Domenica 12 marzo 2023, Terza Domenica di Quaresima
LIBRI LIBRI LIBRI
LA LIBERTÀ DELL’UOMO, LA TIRANNIA DELLE STELLE
Laura Carotti, Astri, Fortuna, Libero Arbitrio. Discussioni filosofiche tra ’400 e ’600, Firenze, Olschki, 2021, pp.XIII-111, euri 19,00 (Istituto Nazionale di Studi sul Rinascimento. Quaderni di “Rinascimento”, 54)
Il libro di Anna Carotti, giovane borsista dell’Istituto nazionale di Studi sul Rinascimento sito in Firenze, riunisce quattro studi riguardanti il rapporto fra astrologia e tema del libero arbitrio attraverso quattro autori principali (Nicolò Machiavelli, Francesco Guicciardini, Luigi Guicciardini e Tommaso Campanella), cui si aggiungono altri autori, quali Andrea Cesalpino e Verino “secondo”, ma anche una grande quantità di astrologi di varie epoche precedenti l’età quattro-seicentesca qui specificamente presa in considerazione.
Punto di partenza dello studio è la prima edizione a stampa del De magnis coniunctionibus del grande Albumasar, redatto in originale fra 861 e 866 e tradotto nel 1489 a cura di Johann Engel per i tipi di Erhard Radtolt in Augsburg. Il tema era l’incontro dei tre pianeti superiori – Saturno, Giove, Marte – nei differenti segni zodiacali. La questione congiunzionistica aveva appassionato il medioevo e il Rinascimento in quanto riguardava il tema fondamentale del rapporto tra libertà e volontà. Su ciò sono intervenuti nel tempo studiosi illustri quali Paola Zambelli, Gabriella Federici Vescovini, Marco Bertozzi ed altri.
Sono ancor oggi molti i pregiudizi, a proposito dell’astrologia. Per esempio che si tratti solo dell’antenata “antiscientifica” o “ascientifica” dell’astronomia: mentre al contrario si fondava su osservazioni e calcoli tutt’altro che errati o grossolani: del resto, Galileo o Kepler continuarono tutta la vita a “calcolare oroscopi”. Si dice, ancora, che quella degli astri fosse una scienza “proibita”, “occulta”, strettamente imparentata con la magia e per perciò perseguitata dalla Chiesa. Anche lì, confusioni e generalizzazioni abbondano. Che gli astri fossero portatori di speciali tipi di potenza, cioè di “energia”, è un dato che la scienza attuale conferma. È certo che fino dalla preistoria le stelle sono state considerate esseri intelligenti, dotati di potere e di volontà: e d’altronde, poiché erano soggetti alle leggi della natura e da quelle dell’ordine cosmico, vi erano essere umani che studiavano quelle leggi e che erano convinti di poter comandare anche agli astri. Il che era del tutto legittimo in vari sistemi di pensiero pagano, nei quali gli dèi non erano mai considerati né perfettamente buoni, né onniscienti.
Certo, col cristianesimo tutto cambiò. Da allora scomparvero sotto i colpi del proselitismo della nuova fede anche molte credenze, degradate a superstizioni: e quel che restava della sacralità delle stelle fu declassato a livello di credenza e di culto diabolico. Ma l’inquisizione non perseguitò mai gli astrologi in quanto tali: al massimo, si proibì la cosiddetta “astrologia giudiziaria” la quale pretendeva che fosse soltanto la fede negli astri a regolare la vita umana, con ciò insediando il principio cristiano del libero arbitrio.
QUANDO GLI EBREI CESSARONO DI ESSERE ITALIANI
Giorgio Fabre, Il Gran Consiglio contro gli ebrei. 6-7 ottobre 1938: Mussolini, Balbo e il regime, Bologna, il Mulino, 2023, pp. 320, euri 26,00 (“Critica storica”, Collana del Dipartimento di Storia, Cultura e Storia sammarinese dell’Università degli Studi della Repubblica di San Marino)
Giorgio Fabre è uno studioso di storia politica novecentesca che, a proposito del rapporto tra fascismo e razzismo, ha scritto Mussolini razzista (Garzanti 2005) e Il razzismo del duce (Carocci 2021). In questo libro vengono ricostruite le vicende dei due giorni fra il 6 e il 7 ottobre 1938 durante i quali si tenne la seduta del Gran Consiglio del Fascismo che, per ben cinque ore, venne discussa la Dichiarazione sulla razza che il Duce aveva meditato per alcune settimane e quindi inviato ai membri del supremo organo di governo dell’Italia fascista per definire i tratti della politica fascista del regime.
