Domenica 19 febbraio 2023, San Mansueto
Ultima domenica di carnevale
ARTE, ARTE E ANCORA ARTE
UN POMERIGGIO MILANESE CON ROBERT CAPA
di Eleonora Genovesi
“Questa guerra è come un’attrice che sta invecchiando. È sempre meno fotogenica e sempre più pericolosa” (Robert Capa)
L’Arte è arricchimento, oltre che un balsamo per l’anima.
L’Arte funge da specchio poiché attraverso l’esperienza estetica aziona i nostri sensi consentendoci di comprendere noi stessi. L’Arte ci permette di conoscere la molteplicità delle nostre emozioni. L’Arte reintroducendo la dimensione estetica nella nostra vita, consente ai sensi di riacquistare la loro funzione centrale come nel periodo dell’infanzia.
L’Arte infine ci ricorda il piacere della bellezza e la bellezza del piacere. L’Arte è un immergersi nella bellezza…
Insomma l’Arte è…
E che l’Arte fosse qualcosa di speciale e stimolante è ciò che percepivo sin da piccola, quando, stringendo la mano del mio papà, restavo letteralmente rapita dalle opere d’arte che apparivano come per magia dinanzi ai miei occhi nei musei italiani e stranieri dove mi portavano.
Credo che tutto sia nato da lì. Quindi quale migliore regalo di Natale se non un tour di mostre nella Milano dicembrina?
Tutto è cominciato in un pomeriggio di inizio dicembre con l’interessantissima mostra su Robert Capa tutt’ora in corso al Mudec di Milano. Il Museo delle Culture o Mudec, in collaborazione con l’Agenzia Magnum Photos, con questa mostra ha voluto rendere omaggio al grande fotografo ungherese Robert Capa in occasione dei 110 anni dalla sua nascita avvenuta a Budapest il 22 ottobre del 1913 in una famiglia ebrea ungherese. Capa, il cui vero nome era Endre Erno Friedmann, mostra già da piccolo una grande vitalità.
A 17 anni lascia la sua terra natale, l’Ungheria, per iscriversi alla facoltà di Scienze Politiche a Berlino. Ed è qui che per mantenersi trova lavoro presso uno studio fotografico, cosa che gli cambierà al vita avvicinandolo al mondo della fotografia. Nel 1932 ecco arrivare per il diciannovenne Robert Capa una possibilità inusitata, quella di recarsi a Copenaghen per fotografare Lev Trotsky.
Nel 1933 con l’avvento del nazismo, Robert Capa lascia Berlino per recarsi a Vienna dove resterà solo per un anno, trasferendosi poi a Parigi. Robert è un giovane molto promettente che a Parigi vorrebbe diventare fotoreporter facendo confluire in quel lavoro le sue due più grandi passioni: la politica e la fotografia. A dispetto delle difficoltà incontrate nel trovare lavoro come fotografo freelance, l’ambiente parigino si rivelerà per il giovane Capa estremamente stimolante: qui conosce la giovane tedesca Gerda Taro che diverrà la sua compagna, ma anche il fotografo e giornalista polacco David Seymour, uno straniero come lui che gli presenterà Henri Cartier-Bresson, un altro futuro maestro della fotografia.
Persone di etnie diverse dal punto di vista sociale e geografico legate dalla potenza del linguaggio dell’immagine.
Ed è proprio in questo periodo che il futuro grande fotografo decide di cambiare il suo nome in quello di Robert Capa ritenuto decisamente più facile da ricordare all’estero.
Il suo primo servizio importante il giovane Capa lo farà proprio al suo arrivo a Parigi quando documenterà l’ascesa al potere del Fronte Popolare.
Ma la notorietà per Robert Capa arriverà con la guerra civile spagnola grazie alla celeberrima foto del miliziano colpito a morte.
Questa foto, scattata a Cordova che ritrae un soldato dell’esercito repubblicano colpito a morte da una pallottola sparata da un soldato franchista, è divenuta una sorta di Gioconda delle fotografie di guerra. Alla sua prima pubblicazione del settembre 1936 sulla rivista VU, ne seguirono altre su Life, su Picture Post e moltissime altre ancora.
