Minima Cardiniana 404/8

Domenica 15 gennaio 2023, San Mauro Abate

MEMORABILE TAVOLATA UCRONICA
METTI UNA SERA A CENA: CON FABIO PICCHI, ALCHIMISTA E BENPIÚCHECHEF, E AGNOLO DI COSIMO DETTO BRONZINO, PITTORE E POETA. OVVERO ELOGIO DELLA DIVINA CIPOLLA
di David Riondino
Fabio Picchi è stato compagno di studi in scuole diverse nella stessa città, pressoché coetaneo e testimone di simili cittadine avventure. Il mondo, nelle sue più conflittive e mirabili forme, spingeva dei giovanotti cresciuti in una città di grande tradizione, diventata un borgo piuttosto conformista, a ritrovare fili che riportassero il particolare all’universale, che tornava a reclamare avventure. Le vie furono per alcuni le arti, per altri gli studi, per altri ancora i viaggi in terre misteriose e lontane, per qualcuno la politica. Per Fabio Picchi fu, primo di una generazione, l’intuizione che la Via del Gusto poteva ricomporre in Firenze il glorioso passato e il futuro, aprendosi al mondo fieri della propria identità, comprensiva di mente e intestini, passando per palati e stomaco.
Fu veramente il primo, che portò nella cucina il sentimento, se così si può dire, di una generazione. Lo ricordo con Benedetta, che conoscevo prima di conoscer lui, aprire il primo Cibreo, nome bellissimo, nobile sigillo a delizie di frattaglie. Poi, naturalmente, seguii l’evoluzione, lo sviluppo, fino al Teatro del Sale e il sodalizio profondo con Maria Cassi, una delle poche artiste a continuare, col proprio talento, la lezione di Poli. Picchi cresceva, si moltiplicava, e la fama andava per il mondo: dopo di lui, altri imprenditori davano a Firenze quel volto di città del gusto che poi sarebbe debordato spesso, nel nuovo secolo, in cattivo gusto: poco rimane adesso della Firenze che Picchi iniziò ad educare alla socialità della mensa, ai suoi valori relazionali, all’arte e alla poesia, radicata come il nome nella tradizione.
Non frequentavo molto il Cibreo: non abitavo, d’altra parte, a Firenze. Ma passavo spesso, e vedevo le mutazioni. Ci fu occasione, con Picchi, di esporre posizioni diverse in una indagine sullo stato della città fatta se non erro da Maurizio Mannoni: ricordo che fieramente difendeva il ruolo di questi imprenditori “illuminati”, mentre io ero più scettico sulla direzione che prendeva la città. Ma erano scambi di idee franchi e dialettici, come si conviene, se così si può dire, a compagni d’armi.
Certamente Fabio Picchi rappresenta un punto di congiunzione tra il carisma della Firenze nobile, quella dei pittori e degli architetti e dei poeti, col presente: e quando mi è stato proposto di scriver qualcosa, mi hanno colto mentre scoprivo, nella mia ignoranza, dei poemetti in terzine sul cibo scritti nientemeno che dal pittore Angelo di Cosimo, detto Bronzino, allievo di Pontormo e maestro di Allori, pittore preferito di Cosimo Medici, il figlio di Giovanni dalle bande nere. Pittore sensuale e insieme di grande tecnica, definito manierista ma per quel che qui ci interessa certamente buongustaio: gli sarebbe certamente piaciuto il Cibreo, e certamente avrebbe ragionato a lungo con Picchi.
Bronzino aveva composto, tra i molti “capitoli” paradossali in voga a metà Cinquecento (elogio dell’Ospedale, della Galea, del Pennello, a voi immaginare i doppi sensi che volano), anche un Elogio della Cipolla. È di questo che li ascolto conversare, Bronzino e Picchi, nei tavoli fuori, una sera tiepida.
Inutile dire, in queste sere, se siamo nel Cinquecento e nel Duemila: la lingua che parliamo trapassa i secoli. Picchi sta a braccia incrociate sorridendo ad ascoltare, Bronzino ha lavorato fino a poco prima, ha segni di vernice sulle mani, e l’aria di voler tenere la scena, con una cipolla in mano.

Ecco ch’io vengo a cantar le cipolle
poi ch’altri o per invidia o per timore.
mai favellare o non seppe o non volle…
…O cipolle, possenti e singulari,
venitemi aiutar mentre ch’io dico
le virtù vostre, acciò ch’ogn’uom le ’mpari…

Si avvicina Maria, che prende posto. Porco cane, sta nascendo uno spettacolo, a tavola.

…Quest’è un cibo più che reverendo
ed ha forza per sé e per altrui
e’ assai dona, poco ricevendo.
Ha la cucina bisogno di lui,
più che del sale e de l’olio e del lardo,
come lo sanno ben gl’amici sui.
Chi è colui di si poco riguardo,
che non confessi ch’in ogni vivanda,
si fa sentire il suo sapor gagliardo?
La minestra e l’arrosto lo domanda,
la fricassea, lo ’ntingolo e ’l piattaggio;
ognun lo ’nchina e se gli raccomanda.
Ogn’animal dimestico o selvaggio,
così di terra, come d’acqua o d’aria,
condisce di cipolla il cuoco saggio.

