Domenica 22 gennaio 2023, Santa Emerenziana
ARTE, ARTE E ANCORA ARTE
HIERONYMUS BOSCH: COLUI CHE CREÒ UN NUOVO LINGUAGGIO FATTO DI VISIONI ONIRICHE E CREATURE FANTASTICHE
di Eleonora Genovesi
Prima Parte
“Povera è la mente che usa sempre le idee degli altri e non ne inventa di proprie…” (Jieronymus Bosch)
E fedele ai propri principi Hieronymus Bosch ha dato forma ad una sua personalissima idea di linguaggio artistico, un linguaggio dalla dimensione onirica e fantastica, che ne fa il simbolo di un “Rinascimento alternativo” come detto dai curatori della mostra in corso a Milano a Palazzo Reale che rende omaggio a questo genio della pittura fiamminga.
E allora quale miglior regalo di Natale da farsi se non quello di andare a vedere la mostra dal titolo: “Bosch e un altro Rinascimento”?
La mostra, realizzata sotto la direzione artistica di Palazzo Reale e Castello Sforzesco a cura di Bernard Aikema, Fernando Checa Cremades e Claudio Salsi, non si limita ad indagare il lato oscuro del Rinascimento fiammingo incarnato dalla figura di Bosch, un Rinascimento realmente alternativo a quello italiano, ma va molto oltre: fa dialogare cinque capolavori dello straordinario genio che è Bosch con importanti opere di altri artisti italiani, spagnoli, fiamminghi, dando luogo ad un confronto teso a far capire al visitatore, quanto l’‘altro’ Rinascimento, citato nel titolo, riesca ad influenzare, nello stesso periodo o in quelli immediatamente successivi, altri grandi artisti del calibro di Tiziano, Raffaello, El Greco e moltissimi altri. Attraverso il carattere onirico della pittura di Bosch sovraffollata di mostri, diavoli, scene apocalittiche di cui il visitatore può prendere atto nelle cinque opere esposte, si vuole mostrare come negli stessi anni in cui in Europa dominava un Rinascimento interessato all’armonia e all’equilibrio dell’antichità classica, ci fosse anche un Rinascimento Altro interessato al lato oscuro e bizzarro del mondo. E questo Rinascimento di matrice boschiana, che influenzerà tantissimi artisti, è stato per secoli umiliato e fagocitato dalla grazia e dall’armonia del Rinascimento italiano. Questo percorso aiuta il visitatore a prendere coscienza di come con il termine Rinascimento si debba intendere qualcosa di più, qualcosa di diverso ma non per questo di meno intrigante di quel Rinascimento che siamo abituati a conoscere.
Ma prima di presentare l’artista va detto che la notorietà di Bosch non ebbe inizio nelle Fiandre, regione che gli dette i natali, bensì nell’Europa meridionale. La genialità di Bosch esordì nella Spagna e nell’Italia del Cinquecento.
E sarà proprio in Italia che il nuovo linguaggio boschiano dal carattere onirico e fantastico, popolato da creature inquietanti che si aggirano in atmosfere allucinate ed infernali, troverà terreno fertile per crescere e diventare un modello iconico e culturale, non solo per molti artisti di quel periodo, ma anche per artisti delle generazioni successive, addirittura di secoli successivi come attestato dal Surrealismo, movimento pittorico nato nel 1924.
Ma chi era Bosch? Hieronymus Bosch (1453-1516) è stato uno dei più interessanti pittori olandesi, attivo tra la fine del Quattrocento e l’inizio del Cinquecento la cui vita è avvolta in un alone mistero.
Maestro del grottesco e del bizzarro, i suoi dipinti sono popolati da creature misteriose e inquietanti, da sempre oggetto di interpretazione da parte degli studiosi.
Il suo vero nome è Hieronymus van Aken, che l’artista cambia in Bosch (derivante da Hertogenbosch = Boscoducale, sua città natale), per distinguersi dal padre e dal nonno anch’essi pittori. Dalla famiglia imparò la tecnica pittorica, tanto da diventare in breve tempo un artista apprezzato, rispettato, molto richiesto e considerato uno dei più interessanti pittori olandesi. Grazie ad un matrimonio con una donna molto benestante Bosch, libero da preoccupazioni economiche, poté dare libero sfogo alla sua creatività.
