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Domenica 12 febbraio, Santa Eulalia, Sesta Domenica del Tempo Ordinario
ARTE, ARTE E ANCORA ARTE
HIERONYMUS BOSCH: COLUI CHE CREÒ UN NUOVO LINGUAGGIO FATTO DI VISIONI ONIRICHE E CREATURE FANTASTICHE
di Eleonora Genovesi
Terza Parte
“Povera è la mente che usa sempre le idee degli altri e non ne inventa di proprie…” (Jieronymus Bosch)
Il visitatore sempre più coinvolto in questa spirale fantasmagorica entra nella settima sala il cui tema è quello della Stampa come mezzo di divulgazione.
Dell’universo boschiano costellato di mostriciattoli ibridi, strane figure inverosimili, personaggi grotteschi inseriti in ambientazioni da sogno o da incubo, si è già parlato. A questo punto al percorso della mostra viene dato un taglio diverso: quello dell’analisi dei mezzi attraverso i quali l’universo di Bosch si è diffuso in Europa. E il principale mezzo di divulgazione del linguaggio boschiano è stato quello della Stampa.
Come sappiamo il nucleo fondante di questa straordinaria mostra verte su quell’“Altro Rinascimento” ispirato dall’opera di Hieronymus Bosch. Ma poiché l’immagine di un artista non è data solo dalle sue opere, ma anche dal modo in cui queste vengono diffuse, valutate e dibattute, risulta imprescindibile il capire come la stampa abbia divulgato l’universo di Bosch.
E qui troviamo due differenti modalità divulgative che procedono in parallelo. Da una parte abbiamo diversi incisori fiamminghi che si avventurarono nella riproduzione di opere di Bosch dichiarandone apertamente il suo ruolo di inventore.
Dall’altra troviamo, invece, la figura di Pieter Bruegel il Vecchio la cui collaborazione con la casa editrice di Aux Quattre Vents di Anversa, diretta da Hieronymus Cock, gli consente di realizzare dei disegni, successivamente incisi a bulino da Pieter Van der Heyden, per essere poi stampati da Hieronymus Cock, nei quali Bruegel non opera una copia del suo predecessore, no, fa molto di più: ne reinterpreta l’immaginario dando luogo ad una personalissima reinvenzione dell’universo e del linguaggio boschiani. Così Brugel crea un nuovo Bosch attraverso la rielaborazione e l’intensificazione delle caratteristiche tipiche dell’artista.
E, come già detto, i disegni di Brugel vengono incisi a bulino da Pieter Van der Heyden che visualizza attraverso la stampa questo nuovo linguaggio, di matrice boschiana ma rivisitato e personalizzato da Brugel, come il visitatore, sempre più coinvolto in questo percorso, ha modo di ammirare nelle stampe dei Sette Peccati Capitali di cui parlerà anche Giorgio Vasari riconoscendone la potenza creativa e l’umorismo.
Brugel, rifacendosi ad iconografie già in essere nel Medioevo, ci racconta la Lussuria, la Superbia, la Gola, l’Invidia, l’Avarizia, l’Ira e l’Accidia con un linguaggio che potremmo definire sì “alla Bosch” ma al contempo tutto brugeliano.
Il modello compositivo è lo stesso per tutte le stampe: al centro dell’opera c’è sempre una figura femminile che incarna il peccato insieme ad un animale associato allo stesso peccato.
Ad esempio la Lussuria è incarnata da una figura femminile nuda, dall’atteggiamento provocatorio che si lascia toccare un seno da un essere ibrido dal corpo umano e volto animale, posizionata al centro della stampa all’interno di un albero dall’apparenza zoomorfa, alla cui sommità troviamo delle gigantesche valve di un mollusco. E che dire della donna addormentata sul dorso di un asino nell’Accidia o di quella intenta a specchiarsi con accanto un borioso pavone nella Superbia e ancora di quella che conta i sodi con accanto un rospo nell’Avarizia… E a circondare le figure femminili e l’animale loro accoppiato troviamo decine di personaggi mostruosi e grotteschi nell’atto di commettere quel preciso peccato o nel mentre stanno subendo la punizione per lo stesso.