Segue poi nel 1938 il reportage sull’invasione giapponese in Cina. Robert Capa continuò a documentare le atrocità delle guerre realizzando immagini indimenticabili come quelle dello Sbarco in Normandia o delle attività militari degli americani in Sicilia. Nel 1947 insieme ad altri colleghi fondò l’Agenzia Fotografica Magnum Photos, una delle più prestigiose agenzie fotografiche.
E ancora i suoi reportage resero testimonianza della guerra arabo-israeliana del 1948 e della prima guerra di Indocina del 1954 nella quale trovò la morte facendo il suo lavoro, come era accaduto nel 1937 alla sua compagna Gerda Taro sul fronte spagnolo.
Ma Robert Capa non è stato solo il prototipo del fotografo di guerra: le sue foto sono anche foto di vita e di arte, come la foto scattata a Picasso nel suo studio parigino durante l’occupazione tedesca, foto presente in mostra. E, seppur non presenti nella mostra del Mudec sento di dover menzionare la foto scattata nel 1949 a Matisse mentre dipinge nel suo studio o ancora le foto fatte ad Ingrid Bergman, sua nuova compagna dopo la precoce morte di Gerda.
Particolarmente accattivante poi la foto del 1948 che riprende Pablo Picasso che segue la compagna Françoise Gilot sulla spiaggia, reggendo l’ombrellone come fosse un baldacchino che copre la giovane donna. Perché, e qui lascio la parola a Robert Capa: “Una foto è il ritaglio di un fatto, che mostra la realtà vera a chi non era presente molto più dell’intera scena”.
La mostra si articola in 7 sezioni che ripercorrono storicamente gli eventi oggetto dei più importanti reportage in bianco e nero di Robert Capa. La prima sezione ci parla degli inizi a Berlino e Parigi che coprono l’arco temporale che va dal 1932 al 1936, la seconda sezione si occupa della guerra civile spagnola negli anni a cavallo fra il 1936 ed il 1939, la terza sezione riporta le immagini scattate nel corso dell’invasione giapponese in Cina del 1938, la quarta sezione verte sulle immagini della seconda guerra mondiale, la 5 sezione ci restituisce le immagini dei reportage del viaggio in Unione Sovietica del 1947, la 6 sezione è dedicata alla nascita dello Stato di Israele ed, infine, la 7 sezione è dedicata all’ultimo incarico di Robert Capa come fotografo di guerra in Indocina nel 1954.
Ma partiamo dall’inizio. Mi accingo a guardare questa mostra attratta dalla leggenda Capa, ma soprattutto emozionata all’idea di poter vedere dal vivo immagini che hanno fatto la storia. Appena entrati nella prima sezione, che ci parla degli esordi di Robert Capa a Parigi e Berlino negli anni a cavallo tra il 1932 ed il 1936, troviamo come anteprima una sorta di sunto delle innovazioni tecniche apportate nell’ambito del fotogiornalismo e delle nuove sperimentazioni nel campo dell’editoria, elementi cui la leggenda di Robert Capa è legata a filo doppio. Del resto come avrebbe potuto esserci il fotogiornalismo se gli apparati fotografici non si fossero evoluti nel tempo? Quanto ciò sia vero ce lo comunica il reportage realizzato nel 1932 a Copenaghen dall’allora Endre Erno Friedmann, poi divenuto Robert Capa in occasione della conferenza tenuta da Lev Trockij il 27 novembre di quell’anno.
Et voilà ecco apparire dinanzi ai miei occhi di fotografa improvvisata l’immagine di un Trockij mentre tiene il suo discorso con un tono veemente come farebbero pensare le braccia alzate e le mani piegate.
Ed a seguire l’immagine di Léon Blum, presidente socialista del neo eletto governo del Fronte Popolare, mentre il 14 luglio del 1936 assiste alla parata del Giorno della Bastiglia.
La fotocamera di Robert Capa riesce a cogliere l’immensa gioia di un uomo che crede in quello che fa, gioia espressa dalle sue braccia alzate reggendo in una mano una lampada da minatore. Seguono foto di sostenitori del fronte popolare ripresi con il braccio alzato ed il pugno della mano chiuso quale simbolo storico della lotta proletaria. Mi lascia riflettere sul come si stia regredendo a livello di autonomia di pensiero il vedere in queste foto immagini di adolescenti che già sanno quale sia il loro orientamento politico. Ed eccomi entrare nel vivo della mostra, in quella seconda sezione dedicata ai resoconti fotografici della guerra civile spagnola del 1936.