Mussolini aveva molti dubbi al riguardo: e Fabre attesta come l’atteggiamento dei membri del Gran Consiglio lo lasciò interdetto. In ogni caso, dal suo lavoro emerge che l’evento ebbe un deuteragonista se non addirittura un antagonista in Italo Balbo, fieramente schierato in difesa degli ebrei soprattutto della sua Ferrara e testimone della fede fascista e delle benemerenze nei confronti del regime da parte di molti di loro. Riguardo all’evento, altre fonti preziose sono il Diario di Giuseppe Bottai e il saggio La difesa della razza di Nello Quilici, stampato nella “Nuova Antologia” diretto da Luigi Federzoni. A proposito del saggio del Quilici, padre del Folco che sarebbe stato avviato a quella fulgida carriera che conosciamo, si possono registrare il commento di Renzo De Felice, il quale propende sul fatto che le intenzioni di Quilici fossero semifavorevoli agli ebrei, e la critica dello storico Alessandro Roveri, molto severo nei confronti di De Felice. Tra le posizioni ambigue, ma sostanzialmente sfavorevoli nei confronti degli ebrei, dev’esser ritenuta anche quella di Volpi di Misurata. Certo su molte questioni, quale quella dell’esclusione dei bambini ebrei dalla scuola pubblica e dell’istituzione di scuole elementari e medie per ebrei, il disagio e diciamo pure la cattiva coscienza dei leaders fascisti emerse con una qualche chiarezza pur nell’imbarazzo e nell’ambiguità: né bastarono le “discriminazioni” a mettere a posto tutte le coscienze. Nello specifico caso di Balbo, la città del quale aveva una delle comunità ebraiche qualitativamente e quantitativamente più notevoli e che, come governatore della Libia, si trovava dinanzi alla questione dei molti ebrei locali, la sua finale accettazione della normativa antisemita fu ancora più ambigua. Restava Mussolini, egli stesso evidentemente assillato da dubbi ma che si sentiva impaurito dalla prospettiva di dover render conto a colui che in ultima analisi era ormai il vero padrone delle coscienze politiche del Regime: Adolf Hitler. Inutile dire che in tutta la vicenda c’è poi un “convitato di pietra”, che per la verità non era stato neppur convitato nell’occasione. Giovanni Gentile. E qualcun altro, che avrebbe potuto fermare quel tragico treno non ancora in corsa. Forese, chissà?, gli sarebbe costato il trono. Ma forse no. Manovrando con prudenza, avrebbe potuto se non altro guadagnare tempo. Il re imperatore Vittorio Emanuele. Dicono abbia firmato controvoglia. Il che sarebbe stato un aggravante.
Insomma, un pasticciaccio; e un affare vergognoso. All’interno del quale tuttavia i problemi sono molti, le generalizzazioni improponibili, la prese di posizione a posteriori vili e inutili. Studiare: questo bisogna.
E LA GUERRA CONTINUA…UN BOUQUET DI LIBRI EUROPEISTI A PROPOSITO DELLA CRISI UCRAINA
Dalla guerra NATO-Russia si esce aprendo occhi e mente e ricordando la Storia.
Mentre si sono spenti i faretti celebranti a canali unificati il primo anniversario del conflitto ucraino, nuovo fronte incandescente di esportazione della democrazia, anche in Italia – dopo molti stati europei – crescono le voci che dal basso chiedono una soluzione per un conflitto che nessuno vuole far finire (papa Francesco) e che l’occidente minaccia quotidianamente di far proseguire… fino all’ultimo ucraino.
Da destra a sinistra, passando per il solitamente timido mondo cattolico – scosso dalle parole di fuoco di papa Francesco, cui dobbiamo la definizione di “terza guerra mondiale a pezzi” – e pezzi importanti di società civile estranea alla politica dei partiti, sono sempre più numerose le voci, le iniziative e i gesti concreti che chiedono di farla finita con una guerra che la NATO ha coltivato per anni, dopo il golpe di Maidan del 2014.
Alcuni di questi gesti hanno assunto uno spessore diverso, attento alla concretezza della storia europea e capaci di far incrociare testimonianze e persone diverse, in passato forse incompatibili ma ora unite dal bisogno comune di fermare una guerra che, alla fine, pagherà comunque l’Europa.
Eccone qui alcuni esempi, che si collocano accanto a quelli che Minima Cardiniana ha già proposto all’attenzione dei propri 14 Lettori.
Questo libro raccoglie buona parte degli atti del convegno “Fermare la Guerra. L’Italia protagonista della pace in Europa”, organizzato il 27 maggio 2022 a Roma su iniziativa del CeSEM (Centro Studi Eurasia Mediterraneo) e dell’Associazione “Identità Europea”.
Le tesi esposte e l’autorevolezza dei relatori ne fanno probabilmente uno degli eventi più importanti di critica alla posizione assunta dal Governo Draghi sulla guerra in Ucraina. Se poi si considera l’orientamento prevalente dei relatori, questo convegno risulta la più significativa “voce fuori dal coro” che si sia levata da “destra” contro il pesante schieramento atlantista di quasi tutta la politica e la stampa italiana.
Un testo tagliente e coraggioso, le cui tesi esposte mantengono tutta la loro attualità ed anzi si sono dimostrate preveggenti rispetto a quello che sarebbe successo nei mesi seguenti, fino ad oggi. Confermando la necessità assoluta di impegnarsi per porre termine il più presto possibile a questo conflitto.
Dal 2018 Identità Europea e Il Cerchio editore (www.ilcerchio.it) hanno varato il progetto Domus Europa, affidato alla cura scientifica di Franco Cardini: una testata giornalistica in rete, un semestrale di geopolitica (I Quaderni di Domus Europa), una collana di Saggi, una robusta presenza sui social. Il tentativo di reagire al restringimento degli spazi di discussione in Italia attorno al nostro destino euro-mediterraneo ed alle nostre radici euro-asiatiche (Giuseppe Tucci).
Il quinto numero dei Quaderni di Domus Europa è dedicato agli Stati Uniti d’America. Un destino manifesto, quello americano. Una convinzione intrisa nelle fondamenta storiche costitutive degli Stati Uniti che miscelano eccezionalismo, messianismo e imperialismo in chiave mercatista.
Una nazione assimilabile a una multinazionale che dispone dell’esercito più potente al mondo. Uno stato profondo (deep state) i cui tentacoli avvolgono ogni leva del potere. Una vera e propria visione del mondo che si trova, oggi, a fronteggiare nuove sfide e nuove minacce dirette proprio a tutto quello che gli Stati Uniti rappresentano: nuovi equilibri geopolitici germogliano in un contesto internazionale sempre più multipolare mentre accanto alla guerra NATO-Russia negli USA si infiammano gli scontri etnici tra le rivendicazioni sociali di movimenti in ascesa, come i Black Lives Matter e riverberi esistenziali del forgotten man illuso dall’American Dream e colpito dagli umori dei processi di globalizzazione, orfano di sogno e patria; con un doveroso ricordo di Raimondo Luraghi, prezioso e dimenticato storico della grande faglia della storia americana, la cd. “Guerra di Secessione”.
