Domenica 27 novembre 2022, Prima Domenica d’Avvento
EDITORIALE
AFRICA. CHE SI COMNCI A PARLAR CHIARO?
Buone nuove, amici cari. Stiamo tornando alla normalità. Dopo ben nove mesi d’“informazione” (si fa per dire) sulla guerra che ci si ostina a chiamare russo-ucraina, le prime pagine non sono tutte così occupate dall’eroismo di Zelensky e dalle birbonate di Putin. Riaffiorano Covid e terrorismo islamico: in effetti, ci stavano mancando. E si cominciano a vedere in TV anche dei russi, quelli veri, sia pure scegliendo accuratamente tra i buoni esiliati, o isolati in patria, e i cattivi stupidi o patriottardi. Ha cominciato Stella Pende, ieri sera 26 novembre su Rete4: e tanto nomini…
E forse c’è qualcosa di nuovo anche a proposito dell’Africa e dei migranti. Ci si comincia a chiedere se la distinzione tra profughi rifugiati che possono godere legittimamente del diritto d’asilo in quanto fuggono “da guerre e dittature” (ed è arcinoto che le guerre le scatenano solo le dittature…) e migranti economici che si limitano ad averne abbastanza di fame, miseria e mancanza di lavoro sia poi così netta e legittima. D’altronde, ci si è detto, dall’Africa mica fuggono i pezzenti, perché le comode crociere su gommoni offerte da scafisti umanitari ma un tantino esosi costano care: no, dal continente nero sta fuggendo il “ceto medio”. Lo chiamereste voialtri, che per “ceto medio” siete abituati a riferirvi a gente come il vostro vicino ragionier Carletti, che ha l’utilitaria e la colf a ore e la domenica porta la famiglia in pizzeria, il “ceto medio” dei gommoni zeppi di gente abbigliata d’improbabili t-shirts di quarta mano leziosamente adorni di scritte sportive o pubblicitarie?
Questo strano “ceto medio”, ci viene detto, “fugge dalla miseria”. Ma sarà poi vero? Lascio la parola a qualcuno che già nello scorso anno dimostrava la preparazione, l’onestà, la lucidità e il coraggio di scrivere quanto segue:
“[…] L’Africa non è affatto un continente povero, anzi. Sulla carta è potenzialmente il più ricco fra tutti i continenti, essendo quello che ha i più ingenti giacimenti di materie prime. Petrolio, diamanti, oro, metalli e terre rare, e chi più ne ha più ne metta. Ma allora perché, se la sua terra è così ricca, i suoi abitanti sono così poveri? Perché quelle terre vengono sfruttate dagli stranieri, che portano via tutto lasciando solo macerie, nell’indifferenza generale, e con la compiacenza di governi locali spesso corrotti. E chi sono questi stranieri che li sfruttano? Diversi, e tra questi alcune nazioni europee, su tutte la Francia. Capito? Noi fingiamo di essere buoni perché accogliamo, per poi abbandonarle ai margini, persone che scappano da noi e dal nostro sfruttamento. Ma piuttosto che riempire l’Europa di africani, non sarebbe molto più sensato liberare l’Africa da certi europei?
Curiosamente, nessuno ha ritenuto di raccontare questa storia, di denunciare il paradosso e la vergogna […].
Non più tardi di due anni fa organizzammo un convegno partecipatissimo alla Camera dei Deputati sul franco CFA (Coopération Franco-Africaine), la moneta di derivazione coloniale con cui la Francia tiene sotto scacco molti stati africani. A quel convegno presero parte anche dei giovani patrioti africani, che da sempre si battono per la libertà della loro terra. Raccontammo, per il tramite di questi testimoni diretti, come la stessa nazione europea il cui presidente, Emmanuel Macron, aveva definito l’Italia dégueulasse (vomitevole, in sostanza) per non aver fatto sbarcare l’ennesima nave di migranti sulle proprie coste, continui a battere moneta fuori dai suoi confini nazionali per controllare le esportazioni e l’economia di diversi stati africani, quattordici per l’esattezza. Le materie prima nascoste nel sottosuolo del Continente Nero fanno gola a tutto il mondo, controllarne le esportazioni equivale a esercitare un vero e proprio signoraggio sulla ricchezza.