Queste splendide incisioni si porranno fino a tutto il Seicento come il “l’Affiche” dell’immaginario boschiano.
Personalmente nell’ammirare quelle stampe mi è parso di entrare in un universo immaginifico di stampo surreale, che però rendeva molto bene l’immagine dei sette peccati.
Ed eccoci arrivati all’ottava sala il cui tema è Il Mondo Asburgico. Vi chiederete cosa possa entrarci il mondo Asburgico con l’arte di Bosch. Be, va detto che la sua arte riscosse un buon successo, sia da parte degli Asburgo, dinastia dominante nell’Europa cinquecentesca, sia da parte di Francesco I di Valois, re di Francia ed antagonista degli Asburgo. Chiaramente l’influenza politica, e di conseguenza culturale, esercitata da queste due case regnanti fu un importante veicolo di trasmissione dell’arte di Bosch. In modo particolare furono i mecenati ed i collezionisti delle numerose corti asburgiche a fare la fortuna dell’arte boschiana.
Tra questi collezionisti spicca la figura del Cardinale Antoine Perrenot de Grenville, elemento politicamente determinante per gli Asburgo, oltre che responsabile della formazione estetica di Filippo II, re di Spagna, figlio di quel Carlo V d’Asburgo imperatore di un “impero sul quale non tramontava mai il sole“ (il Sacro Romano Impero).
E sarà proprio il cardinale Perrenot de Grenville a condurre Filippo II verso l’arte di Bosch. Il grande interesse dell’alto prelato per le opere del genio fiammingo è attestata da un gruppo di quattro arazzi alla maniera di Bosch facenti parte della sua collezione, oggi conservati nei palazzi dell’Escorial e del Prado di Madrid, nei quali, le innovazioni apportate da Bosch, sono inserite in cornici architettoniche di stampo classico.
Si tratta di arazzi realizzati facendo riferimento ad una serie commissionata da Francesco I di Valois, andata smarrita, serie intessuta prima del 1542, comprendente un quinto pezzo non facente parte della collezione di Grenville che ritraeva la scena di un assalto all’elefante.
Tutti gli arazzi presenti in mostra: il Giardino delle Delizie, il Carro del fieno, Le tentazioni di Sant’Antonio e, infine, San Martino e i mendicanti sono di diretta derivazione dagli originali in pittura. Nell’arazzo del Giardino delle Delizie troviamo, seppur invertita, una riproduzione piuttosto fedele della struttura compositiva dell’opera originale conservata al Prado, come attestano le tentazioni che circondano il Santo: molteplici figurine orripilanti, piante ed animali che si ibridano con figure umane. E penso tra me e me a come queste immagini, pur non suscitando più orrore nei miei occhi di persona del terzo millennio, riescano tuttavia a sorprendermi aprendo la porta alla mia fantasia.
Passando poi all’arazzo del Carro del fieno non possono non notarsi le numerose differenze rispetto alle due versioni pittoriche del Prado e dell’Escorial. Questa rielaborazione del linguaggio di Bosch, appare ancora più evidente negli arazzi delle Tentazioni di Sant’Antonio e di San Martino e i mendicanti in cui le rispettive composizioni richiedono un’identificazione decisamente più complessa, a dimostrazione di come questi arazzi non copino fedelmente le composizioni di Bosch, ma ne rielaborino i temi annoverando anche il linguaggio boschiano dei suoi seguaci. Come detto in precedenza, la serie degli arazzi di proprietà di Francesco I di Valois, oggi perduta, e che noi conosciamo solo grazie alla collezione del cardinale di Grenville, comprendeva un quinto arazzo, non presente nella collezione del cardinale, il cui tema era l’assalto dell’elefante. Per ricostruire l’immagine dell’arazzo mancante ci si è rifatti ad un olio su tela esposta agli Uffizi dal titolo “Copia da Jheronimus Bosch Scena di un elefante” integrato con un insolito dipinto appartenente alla collezione privata Corella (in Navarra), e con il magnifico arazzo dal titolo Assalto ad un elefante torrito della serie delle Feste dei Valois. Le scene rappresentate in queste opere ci mostrano la visione di una festa cortigiana in cui si inscenava un attacco a un elefante fittizio. Ma perché scegliere un soggetto così inedito come l’elefante?