La guerra scoppiò nel luglio del 1936 e nell’agosto di quello stesso anno Robert Capa arrivò in Spagna, insieme alla compagna Gerda Taro, in qualità di inviato della rivista francese Vu (Visto in italiano). Mi si consenta a tal proposito di spendere due parole su questa rivista dallo stampo fortemente innovativo.
La rivista Vu, creata e diretta da Lucien Vogel, pubblicata a Parigi dal marzo del1928 al luglio del 1940 per un totale di 638 numeri, si occupava di una vasta gamma di argomenti, spaziando dalla politica agli eventi in corso, dalle questioni sociali alle scoperte, alle arti, allo sport ed altro ancora, al fine di stupire il lettore catturandone l’attenzione.
Il carattere innovativo di Vu è quello di essere la prima rivista ad inserire al suo interno molte immagini, promuovendo così i reportage fotografici commissionati dalla testata, tanto da divenire un modello per la rivista americana Life.
Questa nuova forma di giornalismo è resa possibile, da un lato, dalle innovazioni dei materiali fotografici (fotocamere, pellicole e flash) che permettono di scattare istantanee, dall’altro dalle nuove macchine di stampa che consentivano prestazioni di elevata qualità. Tra i fotografi impegnati con la rivista Vu troviamo, oltre a Robert Capa e Gerda Taro, anche Henri Cartier-Bresson e Man Ray, solo per citarne alcuni.
Dopo essere stati a Barcellona, fotografando la città in mano ai repubblicani, Capa e la Taro nel settembre del 1936 raggiungono una località nei pressi di Cordova, dove Robert scatterà la celeberrima foto Morte di un miliziano lealista.
La prima immagine della sezione dedicata ai reportage realizzati da Robert Capa sulla guerra civile spagnola è una foto del 1936 che ritrae 2 giovani miliziani repubblicani.
Si tratta di un uomo ed una donna, seduti, lui con un fucile in mano, mentre si parlano girati l’uno verso l’altra, sorridenti, quasi spensierati. La giovane bella donna, è colta con gli occhi socchiusi ed il sorriso sulle labbra come se stesse confidando all’uomo un qualcosa di personale.
Se non fosse per il fucile, il cappello dell’uomo e la conoscenza della location, si direbbe che si tratta di una foto di due amici o amanti colti in un momento di relax.
Ma sarà l’immagine di 3 miliziani che il puntano i fucili in una forra sul fronte di Cordova a riportarmi alla realtà. E ancora, ecco, ripreso a distanza ravvicinata, il volto pensieroso di un miliziano repubblicano mentre punta il fucile poggiato su lastre di pietra o il volto dai lineamenti profondamente provati di un miliziano lealista sul fronte di Aragona.
E poi l’exploit: compare innanzi ai miei occhi la celeberrima immagine della morte di un miliziano lealista sul fronte di Cordova. È un’immagine che ho visto più di una volta nella mia vita, ma vi garantisco che vederla di persona è tutta un’altra cosa. Ho come la sensazione di trovarmi realmente vicino a quell’uomo ed è una sensazione forte, davvero molto forte. Ma Robert Capa non è il reporter che fotografa solamente le scene di guerra sul campo, no, è molto di più perché ci restituisce il volto di una guerra a 360°, come ci mostra la foto scattata a Bilbao nel maggio del 1937 in cui vediamo della gente atterrita fuggire in cerca di un rifugio al suono delle sirene antiaeree. E ancora sofferenza nella foto in cui è ripresa una bambina sui 10 anni in tutta la sua solitudine, mentre si riposa durante l’evacuazione della città di Barcellona nel gennaio del 1939. La bambina, coperta da una vecchia giacca, con la testa poggiata su un sacco e con accanto una borsa sdrucita e una bottiglia di acqua quasi vuota, pare fissarmi con i suoi occhi che sembra vogliano chiedermi: “Ma tu che fai per quelli come me?” Dentro di me avverto una forte sensazione di tristezza ed impotenza e penso a tutte le vittime delle guerre passate e presenti, rendendomi conto del potere delle foto di Robert Capa.