L’ultimo dei Saggi di Domus Europa è dedicato ad un’analisi oggettiva dei costi sociali ed economici della guerra NATO-Russia per la nostra Europa: una guerra che sta modificando radicalmente gli assetti e gli equilibri del Vecchio Continente. L’Ucraina è già devastata dal conflitto e saccheggiata dalle multinazionali statunitensi, mentre comunque vada sul campo di battaglia la Russia ne uscirà indebolita mentre l’Europa perderà il suo primato economico; intanto ha già cessato di esistere come soggetto geopolitico con aspirazioni di autonomia strategica, accettando di relegarsi al ruolo di vassallo sempre più debole degli Stati Uniti.
GIANANDREA GAIANI, giornalista bolognese laureato in Storia Contemporanea, si occupa da 35 anni di difesa, sicurezza, studio dei conflitti e reportage dai fronti di guerra balcanici, africani, medio orientali e centroasiatici. Direttore del webmagazine Analisi Difesa, ha scritto per quotidiani e periodici ed è opinionista per diverse testate radio-televisive. Autore o coautore di una dozzina di libri, tiene docenze e conferenze presso istituti di formazione militari e università ed è membro della Società Italiana di Storia Militare.
Alleghiamo il testo del Capitolo finale dell’opera
Credere, Obbedire, Soccombere
30 gennaio 2023
Studi televisivi riempiti con bandiere giallo-blu, anchor-men che censurano in diretta un discorso di Vladimir Putin atteso dal mondo intero “per non dare spazio alla propaganda russa”, conduttori che prendono le distanze dalle dichiarazioni di ospiti che indugiano nell’accusare solo i russi per ogni crimine o nefandezza di questa guerra.
Ma non basta. Opinionisti statunitensi che imperversano sui media italiani attribuendo patenti di “affidabilità atlantica” a politici e commentatori. Professori e giornalisti che da anni lavorano con università e think-tank d’oltre Atlantico o con istituzioni della NATO che presentano il conflitto ucraino come la lotta tra il Bene e il Male, tra tirannia e democrazia.
Uno dei centri studi statunitensi che più di altri si è distinto in questa guerra, pubblicando analisi e mappe quotidiane del conflitto riprese da molti organi d’informazione, l’Institute for the Study of the War (ISW), ha utilizzato le seguenti parole per la sua campagna di raccolta fondi:
“Abbiamo bisogno di finanziamenti per aggiungere più membri al team e continuare il nostro lavoro nel 2023 e oltre. L’eroica resistenza dell’Ucraina contro l’invasione non provocata di Vladimir Putin salvaguarda la sicurezza di europei e americani.
I notevoli successi dell’Ucraina in questa devastante guerra testimoniano la forza di un popolo libero che lotta per la sua sopravvivenza contro un brutale dittatore. L’invasione di Putin può creare pericolosi precedenti per altri aspiranti aggressori e la difesa dell’Ucraina per altri paesi liberi e indipendenti. L’Ucraina ci ispira a fare tesoro delle nostre libertà e a riconoscere i sacrifici che richiedono”.
Da un centro studi sarebbe lecito attendersi un approccio più sobrio, più equilibrato: meno slogan militanti “scongelati” dal freezer della Guerra Fredda e più analisi a 360 gradi, che tengano conto delle motivazioni dei contendenti ma purtroppo questa è la tendenza dominante oggi in Occidente, nelle redazioni, nelle università, nel mondo della cultura.
Credere e Obbedire!
Persino ai tempi dell’URSS e del Patto di Varsavia il confronto era più pacato, argomentato, strutturato benché all’epoca ci fossero davvero i “filo-sovietici”, sostenuti e finanziati dal Cremlino.
Oggi invece, già ben prima dell’attacco russo del 24 febbraio, era evidente che l’Ucraina non potesse certo venire considerata un paradiso della democrazia e dei diritti umani e civili, come abbiamo ricordato nel secondo capitolo.
Meglio comunque ribadire, perché sui media se ne parla raramente, che il governo ucraino ha posto fuori legge 12 partiti, ha represso duramente la stampa (l’ultima legge-bavaglio è del 30 dicembre 2022) e punito i reati di opinione, incluso quello di contraddire la narrazione ufficiale che di fatto impedisce a chiunque di parlare del conflitto in termini di “guerra civile”.
Termine più che corretto per una guerra in atto da nove anni e che vede milioni di ucraini vivere nei territori sotto il controllo russo o in Russia (i dati dell’ONU registrano che la nazione che ospita il maggior numero di profughi ucraini è la Federazione Russa) e decine di migliaia di ucraini combattere al fianco dei russi.
Pochi (in Italia ad esempio Gian Micalessin) hanno raccontato che in molte aree riconquistate dagli ucraini nelle regioni di Kharkiv e Kherson la gran parte della popolazione è filo-russa, come ha evidenziato nel gennaio 2023 un reportage dell’“Economist”[1].
Appare ovvio che parlare di guerra civile sia vietato da Kiev, un po’ meno che quasi tutti i giornalisti occidentali si siano adeguati a queste note di linguaggio, anche se parlare di questo conflitto pur se in termini di guerra civile renderebbe più comprensibili violenze, vendette e rappresaglie compiute su ambo i lati della barricata. Infine va citato un ultimo (ma non per importanza) elemento: la valutazione che si tratta anche di una guerra offre spunti utili a trovare soluzioni ispirate a quanto fatto nei Balcani negli anni ’90 dove la divisione del territorio su base etnica-nazionale ha permesso di congelare da oltre 20 anni il conflitto civile in ex-Jugoslavia.
