Minima Cardiniana 402/5

Domenica 27 novembre 2022, Prima Domenica d’Avvento

IL DOVERE DELLA MEMORIA. I CRIMINI DI UNO SCRITTORE NAZISTA E LE BENEMERENZE DI UN’AGGRESSIONE DEMOCRATICA
GUNNAR GUNNARSSON, LO SCRITTORE ISLANDESE DIMENTICATO
di Amerino Griffini
Giorni fa, in un contesto polemico ma non troppo a proposito della guerra d’Ucraina, avevo ricordato i bombardamenti “per errore” fatti dagli Alleati su territori neutrali (Svizzera e Città del Vaticano), accennando anche, sempre a proposito di violazioni, all’invasione della neutrale Islanda.
L’occasione dell’anniversario della morte di un famoso scrittore islandese, mi dà l’opportunità di collegarmi a quell’accenno.
Il 10 maggio 1940, i britannici e i canadesi invasero improvvisamente la neutrale Islanda.
Il pretesto fu che avrebbero potuto invaderla i tedeschi.
Con questo criterio si potrebbero giustificare molte invasioni, compresa la preventiva operazione russa di febbraio in Ucraina effettuata per sventare la palese conclusiva minaccia della NATO.
Ma restiamo agli eventi della seconda guerra mondiale.
Nel 1940 i britannici sbaragliarono facilmente le difese dell’inesistente esercito islandese, provvedendo poi a incarcerare tutti i civili tedeschi che colà risiedevano; stessa sorte per gli islandesi aderenti ai gruppi nazionalsocialisti locali.
Nel corso della guerra, poi, un anno dopo, nel luglio 1941, gli Stati Uniti d’America – che ancora non erano entrati nel conflitto mondiale nonostante il Presidente Roosevelt cercasse ogni pretesto per farlo (compreso lo strangolamento economico nei confronti del Giappone che causò la reazione dell’attacco a Pearl Harbor il 7 dicembre 1941) – consentirono agli Inglesi di spostare le loro truppe in altro teatro di guerra e, allegramente, occuparono l’Islanda sostituendosi ai britannici.
Tanto, loro possono sempre travolgere ogni regola mentre il resto del mondo deve avere a che fare con la loro morale puritana e indiscutibile, sempre uguale dai tempi dei Padri Pellegrini del New England.
Un’occupazione, quella dell’Islanda, che durò fino al 1946 (e poi proseguita dal 1949 in poi con il pretesto del Patto Atlantico, tanto osannato anche da taluni “sovranisti” italiani attualmente al governo…).
Ma lo si sa che chi detiene il monopolio dell’informazione e delle armi è in grado di intervenire sull’immaginario collettivo con successo, facendo apparire angeli i demoni e viceversa.
Tutto ciò detto solo come preambolo ad alcune vicende della cultura dell’isola nordica di quel periodo e, in particolare, come accennavo all’inizio, dell’anniversario della morte di uno scrittore islandese, Gunnar Gunnarsson, più volte candidato a vincere il premio Nobel per la Letteratura (sei volte dal 1918 al 1961); ci andò particolarmente vicino nel 1955, anno nel quale la giuria del più importante premio mondiale gli preferì un altro islandese, Halldór Laxness, che forse era meno meritevole di Gunnarsson da un punto di vista letterario, ma aveva meno scheletri nell’armadio e poteva vantare una scelta di campo politicamente “giusta”.
Sì, è vero, qualcosina, nella biografia di Halldór, non era proprio in linea con il potere degli occupanti americani (da posizioni di socialismo umanitario aveva manifestato il suo dissenso, in nome del pacifismo, contro l’occupazione americana della sua terra durante la seconda guerra mondiale).
Era anche finito sotto processo, con un pretesto – la violazione di una recente legge sul diritto d’autore –, a causa della pubblicazione di una saga islandese adattata a romanzo con un sottofondo politico di difesa dell’identità islandese violata.