Proseguo la mia visita guardando foto che esprimono ancora dolore come quella del marzo del 1939 che ritrae il volto di un violoncellista esiliato in un campo di internamento per i repubblicani. L’uomo che tiene in mano il suo strumento, ha un volto letteralmente disfatto dalla sofferenza.
Il suo sguardo denota dolore e spaesamento e paura di un futuro che non si presenta come roseo.
Il reportage sulla Guerra Civile Spagnola si chiude con una foto scattata marzo del 1939 in Francia a Barcarès, che ritrae un gruppo di esiliati repubblicani mentre camminano lungo una spiaggia verso un campo di internamento, guidati da un poliziotto francese. Ancora una volta, al di là dei diversi orientamenti politici, i miei occhi si trovano dinanzi dolore e smarrimento. Ed eccomi arrivata alla terza sezione della mostra che si occupa della Seconda Guerra Sino-Giapponese del 1938.
Nel 1937 il Giappone, alleato dell’Italia e della Germania, invade la Cina nella speranza di veder riconosciuta la propria sovranità sulla Manciuria, di fatto già occupata. Robert Capa arriverà in Cina nel febbraio del 1938 in qualità di assistente del regista Joris Ivens per la realizzazione di un documentario, progetto molto anelato dalla moglie di Chang Kai-shek.
E Capa a questo incarico affianca quello di fotografo ritraendo il mondo di quella guerra. Troviamo bambini sorridenti che giocano nella neve nel marzo del 1938. Incuranti del freddo come tutti i bambini di ieri e di oggi, si stanno lanciando palle di neve mentre sorridono felici. È bello vedere come la voglia di vita e la forza tipiche della loro età abbiano il meglio sulla guerra in atto. E a seguire foto di soldati bambini e di attore-bambino in uno spettacolo di propaganda. E poi le foto dei coniugi Chang Kaishek. Mi colpisce la delicata bellezza di Madame Song Meiling, moglie del generalissimo. Seguono foto di addestramenti di soldati cinesi, di un treno stracolmo di passeggeri nei pressi del fronte di Xuzhou, del politico comunista cinese Zhou Enlai in posa accanto al ritratto di Karl Marx e ancora di un civile rannicchiato tra le macerie dopo un bombardamento giapponese e di gente che corre alla ricerca di un riparo al suono dell’allarme antiaereo.
Ed eccomi arrivata alla 4 sezione dedicata ai reportage di Robert Capa sulla Seconda guerra mondiale.
Nel 1941 Capa è a Londraper realizzare un servizio sullo stato della città devastata dal Blitz operato dai tedeschi a cavallo tra il 1940 e 1941.
E qui troviamo la potente foto del luglio 1941 dell’interno della Chiesa di St. John scoperchiata dai bombardamenti dell’East -End nella quale vediamo il sacerdote di spalle mentre prega circondato da 2 religiosi e 2 chierici. Seguono due foto: la prima in cui un volontario della difesa civile mostra ad una ragazzina come si indossa una maschera antigas e la seconda che ritrae davanti ad un rifugio antiaereo un anziano pensieroso, con la mano poggiata su un bastone con un gatto a fianco.
A dispetto dell’essere stato dichiarato dagli Stati Uniti quale “residente straniero di nazionalità nemica” nel 1942 Capa torna nuovamente a Londra in qualità di fotografo corrispondente della rivista Collier’s. Da qui raggiunge il Nord Africa dove nel marzo del 1943 in Tunisia documenta la battaglia di El Guettar. Vedo subito l’immagine a distanza ravvicinata di un soldato americano su un aereo e poi ecco apparire dinanzi ai miei occhi in tutta la loro intensità immagini della battaglia in corso. Nell’estate prende parte alla liberazione della Sicilia da parte degli alleati documentando in modo rigorosissimo, secondo il suo stile, le immagini di questo evento così importante per l’avanzata della prima divisione americana.
Straordinaria la foto in cui un anziano contadino siciliano, dei dintorni di Troina, indica ad un ufficiale americano la direzione presa dai tedeschi. Straordinario come due persone dalle vite così diverse riescano a capirsi tra loro.