Tra l’altro anche allora il confronto militare e propagandistico aveva visto riesumare bandiere e simboli del passato e i richiami a forze combattenti della Seconda guerra mondiale.
Purtroppo oggi nessuno sembra disposto a prendere in esame le soluzioni alle guerre balcaniche e neppure a tracciare un parallelo tra i due conflitti nel nome dell’intangibilità dei confini ucraini.
Credere e Obbedire!
Del resto con la guerra in Ucraina se ne sono viste e sentite di tutti i colori sul fronte sempre caldo dei media e della propaganda.
Opinionisti che commentano il tasso alcoolico dei carristi russi, giornali on line che propongono interviste sulla caduta dell’esecutivo Draghi ma solo a patto che l’intervistato evidenzi le “ombre russe” dietro quella crisi di governo, studi televisivi presidiati in forze da commentatori incaricati di aggredire in branco chiunque non sia disposto a giurare che i russi hanno ricominciato a mangiare i bambini.
In molti casi si tratta degli stessi che per due anni hanno pontificato sul Covid per poi riconvertirsi in esperti di guerra, ovviamente con la stessa viscerale tendenza alla militanza dogmatica.
Così ogni ritirata russa è una disfatta totale e ogni villaggio riconquistato dagli ucraini una vittoria sfolgorante mentre ogni successo russo viene ignorato o definito effimero, una “vittoria di Pirro” e le sconfitte ucraine vengono taciute o minimizzate.
L’esempio più recente è costituito dai successi dei russi sul fronte di Donetsk nel gennaio 2023, tra Soledar, Bakhmut, Ugledar e Siversk ma anche bella provincia di Zaporizhzhia.
Successi a lungo negati dal regime di Kiev e di conseguenza completamente ignorati da quasi tutti i media italiani, anche dopo che Kiev aveva dovuto ammettere ritirate e sconfitte.
Credere e Obbedire!
Ben poca copertura mediatica hanno avuto le notizie delle brigate ucraine mandate al massacro a Soledar e Bakhmut pur di non cedere un metro di terreno, vicenda documentata dai media statunitensi e tedeschi (questi ultimi il 22 gennaio 2023 hanno reso note le preoccupazioni dei servizi segreti di Berlino per le altissime perdite sofferte dall’esercito ucraino) oltre che da molti report russi e ucraini apparsi soprattutto sui canali Telegram. La sconfitta e ritirata delle forze di Kiev in questi settori è stata ignorata o al massimo sminuita nella sua entità, come hanno fatto fonti del Pentagono, della NATO e dell’intelligence britannico.
Dopo quasi 11 mesi di guerra non è ancora chiaro se il conflitto terminerà con la vittoria, con un “pareggio” o la sconfitta di uno o di entrambi i belligeranti. Quel che è certo è che tra gli sconfitti senza appello, “senza se e senza ma” ci sono i media occidentali, in particolare quelli europei e italiani.
La narrazione di quasi un anno di guerra in Ucraina l’hanno dettata Kiev e gli anglo-americani con la NATO al traino, con ripetitive e quasi ossessive note di linguaggio che definiscono in ogni discorso o documento ufficiale l’aggressione russa all’Ucraina “brutale e non provocata”, nel tentativo di cancellare tutti i fatti e le vicende che hanno preceduto il 24 febbraio 2022.
Per la stragrande maggioranza i nostri media si sono rapidamente adeguati: nessun dubbio, nessuna valutazione, nessuna analisi deve mettere in dubbio il verbo diffuso a piene mani dai principali giornali e canali televisivi.
Credere e Obbedire!
Eppure le poche eccezioni al dilagante “pensiero unico” dettato da un orwelliano e anacronistico “ministero della Verità”, hanno dimostrato che si può fare informazione ascoltando più campane, valutando più aspetti, allargando gli orizzonti e ponendosi domande e dubbi.
Invece ci siamo dovuti sorbire persino il revival di alcuni classici della propaganda bellica circa gli stupri programmati, le stragi dei bambini nelle incubatrici, le immagini di cimiteri con tombe ordinate presentate come fosse comuni, gli ospedali pediatrici bombardati e la distribuzione di Viagra ai soldati russi perché violentassero il maggior numero possibile di donne ucraine.
I più attenti ricorderanno che le stesse notizie erano state diffuse e rimbalzate ovunque, senza nessuna verifica, nei confronti dei soldati iracheni in Kuwait, dei miliziani dell’Isis e delle truppe libiche di Muammar Gheddafi: cioè tutti i cattivi di turno.
Certo, anche in Russia e in Ucraina i media si sono adeguati alla propaganda governativa ma a Mosca come a Kiev, vale la pena ricordarlo, sono in vigore leggi che puniscono severamente chi diffonde “disinformazione”, norme consuete del resto in tutte le nazioni in guerra mentre l’Italia e l’Europa (per ora) non lo sono.
In Italia la censura non è imposta dal governo né rappresenta una necessità bellica: semplicemente è stata pianificata e decisa di concerto dai vertici stessi di molti media e da gran parte del mondo politico.
In questa guerra il mondo del giornalismo e della cultura ha scelto liberamente di schierarsi in modo militante (ultra-militante), apportare censure, autocensure e persino stilare “liste di proscrizione” per chi non si è adeguato al lessico di guerra che impone di definire i militari russi criminali, incapaci, ubriaconi e codardi. I loro generali sono sempre stati soprannominati da qualcuno “macellai”, i loro bombardamenti sono sempre indiscriminati e contro i civili.
Difficile però conciliare l’idea che i militari russi siano tutti criminali incapaci con la valutazione che dopo aver conquistato l’intera Ucraina le truppe di Putin sarebbero pronte a marciare sull’Europa.
Credere e Obbedire!