Qui Picchi lancia il primo applauso. La vivezza dei versi, che nessuno sospettava in un pittore, ha eccitato l’uditorio. Bronzino ridacchia, si toglie il cappello (finora lo aveva tenuto in testa, con quella bella piuma di fagiano) e maneggiando la cipolla continua:

Né solamente accompagnata vale,
ma da sé cruda aggiuntovi s’intende,
fame e del pane e un pochin di sale,
fassi boccon, che la bocca si fende
fin agl’orecchi e vienti in gola il cuore
per esser tocco da queste merende.
Vienti il singhiozzo e durati du’ ore
e fatti nodo e tu non te ne curi,
anzi ne mangi più per quell’amore.

Altro applauso, la faccenda del singhiozzo commuove la Cassi. Arriva Paolo Hendel, frequentatore saltuario, e siede incuriosito.

Ma chi vuol trapassar sopra le stelle
di melodia, v’aggiunga olio e aceto
e ’ntinga il pane e mangi a tirapelle…
…Qualcun la schifa, ma poi mi rinquoro
ch’i’ l’ho veduto nettare il tegame,
come s’e’ fusse la cava dell’oro.

Grande apprezzamento per la metafora. Certamente l’umile cipolla sta cominciando a prender quota. Ci somiglia, in fin dei conti. Ascoltiamo.

Una insalata di cipolla trita
colla porcellanetta e’ citriuoli
vince ogn’altro piacer di questa vita.
Questo trapassa l’amor de’ figliuoli
e d’amici e di donne, che con essi t’ammazzeresti per due boccon soli.

Comincia a dilatarsi, questa cipolla, come contenesse potenze occulte. Picchi segue attento. Lui conosce i segreti, vuol vedere dove arriva Angelo…

…Sentesi nel lor dolce un certo brusco,
che chi non lo sapesse gli parrebbe malvagìa mescolata con vin brusco.
Ma passiam oltre che non basterebbe
chi trovò l’arcibrà, per dire a pieno
in quanti modi se ne mangerebbe.

L’arcibrà! L’algebra! Meraviglia delle invenzioni linguistiche fiorentine! Solo a tavola posson venire questi fulmini.
Bronzino passa poi ad elencare le virtù della cipolla: che son davvero molte. Inizia descrivendone le potenzialità mediche: curative per ogni guasto. Posso qui testimoniare che Picchi una volta mi curò un mal di stomaco col radicchio: ne rimasi stupefatto, e lo ebbi da allora in odor di mago. Si è aggiunto alla comitiva Staino, che morde una mela e tende l’orecchie. Saranno ormai le dieci di sera, una sera tiepida. E Bronzino sembra descrivere, procedendo nel capitolo, i passaggi della vicenda di Picchi. Così che sembra che ne canti, tramite la cipolla, la vita. Abborda un capitolo ove il nostro si distinse, indubbiamente, è la relazione tra cucina e sentimenti, tra cucina e amore. Ed ecco Angelo intonare:

Dunque s’io posso con ragion mostrare
che la cipolla in ogni cosellina
somiglia amor, chi lo potrà negare?…
…Amor passa per gl’occhi e questa appunto passa per gl’occhi e passa anche pel naso
e ’n questa parte vince amor d’un punto…
…Amor fa che l’amato si diventa
e chi mangia di queste si trasforma
in esse, si che par ch’ognun lo senta…

Ma non solo l’eros: la cipolla, a Firenze, porta dappertutto. Ecco il Bronzino che annuncia come tagliando in due una cipolla si riveli il modello della cupola. E che la sua rotondità, compresa di zenit e nadir, altro non sia che modello della terra. E che osservandone le metà dall’interno si entri in un labirinto di cerchi, segni, relazioni, numeri, che fanno girar la testa: c’è tutto.

S’i’ volessi mostrar gl’effetti e l’opre
della cipolla e i sapori e i colori
e le miniere ch’ella cela e scuopre, gl’archibalen, le rugiade e’ liquori,
la manna, il mele e le nebbie e le piove, l’esalazioni, le caverne e i vapori,
d’onde par che natura – e non d’altrove abbia cavato tutte queste cose,
bisognieria che l’un facesse nove.

Qui il pittore echeggia Dante, coi suoi giochi numerici. E Dante è cosa nota a Picchi, a quei tempi si studiava. Poi Bronzino conclude la cosmologia con bibliche citazioni:

Basta, che chi la cipolla compose
bisognò ch’egl’avesse l’icche e l’ocche,
poi ch’il cielo e la terra vi nascose.

Applauso. Ma non ha finito: la cipolla, porta alla musica: il tallo secco ispira lo zufolo.

