Minima Cardiniana 415/5

Domenica 23 aprile 2023, San Giorgio

EQUIVOCI RAZZISTI E POLEMICHE “CROMOSOCIOLOGICHE”
QUEEN CLEOPATRA
di Marina Montesano
Deve ancora arrivare sul piccolo schermo la docu-fiction di Netflix, Queen Cleopatra, e già la polemica impazza dagli Stati Uniti all’Europa passando per l’Egitto, dove un geniale avvocato ha persino annunciato una causa legale. Qual è la causa del contendere credo sia noto a tutti: la regista (di origine iraniana) Tina Gharavi e la produttrice afroamericana Jada Pinkett Smith hanno voluto per il ruolo principale un’attrice inglese di colore, Adele Jones. Ho usato “di colore” non per trovare un eufemismo per nero, ma perché mi pare il caso di chiedersi: di quale colore, esattamente? L’attrice, che evidentemente nel lignaggio familiare ha persone di etnia differente, è difficilmente caratterizzabile secondo una tonalità assoluta, come nero o bianco. Conosco italo-meridionali, per non dire di molti egiziani, dalla pelle più scura della sua, ma Adele Jones viene comunque classificata come “nera”, dunque non adatta a impersonare l’ultima dei Tolomei.
In passato, con maggiore fantasia, il mondo wasp angloamericano aveva immaginato categorie di mezzo per il colore della pelle, come tawny, che includeva colori bruni, arancio-ocra o rossastri o gialli, utilizzato per gli asiatici in generale, ma mica soltanto per loro: italiani, spagnoli, slavi non erano neppure loro propriamente bianchi al pari di un inglese; erano tawny oppure swarthy, “scuri”. Neppure gli irlandesi erano bianchi, contro ogni evidenza cromatica (bianchi e rossi?), per una questione di supposta inferiorità culturale che agli occhi degli inglesi li rendeva selvaggi, barbari, dunque non bianchi. Oggi ne ridiamo, ci sentiamo differenti, ma di fatto la costruzione dell’idea di razza così come la ereditiamo è una elaborazione culturale del XX secolo, largamente debitrice del concetto di “una goccia” valido secondo la legislazione degli Stati Uniti fino agli anni Sessanta.
L’idea che Cleopatra fosse nera ha una lunga storia nel pensiero afroamericano, soprattutto all’interno dei movimenti nazionalisti neri e afrocentristi, nei quali molti hanno sostenuto che l’Egitto fosse una nazione nera, dalla quale l’antica Grecia aveva rubato la cultura e le idee. Per un popolo ridotto in schiavitù e oppresso, che viveva in un mondo razzista che definiva l’Africa un continente senza storia, il richiamo dell’Egitto e di Cleopatra come nera era spesso irresistibile. La pubblicazione nel 1987 del primo volume di Black Athena di Martin Bernal, uno studioso britannico, ha portato questa discussione sia nel mondo accademico sia nella coscienza pubblica. Bernal sosteneva che gran parte della cultura classica greca era radicata in quella dell’antico Egitto, ma che questo legame era stato cancellato dall’ascesa delle visioni eurocentriche nel XVIII secolo.
In un bel saggio della classicista afroamericana Shelley P. Haley (Be Not Afraid of the Dark. Critical Race Theory and Classical Studies), una delle ispiratrici di Queen Cleopatra, si parte dal senso di appartenenza a un settore di studi che a lungo è stato terreno di gioco privilegiato di bianchi “puri” di ascendenza anglosassone: poteva un afroamericano capire la civiltà greco-romana? Aveva qualcosa a che fare con quel contesto? La risposta è stata a lungo, ben oltre l’abolizione delle leggi razziali, negativa. Scrive Haley: “Nel 1996 mi chiamò una giornalista del Chronicle of Higher Education. Stava recensendo un libro di un noto critico al vetriolo delle interpretazioni afrocentriche della storia ‘classica’. La giornalista mi chiamò perché l’autore citava la mia difesa della posizione secondo cui Cleopatra era ‘nera’. Dopo aver spiegato che Cleopatra simboleggia il trattamento che abbiamo ricevuto per mano del patriarcato eurocentrico e che è in questa luce che abbracciamo Cleopatra come una ‘sorella’, il giornalista mi ha chiesto: ‘A parte la costruzione simbolica, cosa dice ai suoi studenti riguardo alla razza di Cleopatra?’. Ho spiegato che si tratta di una domanda molto complessa se la si pone su Cleopatra o su qualsiasi figura storica antica o moderna. La ‘razza’ come costrutto sociale e ideologico che comprendiamo alla fine del XX secolo negli Stati Uniti d’America non era stata chiaramente formulata nel Mediterraneo del I secolo a.C. Quindi, la mia risposta al giornalista, ai miei studenti e ai miei colleghi – che siano afrocentrici o eurocentrici – è che Cleopatra, e in effetti le persone del ‘mondo antico’, avevano una ‘razza’, ma che è anacronistico insistere sul fatto che lei o loro avessero una razza come la intendiamo noi” (la traduzione è mia).