Per dare una parvenza di scientificità alla “caccia alle streghe”, non sono mancati neppure i centri studi che hanno fatto il punto sulla minaccia rappresentata dalla disinformazione attuata dai russi e dai “putiniani” in Italia.
Nei fatti però sui media le notizie di fonte russa vengono citate solo se è possibile smentirle, se ammettono perdite e sconfitte o se evidenziano tensioni interne a Mosca mentre ogni notizia proveniente da esponenti governativi e militari di Kiev viene diffusa come un fatto assodato anche quando non è dimostrata, quando è palesemente forzata o una evidente bugia.
Come quelle ripetute all’infinito dallo stesso presidente Zelensky negando perdite e sconfitte militari, attribuendo a missili russi stragi di civili dovute all’intercettazione di questi missili da parte della contraerea ucraina o sostenendo che il missile caduto nel novembre 2022 sul territorio polacco provocando due morti era russo e non un antiaereo ucraino S-300, come venne subito dimostrato anche dalle rilevazioni statunitensi.
Del resto, per non correre rischi connessi con un costante confronto tra fonti di opposta provenienza, i media russi sono stati subito messi al bando, oscurati e censurati in un’Europa che è così sicura dei propri valori e principi liberali e democratici da temere persino il confronto con la narrazione altrui e da cacciare dalla Ue persino sportivi e artisti colpevoli solo di essere di nazionalità russa.
Una debolezza non nuova, basti ricordare che negli anni scorsi in Italia molti media inclusa la televisione pubblica annunciarono che non avrebbero più trasmesso i video diffusi dallo Stato Islamico per non dare spazio alla propaganda jihadista.
Da quando la città di Kherson è tornata sotto il controllo degli ucraini ogni giorno agenzie e giornali riprendono le notizie fornite da Kiev dei bombardamenti russi e delle immancabili vittime civili: la stessa città è stata sotto il fuoco dell’artiglieria ucraina per sette mesi quando era sotto il controllo russo, al punto che migliaia di civili vennero evacuati ma di quei bombardamenti non parlava nessuno.
In modo grottesco, in più occasioni, le immagini dei bombardamenti delle truppe ucraine sulla città di Donetsk, capitale dei secessionisti del Donbass, sono state utilizzate dai media italiani ed europei con didascalie che le descrivevano come bombardamenti russi su città ucraine.
Credere e Obbedire!
Buona parte del circo mediatico italiano ha applicato al conflitto in Ucraina lo stesso maccartismo che aveva dominato la gestione mediatica del lockdown e della campagna vaccinale durante l’emergenza Covid-19.
Se i runner erano nemici della società a cui dare la caccia anche in spiagge e lande desolate, se chi poneva domande e dubbi sui vaccini era etichettato come “No Vax”, oggi chiunque cerchi di affrontare il conflitto in Ucraina con un minimo di equilibrio, riflessione o prospettiva storica e strategica è filo-russo e putiniano.
Invece di spiegare gli aspetti complessi con inchieste e approfondimenti, l’informazione si è in troppi casi messa al servizio della propaganda che ha invece il compito di semplificare le complessità per generare slogan e note di linguaggio necessari alla motivazione del fronte interno e al controllo sociale.
La più importante semplificazione che caratterizza l’approccio mediatico a questa guerra è la distinzione tra aggressori e aggrediti, cioè tra i russi e gli ucraini: difficile da sostenere in termini storici e geopolitici ma utile per indurci a separare meglio i buoni dai cattivi.
Se consideriamo la data d’inizio della guerra in Ucraina il 24 febbraio 2022 gli aggressori sono i russi.
Se andiamo a ritroso solo di una decina di giorni qualche dubbio ci viene, poiché le truppe di Kiev iniziarono a bombardare pesantemente i territori del Donbass in mano ai secessionisti. I russi sostengono si trattasse della preparazione all’offensiva contro quei territori e di cui sono stati mostrati anche i piani che Mosca afferma di aver rinvenuto in un comando ucraino espugnato. Un’offensiva pronta a scattare che secondo Mosca ha reso inevitabile l’attacco russo. Kiev nega.
Se andiamo indietro fino al 2014, passando dalla violazione degli accordi di Minsk, dalla secessione del Donbass e dalla discriminazione dei russi d’Ucraina e della lingua russa dopo il golpe/rivoluzione del Maidan ispirato apertamente dagli Stati Uniti e da alcuni alleati europei della NATO (che non a caso hanno riempito di consiglieri e qualche ministro straniero il governo di Arseny Yatsenyuk), diventa più difficile attribuire nettamente le patenti di “aggressore” e “aggredito”.
Ancor di più se si ripercorrono tutti i tentativi russi di negoziare con USA e NATO lo stop all’ampliamento all’est dell’Alleanza Atlantica o la realizzazione delle due basi missilistiche statunitensi in Europa Orientale, ufficialmente realizzate per la difesa contro i missili balistici iraniani!
Certo, sono tutti temi complessi che richiedono illustrazioni articolate tese a comprendere cause ed eventi oltre ad almeno un po’ di memoria storica: ingredienti poco apprezzati da propagandisti e censori, sempre a caccia di formule che semplifichino i concetti e additino chiaramente il nemico.
Se così non fosse la dilagante propaganda USA/NATO avrebbe colto tutti i rischi di autogoal insiti nella formula “aggressore e aggredito”. Perché se in Ucraina i cattivi sono i secessionisti del Donbass che pretendono di ridisegnare i confini dello stato ucraino, come potevano essere i buoni quelli del Kosovo (provincia serba a tutti gli effetti secondo il diritto internazionale) che abbiamo separato da Belgrado nella primavera del 1999 con 77 giorni di bombardamenti della NATO sulla Serbia?