Perdonate la parentesi personale, ma nel vedere questa foto mi sono commossa ricordando il mio nonno materno. La casa della mia mamma, un palazzetto dei primissimi del Novecento ospitava una parte delle truppe inglesi e americane stanziate nel mio comune. E mio nonno, da buon gourmet, non ne poteva più di vedere quel che mangiavano quei ragazzi, per cui un giorno prese da parte il loro capitano e, non parlando certo l’inglese, con una fantastica gestualità fece loro capire che, avevano sì i soldi ma non un buon palato. Così mia nonna Chiara a suffragare le asserzioni del marito iniziò a preparare loro sartù di riso e gateau di patate e altre prelibatezze.
Quei ragazzi americani ne rimasero talmente affascinati che al momento di partire si commossero e li strinsero in un abbraccio di quelli che non si dimenticano fino alla fine.
Chissà se anche quel bel ragazzo americano, più o meno ventiquattrenne in quell’agosto del 1943, abbia conservato nel suo cuore il ricordo di quel vecchio siciliano che gli forniva spiegazioni. Mi piace pensare sia stato così.
Nel mese di settembre Robert Capa si trova a Paestum per risalire insieme agli americani fino a Napoli, dove arriverà in ottobre, poco dopo le Quattro Giornate, e dove fotograferà i funerali degli studenti del Liceo Sannazaro che si erano battuti contro il nemico tedesco. L’immagine di quelle donne che piangono al funerale di quei ragazzi è come se emettesse essa stessa un urlo di disperazione, una disperazione che solo chi perde un figlio può comprendere.
A fine 1943 Robert Capa è a Montecassino, poi ad Anzio.
Di questo periodo c’è una foto scattata nei dintorni di Cassino che ritrae delle donne del popolo con canestri poggiati sulla testa e pentole in mano mentre fuggono attraverso le montagne.
In occasione del D-Day il 6 giugno del 1944 Capa si unisce al primo flusso di truppe che sbarcheranno in Normandia. Per realizzare il suo reportage userà una Rolleiflex e nel corso dei momenti di azione due Contax. Peccato che delle mitiche foto scattate da Robert Capa a rischio della vita, ne siano rimaste solo 11 a causa di un errore commesso durante il loro sviluppo dagli operatori della Rivista Life a Londra. Ma le 11 rimaste restituiscono ugualmente agli occhi del visitatore tutta la forza di quello sbarco.
E mi dico: ecco guarda le truppe americane in acqua mentre a passo veloce stanno sbarcando ad Omaha Beach, nome in codice dato dagli alleati alla spiaggia che si estenda da Vierville-sur-Mer a Colleville-sur-Mer sulla costa della Normandia. Uomini che nuotano, che si muovono a fatica in quelle acque cercando di rimuovere i cavalli di frisia posizionati dai tedeschi per impedire lo sbarco.
Capa accompagna poi le truppe americane dalla Normandia a Parigi, passando per Chartres dove fotograferà quella che era la punizione spettante alle donne collaborazioniste.
Un’immagine molto forte quella di una donna con i capelli rasati a zero che tiene in braccio un bambino di pochi mesi, figlio del peccato, con tutta la popolazione intorno che le urla e la deride.
Infine il 25 agosto del 1944 Robert Capa fermerà per sempre nelle sue immagini la liberazione di Parigi. Molto belle le immagini della folla festante che riempie una piazza.
Si vedono persone che, pur di applaudire i liberatori, salgono sulle cornici degli edifici a rischio di cadute rovinose.
Ed ecco il generale Charles de Gaulle che saluta la folla a Laval il 22 agosto del 1944. Vado avanti e mi dico: ma guarda chi c’è: Pablo Picasso ripreso da Robert Capa mentre esce dal suo atelier parigino nel settembre del 1944, con il cappello nella mano destra in segno di omaggio alla vittoria. Questa foto credo sia uno degli emblemi della forza dell’Arte, una forza che vince la morte.
