Minima Cardiniana 413/3

Domenica 19 marzo 2023, Quarta Domenica di Quaresima, San Giuseppe

IL RITORNO DEI “SONNAMBULI”
LA RUSSIA, L’UCRAINA E L’EUROPA IN GUERRA
di Giuseppe Spagnulo
In un volume del 2018, venuto alle stampe in concomitanza con le elezioni che avevano confermato per la quarta volta il mandato di Vladimir Putin come presidente della Federazione russa, Fabio Bettanin, storico dell’Università “l’Orientale” di Napoli ed autorevole studioso di storia russa e sovietica, aveva fornito una descrizione molto ampia e dettagliata della posizione della Russia nel contesto internazionale che si era venuto a delineare all’indomani dei fatti di Euromajdan e dell’annessione della Crimea. Putin e il mondo che verrà. Storia e politica estera della Russia nel nuovo contesto internazionale (Viella, 2018) – questo il titolo del libro in parola – aveva offerto un’analisi molto ricca, accurata e approfondita della parabola russa del dopo Guerra fredda, spiegando le ragioni che, alla fine degli anni Novanta, avevano portato all’ascesa di un ex funzionario del KGB, Vladimir Putin, quale guida carismatica della Russia, all’epoca superpotenza collassata e declassata, travagliata dal drammatico processo di transizione post-sovietico.La capacità di esprimere una leadership forte e di agire assertivamente, sia in politica interna sia in politica estera, aveva contribuito – in un Paese disorientato e fortemente traumatizzato dagli effetti della fine dell’Unione Sovietica – a costruire attorno alla sua figura un consolidato consenso interno e un rinnovato sistema di potere, quello che Bettanin aveva definito un vero e proprio “sistema Putin”, tutto fondato sulle capacità di mediazione del capo del Cremlino tra le diversità di istanze, opinioni ed interessi delle élite russe.
Bettanin aveva altresì descritto molto bene sia il processo di deterioramento dei rapporti tra la Russia e l’Occidente, sia le difficoltà incontrate da Putin nel gestire il controllo dello spazio ex-sovietico e nel dimostrare che la Russia potesse effettivamente agire da grande potenza, non solo pensarsi tale. Appariva già chiara allora la tentazione del leader russo di volgere le spalle all’Occidente per riporre le sue attenzioni verso l’Asia e per ridefinire la fisionomia della Russia in senso “eurasiatico”. Tuttavia, l’ipotesi che Putin recidesse “rapporti vecchi di secoli e tuttora profondi” – alla luce della contesa che già nel 2014 si era venuta a delineare con gli Stati europei e gli Stati Uniti a causa della questione ucraina e dell’annessione della Crimea – equivaleva, secondo l’autore, “all’ennesimo salto nel buio della storia russa”.
Bettanin, in qualche modo, confidava sulle attitudini che fino ad allora avevano caratterizzato la politica estera di Putin, certo assertiva e, nel caso della Crimea, spregiudicata, ma tutto sommato prudente, realista o, se no, “reattiva”: “Né zar né gensek, Putin non ha mai preteso di fare la Storia, solo di gestire i problemi che essa crea”. E all’ipotesi di un arroccamento russo verso posizioni di isolamento e di difesa dal mondo circostante – espresse dalla retorica sulla sovranità nazionale e sulla civiltà tradizionale russa, ma anche in prospettiva di una non troppo lontana preparazione al “dopo-Putin” –, Bettanin riteneva auspicabile una Russia fin da subito capace di confrontarsi con il mondo esterno e di fornire il proprio necessario contributo alla stabilizzazione del sistema internazionale.
Poi un anno fa, il 24 febbraio 2022, abbiamo assistito allo scoppio del conflitto in Ucraina e all’invasione militare russa delle regioni del Donbass, di Kharkiv, di Kherson, di Mykolaiv, di Zaporižžja. Una guerra che si trascina drammaticamente senza soluzione di continuità e senza possibilità evidenti di soluzione diplomatica, almeno per ora.
Si è verificato dunque l’opposto di quanto Bettanin si era auspicato e nella maniera più tragica. Putin, lanciando “l’operazione speciale” in Ucraina, come ha fatto d’obbligo di chiamarla in Russia, ha invece realizzato ciò che Bettanin aveva definito “salto nel buio”, non solo, evidentemente, per le incognite derivanti da un attacco diretto nei confronti dell’Ucraina, quanto piuttosto per aver dato luogo ad un violento e clamoroso gesto di rottura nei confronti dell’Occidente.