E se la secessione delle province russofone e filo-russe del sud est ucraino è illegale come può essere invece legale che il Kosovo sia divenuto indipendente e sia oggi candidato a entrare nella UE e nella NATO?
Se i russi sono gli aggressori in Ucraina allora dovremmo ammettere che in Bosnia, Kosovo, Afghanistan, Iraq e Libia gli aggressori siamo noi occidentali.
Del resto affrontare temi quali guerra, geopolitica e interessi nazionali con gli occhi di un bambino che giocando a soldatini ha bisogno di distinguere i buoni dai cattivi non ci aiuterà a uscire da questa crisi e da una guerra in cui gli europei recitano il ruolo di un gregge di comparse.
Credere e Obbedire!
Allo slogan di mussoliniana memoria manca “Combattere”, cosa che noi europei non più da tempo, se non marginalmente e solo se le perdite sono tutto sommato limitate come è accaduto nei conflitti post 11 settembre 2001. Oggi lo lasciamo fare volentieri agli ucraini con le armi che doniamo loro. Come è stato più volte evidenziato con amara ironia, l’Occidente è pronto a “combattere la Russia fino all’ultimo ucraino”.
Armiamoci e partite!
L’aspetto più impressionante dell’approccio dei media italiani al conflitto, peraltro facilmente verificabile, è rappresentato dal fatto che le stesse testate oggi prone alle note di linguaggio scritte negli Stati Uniti e pronte a genuflettersi davanti ai proclami e alle categoriche richieste di Zelensky, sono le stesse che fino al 2021 pubblicavano inchieste, interviste e reportage che riferivano della deriva nazista e illiberale dell’Ucraina post-Maidan.
Difficile dimenticare le tante analisi e interviste in cui molti politici ed esperti non esitavano a evidenziare la necessità di tenere conto delle richieste russe in termini di sicurezza dei loro confini e a criticare l’allargamento a est della NATO come fattore di provocazione nei confronti di Mosca.
Certo non tutte le testate e i programmi televisivi hanno accettato l’omologazione imposta dalla guerra, né lo hanno fatto tutti i giornalisti, anche se duole notare come una lettera aperta di aspra critica alla deriva propagandistica dell’informazione italiana pubblicata all’inizio del gennaio 2023[2] sia stata firmata solo da dieci reporter di guerra, tutti firme autorevoli e di grande prestigio ma tutti da tempo in pensione.
Il problema certo non è solo italiano. Sul britannico The Guardian, il 13 maggio 2014 John Pilger scriveva: “In Ucraina, gli Stati Uniti ci stanno portando alla guerra con la Russia. Il ruolo di Washington in Ucraina e il suo sostegno al regime neonazista ha gravi conseguenze per il resto del mondo”[3].
Il tema del neonazismo in Ucraina e delle sue radici storiche è stato in effetti trattato da molti media negli otto anni trascorsi tra i fatti del Maidan e l’attacco russo (Analisi Difesa se ne occupò già nel febbraio 2014 con l’editoriale intitolata “Quei nazisti ucraini che piacciono tanto a Nato e UE”[4]) dopo il quale invece è diventato tabù.
Difficile credere che la questione meritasse dibattiti politici, inchieste e reportage giornalistici prima del 24 febbraio 2022 per poi venire rimossa (anche dalle nostre coscienze) dopo tale data solo perché questo tema fa parte dei pilastri su cui si regge la narrazione russa circa le cause della guerra.
Difficile anche sostenere che questo conflitto veda in gioco i valori della libertà e democrazia contro le autocrazie anche perché tra gli “alleati di ferro” dell’Occidente ci sono un bel po’ di nazioni arabe, africane e asiatiche che non hanno molta dimestichezza con democrazia e diritti umani e civili.
Eppure a queste nazioni vendiamo da tempo di tutto (armi incluse), permettiamo loro di organizzare grandi eventi sportivi internazionali e a loro ci rivolgiamo affinché ci vendano (a caro prezzo) quell’energia che non vogliamo più comprare dalla Russia.
Sostituire gas e petrolio russi con forniture, peraltro insufficienti, da “democrazie” quali Qatar, Algeria e Congo contribuirà a compromettere l’economia europea ma non costituirà un significativo progressivo nel campo dei diritti umani.
Con la memoria corta che contraddistingue ormai la società e la politica dell’Occidente dimentichiamo, o fingiamo di dimenticare, che la dipendenza energetica europea dalla Russia è stata imposta dalla necessità di non dipendere più proprio da quei paesi e da quelle aree del mondo destabilizzate o a rischio di destabilizzazione per le insurrezioni jihadiste e la cosiddetta “primavera araba”.
Neppure l’Ucraina di oggi, come abbiamo visto, è un esempio di democrazia e del resto dal 2014 si è rifondata sul culto del nazionalista Stepan Bandera, alleato instabile del Terzo Reich le cui milizie sono responsabili dell’uccisione di ebrei e polacchi, oggi riesumato come padre della patria a cui sono state intitolate piazze e monumenti e dedicate canzoni da insegnare a scuola ai bambini.
Il tema del nazionalismo di matrice nazista e razzista in Ucraina è serio, concreto e meriterebbe approfondimenti anche di tipo storico considerato che le stragi e le purghe staliniane contribuirono in modo determinante a far accogliere da molti ucraini le truppe naziste come liberatori quando entrarono a Kiev nel settembre 1941. È però curioso che a molte testate italiane sfuggano oggi le svastiche e i simboli nazisti che decorano le uniformi dei soldati ucraini, le celebrazioni pubbliche dei reparti di Waffen SS ucraine e la celebrazione del culto di Stepan Bandera, quasi “riabilitato” sul web grazie alla modifica di migliaia di pagine attuata dopo il 24 febbraio 2022 per renderlo più presentabile.