Ma il grande fotoreporter non si ferma, no. Dopo la liberazione della capitale francese si recherà nella regione della Bastogne per documentare la liberazione della 101° divisione statunitense accerchiata dai tedeschi. E nel marzo del 1945 si paracaduterà al di là del Reno per poi raggiungere Lipsia sempre insieme alle truppe americane. Nell’agosto del 1945 si recherà a Berlino per vedere ciò che resta della città.
La foto di persone che camminano o vanno in bicicletta su una strada berlinese fiancheggiata dalle rovine di edifici è davvero forte. Vedo uomini dagli sguardi smarriti alla ricerca di quel che resta della loro vita. Ed eccoci giunti alla 5 sezione della mostra quella il cui titolo è “Oltre la Cortina di ferro” che si occupa dei reportage eseguiti da Robert Capa nel periodo trascorso nell’ Unione Sovietica post bellica, insieme all’amico scrittore John Steinbeck, nella seconda parte del 1947. Qui i due avranno modo di visitare i luoghi più significativi: una Mosca che si appresta a festeggiare gli 800 anni dalla propria fondazione, e poi le rovine di Stalingrado e ancora in Ucraina ciò che resta di Kiev o in Georgia la città vecchia di Tiblisi. Ma Capa e Steinbeck visiteranno anche i Kolchoz, le fattorie collettive russe. In questo viaggio, i cui itinerari sono gestiti da VOKS la società per le relazioni culturali con i paesi stranieri, tesa a fornire ai 2 visitatori stranieri l’immagine di un’Unione Sovietica confacente alla propaganda stalinista, Capa incontrerà non poche difficoltà, in primis quella della censura che gli confisca oltre 4.000 negativi, seguita dalla diffidenza della popolazione.
Le fotografie che Robert Capa riesce a scattare, sia in bianco e nero che a colori, verranno pubblicate dapprima su Life nel dicembre del 1947 e poi nel febbraio 1948 sul “Ladies Home Journal”. La prima foto che vedo è quella di Capa con una macchina fotografica in mano ed una sigaretta in bocca e Steinbeck. Seguono foto delle rovine di Kiev. Ma se in una di queste foto si vede una bambina seduta su quel che resta di un marciapiede incredula di fronte all’orrore della guerra, in un’altra compaiono una giovane donna ed una più anziana, forse madre e figlia, sedute su una panchina, che tengono in braccio ognuna un bimbo molto piccolo. La donna più giovane, una bella ragazza bionda che tiene in braccio il più piccolo dei due bimbi, accenna un sorriso. È la vita che ha la meglio. E dinanzi ai miei occhi scorrono immagini del quotidiano di queste persone: dalla raccolta del fieno in una fattoria collettiva, ad una famiglia riunita a tavola per un pasto sempre in una fattoria collettiva, a coppie che ballano. Seguono poi le immagini di Stalingrado. Mi colpisce quella di un papà che guarda delle foto con i figli accanto, ma anche quella di donne che camminano in un paesaggio deserto. E poi le foto dei festeggiamenti degli 800 anni della fondazione di Mosca: persone che guardano i fuochi d’artificio, due donne sedute su un muretto nella Piazza Rossa con la Cattedrale di San Basilio sullo sfondo, due ragazze che danzano come se fossero una coppia, anche se dai loro sguardi non traspare gioia, ma anzi diffidenza. Ho come la sensazione che si siano dovute prestare a simulare una serenità che non appartiene loro. E infine le foto di Tiblisi. Resto particolarmente colpita dalla solennità che emana la figura del Catholicos, ossia del Patriarca della chiesa ortodossa della Georgia, con il suo copricapo e la sua folta barba bianca mentre celebra un rito nella cattedrale. E poi la custode del monastero di Jvari avvolta nel suo costume georgiano.
Siamo giunti alla 6 e penultima sezione dedicata alla Nascita dello Stato di Israele.
Robert Capa appena seppe che gli inglesi si sarebbero ritirati e sarebbe così nato lo Stato di Israele, vola a Tel Aviv per riprendere il 14 maggio del 1948 le immagini della fondazione ufficiale dello Stato di Israele. Ed ecco la foto del fondatore David Ben -Gurion mentre legge il proclama che sancisce l’indipendenza della nazione israeliana.