L’enorme portata della operazione militare decisa da Putin era chiara fin da subito: essa ha riportato la guerra in Europa orientale, dopo decenni in cui nel Vecchio Continente la si riteneva un obsoleto ricordo, mettendo in discussione la stessa UE quale entità capace di agire autonomamente per assicurare la pace. Per le sue implicazioni e per i suoi effetti globali, questa guerra rappresenta una svolta storica senza precedenti, poiché soppianta ciò che si era immaginato di poter costruire dopo la fine della Guerra fredda: un mondo pacifico e globalizzato, progressivamente integrato sotto il segno dell’economia di mercato, del liberalismo, di internet e della guida benevola dell’iperpotenza statunitense e dei suoi alleati.
Studiosi, intellettuali e analisti di tutto il mondo, ma anche cittadini comuni, seguono con apprensione gli sviluppi di questa guerra e si interrogano sugli scenari possibili, prossimi e futuri. Anche gli storici si interrogano sul presente, interpretandolo con la profondità di chi ha conoscenza dell’esperienza fornita dal passato. Ed è lo stesso Bettanin a riprendere il filo del discorso da dove lo aveva interrotto qualche anno fa, a riesaminare origini e cause di quanto sta accadendo, ad aggiornarci sull’evoluzione degli ultimissimi anni, e a cercare di interpretare i mutamenti che si dischiudono con l’evolversi della guerra in atto.
Di recente, infatti, Bettanin ha pubblicato un nuovo libro: La Russia, l’Ucraina e la guerra in Europa. Storia e scenari (Donzelli, 2023). Si tratta, a parere di chi scrive, di uno dei migliori libri in italiano sull’argomento. È anche un’opera necessaria poiché consente al lettore di comprendere in tutta la loro complessità e in tutta la loro “politicità” gli eventi a cui stiamo assistendo, in stridente contrasto con quanto è consentito da un certo conformismo mediatico nostrano, che ha voluto imporre all’opinione pubblica, spesso a digiuno di conoscenze di politica internazionale, una narrazione semplificatoria, macchiettistica e a tratti imbarazzante del conflitto ucraino, tutta piegata sulla retorica de “l’aggressore e l’aggredito”, con posizioni spesso volgarmente estremizzate, da una parte e dall’altra, e tanto di caccia alle streghe verso quelle opinioni, pur autorevoli, che, considerando il conflitto con le categorie del realismo politico, vengono derubricate come filo-putiniane (lo stesso Bettanin fa riferimento alle posizioni oltremodo insospettabili di Kissinger, di Mearsheimer, degli autori del “The National Interest”, che quando in Italia qualcuno le ha riproposte è stato investito dell’accusa, “provinciale più che maccartista”, di essere filo-putiniano).
Nel XXI secolo la serenità di un dibattito ragionato, approfondito e mosso da spirito critico non è più la priorità assoluta degli organi di informazione dei sistemi liberaldemocratici. Ma per fortuna esistono degli studiosi seri e diversi altri canali dove poter effettivamente far circolare le idee e dare vita ad un dibattito che tende a latitare dai mezzi di comunicazione di massa.
Cosa ci dice dunque Bettanin nel volume che qui presentiamo? Rispetto a quanto si diceva poc’anzi, egli registra il mutamento di segno della politica di Putin. L’autore confessa che, fino all’ultimo, riteneva improbabile un conflitto generalizzato in Ucraina, poiché tutto lasciava prevedere che la guerra potesse non essere sostenibile per la Russia. Perché dunque Putin ha deciso di lanciare il proprio Paese in una rischiosa avventura, abbandonando l’attitudine pragmatica che aveva fino ad allora contraddistinto la sua politica estera? Alla luce dei fatti e al netto della sottovalutazione delle capacità di reazione degli avversari, Bettanin sostiene che il leader russo abbia scelto di perseguire una strategia più ambiziosa: “avvertire che non è più disposto ad accettare la condizione di membro perennemente insoddisfatto della comunità internazionale ed è pronto a svolgere quel ruolo di spoiler, di distruttore dell’ordine mondiale traballante che tante volte gli si è attribuito”.