Una data fondamentale nella vita dell’artista è il 1486, anno in cui entrò a far parte della Confraternita di Nostra Diletta Signora, un gruppo legato al culto della Vergine, a cui Bosch aderì per il resto della vita. Ed è proprio grazie ai registri di questa confraternita che si sa con certezza la data della sua morte avvenuta nell’agosto del 1516.
La scelta del tema della lotta fra il bene ed il male operata dall’artista fu sicuramente influenzata dall’adesione alla Confraternita. Tuttavia va detto che Bosch nasce alla fine della Guerra dei Cent’anni, in un periodo di rinascita economica e sociale che agevola un clima di prosperità per la popolazione.
Come si sa la ricchezza produce il benessere, ma al contempo anche la corruzione. La società contemporanea di Bosch è combattuta tra il culto del piacere ed il senso del dovere etico e religioso. La magia e la stregoneria erano estremamente diffuse tant’è che, di lì a pochi anni dopo la pronuncia di Papa Innocenzo VIII, inizierà la caccia alle streghe. E questo clima ha sicuramente giocato un ruolo fondamentale nella scelta da parte dell’artista di tematiche legate alla lotta tra il bene ed il male. Un esempio su tutti: il Trittico delle Tentazioni di Sant’Antonio, opera maestosa, esposta al Museo nazionale di Arte Antica di Lisbona, e visibile nella Mostra a Palazzo Reale. Il percorso espositivo, che si snoda attraverso dieci sale, ognuna caratterizzata da un preciso contenuto tematico, offre all’ignaro visitatore, attraverso un centinaio di opere d’arte tra dipinti, sculture, arazzi, incisioni, bronzetti e antichi volumi, un racconto inedito.
L’allestimento della mostra fa uso di una illuminazione che si concentra essenzialmente sulle opere, creando così un’atmosfera intima, che aiuta a soffermarsi sui dipinti, a dispetto delle persone presenti in sala. Ed ora iniziamo il nostro viaggio nella penombra delle sale seguendo spiriti, esseri ibridi e creature mostruose, entrando in una sorta di mondo allucinante, surreale, variopinto, costituito da incubi e visioni notturne che potrebbero essere anche i nostri. Grazie alla pittura di Bosch che varca la porta dell’io, della fantasia, anticipando di gran lunga le teorie psicoanalitiche di Freud, indagheremo la nostra interiorità, le nostre ombre, definite da Jung come archetipo del demonio.
Entriamo nella prima sala il cui tema è “Jheronimus Bosch ed il Fantastico” che ospita il celeberrimo Trittico delle Tentazioni di Sant’Antonio (del 1500-1503 circa) con il suo universo labirintico. L’opera, senza alcun dubbio l’ospite più illustre dell’intera mostra, accoglie il visitatore esposta dentro una teca di vetro, che, però, a differenza della sede espositiva di Lisbona, consente di girarci intorno. Insieme al trittico lisboneta nella stessa sala sono presenti le Meditazioni di san Giovanni Battista (1495 circa) provenienti dal Museo Lázaro Galdiano di Madrid ed il Trittico degli Ermeiti (1495-1505 circa) proveniente dalle Gallerie dell’Accademia, Venezia. Ma torniamo al Trittico delle Tentazioni di Sant’Antonio. Si tratta di una delle opere più conosciute dell’artista, realizzata intorno al 1503, conservata al Museu Nacional de Arte Antiga a Lisbona. Questa grande opera, come già detto, visibile sul fronte e sul retro esibisce una tale quantità di illustrazioni stravaganti, le cosiddette drolerie (forme figurative di carattere bizzarro) medievali, da mettere quasi in ombra il protagonista dell’opera: Sant’Antonio. Nelle tre tavole che lo compongono sono riportati i tre momenti fondamentali della vita del Santo: a sinistra la scelta della vita eremitica attraverso la rappresentazione del volo e della caduta di Sant’Antonio, al centro le tentazioni demoniache del santo e sulla destra il superamento delle tentazioni con conseguente raggiungimento della pace interiore mediante la rappresentazione della meditazione del Santo. È altamente probabile che Bosch abbia conosciuto la vita di Sant’Antonio, considerato il prototipo dell’eremita, attraverso la consultazione delle Vitas Patrum (biografie medievali di Santi).
