Minima Cardiniana 406/7

Domenica 29 gennaio 2023, San Costanzo

ARTE, ARTE E ANCORA ARTE

HIERONYMUS BOSCH: COLUI CHE CREÒ UN NUOVO LINGUAGGIO FATTO DI VISIONI ONIRICHE E CREATURE FANTASTICHE
di Eleonora Genovesi
Seconda Parte
“Povera è la mente che usa sempre le idee degli altri e non ne inventa di proprie…” (Jieronymus Bosch)
Il visitatore, forse un po’ smarrito, ma sempre più attratto dal racconto di questo mondo fantastico, di questo microcosmo immaginario, ma immaginario fino a che punto non è dato sapere, si appresta ad entrare nella quarta sala il cui tema è “La Magia”, forse nella segreta speranza di trovare una qualche ragione di queste anomale, ossessive visioni oniriche.
Quella della Magia è una categoria artistica piuttosto fiorente tra il 1500 ed il 1600, complici i processi alla stregoneria che venivano effettuati in quel periodo, che assume come soggetti i riti magici ed i sabba infernali. Queste tematiche, sia a livello pittorico che grafico, si svilupperanno su due fronti: da un lato avremo una tendenza di stampo classicheggiante e dall’altra una legata all’immaginario del Folklore. La prima tendenza ritrae le maghe riprese dalla mitologia come donne delle tentazioni, esaltandone l’aspetto seduttivo. Donne che in realtà altri non sono se non il diavolo.
La seconda tendenza, invece, è legata all’elemento demoniaco e maschilista della stregoneria che vedeva le donne come più propense a soccombere alle tentazioni demoniache. Queste streghe hanno sembianze al contempo terrificanti e grottesche come è possibile vedere nella stampa a bulino dal titolo Lo Stregozzo, databile al 1520 circa, di incerta attribuzione tra Marcantonio Raimondi ed il coevo incisore Agostino Veneziano, derivante da un bulino di Albrecht Dürer. L’atmosfera cupa e funerea, con accenti grotteschi che caratterizza la scena è ottenuta grazie ad un sapiente uso del chiaroscuro. Davanti agli occhi smarriti del visitatore voglioso di capire, si presenta una processione notturna. Partendo dalla destra ecco un’orribile donna anziana, una strega con dei capelli lerci che cavalca la carcassa di un animale mostruoso, trascinata e spinta da quattro uomini nudi.
Il corteo si apre con un ragazzo che cavalca un caprone per scappare dalla strega che si nutre di bambini. L’autore della stampa usa un fantastico linguaggio visivo per rappresentare un sabba infernale. Proseguendo il percorso della magia ci imbattiamo nel Paesaggio con corteo magico di Benvenuto Tisi detto il Garofalo, un olio su tela del 1520 proveniente dalla Galleria Borghese di Roma. Il ferrarese Tisi risentì molto sia della pittura d’Oltralpe, che del soggetto fantastico, come tipico della produzione artistica del Cinquecento ferrarese. L’opera, raffigurante un corteo di creature danzanti insieme a chimere e personaggi dagli abiti bizzarri, è una rielaborazione delle composizioni di paesaggisti nordici imitatori di Bosch. Si passa poi ad un altro olio su tela dal titolo Scena di Magia di Gillis Coignet, un’opera di difficile lettura. La mescolanza di atmosfere sataniche e riferimenti alle pratiche occultistiche, colloca l’opera di Coignet nel filone della rappresentazione di stregonerie che toccherà i vertici nel corso del 1600.Ed eccoci dinanzi ad un’opera il cui titolo è già un programma: L’incubo di un anonimo tedesco, datato fine XVI secolo. Si tratta un cartone con lumeggiature d’oro proveniente dal Museo delle Belle Arti di Strasburgo. Quest’opera è una sorta di ponte fra il tema del sogno e quello della magia… In fondo, si sa, un brutto sogno può diventare un incubo. Al centro della scena troviamo un uomo assopito tormentato da mostri ed incubi che riprendono il linguaggio boschiano. Queste terribili visioni parrebbero alludere all’effetto della magia nera sulla mente dell’uomo. E questo intrigante percorso tra il fantastico, il sogno e la magia ci porta ora in un crescendo nella quinta sala il cui tema è quello delle “Visioni Apocalittiche”.