I fini dell’“operazione speciale” vanno ben oltre, quindi, la conquista di qualche fetta di territorio ucraino, un nuovo esempio di politica aggressiva in condizioni di inferiorità e debolezza che in altri momenti storici è stata adoperata dalle élite al potere in Russia. Forse l’idea di Putin era quella di accattivarsi altre potenze in dissidio con l’ordine unipolare statunitense o comunque alla ricerca di autonomia, e creare un precedente per accelerare la trasformazione dell’ordine mondiale in senso multipolare. Da questo punto di vista, Putin è finora riuscito ad evitare l’isolamento generalizzato e la condanna di importanti Paesi, come Cina e India, è riuscito a mantenere fondamentali rapporti di collaborazione economica, ma non molto di più. L’attitudine dei Paesi del cosiddetto Sud del mondo pare abbastanza chiara all’autore. Come egli scrive: “[per tali Paesi] la guerra in Ucraina è un evento tragico, ma è un problema interno all’Occidente in un mondo dove sono molti i conflitti ancora in corso, le diseguaglianze sono stridenti, e spesso indicano rapporti di dipendenza politica ed economica”.
Il lancio dell’“operazione speciale” presenta quindi dei tratti irrazionali nel senso che, come spiega l’autore, non è proprio chiaro se Putin abbia avuto, né abbia, una strategia. Quel che è certo è che non ha preparato alcuna soluzione al conflitto, esponendo il proprio Paese ad una posta in gioco molto alta. Impensabile, al momento, un ritiro unilaterale e senza onore della Russia dal conflitto, evenienza che potrebbe causare nuovi smottamenti all’interno della vastissima compagine federale.
L’irrigidimento russo è speculare a quello ucraino, provocato dalla necessità di contrastare l’invasore e recuperare i territori perduti, e agevolato dal poderoso sostegno ricevuto dai Paesi occidentali. Le modalità aggressive dell’invasione ucraina da parte del Cremlino, senza curarsi della vita delle persone e delle distruzioni materiali, hanno imposto una risposta collettiva, anche se indiretta, dei Paesi NATO e UE, con l’obiettivo immediato di evitare una vittoria russa sul campo.
La situazione è quindi un bel po’ complicata e allo stato attuale il conflitto potrebbe protrarsi ancora a lungo.
Come si è arrivati a questo punto? La risposta a questa domanda occupa i capitoli del libro ed una delle raccomandazioni che Bettanin fa, nelle prime pagine, è di rifuggire da spiegazioni monocasuali. Il conflitto in Ucraina è infatti il prodotto di numerosi fattori, la cui interazione ha dato corso ad un processo dagli esiti senz’altro nefasti. Esso è inoltre la manifestazione eclatante dei tanti problemi internazionali che, dalla fine della Guerra fredda in poi, non si sono mai veramente voluti, potuti o saputi risolvere.
L’autore ripercorre quindi la storia degli ultimi trent’anni, analizzando il fallimento del progetto di Grande Europa – ossia dell’idea che la Russia ed altri Stati post-sovietici potessero essere integrati all’interno di una cornice istituzionale paneuropea nel segno di un’armonica collaborazione comune – e il progressivo estraniamento dalla Russia dall’Occidente. Molto interessante è la descrizione che Bettanin fa della parallela evoluzione interna di Russia e Ucraina a partire dai primi anni Novanta, della parabola dei loro rapporti, e del ruolo crescente dei Paesi UE e degli Stati Uniti nelle vicende interne ucraine.
Dopo gli allargamenti NATO e UE agli ex membri del Patto di Varsavia, nel 2009 l’UE avviava la Eastern Partnership, il primo progetto di integrazione dello spazio post-sovietico in concorrenza con i progetti russi: “Lo ha fatto senza la consapevolezza dell’esistenza in Ucraina di faglie di divisione che rispecchiano, oltre a interessi filorussi o filoccidentali, identità e interessi regionali, eredità di una storia secolare che l’esperienza sovietica ha consolidato piuttosto che cancellato. Per ragioni diverse, la Russia ha fatto altrettanto”.
Sull’Ucraina si sono dunque proiettate fin dalla fine degli anni 2000 le strategie di diversi attori in competizione fra loro: da un lato, la Russia che “non ha mai considerato l’Ucraina uno Stato completamente sovrano, ma ha cercato di esercitare il suo potere attraverso metodi di controllo indiretti, fra i quali spiccano le pratiche corruttive nei confronti del gruppo dirigente”; dall’altro, gli USA e l’UE: “gli USA hanno agito nella convinzione che solo una rivoluzione potesse sradicare la nefasta eredità del periodo sovietico e che l’Ucraina, dopo aver mancato molte occasioni per farla, dovesse incamminarsi in questa direzione. L’Unione Europea ha puntato sulle trasformazioni di lungo periodo, anche se solo a partire dal 2009 si è seriamente impegnata in questa direzione”.
Gli interventi esterni non hanno fatto che approfondire le divisioni interne dell’Ucraina, che per difendersi da sconvolgimenti sociali, instabilità politica, frammentazione regionale, ha ritenuto di dover ricercare una identità nazionale talmente forte da resistere alle tempeste esterne.