Sappiamo quanto Bosch fosse interessato alla rappresentazione di tematiche afferenti la lotta fra il bene ed il male e di conseguenza a quelle del peccato e della meditazione ed il trittico di Lisbona costituisce una delle prove più alte fornite dall’artista in questo senso. Le tre tavole offrono al visitatore un fantastico spettacolo popolato di mostri, creature inconcepibili e improbabili architetture. Tutto ruota intorno alla figura del Santo che vediamo fortemente provato ma anche saldamente attaccato alla sua fede. Nella tavola sinistra, quella del volo, vediamo il Santo che si trova in cielo con le mani giunte, venir trascinato in basso da un gruppo di demoni. Nella parte inferiore della tavola troviamo una grotta dalla forma fantastica il cui ingresso, ricavato nella collina, ha la forma di un uomo carponi. Ed una processione guidata da un demone vestito con paramenti sacri ed un cervo che cammina su due zampe. La narrazione continua in primo piano dove Sant’Antonio, oramai caduto al suolo, è sorretto da due monaci ed un laico mentre attraversa un piccolo ponte.
Nella tavola centrale, quella delle tentazioni, vediamo il Santo al centro incurante di tutto ciò che lo circonda, con lo sguardo fisso verso il Crocifisso. E intorno a lui tutto un brulicare di streghe, barche dalla forma di pesci, personaggi deformi, creature demoniache, uccelli gobbi, tutte caratterizzate da un profondo significato simbolico che sottintende in vari modi al peccato (violenza, lussuria, processioni sacrileghe, ira). Sullo sfondo un incendio parrebbe alludere al “Fuoco di sant’Antonio”, la malattia che secondo la tradizione veniva curata dal Santo e dai suoi confratelli.
In basso a sinistra ecco apparire un demonio che assume le sembianze di un cavallo che suona l’arpa e cavalca un pollo spiumato. Accanto vi è uno strano uomo con un cilindro in testa: che sia il mago che suscita le tentazioni? Nel pannello, di destra, quello delle meditazioni, due figure volano in cielo a cavallo di un pesce per raggiungere i sabba delle streghe. In primo piano ecco affacciarsi da un tronco una donna nuda che incarna la lussuria, la quale si offre al Santo intento a meditare. Vicino a Sant’Antonio vediamo un nano con un mantello rosso ed una girandola simbolo dell’incoscienza, ed in primo piano, quale ultima tentazione, quella della gola, resa mediante una tavola con del pane e del vino sorretta da diavoli nudi. Nei pannelli esterni sono riportate scene che descrivono due momenti della passione di Cristo ambientati nel deserto, scelta che fa presumere che Bosch abbia associato la travagliata vita del Santo, così come conosciuta leggendo il Vitas Patrum, alla passione di Cristo.
Del linguaggio usato da Bosch per rappresentare il suo microcosmo immaginario in cui ranocchi, uccelli, mostriciattoli, figure umane, paesaggi simbolici e immaginifici, si caricano di significati profondi e complessi, aveva già parlato lo storico dell’Arte veneziano Marcantonio Michiel, il quale nel 1521, visitando a Venezia la collezione del cardinale Grimani, ebbe modo di vedere tre dipinti dell’artista. E il Michiel si rese immediatamente conto della profonda innovazione del linguaggio artistico apportata dal genio fiammingo di Bosch definito pittore di mostri, incubi e sogni. E dopo Marcantonio Michiel ecco Giorgio Vasari citare nel 1568 nelle Vite le invenzioni di quel tale Hieronymus Bosch, descritto nello stesso anno da un consigliere di Gand come “un creatore di diavoli, come nessuno riusciva a eguagliare, quando si trattava di raffigurare demoni”.