A tal proposito va detto che l’iconografia dell’elefante caratterizza sia il desiderio di recuperare i temi dell’antichità tipica del Rinascimento, sia il gusto esterofilo tipico dell’arte europea di quel periodo dovuto all’apertura verso nuovi mondi da parte di portoghesi che si recavano in Africa ed in Asia. Si sviluppò così l’interesse per l’esotico e per il naturalismo che la figura dell’elefante incarna molto bene.
Tale interesse è attestato dalla scelta di questo soggetto operata da Bosch diverse volte. Ed alla versione pittorica dell’elefante si aggiunge anche quella scultorea come si può vedere nel piccolo bronzo di un maestro tedesco dal titolo Elefante in guerra con i soldati, esposto nella mostra.
Ma la sala del Mondo Asburgico che ha come soggetto la retrospettiva riservata appunto agli Asburgo, non ospita solo la serie dei cinque arazzi appena visti, ma anche un’altra importante opera di Bosch: Le Tentazioni di Sant’Antonio del Prado a Madrid. Si tratta di una piccola tavola, con tutta probabilità una delle prime opere di Bosch, donata da Filippo II al Monastero dell’Escorial in cui l’iconografia della tentazione è molto diversa da quella di Lisbona.
Nella Tentazione del Prado vediamo in primo piano il Santo, all’interno di un paesaggio soleggiato, immerso nella meditazione, inginocchiato all’interno di un tronco cavo coperto da un tetto di paglia. Ai suoi piedi c’è un maiale che parrebbe quasi un animale domestico.
Il Santo della Tentazione del Prado ci è proposto da Bosch come una figura in una posizione meditativa, assolutamente calmo all’interno di un paesaggio che evoca un clima di tranquillità. Persino i demoni paiono più dei folletti che degli esseri maligni, non disturbando quindi il clima di serenità. Gli unici attributi tradizionali del Santo restano l’abito marrone con ricamata la lettera greca Tau ed il maiale accanto a lui.
E questo intrigante viaggio nel mondo surreale di Bosch, dei suoi seguaci si avvia alla fine con l’ingresso nell’ultima sala il cui tema è “Bosch, La Curiosità ed il Collezionismo Enciclopedico”. Nella seconda metà del Cinquecento si sviluppò il fenomeno del collezionismo quale diretta conseguenza della rivoluzione scientifica operata dalla nascita della stampa. Ed il frutto consapevole di questa rivoluzione fu l’illustrazione naturalistica. Esplose così la passione per le forme e gli aspetti del mondo naturale, un mondo che grazie all’ampliarsi degli orizzonti geografici appariva sempre più affollato da stranezze e bizzarrie.
Presto questa passione per il naturalismo dilagò all’interno delle grandi e piccole corti europee dando luogo al fenomeno del collezionismo di tipo enciclopedico comprendente sia prodotti umani che naturali. E divennero oggetto dell’interesse dei collezionisti anche forme che esulavano dalla normalità presentando anomalie se non mostruosità. Queste collezioni, denominate “camera delle meraviglie”, in tedesco Wunderkammer, oltre a puntare, da un lato ad inventariare il mondo visibile e dall’altro a simboleggiare lo status sociale del proprietario, sono tese a stimolare la curiosità del pubblico grazie alla varietà degli oggetti esposti. E i dipinti di Bosch, popolati da architetture bizzarre e creature visionarie, chimere, incendi di città e figure ibride riprodotte con una grande cura per il dettaglio tutta fiamminga, rispecchiano perfettamente questa nuova cultura internazionale delle corti del XVI secolo.