…Quando il suo seme è secco in sur un’aia
aver veduto certi cannelloni
di talli secchi credo ch’e’ vi paia…
…Cominciaron così certi garzoni,
in quel principio, a soffiar per ispasso
in quei boccioli e trovarongli buoni
a sonare e che i grossi facean basso
e alto i più sottil, di mano in mano,
come dire il sovrano e ’i contrabasse…
…Così tutta la musica ch’il vento
suona, come dir organi e traverse,
pifferi e storte o simile strumento
da la cipolla venne ed ella aperse
la strada a l’invenzion; poi l’arte e ’l modo furon trovati da genti diverse.

Appare Benedetto Varchi, a cui il poemetto è dedicato, completo di mantello e bastone. Hendel chiede a Staino se è proprio quello della Via. Varchi lo fulmina con una occhiata e si siede tra Bronzino e Picchi. Picchi porta il vino, chiede se Benedetto, noto goloso, ha fame. Si citano famose tavolate

…mi ricordo aver mangiato starne
in casa vostra, che pareano appunto
cipolle e non sapevan più di carne…

Il clima si scalda: Bronzino, prendendo spunto dal fatto che Varchi visse in Francia, lancia battute a doppio senso.

Ma voi fuste allevato in un paese,
ch’e’ non è maraviglia, dove in festa
sempre si vive e fassi buone spese.
E’ non sare’ miracolo se questa
cosa ch’io canto avesse là insegnato
il modo da tener la lancia in resta…
…Velen per gl’occhi e per le labbra schizza una cipolla, quand’è stretta o infranta
e ha del bravo quando il tallo rizza…

E giù risate, mentre gli altri commensali guardano perplessi. Si sta esagerando?
Ma il vino scalda i cuori e Picchi sa che la cucina avvicina alla filosofia, all’arte, alla poesia. La cipolla non è radicata in terra col gambo che tende al cielo? Chiede. E Bronzino risponde: E cos’altro è la filosofia se non star da una parte nel concreto e da un’altra parte in cielo, come la cipolla?

La prima segue l’attiva o morale
co’ suoi governi di casa o di stato
e la fattiva, ch’ha del manovale;
la seconda ha l’ingegno più levato,
cerca delle cagion, parla de’ cieli,
quanto può da materia separato.

Qui la discussione si infiamma: Staino esige di sapere a cosa altro somigli. Gli risponde il pittore che la cipolla ispira la monarchia, con quel tallo che imperioso governa gli spicchi: e la metafisica, la logica e la retorica. E infine, fatalmente, la poesia. Dove altrimenti trovò Dante lo schema del suo inferno, e la cerchia dei cieli del paradiso?

Dicon ch’a Dante mai non riusciva
s’e’ non l’avessin le cipolle scorto
di far quell’opra, ove nessuno arriva.
Queste lo sceson giù nel mondo morto
di cerchio in cerchio, che con un coltello v’imparò quel viaggio a ffondo e torto.
Del purgatorio il tallo accorto fello,
così ne fece il monte e del cielo anco s’accorse, come questa era il modello.

E naturalmente, essendo parte in causa, la cipolla ispira la pittura:

Vien la pittura e fregamisi addosso
e con atti e con cenni mi richiede
Mentre ch’io son da questo furor mosso,
ch’io dica anco di lei: ma chi non vede
che quanto a poesia di studio e d’arte
si dà, tanto a pittura si concede?
Son due sorelle e ciascuna si parte
da un padre medesimo e un fine
conseguono immitando o in tutt’o in parte

Ut pictura poesis, chiosa Benedetto. Si tace un momento, gustando il piacere del cibo assunto, e delle riflessioni che ha generato. Veramente questa è Firenze, nella alchimia che Mastro Picchi ha creato tra commensali e cibo, perché le bocche filino una stoffa fine, intrecciando sapori e parole.
E si capisce che siamo arrivati a fine serata, perché ogni cena, come ogni ragionamento, ha da concludersi.

Ma forse è ben di ritirare il morso
al mio caval, prima ch’ei resti vinto,
ben ch’e’ non sia ancor giunto a mezzo il corso.
Questa materia è come il laberinto,
che quanto più s’aggira men se n’esce,
se voi l’avete mai visto dipinto.
E voler ir contro al fiume che cresce
fuor di misura o in aria incontro al vento,
a foglia o picciol legno non riesce.
Già non mi sbigottisco e non mi pento
di tanta impresa, ch’e’ non è vergognia
tentar gran cose e rimanervi drento.

Bronzino si schernisce: Varchi è ormai reclino sul tavolo e dorme sereno sognando cipolle: i tavoli si sono svuotati, Bruna ha portato a casa Staino e Hendel li ha seguiti salutando con gesto silente, e fingendo di portar via, per scherzo, un posacenere.
Restano solo loro. Picchi guarda Bronzino alzare la cipolla e concludere che, in caso il suo modestissimo omaggio alla cipolla ispirasse qualche futuro Omero Orazio od Ovidio a cantarla più degnamente, costui sia

…come a simil poeti s’aspetta,
carezzato e menato sopra il colle
Parnaso fra le Muse e lassù in vetta
coronato di foglie di cipolle.

Qui Bronzino lancia la cipolla a Picchi che la prende al volo, alza il bicchiere e brinda col pittore.
Come io alzo il bicchiere per te, Fabio, sperando che il banchetto ti sia piaciuto.