Il Trittico delle tentazioni di Sant’Antonio è un dipinto mirabile che incarna alla perfezione quella che è l’opera di Bosch presentandone tutte le caratteristiche: mostri, personaggi grotteschi, eterocliti, architetture attorcigliate, fuochi infernali che schizzano nella notte. Non per niente riferendosi alla pittura di Bosch si parla di “Immaginario boschiano”. L’altra opera dell’artista presente nella prima sala è quella delle Meditazioni di San Giovanni Battista che presenta elementi simili a quelli delle tentazioni ma in forma decisamente più attenuata. Secondo alcuni studiosi l’opera, databile intorno al 1495, avrebbe fatto parte di un polittico più grande. Bosch rappresenta il Santo seduto su un prato, appoggiato su di una roccia intento ad osservare l’agnello sotto i suoi occhi, l’agnello pasquale simbolo di Cristo. Il paesaggio circostante, decisamente più realistico rispetto ad altre opere presenti in mostra, è caratterizzato da un clima ovattato.
Questo ritratto del santo in una posa che definirei sognante, immerso in un paesaggio onirico fa del San Giovanni Battista in meditazione di Hieronymus Bosch un dipinto surreale, per il quale ogni interpretazione è possibile da parte dello spettatore, a conferma della pluralità semantica di questo artista. E a conferma di questa pluralità ecco il Trittico dei santi eremiti, un olio su tavola eseguito da Bosch tra il 1495 ed il 1505. Quest’opera fa parte quasi sicuramente della triade di opere appartenute al veneziano Cardinal Grimani di cui parla il Marcantonio Michiel definendole opere di mostri e sogni. Il Trittico degli Eremiti raffigura tre celebri santi eremiti: Girolamo nello scomparto centrale, Antonio abate nello sportello di sinistra ed Egidio in quello di destra. Tutti e tre sono rappresentati, secondo la tradizione iconografica più accreditata: in devota preghiera. Bosch amava il tema dell’eremitaggio perché riteneva potesse essere di monito all’umanità per liberarsi del peccato e delle tentazioni attraverso la contemplazione. Tuttavia per capire fino in fondo l’opera, bisogna tener presente che l’artista non si limita a raffigurare gli eremiti ma anche le loro allucinazioni.
I pensieri peccaminosi degli eremiti indotti in tentazione sono espressi da Bosch attraverso le allarmanti escrescenze delle piante e negli strani esseri che circondano i Santi. Nella pala centrale troviamo San Girolamo, riconoscibile dagli abiti cardinalizi, dalla croce e dal leone, inginocchiato tra le rovine di un edificio pagano, aggrappato con gli occhi al Crocifisso visto come la sua ultima possibilità di salvezza. Intorno al Santo si aggirano figure inquietanti simbolo del demonio, che alludono al desiderio sessuale.
I rilievi sul trono rappresentano Giuditta con la testa di Oloferne ed un cavaliere con un liocorno che simboleggerebbero la vittoria del bene sul demonio. Ancora una volta Bosch ci mostra la varietà di ispirazione delle sue opere.
Da questa prima sala si diparte il filo conduttore della mostra, che non è quello della precisione cronologica, bensì quello di differenti tematiche che accompagnano il visitatore in un viaggio tra le tentazioni dei Santi, che si troveranno di volta in volta a dover lottare fra il classico e l’anticlassico, poi tra sogni, incantesimi, visioni apocalittiche, e ancora tra stampe, curiosità, collezionismo. Ed eccoci arrivati alla seconda sala il cui tema è “classico e anticlassico tra Italia e penisola iberica” ossia il racconto di un Rinascimento diverso da quello classico italiano, un Rinascimento alternativo che troviamo nell’Europa del sud, fortemente influenzato dall’aspetto fantastico della pittura di Hieronymus Bosch e da quel suo linguaggio eccentrico che si contrapponeva a quello classicista del Rinascimento tradizionale.
Infatti la coesistenza di due differenti linguaggi artistici sarà una caratteristica del Cinquecento come si può vedere ad esempio nella Venezia dell’epoca dove troviamo al contempo l’Assunta dei Frari di Tiziano, da vedere a distanza nella sua imponenza e le piccole, sovraffollate tavole delle Visioni dell’Aldilà di Bosch, di proprietà del Cardinale Grimani, destinate ad essere viste da vicino.