Le opere di Bosch sono degli effettivi microcosmi che rispecchiano il mondo di quel periodo, sia per quanto attiene l’aspetto naturale che quello delle nuove conoscenze. Le opere esposte in quest’ultima sala mirano a ricostruire una “camera delle meraviglie” ideale strutturata secondo le modalità dell’epoca incarnate dal Giardino delle delizie di Jheronimus Bosch, il cui pannello centrale è qui presente in una rara copia datata 1500, realizzata dalla Bottega di Bosch e di proprietà privata.
Questa riproduzione del Giardino delle Delizie costituisce la chiave di lettura di tutti le opere esposte nella sala.
Si inizia ammirando degli strumenti musicali: il liuto, la ghironda e l’arpa diatonica, esposti, non solo per la loro pregiata fattura, ma soprattutto perché simboleggiano la Vanitas.
Tra il 1400 ed il 1500 la musica e gli strumenti musicali potevano assumere prerogative sia negative che positive in base al contesto. Il piacere derivante dall’ascolto della musica, una delle Arti Liberali insieme alla geometria, astronomia ed aritmetica, pur essendo espressione dell’armonia celeste, era spesso associato al concetto di Vanitas intesa come caducità della vita terrena, ma anche al peccato carnale. Proseguendo troviamo sul nostro cammino una serie di uccelli impagliati: il Martin Pescatore, l’Upupa; il Picchio verde, il Pettirosso, che riprendono quelli presenti nel Giardino delle Delizie, esemplari tipici del naturalismo scientifico cinquecentesco, resi in modo estremamente realistico. E a seguire ecco un bellissimo ventaglio, realizzato nello Sri Lanka a metà Cinquecento insieme ad altri 9 su commissione del re locale come regalo per gli esponenti della corte di Lisbona.
Il Ventaglio del Pangolino, questo il suo nome, derivante da un mammifero che si trova nelle foreste dello Sri Lanka, manufatto in avorio, presenta svariati motivi decorativi nella maniglia come putti e grottesche che gli conferiscono una forma inusuale e preziosa adatta a far parte della Wunderkammer o camera delle meraviglie. Ed ecco poi un bellissimo albero in corallo rosso con foglie in lamina d’argento, montato su elegante piedistallo, anch’esso in corallo. Ed ancora un corno da caccia in avorio con scene di caccia ed uno straordinario nautilo di fattura tedesca del 1640. Nel Cinquecento la conchiglia di nautilo aveva un doppio valore, sia quello di oggetto prezioso che esotico.
E fu proprio nei Paesi Bassi che iniziò ad essere usata come decorazione da tavola. Le camere delle meraviglie erano ambienti che dovevano suscitare un enorme stupore nel visitatore. Da qui la scelta di esibire tra gli oggetti esposti elementi naturali come: conchiglie, fossili, cristalli, animali impagliati. I diversi manufatti esposti nella sala rappresentano gli artificialia, ossia gli oggetti creati dall’uomo, e denotano al contempo una preferenza sia per il bizzarro, ritraendo mostri e chimere, sia per materiali pregiati come il corallo o l’avorio.
Ed infine in chiusura ecco balzare agli occhi dello spettatore due opere decisamente definibili “mirabilia” tese a suscitare stupore: il Torso con testa di diavolo ed il meraviglioso Vertumno di Giuseppe Arcimboldo.
Ma partiamo dalla prima delle due opere, il Torso con testa di diavolo, un’inquietante scultura in legno policromato che riproduce le sembianze dell’Automa Settala.
Con questo termine si intende una sorta di invenzione ingegneristica realizzata nel 1600 dallo scienziato, orientalista, canonico della Basilica di San Nazaro e appassionato collezionista di Mirabilia, don Manfredo Settala, il cui padre Ludovico era il medico di cui si parla nei Promessi Sposi.