Tutto ciò ha contribuito pesantemente ad accentuare il deterioramento dei rapporti russo-ucraini. Bettanin si sofferma ampiamente sulla formazione di memorie storiche divergenti, se non contrapposte, fra Russia e Ucraina rivolte ad una generazione che non ha conosciuto il passato sovietico, e che sono spesso il frutto di “invenzione della tradizione” o comunque di un utilizzo del tutto strumentale della narrazione del passato. Si è progressivamente scavato un fossato culturale tra i popoli dei due Paesi ed è lo stesso Bettanin ad avvertire che “non sarà compito facile, ma quando le ostilità cesseranno, la ricostruzione culturale non sarà secondaria rispetto a quella materiale”.
Al progressivo radicalizzarsi dello scontro culturale tra Russia e Ucraina, e, all’interno di quest’ultima tra popolazioni di lingua ucraina e popolazioni russofone, ha fatto da riscontro, nei primi anni ’10, la defenestrazione del filo-russo Janukovyć – reo di non aver firmato la Eastern Partnership con l’UE – Euromajdan e l’annessione della Crimea da parte russa nel 2014.
Inizia così, con un atto spregiudicato di “revisionismo” territoriale, quella che Bettanin definisce la drôle de guerre, il lungo prologo dell’aggressione dell’Ucraina del 2022. “Revisionismo” che però, come si è visto, ha progressivamente acquisito, nella mente di chi lo ha concepito, più vaste implicazioni che la semplice affermazione del proprio dominio sulla Crimea.
Gli anni che vanno dal 2014 al 2022 sono segnati dall’acutizzarsi della crisi separatista in Donbass e dello “scontro di civiltà” tra russi e ucraini, dalle sanzioni occidentali nei confronti della Russia (dagli effetti piuttosto limitati secondo l’autore) e dai fallimentari tentativi di trovare un accordo tra le parti, nonostante gli estenuanti, quanto inefficaci, negoziati portati avanti dall’UE nel suo formato “normanno” (Ucraina, Russia, Francia e Germania). La mancanza di fiducia tra le parti è stata una delle cause del radicalizzarsi della crisi. L’UE è risultata divisa e poco credibile come entità geopolitica autonoma. Gli Stati Uniti non hanno mai smesso di sostenere i diritti di Kyev e di imporre sanzioni alla Russia. Ma nel complesso, alle latitudini occidentali, è venuta svanendo l’attenzione sui fatti ucraini, prima del 2022 considerati tutto sommato marginali. Inoltre, come ha sostenuto l’autore, sia in Ucraina, che in Russia, che nei Paesi occidentali, ha molto inciso il “trionfo del post-moderno”: “la ricerca di una comunicazione efficace che convincesse le rispettive opinioni pubbliche della bontà della politica seguita ha posto in secondo piano la volontà di trovare soluzioni concrete a problemi complessi”. Determinante è stata poi la sottovalutazione di Putin delle capacità di resistenza ucraina, ritenendo gli Stati Uniti poco interessati a difendere Kiev e l’UE incapace di farlo.
Risulta perciò molto adeguato l’epiteto di “sonnambuli” utilizzato da Bettanin nel definire l’atteggiamento di tutti i protagonisti della vicenda ucraina, riprendendo lo stesso termine utilizzato da Christopher Clark, in un suo fortunato libro sulle origini della Prima guerra mondiale, per spiegare l’ottusità delle classi dirigenti delle principali potenze, incapaci di impegnarsi per evitare di far deflagrare un conflitto che ha poi cambiato la storia del mondo.
Il volume di Bettanin contiene moltissimi altri spunti di riflessione, su cui, in queste poche pagine, non è possibile soffermarsi. La complessità delle vicende spiegate da Bettanin è ben resa da una prosa molto articolata, densa di suggestioni e di cui è possibile apprezzare la profonda conoscenza e l’ampia preparazione che egli ha su quanto scrive. Tutto ciò fornisce al lettore uno strumento assolutamente autorevole ed affidabile per farsi un’idea della realtà che stiamo vivendo. Tra le righe, si traggono le tante lezioni che la storia ha impartito alla comunità internazionale negli ultimi trent’anni e con cui si dovrà fare i conti una volta che le armi taceranno per porre su più solide basi le prospettive della pace e della convivenza tra Stati, in Ucraina, in Europa e nel mondo. Sarebbe ancora utile il sapere storico se, in qualche modo, riuscisse a dare in questo senso il proprio contributo.