveremo al bar o dal vinaio, discuteremo allegri e divertiti come in quelle sedi si usa. Ma sui giornali almeno reimpariamo a misurare termini e giudizi. Con la solita amicizia,
Franco Cardini