L’Automa Settala è un automa con la testa di diavolo collegata ad un busto poggiato su una base a forma di parallelepipedo al cui interno sono contenuti tutti gli elementi per far muovere l’automa. Ci troviamo dinanzi ad un prodigio di animazione seicentesca: una creatura infernale in legno dipinto con la testa roteante e la lingua che sbuca dalle labbra emettendo un suono terrificante in grado di spaventare anche i più temerari. A dispetto del torso in stile classico che ci ricorda quello di un Cristo alla colonna o di un San Sebastiano, il meccanismo di cui è dotata la base, in parte ancora funzionante, consentiva all’automa di muovere la testa e gli occhi, di digrignare i denti, mostrare la lingua ed emettere un rumore simile ad un ghigno.
Questo Diavolo-Automa, conservato al Museo delle Arti Decorative del Castello Sforzesco, faceva parte della collezione di oggetti raccolti da Manfredo Settala all’interno della sua Wunderkammer, camera delle meraviglie che racchiudeva oggetti fantastici e inusuali.
Ed ecco apparire dinanzi ai miei occhi il Vertumno dell’Arcimboldo. Vi garantisco che trovarsi dinanzi a quest’opera non ha prezzo. L’autore, celebre esponente del Manierismo, noto per le sue “Teste Composte”, in questo dipinto ad olio conservato a Stoccolma, ritrae l’imperatore Rodolfo II, ultimo grande collezionista del Rinascimento europeo, nella veste di Vertumno il Dio delle stagioni.
I tratti del volto del sovrano sono composti da frutta, verdura, fiori e altri elementi vegetali. La finalità simbolica era quella di rappresentare la gloria della casa asburgica che trascende persino il tempo, il cui dominio si estendeva su tutto il creato.
Come poteva il manierismo sperimentale dell’Arcimboldo che elevò i prodotti della tavola allo status di vere e proprie opere d’arte non essere presente nella Wunderkammer o camera delle meraviglie ricreata nella mostra milanese?
Esco dalla mostra stanca ma estremamente appagata.
Ho perso il senso del tempo perché mi sono felicemente persa in questo viaggio attraverso il mondo onirico di quel genio della pittura fiamminga che è Bosch. La lotta continua tra bene e male, resa dall’artista attraverso forme e figure che assumono all’interno delle sue opere misteriosi significati simbolici, dando luogo a visioni grottesche, sono un modo per mettere in scena i conflitti dell’uomo scatenati dai contrasti con le regole imposte dalla morale sociale e religiosa. I conflitti dell’uomo di Bosch sono esattamente gli stessi dell’uomo del terzo millennio, tanto che il suo linguaggio fantastico ed onirico assurgerà a modello figurativo e culturale dell’Arte suo tempo e non solo.
Ed è proprio l’influenza che l’arte di Bosch ebbe nel suo tempo e nei secoli successivi quel che questa fantastica mostra voleva far vedere. Non era la solita mostra monografica, ma molto molto di più. Hieronymus Bosch dà voce alle angosce e alle inquietudini di tutte le epoche tanto da venire a giusto titolo considerato il precursore del Surrealismo, quel movimento che voleva tradurre in pittura il dettato dell’inconscio come lo definì Andrè Breton.
E chi più di tutti ha raccolto la sua eredità è senza ombra di dubbio Salvador Dalì, artista visionario, creatore di universi immaginari, in cui il confine tra sogno e incubo è labile come le nostre certezze.
Il mondo di Bosch è anche il nostro e la sua arte ha dato vita ad un nuovo rinascimento, profondamente diverso da quello italiano. Un rinascimento che ci mostra la complessità di un mondo che racchiude in sé tutte le contraddizioni umane. Ed è proprio questo che il percorso espositivo della mostra si prefiggeva di mostrarci.
“Altri provano a dipingere l’uomo per come è fuori, mentre solo lui ebbe l’audacia di dipingerlo per come è dentro”
José de Sigüenza (1544-1606), storico, poeta e teologo spagnolo