Minima Cardiniana 409/4

Domenica 19 febbraio 2023, San Mansueto
Ultima domenica di carnevale

LA BARUFFA TRA LE “SORELLE LATINE”
I DISPETTUCCI DI MACRON E IL COLPO BASSO DI GIORGIA
di Michele Rallo
Ho spesso ripetuto – anche da queste colonne – che la politica estera di tutti i paesi del mondo, soprattutto del “nord” del mondo, segue un copione per certi versi già scritto, che si ripete con naturale facilità e che prescinde dal colore politico dei governi del momento. Non che la diplomazia sia dominata da regole immutabili, da cicli che si ripropongano meccanicamente, quasi per inerzia, come i “corsi e ricorsi storici” che il nostro Vico immaginava prima che la geopolitica diventasse una scienza quasi esatta.
In realtà sullo scenario globale non v’è un piatto automatismo, ma piuttosto il riproporsi di grandi linee di tendenza, generate da necessità oggettive dei singoli popoli, da ambizioni o da interessi delle rispettive classi dirigenti, o talora – più banalmente – da strategie che la pigrizia mentale degli stati maggiori militari hanno reso praticamente immutabili.
Tra queste grandi linee di tendenza è facile oggi riconoscerne alcune. La principale è quella che vede gli Stati Uniti d’America alla ricerca del completo dominio sull’Europa: dalla dottrina di Monroe fino alla guerra per procura in Ucraina, passando per due guerre mondiali, per la guerra fredda, per la crisi degli euromissili, eccetera.
Ma ve ne sono altre – per così dire – “minori”. Tra queste, certamente, la rivalità tra Francia e Italia. Ultimi capitoli – in ordine di tempo – quello del dossier migranti e quello dello scontro per l’invito a cena di Macron a Zelens’kyj e Scholz, con esclusione della Meloni: un ritorno all’asse franco-tedesco, che pure appariva in crisi fino a qualche settimana fa. In verità, c’è un terzo capitolo nella vicenda del più recente contenzioso italo-francese: quello dell’Algeria.
Il capitolo algerino, però, non può essere inteso in tutta la sua importanza, in tutta la sua complessità, se non lo si inquadra nel contesto di una di quelle grandi linee di tendenza cui si accennava in premessa. Occorre fare riferimento alle direttrici su cui – con alcune brevi parentesi – si è mossa la politica estera francese dopo Napoleone, specialmente durante tutto il ‘900. Una di queste direttrici, forse la principale, è stata quella della subordinazione alla potenza europea dominante (ieri l’Inghilterra, oggi la Germania) e della ostilità verso le “sorelle latine”: l’Italia in primissimo luogo, ma anche la Spagna.
Con l’Italia – procedo a grandi linee – i terreni di scontro sono stati principalmente due: l’Europa Orientale (fino alla sua inclusione nell’impero comunista) e il Nordafrica. Non starò a dilungarmi sui sottocapitoli di quest’ultimo contenzioso: dal furto con destrezza della Tunisia (1881) alle recriminazioni per la conquista italiana della Libia (1912), dai mille sgambetti durante la nostra alleanza nella Prima Guerra Mondiale alla feroce ostilità del primo dopoguerra, dall’attivismo antifascista degli anni ‘30 alla Seconda Guerra Mondiale, giù giù fino ai nefasti episodi di questi ultimi anni: uno per tutti, l’aver avviato (con la complicità americana) quella sporca e sanguinosa manovra contro Gheddafi che ha poi causato la completa destabilizzazione della Libia.
Orbene, è certamente in questo contesto che va inquadrato il nuovo capitolo algerino della faida italo-francese. In questo contesto, certamente. Ma anche in quello – perfettamente sovrapponibile – di una sfrenata rivalità per l’accesso privilegiato alle risorse petrolifere del Nordafrica: Algeria, per l’appunto; ma soprattutto Libia; senza dimenticare l’Egitto, dove l’Italia e l’ENI hanno candidamente abbandonato storiche e consolidate posizioni privilegiate (subito occupate dalla Francia e dalla Total) a seguito dell’affare Regeni.
Orbene, è in questo duplice contesto che, nei giorni scorsi, la Meloni si è recata ad Algeri: non soltanto per negoziare l’acquisto di qualche partita di gas (come aveva già fatto Draghi), ma anche e soprattutto per concordare col paese nordafricano la creazione di un asse politico-economico che esalti il ruolo di stabilizzazione politica svolto dall’Algeria sulla riva sud del Mediterraneo, e faccia nel contempo dell’Italia l’hub per il transito e lo smistamento in Europa degli idrocarburi algerini.
Certo, il “piano Mattei” meloniano è ancora soltanto nella fase progettuale. Deve fare i conti – tra l’altro – con la complessità del quadro geopolitico generale, che vede l’Algeria legata a filo doppio con la Russia, al punto da aver avanzato la richiesta di entrare a far parte del BRICS. Il BRICS – ricordo – è l’alleanza economica (e di fatto anche politica) di Cina e Russia con Brasile, India e Sudafrica; alleanza volta a costituire un sistema commerciale globale, alternativo a quello “occidentale” obbediente agli Stati Uniti. Che da parte italiana si voglia sostituire la dipendenza dal gas russo con la dipendenza dal gas di un paese filorusso, perciò, è probabilmente soltanto l’ennesimo passo falso di una politica estera oramai senza più arte né parte.
Ciò non toglie che gli accordi appena firmati ad Algeri siano un colpo basso per il povero Macron. Un colpo certamente più doloroso di quello della esclusione della Giorgia dalla cenetta parigina con Scholz e Zelens’kyj. L’Algeria sta alla Francia come la Libia sta(va) all’Italia. E l’essere andati a provocare la “sorella latina” fin nella sua ex-colonia è certamente uno sgarbo non da poco fatto al presidentuzzo en marche.
Come finirà? È presto per dirlo. Probabilmente si tratta solamente dell’ultima puntata di una telenovela che dura, più o meno, da un secolo e mezzo. E che durerà ancora: almeno fino a quando la Francia non capirà che il suo interesse è collaborare con l’Italia (e con la Spagna, e col Portogallo, e con la Grecia); e non reggere il moccolo alla Germania, come ieri all’Inghilterra. Oggi come ieri, l’Europa della Francia è quella “nostra”, latina e mediterranea; non quella straniera, aliena, targata Londra o Berlino.