Un’operazione di cancellazione culturale e della Storia che ha ripreso vigore a fine gennaio 2023, quando alle celebrazioni del Giorno della Memoria ad Auschwitz non sono stati invitati i rappresentanti di Mosca, oggi al bando in Polonia a causa del conflitto in Ucraina.
Le pagine di molti siti internet in diverse lingue sono state modificate per rendere meno evidente o rimuovere il dettaglio che quel campo di sterminio nazista venne liberato dall’Armata Rossa, i cui militari soccorsero gli ebrei reclusi. Storia vecchia ma evidentemente inaccettabile in epoca di “guerra santa” contro la Russia.
Qualche riflessione dovrebbe imporsi in un Occidente che cancella pagine di Storia dal web e demolisce, dall’Ucraina alle Repubbliche Baltiche a molte nazioni dell’Est Europa oggi aderenti a Ue e NATO, tutti i monumenti all’Armata Rossa che ricordano la Seconda guerra mondiale.
Nell’epoca del pensiero unico anche l’Occidente liberale e democratico ha la sua jihad e, come i miliziani dello Stato Islamico che distruggono le reliquie archeologiche, abbatte monumenti (dalle statue dei generali Confederati negli Stati Uniti a quelle al soldato sovietico in Europa) e riscrive la Storia sul web in ossequio ai dettami della dittatura del politicamente corretto.
Un tema quest’ultimo che dovrebbe indurci a tornare a documentarci soprattutto sui vecchi libri cartacei, la cui natura li pone al riparo da revisionismi ideologici improvvisi, almeno finché non tornerà di moda bruciarli.
In Italia c’è persino chi ha celebrato gli uomini del Reggimento Azov assediato a Mariupol (altra battaglia raccontata a senso unico) paragonandoli ai 300 spartani di Leonida alle Termopili o negandone la fede nazista.
Si può riconoscere eroismo e valore in battaglia, che peraltro nella Seconda guerra mondiale caratterizzò molti reparti di SS tedesche, specie sul fronte Orientale, senza per questo negarne la matrice ideologica.
Le immagini diffuse dai russi dopo la resa del Reggimento Azov a Mariupol hanno mostrato corpi tatuati con frasi e simboli nazisti ma sono scivolate via senza commenti e approfondimenti, in gran parte oscurate dalla censura che colpisce in Occidente televisioni e media russi. Impedire di vedere la narrazione e la propaganda del nemico non ha però aiutato a rendere credibile la narrazione e la propaganda ucraina sostenuta dall’Occidente.
Credere e Obbedire!
Peraltro si è ripetuto a lungo che il Reggimento Azov era inquadrato nella Guardia Nazionale, non nel regolare esercito ucraino.
Dal 26 gennaio 2023 però il reggimento è diventato ufficialmente la Terza Brigata d’Assalto separata, integrata nell’Esercito, come ha annunciato Andriy Biletskyi (già membro dei movimenti Partito Nazional-Socialista Ucraino e poi di Settore Destro), fondatore e primo comandante dell’unità, precisando che il reparto verrà impiegato sul fronte caldo di Bakhmut.
Come già rilevato in più occasioni la questione non è schierarsi con i russi o con gli ucraini né di fare il tifo come allo stadio ma la propaganda, pur nel rispetto della “sua natura”, ha il dovere nelle nazioni democratiche e pluraliste di apparire almeno un po’ credibile. Un lavoro arduo nelle società evolute dove infatti enfasi, grancassa e pensiero-unico non producono credibilità.
Anzi, è vero il contrario, come dimostra il sondaggio condotto da Euromedia Research a fine gennaio 2023 in cui emerse che gli italiani contrari all’invio di armi all’Ucraina avevano raggiunto il 52% degli intervistati contro il 39,9% di favorevoli e il restante 8,1% che non si è espresso. O l’ostracismo che ha colpito intellettuali, opinionisti e persino Amnesty International e che ha trovato molti illustri interpreti tra giornalisti e professori italiani.
Del resto è difficile attendersi obiettività o senso critico se il direttore di un grande quotidiano come “La Repubblica”, Maurizio Molinari, ha ricevuto nel novembre scorso dal presidente ucraino l’Ordine al Merito di III classe per il sostegno all’Ucraina, come ci ha ricordato il 24 novembre 2022 un articolo del medesimo quotidiano[5]:
“Insieme a Molinari, la Medaglia al Merito di III grado è stata assegnata anche al ministro Adolfo Urso. All’inviata di guerra del Tg1 in Ucraina Stefania Battistini è stato conferito invece l’Ordine della Principessa Olga, mentre hanno ricevuto l’Ordine di Jaroslav il Saggio, altro ordine cavalleresco ucraino, l’ex ministro della Difesa Lorenzo Guerini e il sindaco di Firenze Dario Nardella”.
Da parte sua, in un comunicato stampa della RAI del 15 novembre 2022, Stefania Battistini si è detta “davvero onorata come giornalista del servizio pubblico di ricevere l’onorificenza che ieri il presidente Zelensky ha voluto attribuirmi come inviato di guerra. Un riconoscimento importante per il lavoro che il Tg1 e la Rai tutta hanno svolto in questi 9 mesi per coprire sul campo gli effetti dell’invasione russa in Ucraina”[6].
Che esponenti politici ricevano medaglie e onorificenze da Kiev non stupisce né scandalizza, considerato il posizionamento dell’Italia e dei suoi alleati nella guerra in atto, ma rispetto alle decorazioni a direttori di quotidiani e inviati qualche dubbio dobbiamo porcelo considerato che il loro compito dovrebbe essere informare, non indottrinare.
Possibile che l’Ordine dei Giornalisti non si sia accorto che il confine tra informazione, anche faziosa, e pura propaganda a favore di uno stato straniero in guerra è stato ampiamente superato?