L’iconografia dominante nella sala è quella del Giudizio Universale, tema molto sentito già in epoca medievale che si rafforzerà ulteriormente in epoca rinascimentale.
Nella dottrina cristiana il giudizio universale ratifica la salvezza o la punizione eterna dell’uomo immerso nei supplizi infernali. E questa preoccupazione per il destino ultraterreno dell’anima darà corpo in epoca tardo medievale e rinascimentale ad una ricca produzione di opere aventi come soggetto il “Giudizio Finale”, ossia il momento in cui Cristo divide definitivamente i salvi dai dannati… Una per tutte si pensi al Giudizio Universale della Sistina di Michelangelo Buonarroti.
Ed i committenti e collezionisti delle opere di Bosch sembrano prediligere il soggetto del Giudizio Finale come attestato da un trittico del Giudizio Universale di proprietà di Filippo I d’Asburgo, detto Filippo il Bello. Un altro trittico si trova, invece, a Bruges, proveniente dalla collezione del cardinale Marino Grimani, nipote del cardinale veneziano Domenico Grimani, grande estimatore di Bosch di cui collezionava opere, e proprietario del Trittico dei Santi Eremiti, esposto nella prima sala. Nella sala delle Visioni Apocalittiche salta subito agli occhi dello spettatore sempre più affascinato da questo percorso il Trittico del Giudizio Finale, capolavoro dell’arte di Bosch, un olio su tavola, realizzato dall’artista intorno al 1500 con l’aiuto di alcuni collaboratori della sua bottega. Le immagini raffigurate sul trittico chiuso sono di difficile lettura.
Ma il trittico aperto, così come lo si vede nella sala, presenta nell’anta sinistra il Paradiso, in quella centrale la scena del Giudizio e della punizione dei vizi ed in quella destra l’Inferno. Partendo dal pannello centrale ecco Cristo ritratto all’interno di un’apertura circolare del cielo, seduto sull’arcobaleno, con i piedi poggiati su di un iridescente globo terrestre, con addosso un mantello rosso che lascia vedere le ferite della crocifissione, mentre pronuncia le sentenze di salvezza e condanna simboleggiate dal giglio della misericordia e dalla spada della giustizia. Cristo è affiancato dal tribunale celeste dei suoi apostoli e da quattro angeli bianchi nell’atto di suonare le trombe del giudizio che annunciano la resurrezione dei morti. Sotto di Lui un mondo popolato da creature grottesche che alludono ai diversi peccati. In un paesaggio in cui si alternano terra ed acqua vediamo sullo sfondo la banchina di un porto che delimita uno specchio d’acqua nel quale naviga un mostro marino. Le fiamme che stanno divorando la città portuale si congiungono alle fiamme dell’Inferno del pannello di destra. In riva al mare si aggirano animali ed esseri angoscianti. L’intera zona è occupata da infrastrutture diaboliche create da demoni-insetto per la punizione dei peccatori.
Il pannello di destra raffigura il classico Inferno boschiano con la città in fiamme che richiama alla mente la Babilonia apocalittica e con i demoni nell’atto di costruire le mura della dantesca città di Dite. Demoni-pescatori che pescano i dannati, religiosi che bollono in un calderone, mostri che risucchiano i dannati, tutte evocazioni delle paure più profonde di ogni uomo, le paure dell’inconscio. Sull’anta sinistra ecco rappresentato il Paradiso: un paesaggio, anch’esso di terra ed acqua, ma che evoca serenità con i suoi toni di un azzurro delicato mentre gli angeli volteggiano in cielo ed una barca traghetta i beati verso la destinazione finale dei giusti.