Ed ecco che troviamo Le Tentazioni di Sant’Antonio di Jan Wellens de Cock, del 1525 in cui l’artista coniuga la presenza di eleganti figure femminili di stampo italiano con elementi boschiani riconoscibili nei demoni e negli animali fantastici che minacciano Sant’Antonio. Quest’opera costituisce un formidabile esempio di compenetrazione di due realtà artistiche contrastanti, che sintetizza il dibattito cinquecentesco tra Classico ed Anticlassico. Troviamo poi un bulino dal titolo Discesa di Cristo al Limbo, realizzato da Pieter van der Heyden su un disegno di Pieter Bruegel il Vecchio, considerato dai contemporanei un novello Bosch. La discesa di Cristo al Limbo avviene in un contesto affollato da mostriciattoli, demoni e strane figure, elementi tipici del linguaggio boschiano. Unica differenza: Bosch nel trattare temi escatologici si mostra più serio, mentre Bruegel vira sull’umorismo.
In questa sezione della mostra il racconto dell’opposizione classico-anticlassico ci mostra che in realtà questa opposizione non è assolutamente radicale come si voleva far credere. La coesistenza dei due linguaggi riscontrata nelle Tentazioni di Sant’Antonio di Jan Wellens de Cock, è potenziata guardando le grottesche caricature che il visitatore può ammirare in una pagina del famoso Codice Trivulziano di Leonardo. Ebbene sì: iniziano a crollare le certezze di due differenti, opposti linguaggi artistici. Già il grande Giorgio Vasari aveva messo in discussione la radicalità di questa opposizione constatando il gusto per la caricatura ed il grottesco di Leonardo da Vinci, gusto che coesiste nella produzione artistica di questo genio del Rinascimento con un linguaggio di matrice classica. Ciò a dimostrazione di come un Rinascimento affascinato dal gusto per l’eccentrico non sia esclusiva prerogativa dell’Arte nordica.
Va detto che nel corso del Cinquecento prese piede una rivisitazione del mostruoso sotto forma di arte del “grottesco, rivisitazione vista dagli studiosi come una diversa interpretazione del tema del mostruoso. E questa moda del grottesco italiano il visitatore la ritrova nell’Arazzo con grottesca con Allegoria del dio Marte, arazzo realizzato da Pierin del Vaga allievo di Raffaello, in cui troviamo motivi stravaganti, creature mostruose, forme vegetali insieme a vittorie alate e cupidi. Si passa poi alla sala 3 il cui tema è “Il Sogno”.
Dagli inizi del Cinquecento l’arte di Bosch in Italia e Spagna era vista come una rappresentazione fantastica dei sogni, rappresentazione definita, e qui cito le parole dei curatori della mostra (Bernard Aikema, Fernando Checa Cremades e Claudio Salsi): “Ingegnosa somnia o fantasticherie, bizzarrie, sogni, imaginazioni” che riproducevano immagini di mostri, incubi ed inferni. E questi sogni allucinati e traboccanti di incubi li possiamo vedere nel Mostro Marino di Albrecht Dürer, un’opera realizzata nel 1498 con la tecnica del bulino, in cui l’artista mescola aspetti classicheggianti visibili nella donna nuda in primo piano con delle raffigurazioni fantastiche come quella del mostro marino, una creatura antropomorfa, sulla cui groppa è trasportata la donna. E gli stessi sogni allucinati li ritroviamo nel Sogno di Raffaello del bolognese Marcantonio Raimondi del 1509, una delle più note rappresentazioni di soggetto onirico del Rinascimento italiano e verosimilmente una delle prime assimilazioni dell’immaginario boschiano. Si tratta di una stampa realizzata con la tecnica del bulino, il cui titolo deriva da un iniziale errore di attribuzione che la faceva risalire ad un disegno perduto di Raffaello.
Marcantonio Raimondi nel 1509 si trovava a Venezia. Da qui il clima veneziano di questa stampa dall’aspetto enigmatico e sensuale, ambientata nella laguna, che ritrae in primo piano due languide donne nude, la regina Didone e sua sorella Anna, che riposano accanto all’acqua da cui fuoriescono animali ibridi ed angoscianti dall’aspetto mostruoso. Sullo sfondo una città divorata dalle fiamme. Ci si chiederà come mai due donne dall’aspetto rilassato e tranquillo siano collocate in un contesto così angosciante. Il motivo di questa collocazione è dovuto all’esplosione della passione di Didone per l’eroe troiano Enea, sogno che Didone confessa a sua sorella Anna.