Insomma, la questione di chi è bianco e chi è nero, è molto meno semplice di come ci sembra: è una tonalità della pelle? E quanto dev’essere chiara o scura per appartenere a un gruppo o a un altro? Una goccia di sangue, si diceva. La regola “della goccia” è un principio giuridico di classificazione razziale che ha avuto un ruolo di primo piano negli Stati Uniti del XX secolo. Essa affermava che qualsiasi persona con anche un solo antenato di origine nera (una goccia di “sangue nero”) doveva essere considerata nera (negro o coloured). Prima che la regola fosse messa fuori legge dalla Corte Suprema nel 1967, è stata utilizzata per impedire i matrimoni interrazziali e altre forme di meticciato. Per sfuggirvi, alcuni si facevano passare per messicani, spagnoli, italiani, avendo la pelle identica a quelle mediterranee, ma secondo le leggi razziali comunque “neri” e dunque discriminati. Il breve romanzo Passing di Nella Larsen dice molto più a riguardo di quanto possa fare io.
A questo proposito aggiunge Haley: “Mia nonna era bianca, aveva i capelli neri e lisci e il naso della nonna [nativa americana] Onondagan, ma era ‘di colore’ a causa della ‘regola della goccia’ – l’insistenza che se abbiamo un antenato nero, allora siamo neri. Allo stesso modo, Cleopatra era indubbiamente il prodotto di una miscegenazione, quindi com’è possibile che non sia nera?”.
Queen Cleopatra non è un saggio: chiunque si basi su una docu-fiction per imparare la storia dovrebbe domandarsi se fa la scelta giusta (la risposta è no). Non so neppure se sarà interessante, divertente o altro. Mi pare tuttavia una provocazione politica ben riuscita, per come è riuscita a tirare fuori il razzismo internalizzato che alligna in molti. Negli egiziani, in primis (è chiaro, non tutti), per i quali qualsiasi soluzione è migliore di una persona “di colore” (diciamo così), persino l’improbabile Cleopatra impersonata da Monica Bellucci, tanto hanno fatto proprio in senso di inferiorità verso gli europei da voler somigliare a loro più che a qualsiasi altro si trovi a sud del Sahara. E poi naturalmente negli europei e statunitensi (anche qui, ovviamente, non tutti), che ormai vedono minacce alla loro “identità” (altro concetto molto scivoloso) dappertutto. Jim Caviezel (statunitense con ascendenti svizzeri, slovacchi, irlandesi), o il californiano Matthew Modine (qualche avo svedese), o lo scozzese Ewan McGregor, tanto per citarne alcuni degli ultimi vent’anni, vanno benissimo per impersonare Gesù Cristo, vero? Liz Taylor e Monica Bellucci ci danno un’idea di come fosse Cleopatra? Non credo e comunque non ha importanza, perché in un mondo diverso, certo migliore, la tonalità della pelle non dovrebbe crearci tanti problemi, e certo non dovrebbe condizionare la nostra visione di un film. Tuttavia, se la scelta cade su una donna di colore, allora fioccano le proteste. La serie Netflix probabilmente non aggiungerà molto su chi fosse Cleopatra, ma dice tanto su chi siamo noi.