Bosch nell’eseguire quest’opera si rifà ad esempi della stessa iconografia realizzati dai principali maestri della pittura fiamminga del Quattrocento come Rogier Van der Weyden, Jan Van Eyck e Hans Memling. Ma, a differenza di questi, Bosch inasprisce l’aspetto immaginifico, riempendo questo trittico di mostri, ibridi e dettagli angoscianti che quasi fagocitano l’incredulo spettatore, invitandolo a dipanarne il contenuto.
La tipologia iconografica del Giudizio Universale di Bosch avrà un’ampia influenza che andrà da tutta l’Europa all’America Latina come attestato, ad esempio, dalle Tentazioni di Sant’Antonio del bresciano Gerolamo Savoldo in cui troviamo diversi mostriciattoli ripresi dal linguaggio di Bosch.
E l’influenza del linguaggio boschiano, sebbene rivisitato, la ritroviamo anche nel Paradiso del pittore fiammingo Herri met de Bles II detto il Civetta, che rielabora la composizione coniugando il motivo dei paesaggi tipici dell’iconografia dei giudizi universali con i motivi del linguaggio di Bosch, e ancora nel Giudizio Finale dell’altro artista fiammingo Pieter Huys, datato 1553-1554, che, pur impostando la sua composizione su quella di Bosch, crea un’immagine decisamente più ordinata e calma. Ma nella quinta sala, le Visioni Apocalittiche presenti dialogano anche con l’esposizione della Comedia di Dante Alighieri di Alessandro Vellutello, una nuova edizione della Divina Commedia che riporta le prime illustrazioni stampate dell’opera del Sommo Poeta. Si tratta di xilografie che mostrano la raffigurazione di un universo circolare che collima con le produzioni di Bosch e dei suoi seguaci come il Civetta e Pieter Brugel il Vecchio. Di quest’ultimo troviamo il Giudizio Finale, un bulino del 1558, in cui Brugel imita il mondo immaginifico di Bosch realizzando una scena infernale che coniuga l’aspetto grottesco con quello comico e paradossale. Infine, a conferma che la rivoluzione operata dal genio di Hieronymus Bosch nel Cinquecento sia arrivata anche nell’America Latina, troviamo il Giudizio Finale di Leonardo Flores, pittore boliviano nato nel 1650 a La Paz. In quell’epoca tra il Perù e la Bolivia vigeva l’uso di arricchire chiese grandi e meno grandi, di città e borghi con raffigurazioni aventi come soggetto il Giudizio Finale, al fine di esortare la popolazione indigena a convertirsi al cristianesimo.
L’opera di Flores, un olio su tela, pur riflettendo le caratteristiche stilistiche della pittura spagnola del Seicento, dal punto di vista tipologico si accorda ai modelli cinquecenteschi di origine fiamminga. In questo Giudizio Finale l’artista pone in alto al centro la figura di Cristo seduto su un arcobaleno ed affiancato ai lati dalla Vergine e da San Giovanni Battista. Sotto di lui una folla multicolore di persone che attendono il giudizio.
Ed il visitatore sempre più attratto da questo percorso e desideroso di decodificare l’essenza di questo Rinascimento Alternativo, si inoltra nella sesta sala, uno spazio dedicato alle varie rappresentazioni delle Tentazioni di Sant’Antonio.