Ma si tratta di un amore angosciante, avvolto da presagi di morte sin dal suo nascere come testimoniato dall’Eneide.
Nel momento in cui Didone si getterà tra le braccia di Enea avrà inizio la tragedia che porterà il troiano a fuggire da lei a bordo dell’imbarcazione visibile al centro della scena, e che spingerà Didone a morire nel rogo che avvolge il palazzo. Siamo al centro di una materia onirica. Grazie a Marcantonio Raimondi lo spettatore vive un sogno, ma non un sogno qualsiasi, bensì un sogno colmo di inquietudine. La composizione dell’opera, in ogni sua parte, ci guida all’immagine degli incubi di Didone, ripresi dal poema di Virgilio. Il Raimondi con questa straordinaria stampa realizza una sorta di complesso mix simultaneo di diversi momenti narrativi che catturano l’interesse del visitatore.
Troviamo poi la prima edizione a stampa, realizzata nel 1518 dall’editore veneziano Alessandro Manuzio, dell’Onirocritica, un testo di cinque volumi sull’interpretazione dei sogni, scritta nel II secolo d.C. dall’efesino Artemidoro di Daldi.
Questo a conferma di quanto nel Cinquecento si fosse risvegliato un interesse per il tema del sogno e della sua interpretazione attraverso la diffusione della trattatistica antica, di cui l’Onirocritica rappresentava il trattato più importante e completo.
Continuando questo viaggio nel sogno ci si imbatte poi nella Visione di Tundalo (1491-1525 circa), proveniente dal Museo Lázaro Galdiano a Madrid. realizzata da un artista della bottega di Bosch.
Si tratta di un bizzarro dipinto che mette in scena il viaggio iniziatico di Tundalo, cavaliere irlandese del 1100, un nobile bello e forte ma moralmente indegno, dedito al furto e al saccheggio, che per tre giorni visitò l’aldilà. Ovviamente si tratta di una leggenda redatta da un monaco di Ratisbona che ebbe un gran risonanza nel medioevo. Nel dipinto il cavaliere ci appare sulla sinistra seduto con accanto un angelo che lo assiste guidando la sua anima tra i tormenti dell’Inferno. Ma la sua immagine è sovrastata e quasi messa all’angolo da quella di una grande testa con gli occhi vuoti, dalle cui orecchie crescono alberi, mentre dal naso scorrono monete d’oro che finiscono in un enorme catino nel quale sono immerse persone di età differenti. Sulla destra invece troviamo i classici elementi tipici del repertorio boschiano: un castello in fiamme, insoliti mostriciattoli, molteplici angoscianti figure di cui alcune vengono arrostite da un cancello in fiamme, altre vengono uccise nel corso di un banchetto che si sta svolgendo in una strana botte. E infine l’incubo di una donna addormentata su un letto che sogna di essere preda di animali che le stanno salendo sulle coperte.
Questo dipinto è la riprova di quanto la rivoluzione operata in pittura da Bosch, il “pittore dei sogni e degli inferni”, abbia trovato adepti ovunque.
A questo punto del percorso mi sento già catturata e affascinata dall’arte di Bosch, dalla sua capacità di parlarci di un universo diverso, quello della nostra interiorità, con un linguaggio diverso fatto di un lessico che è quello delle nostre paure più profonde. Nelle scene pittoriche di Hieronymus Bosch, al contempo religiose e profane, prendono forma le angosce e le inquietudini di tutte le epoche, non solo della sua. E questo suo nuovo linguaggio verrà declinato da molteplici artisti suoi seguaci. Per questo la figura di Bosch continua ad affascinare ancora oggi in quanto essa non è solo misteriosa ma anche moderna poiché svela il lato mostruoso della società e dipinge i sogni e gli incubi di ogni essere umano.
Il visitatore, forse un po’ smarrito, ma sempre più attratto dal racconto di questo mondo fantastico, di questo microcosmo immaginario, ma immaginario fino a che punto non è dato sapere, si appresta ad entrare nella sala 4 il cui tema è “La Magia”, forse nella segreta speranza di trovare una qualche ragione di queste anomale, ossessive visioni oniriche.
Ma di questo parleremo la prossima volta.