Minima Cardiniana 399/6

Domenica 6 novembre 2022, San Leonardo

I NODI AL PETTINE, OVVERO LA (NON) UNIONE EUROPEA
UNIONE EUROPEA IN TILT. CHE FARÀ LA MELONI?
di Michele Rallo
La Von der Leyen non se n’è forse accorta, impegnata com’è a giocare alla guerra. Non se n’è accorta – dicevo – ma quel che resta del nucleo centrale dell’Unione Europea è prossimo al tracollo. Dopo l’abbandono dell’Inghilterra (e dopo il decadimento dell’Italia) la cosiddetta “Unione” era ormai ridotta ad un insicuro “asse franco-tedesco” e ad una pletora di nanetti politici che sgomitavano per raccogliere le briciole, magari sotto forma di piani “di resilienza” più o meno farlocchi.
In verità, Parigi non aveva mai tratto grandi benefìci da quel cosiddetto asse, se si eccettua la possibilità di atteggiarsi a co-padrona dell’UE (senza naturalmente esserlo). Niente a che spartire con la “grandeur” di De Gaulle, ma soltanto una mesta caricatura. Nulla di nuovo, intendiamoci. Dalla caduta di Napoleone in poi – e con poche brevi parentesi – la politica estera francese è stata sempre caratterizzata da una arcigna ostilità verso le “sorelle latine” (Italia e Spagna) e dall’avvilente scodinzolamento verso il potente di turno: ieri l’Inghilterra, oggi la Germania. I risultati di tutto questo – dirò per inciso – sono stati la concausa di due guerre mondiali e l’irrilevanza dell’Europa mediterranea (Francia compresa) rispetto alle potenze eurosettentrionali.
Ma torniamo ad oggi. Fino a quando lo strapotere tedesco non ha recato grossi danni alla Francia, Parigi ha continuato a svolgere disciplinatamente il ruolo di “spalla” di Berlino. Ma, adesso, le conseguenze economiche della guerra non guerreggiata che Washington e Londra – con l’Unione Europea bovinamente al seguito – conducono contro la Russia, rischiano di portare in superficie il finora sommerso contrasto tra Francia e Germania.
Principale nodo del contendere – va da sé – è il problema del gas. Ma, a ben guardare, sullo sfondo v’è anche un problema geostrategico d’ordine generale, sempre legato alle conseguenze della guerra. Se gli americani riusciranno ad imporre la totale interruzione dei rapporti economici fra Europa e Russia, la Germania dovrà giocoforza volgersi verso altri teatri, fino a questo momento lasciati come riserva di caccia alla Francia (a danno dell’Italia, naturalmente). Penso in primo luogo al Nordafrica, ma anche a tutti gli angoli dell’Africa Subsahariana ancora liberi dall’influenza cinese. Qui le imprese industriali e commerciali tedesche stanno già arrivando, precedute da provvidenziali visite ufficiali del ministro degli Esteri, Annalena Baerbock, e seguite da investitori finanziari con risorse che i francesi possono solo sognarsi.
A questo punto, sembra che la Francia abbia finalmente cominciato a svegliarsi, volgendosi verso quello che avrebbe dovuto essere (e non è stato finora) il suo naturale retroterra geopolitico: i paesi eurolatini ed euromediterranei. Il primo colpo – più duro di quanto non appaia a prima vista – è stato l’accordo con Spagna e Portogallo per varare nuovi progetti di interconnessione elettrica ed energetica. A cominciare dalla realizzazione di un gasdotto marittimo fra Marsiglia e Barcellona – il Mar-Bar – che consenta agli iberici di esportare nell’Europa centrale e meridionale il loro elevato surplus di gas liquefatto attraverso una sorta di hub collocato in territorio francese. Parallelamente, i tre paesi latini hanno deciso di archiviare definitivamente il vecchio Mid-Cat, progettato per veicolare il GNL ispanico-lusitano in Germania e/o attraverso la Germania. Naturalmente, occorreranno degli anni per costruire il Mar-Bar, ma il segnale è già arrivato, immediato e chiarissimo: il matrimonio d’interesse tra Parigi e Berlino viaggia verso il divorzio.
Ora, cosa significa questo per gli equilibri europei? Significa non soltanto che l’Italia ha tutto l’interesse a fare squadra con Francia, Spagna, Portogallo e, possibilmente, pure con la Grecia. Ma significa anche che al vertice della UE si profila adesso un brusco vuoto di potere, e che la donnetta di Bruxelles e la sua incredibile corte dovranno sempre più spesso entrare in contrasto con i singoli governi nazionali, e senza la certezza di avere le spalle coperte dal fu asse franco-tedesco.
È una fortunata congiunzione astrale, alla vigilia del primo incontro della nuova Presidente del Consiglio italiano con l’acida inquilina di Bruxelles. La Meloni avrà un’occasione d’oro per dimostrare alla Von der Leyen che veramente “è finita la pacchia”, e che la Commissione Europea deve rimangiarsi tutte le manovre che sono state orchestrate – in perfetta buona fede, ci mancherebbe! – contro gli interessi italiani. Penso, in primissimo luogo, alla crociata personale proclamata dalla donnetta di Bruxelles contro l’agroalimentare e le carni della dieta mediterranea, accusati con molta fantasia di essere “cancerogeni”.
Certo, non ci sogniamo di immaginare che dietro questa crociata vi siano motivi diversi dalla semplice preoccupazione per la salute dei cittadini europei. Ma sta di fatto che questa produzione è vitale per la nostra economia. Senza di essa l’Italia sarebbe letteralmente sul lastrico, pronta per essere cucinata a fuoco lento dai figli di troika che vogliono farci fare la fine della Grecia.
Ecco, questa è l’occasione buona per un esordio scoppiettante della Meloni nei palazzacci europei. Un’occasione che non deve assolutamente lasciarsi sfuggire. Se dovesse chinare il capo a Bruxelles o se dovesse apparire arrendevole e remissiva, la sua personale credibilità ne uscirebbe irrimediabilmente distrutta.