Prendiamo ad esempio il Niger, ex colonia francese del Sahel, e crocevia di tutti i flussi migratori dell’Africa centrale verso la Libia. Il Niger è una delle nazioni del mondo più ricche di uranio, materia prima indispensabile a far funzionare le centrali nucleari. In Niger sono presenti in pianta stabile società di proprietà dello stato francese che estraggono uranio sin dal 1957. Ancora oggi grazie all’uranio del Niger il governo francese riesce a soddisfare un terzo del fabbisogno energetico nazionale, quando nel 2021 oltre l’80% dei nigeriani non ha ancor accesso all’energia elettrica. Per di più, nei villaggi dove viene estratta questa preziosa risorsa, si beve acqua radioattiva e si coltiva su un terreno avvelenato dagli acidi dell’estrazione mineraria. Il Niger è il primo paese al mondo per tasso d’analfabetismo, soltanto il 5% della popolazione è collegato a internet, l’aspettativa di vita è tra le più basse del mondo.
Potrei raccontare molte ancora di queste storie, che non troverete sulla grande stampa o nelle trasmissioni TV, perché quello del Niger è solo un piccolo spaccato di uno sfruttamento senza precedenti. Ma c’è molto di più: mentre in Europa, negli USA e in tutto il mondo progredito si discute di “transizione energetica” e di “green economy”, pressoché a tutti sono sconosciuti i retroscena di questo nuovo paradigma. Pochi sanno che senza l’Africa non sarebbe possibile nessuna transizione energetica, nessuna economia verde. Quante persone hanno, ad esempio, mai sentito parlare di indio, gallio, cerio, lantanio o promezio? Si tratta dei cosiddetti metalli e terre rare che sono indispensabili alla produzione di tutte le nuove tecnologie, ingredienti essenziali per la green economy.
Non ci chiediamo mai come vengono prodotte le batterie delle auto elettriche, i pannelli solari o le pale eoliche. Così come tutti gli strumenti tecnologici che utilizziamo: cellulari, tablet, tv, computer. Tutto ciò viene realizzato grazie ai metalli e terre rare di cui l’Africa è, ancora una volta, estremamente ricca. E il paradosso è che tutti questi preziosi elementi naturali, pur essendo di fatto il nuovo petrolio, rappresentano la sua disgrazia […].
Il saccheggio delle risorse africane non solo espropria i popoli della loro ricchezza, ma causa ulteriore desertificazione, alimenta i conflitti tribali in cui si insinua come una serpe il fondamentalismo islamico, e provoca flussi migratori che non fanno bene né all’Africa né all’Europa. Nessuno fuggirebbe mai dalla sua terra, dalla sua famiglia e dalle sue radici. Se i giovani africani avessero un futuro non abbandonerebbero mai la propria patria. Come scrive il, cardinale Robert Sarah in uno dei suoi ultimi libri, Bisogna fare di tutto perché gli uomini possano restare nei paesi che li hanno visti nascere. Il legame con le proprie radici, con le proprie tradizioni, con la propria identità è insito nella natura umana. La lotta dei giovani africani per la sovranità e per l’indipendenza è una lotta per la difesa della propria identità […].
Con l’Africa, l’Europa deve cambiare totalmente il suo approccio, indietreggiando, abbandonando ogni velleità neocolonialista e abbracciando la strada di una vera cooperazione allo sviluppo che possa portare ricchezza reciproca […].
Noi possiamo giocare un ruolo fondamentale su questo versante, riscoprendo l’insegnamento proficuo e pragmatico di un italiano illustre come Enrico Mattei, che fece grande l’ENI e l’Italia stringendo accordi di vera cooperazione con i maggiori produttori di petrolio, scelta che potrebbe essergli costata la vita […]”.
Ho citato fedelmente queta pagine, lasciando da parte solo alcune indicazioni peraltro marginali che avrebbero reso più semplice l’identificarne l’autore. Sfido tuti i lettori a scoprire chi abbia scritto questa pagina lucida e illuminante; e invito caldissimamente tutti i colleghi insegnanti di qualunque ordine e grado, dalla scuola elementare all’università, a far leggere e meditare questa pagina ai loro allievi. Se solo il 5% dei ragazzi italiani riuscisse a leggerla con attenzione, ad approfondirla, ad appassionarsi al suo contenuto, a discuterne senza pregiudizi con gli amici e i familiari, son persuaso che la scuola e la società potrebbero cominciare a diventar diverse e migliori. Che cosa ne pensano, ad esempio, gli studenti che in questo momento stanno occupando le scuole per protestare contro l’attuale governo?