Questo soggetto, reso celebre dal Trittico di Lisbona di Bosch, capolavoro che apre la mostra, e seguito dalle Tentazioni del Prado di Madrid,che l’artista tratta in modo diverso dall’opera lisboneta, opera che vedremo dopo, è stato oggetto di molteplici versioni realizzate dai suoi seguaci, a testimonianza di quanto la figura di Bosch fosse associata ad una frenetica fantasia. Il connotato morale che caratterizza l’iconografia di Sant’Antonio tentato dai demoni e da donne dal manifesto erotismo, permette agli artisti di cimentarsi in fantasiose sperimentazioni in cui mostri, esseri ibridi, chimere si combinano insieme. Ed ovviamente il punto di riferimento in tal senso è proprio la pittura di Bosch fatta di simboli, visioni ed allucinazioni. A testimonianza del forte impatto che questa iconografia ebbe in Europa, in particolar modo nella zona asburgica, iniziamo il percorso nella sala prendendo visione dell’opera dell’incisore tedesco Martin Schongauer di cui troviamo una splendida Tentazione di Sant’Antonio, realizzata intorno al 1474-1475 con la tecnica del bulino. Si tratta di una stampa meravigliosa che secondo quanto riportato da Ascanio Condivi nella sua “ Vita di Michelangelo Buonarroti”, pare sia stata di grande ispirazione al giovanissimo Michelangelo per realizzare nel 1487 il Tormento di Sant’Antonio oggi conservato al Kimbell Art Museum in Texas. Ciò a dimostrazione di quanto le stampe consentissero una rapida divulgazione delle novità.
La Tentazione di Schongauer raffigura Sant’Antonio al centro di una nuvola di diavoli grotteschi che, pur tentandolo, non riescono a scalfire l’impassibilità del Santo. Accanto alla stampa di Schongauer troviamo un fantastico olio su tavola di un anonimo fiammingo che riproduce in pittura la celebre stampa. Si tratta di una copia realizzata con una tecnica molto delicata e dettagliata, soprattutto a livello di caratterizzazione fisiognomica dei singoli demoni che danno il tormento al Santo, demoni dai volti di animali tanto mostruosi quanto fantastici. Ed ecco ancora demoni e mostriciattoli come quelli dell’immaginario di Bosch, apparirci nelle Tentazioni di Sant’Antonio di Jan Bruegel il Vecchio, figlio di Pieter, un olio su tela del 1604 conservato a Valladolid.
Il dipinto è strutturato dall’artista in 3 diversi momenti che rappresentano i tormenti subiti dal santo: quello delle sofferenze inflitte dai mostri, quello della tentazione erotica, di stampo seicentesco e, infine, quella degli ostacoli all’ascesa del santo in cielo, quest’ultima, ripresa dalla stampa di Martin Schongauer presente in mostra. Ed il visitatore sempre più affascinato da questo immaginario si trova dinanzi alle Tentazioni di Sant’Antonio dell’istriano Bernardo Parentino, un olio su tavola realizzato a cavallo tra il 1480 ed il 1490, che costituisce uno dei primissimi esempi di rappresentazione di questa iconografia in Italia. Va detto che il soggetto pittorico delle tentazioni di Sant’Antonio ai tempi di Bosch era rappresentato molto raramente in Italia. Dunque questo dipinto costituisce una vera rarità che la mostra milanese ci consente di ammirare. Parentino raffigura il santo nel deserto in cui si era ritirato, mentre viene tormentato dai diavoli con insoliti motivi lugubri e orripilanti. In questa tela di fine Quattrocento realizzata da Bernardo Parentino nel suo soggiorno mantovano, troviamo elementi del linguaggio di Mantegna, ma anche del padovano Francesco Squarcione e del ferrarese Cosmè Tura, che si mixano con elementi del linguaggio nordico di derivazione boschiana frutto di un immaginario visionario, che riproducono figure mostruose e fantastiche come nell’opera di un Martin Schongauer e Lucas Cranach. Proseguendo troviamo le Tentazioni di un anonimo seguace di Bosch, opera del 1545 proveniente da una storica collezione