Ma la notte seguente scoppierà la guerra tra Israele e la Lega Araba. Capa resterà per 6 settimane in Israele documentando gli scontri nel deserto del Negev e l’apertura della Burma Road per consentire i trasporti di emergenza verso Gerusalemme posta sotto assedio. La guerra di indipendenza israeliana si concluse nel 1949 e Robert Capa tornerà ad Israele per altre 2 volte: una nel 1949 ed una nel 1950, stavolta insieme allo scrittore Irwin Shaw con il quale sta collaborando per la stesura di un libro dedicato alla situazione postbellica dello stato. Si vedono foto di immigrati stipati sul parapetto di una nave in arrivo al porto di Haifa, poi quella di una donna ad Haifa che porta sulle spalle i suoi bagagli accompagnata da un bambino. Particolarmente toccante la foto di un uomo con il copricapo ebraico che porta sulla spalla una trave in legno richiamando alla mente l’immagine di un certo Cristo. Questa immagine verrà scelta per la copertina del libro Report on Israel edito nel 1950.
Molto bella la foto scattata nel 1950 ad una bambina ebrea di origine yemenita in un campo di transito per immigrati situato ad Haifa. La bambina, di circa 6 anni, è ripresa da vicino e mi sembra che mi stia fissando con il suo sguardo pensoso di chi non sa bene dove sia e perché sia lì.
Sono immagini che mostrano una grande vicinanza da parte di Robert Capa ai soggetti fotografati, soggetti che, pur nella sofferenza, mostrano sempre una grande dignità.
E chi meglio di un Robert Capa, esodato anche lui, fuggito dalla nativa Ungheria, dapprima per la Germania e poi per la Francia fino agli Stati Uniti, poteva capire questa gente?
Siamo giunti alla fine di questo viaggio nell’arco temporale storico che va dal 1932 al 1954 entrando nella settima ed ultima sezione dedicata alla Guerra di Indocina.
Robert Capa era in Giappone quando “Life” gli chiede di sostituire per un mese un collega nell’ Indocina francese dove troverà la morte… Quando si dice destino. A Capa viene chiesto di documentare la fine di questa guerra iniziata a fine 1946 tra i francesi e il movimento Viet Minh, guidato da Ho Chi Minh, che si poneva come scopo l’indipendenza del Vietnam. A dispetto delle intenzioni della rivista di raccontare la guerra dalla sola angolazione francese, Robert Capa decide di accettare l’incarico ripromettendosi di raccontare una storia che avrebbe intitolato Riso Amaro nella quale avrebbe messo in contrapposizione immagini dei contadini del delta del fiume Rosso a quella delle attività militari.
Capa ha appena iniziato a lavorare sul suo reportage dedicato alla situazione sul delta quando il 25 maggio del 1954 partecipa ad una missione guidata dal generale francese Renè Cogny per distruggere 2 fortini indifendibili tra Nam Dinh e Thai Binh. Durante una sosta del suo convoglio Capa scende dalla sua jeep per seguire un gruppo di soldati. Nell’attraversare un campo che costeggia la strada Robert Capa calpesta quella mina antiuomo che lo porterà alla morte dopo poche ore. Robert Capa sarà il primo corrispondente americano di guerra a morire in Vietnam. Le foto presenti in questa sala sono solo 4, le ultime 4 scattate dal grande fotografo: donne e bambini in un cimitero del 21 maggio 1954, riprese del cammino intrapreso per la missione effettuate dalla jeep sulla quale si trovava, a seguire 2 soldati che passano dinanzi ad un cadavere e, infine, l’ultima fotografia in cui sono ripresi soldati sulla strada da Nam Dinh a Thai Binh datata 25 maggio 1954.
Robert Capa con i suoi reportage di guerra non si è limitato a farci vedere delle immagini, ma è riuscito a coinvolgerci emotivamente attraverso la forza delle espressioni delle persone e dei luoghi fotografati che paiono parlarci.
Che cosa ci ha lasciato dunque Robert Capa?
Lascio la parola a John G. Morris, mitico foto editor oltre che amico personale di Capa: “Una fiaschetta di cognac, alcuni bei vestiti, un mondo in lutto e le sue foto, tra cui alcuni dei più grandi momenti mai documentati della storia moderna”.
“Come fotografo di guerra spero di rimanere disoccupato per il resto della mia vita” (Robert Capa)