Gli esempi della malafede e della determinazione a diffondere disinformazione pura sono innumerevoli. Persino la notizia che Mosca ha inviato presso i reparti in Ucraina attori e cantanti per intrattenere le truppe è stata commentata da Kiev (e subito dopo con un “copia e incolla” divenuto ormai regola fissa da molti organi di stampa italiani) come un sintomo della situazione disperata in cui verserebbe l’esercito russo.
Eppure basterebbe ricordare che tutte le nazioni (anche la Russia) hanno sempre inviato esponenti del mondo dello spettacolo a intrattenere le truppe in missione: da Marilyn Monroe in Corea ai quasi 200 attori e cantanti che si recarono in Vietnam[7], a Bruce Willis in Iraq, all’ex stella del calcio David Beckham in Afghanistan….
La piena disponibilità di molti media europei (un po’ meno di quelli statunitensi, forse perché già ammisero di aver peccato di “eccesso di patriottismo” durante le guerre post 11 settembre 2001) alla sudditanza di fronte alla propaganda di Kiev e dei suoi alleati deve inoltre suscitare qualche dubbio.
Specie dopo le rivelazioni della reporter danese Matilde Kimer, che ha rivelato che i servizi segreti ucraini (SBU) avevano annullato il suo permesso di lavoro e glielo avrebbero restituito solo se avesse accettato di pubblicare le informazioni e le immagini fornite dallo stesso SBU[8]. Il funzionario ucraino ha suggerito che Kimer avrebbe dovuto accettare di produrre una serie di “buone storie” sulla guerra, basate interamente su video e fotografie fornitele dalla SBU.
La notizia ha avuto un’ampia eco in Danimarca e in altre nazioni[9], molto meno in Italia. Eppure qualche domanda dovremmo forse porcela. Quanti giornalisti hanno subito richieste e diktat simili a quelli rivolti a Matilde Kimer? Possibile che si tratti di un caso isolato? Eppure la giornalista danese è stata finora l’unica a denunciare pressioni che è difficile credere non abbiano interessato anche altri inviati di guerra in Ucraina.
Non è un caso che l’ennesimo decreto-bavaglio per i mezzi di comunicazione ucraini varato il 30 dicembre 2022 da Zelensky non abbia avuto molta visibilità in Italia, dove tutti lo avrebbero sbattuto in prima pagina se lo avesse approvato la Duma di Mosca invece della Verkhovna Rada di Kiev.
Eppure tale decreto è stato criticato da Reporter Sans Frontières[10] e dalla Federazione Internazionale dei Giornalisti[11].
Mentre il mondo dei media rischia di estinguersi per approssimazione e sudditanza, sempre più ignorato da un’opinione pubblica che tende progressivamente a rifuggire dalle semplificazioni, disillusa ma consapevole della complessità del mondo, la realtà concreta del conflitto e delle sue conseguenze geopolitiche, energetiche, economiche e militari minaccia di avere anche per l’Europa sviluppi ben diversi e ben più gravi da quelli prefigurati dalle fanfare propagandistiche che ci siamo sorbiti finora.
Dopo il rassicurante sonno della ragione impostoci da pensiero unico e propaganda, il risveglio e l’impatto con la cruda realtà dei fatti potrebbe essere doloroso.
La Russia non è collassata economicamente dopo pochi mesi di sanzioni come sostenevano i vertici della Ue, la sua industria bellica marcia a pieno regime, non ha terminato le munizioni né perduto metà della sua forza combattente come sostenevano nell’estate del 2022 i servizi segreti britannici e non sembra essere, mentre scriviamo queste note, sull’orlo della sconfitta militare.
Questa guerra sta invece determinando la devastazione più completa dell’Ucraina e il rapido indebolimento energetico, economico e militare di un’Europa incapace ancora una volta di elaborare un’iniziativa politica autonoma dagli Stati Uniti e dalle pretese di Kiev.
Sosteniamo senza dubbi, riflessioni né valutazioni circa i nostri interessi nazionali e continentali, una guerra che ci vede già tra gli sconfitti pur senza aver neppure combattuto.
Credere, Obbedire, Soccombere
[1] www.economist.com/europe/2023/01/19/some-liberated-ukrainian-regions-have-mixed-loyalties.
[2] www.tgcom24.mediaset.it/mondo/ucraina-letteradi-10-giornalisti-ex-corrispondenti-di-guerra-contro-la-propaganda-dei-nostri-media-sulla-guerra_59478148-202302k.shtml
[3] www.theguardian.com/commentisfree/2014/may/13/ukraine-us-war-russia-john-pilger
[4] www.analisidifesa.it/2014/03/quei-nazisti-che-piacciono-tanto-a-ue-e-nato/
[5] www.repubblica.it/cultura/2022/11/14/news/maurizio_molinari_riceve_medaglia_al_merito_di_zelensky _per_sostegno_ucraina-374543163/
[6] www.rai.it/ufficiostampa/assets/template/us-articolo.html?ssiPath=/articoli/2022/11/Da-presidente-ucraino-Zelensky-onorificenza-per-Stefania-Battistini-Tg1-5e7af003-b731-4b58-991d-7705e9797c18-ssi.html
[7] https://en.wikipedia.org/wiki/List_of_entertainers_who_performed_for_ American_troops_in_Vietnam
[8] www.farodiroma.it/come-ti-costringono-a-propagandare-una-verita-addomesticata-sullucraina-la-testimonianza-di-matilde-kimer-della-tv-danese/
[9] https://theintercept.com/2022/12/29/matilde-kimer-ukraine/
[10] https://rsf.org/en/rsf-hails-ukraine-s-adoption-new-media-law-despite-war-russia
[11] www.ifj.org/media-centre/news/detail/category/press-releases/article/ ukraine-ifj-calls-on-the-government-to-revise-new-media-law.html