Ma non aveva certo rotto le scatole come il connazionale scrittore più famoso, quel Gunnar Gunnarsson che non solo era il più letto e i cui romanzi andavano a ruba sull’isola e nel continente, in particolare in Germania (era stato tradotto anche in Italia ed edito da Mondadori, nella seconda metà degli anni ‘30, a ulteriore dimostrazione della non provincialità dell’interesse culturale italiano nel periodo fascista), ma che dava mostra di aver abbracciato la fede nazionalsocialista.
Galeotta era stata la Nordische Gesellschaft, la Società Nordica (o più evocantemente Lega Nordica), struttura culturale fondata in Germania, con sede principale a Lubecca, che si occupava di mettere in contatto il mondo culturale nordico (in parte scandinavo), dalla Danimarca alla Norvegia, alla Svezia, ai Paesi Baltici, alla Finlandia, fino all’Islanda.
Organizzazione nata negli anni Venti in Germania, quando il Partito nazionalsocialista ancora non era al potere (ci sarebbe arrivato nel 1933), ma che già aveva delineato chiaramente le sue linee ideologiche e programmatiche.
Con la metodica capacità di ampliamento delle strutture che avevano i tedeschi, presto la Nordische Gesellschaft si dotò di organi di stampa culturali, organizzò manifestazioni, conferenze, interscambi tra accademici, studenti e uomini di cultura di tutto il mondo nordico connettendolo con quello germanico.
Una capacità di attrazione e di fascinazione che sedusse buona parte del mondo culturale di quell’area.
Principalmente la Svezia, dove i vari gruppi, nazisti e anche fascisti, elettoralmente erano insignificanti, ma avevano invece conquistato le Università (sia i docenti che gli studenti), i nomi più in vista della cultura, della scienza e delle arti, oltre che buona parte dell’aristocrazia (fino a membri della Casa Reale) e dell’imprenditoria, basti pensare al proprietario e fondatore dell’Ikea, Ingvar Kamprad.
A Travemünde, la Nordische Gesellschaft aveva posto una “casa dei poeti”, una meravigliosa villa-castello che si affacciava sulle rive del Baltico, nella quale venivano ospitati gli intellettuali nordici. La funzione di attrazione propagandistica era evidente, ma è indiscutibile che il luogo divenne un centro di cultura europeo per quel mondo del Nord.
La lista degli uomini di cultura che vi approdarono sarebbe lunga da citare e forse anche un po’ noiosa; fra questi ci fu anche Gunnar Gunnarsson, stimatissimo e onoratissimo, che negli anni tenne anche conferenze in Germania; una ventina solo tra 1935 e 1936.
Durante uno di questi cicli di conferenze, nel 1940, Gunnarsson riuscì anche a incontrare Adolf Hitler nella Cancelleria del Reich.
Tuttavia lo scrittore islandese rimase fuori da ogni adesione formale a gruppi o movimenti nazisti e non fu antisemita.
Il suo sogno rimase quello pan-scandinavo, l’unione dei Paesi nordici in una federazione che forse avrebbe potuto essere realizzata con l’aiuto della Germania.
Alla fine della seconda guerra mondiale non ebbe grandi problemi: in Islanda fu inquisito dagli Alleati, gli americani perquisirono la sua casa ma le sue convinzioni ideologiche ebbero come conseguenza solo l’ostracismo che di fatto gli fu decretato fino alla morte, compresa l’amarezza di essere sempre vicinissimo ad ottenere il premio Nobel, mai concesso proprio per quel suo passato.
Andò molto peggio ad un altro romanziere islandese, Gudmundur Kamban, che fu assassinato dai partigiani, a Copenaghen, a guerra finita, nel maggio del 1945, sotto gli occhi della moglie e della figlia.
Di Kamban credo che non sia mai stato tradotto e pubblicato niente in Italia. Lo scoprimmo quando avevamo 15 anni, io e l’attuale fumettista Alfio Krancic, nel corso delle nostre ricerche culturali “alternative”.
Di Gunnarson invece, che è morto il 21 novembre 1975 a Reykjavík, in Italia qualche suo romanzo è stato ripubblicato dalla meritoria casa editrice Iperborea nel 2016.