veneziana, che ci fa capire come il linguaggio di boschiano si stia, seppur lentamente, diffondendo anche in Italia. Ma i seguaci italiani di Bosch non scelgono la strada dell’imitazione del modello dell’artista, bensì quella del riprendere diversi elementi del suo linguaggio e mixarli sapientemente fra loro. A seguire le Tentazioni della Scuola di Jheronimus Bosch che riporta la firma apocrifa di Pieter Bruegel, uno dei maggiori divulgatori dell’opera del genio fiammingo, a conferma della gettonata moda boschiana di metà Cinquecento. In questo dipinto dalle notevoli dimensioni troviamo svariati motivi che si rifanno alle invenzioni di Bosch. Si pensi al grande pesce con la bocca semiaperta nell’atto di ingoiare mostri e mostriciattoli. E come afferma lo storico dell’arte Bernard Aikema, uno dei tre curatori della mostra: “Il soggetto delle Tentazioni di Sant’Antonio è ricorrente nelle opere pittoriche dei seguaci di Bosch, poiché fornisce l’occasione di uno sfoggio di mostriciattoli, demoni ed esseri fantasiosi di ogni tipo, che sono il marchio di successo della maniera boschiana. Le sofferenze del santo in queste opere risultano ridotte ad un pretesto…”. Si prosegue con un’acquaforte di Johannes e Lucas van Doetecum dal titolo Le Tentazioni di San Cristofaro che ci attestano come, nel corso del Cinquecento, l’iconografia delle Tentazioni di Sant’Antonio, si estenda anche alle rappresentazioni di San Cristofaro e San Giovanni Battista, rielaborate con un linguaggio che si rifà, non solo a Bosch, ma anche a Pieter Bruegel il vecchio. A seguire Le Tentazioni di Sant’Antonio, un’incisone del 1556 realizzata con la tecnica del bulino dall’incisore Pieter van der Heyden su disegno di Pieter Bruegel il Vecchio, che renderà Pieter Bruegel il Vecchio un secondo Bosch.
L’opera è permeata di elementi ripresi dal linguaggio di Bosch come le numerose droleries (forme figurative di carattere bizzarro): l’enorme testa con la bocca aperta che divora uomini e mostriciattoli, demoni metà uomini e metà bestie, strane figure che cavalcano dei barili. E poi quelle città in fiamme tanto care a Bosch con spettacolari e complesse architetture. E questa complessa molteplice composizione pone sant’Antonio, il protagonista dell’opera quasi in secondo piano. Sull’estrema destra della stampa il Santo, inginocchiato ed intento alla lettura dei testi sacri, non sembra accorgersi dell’animato e fantasioso mondo che gli sta alle spalle, fatto di strani animali ed eccentriche figure. Ma bisogna lasciarsi ingannare da tutto questo poiché Pieter Brugel il Vecchio non si limita a riprendere elementi del linguaggio boschiano, ma ne crea anche di propri che verranno ripresi dai suoi seguaci. Si prosegue con il Paesaggio con le tentazioni di Sant’Antonio una xilografia realizzata dal Maestro J. Kock, conservata nella Biblioteca Marucelliana di Firenze, in cui l’artista riesce a rappresentare in contemporanea più episodi della vita del santo con un linguaggio figurativo che accosta elementi boschiani ad elementi di Schonguaer insieme a motivi ripresi dalla coeva pittura fiamminga. E a completare queste fantasiose combinazioni iconografiche troviamo Le Tentazioni di Jaques Callot, un’acquaforte del 1635, in cui l’autore si ispira alla moltitudine di diavoli, mostri e mostriciattoli boschiani, dando vita ad una complessa e particolareggiata composizione. E saranno proprio i J.Kock, i Pieter van der Heyden ed i Pieter Bruegel a definire i nuovi canoni di un immaginario capace di ottemperare alle richieste della nuova committenza seicentesca grazie alle stampe di Jacques Callot e i dipinti di Jan Bruegel.
Il visitatore sempre più preso da questa spirale fantasmagorica entra nella settima sala il cui tema è quello della Stampa come mezzo di divulgazione. Ma di questo parleremo la prossima volta.