Minima Cardiniana 417/3

Domenica 7 maggio 2023, Santa Domitilla Martire

LA DONNA CHE VENDICÒ IL “CHE”
LA STORIA DI MONIKA ERTL
di Amerino Griffini
1° aprile 1971, Amburgo. Una bellissima donna dagli occhi azzurri di 34 anni, si presenta negli uffici del Consolato di Bolivia, dice di essere australiana, di dover ottenere un visto turistico per una comitiva e di voler parlare con il console Roberto Quintanilla Pereira al quale, giorni prima, aveva inoltrato richiesta per una intervista. Viene fatta passare senza problemi e Quintanilla la riceve incantato dalla bellezza della elegante ragazza che ha davanti. La giovane spara tre colpi della sua pistola contro di lui, uccidendolo. Ernesto “Che” Guevara è vendicato così da Monika Ertl.
Il medico divenuto guerrigliero, Ernesto Guevara de la Serna, detto il “Che”, era stato assassinato a freddo, dopo la sua cattura avvenuta in Bolivia nell’ottobre 1967. La collaborazione della CIA, su ordine del Presidente democratico degli USA, Lyndon B. Johnson, era stata fondamentale per giungere alla sua cattura.
Il Maggiore Quintanilla era stato successivamente l’autore della messa in scena macabra che tutti conosciamo: il cadavere del nemico vinto attorniato dai soldati e per spregio disteso in un lavatoio pubblico senza neppure rendersi conto che così si sarebbe veicolata un’immagine potente: quel morto era l’immagine moderna del Cristo del Mantegna.
Quintanilla non si accontentò, aveva bisogno del trofeo, per sovrappiù fece mozzare le mani al guerrigliero, ennesimo sadico spregio ma anche prova da mostrare ai suoi superiori.
Chi era la vendicatrice Monika Ertl?
Era figlia di Hans Ertl, tedesco bavarese, famoso scalatore di montagne dalle Alpi all’Himalaya; alcune vie di alta montagna, portano il suo nome che per primo le affrontò. Fu uno dei Bergvagabunden, i vagabondi delle montagne, versione rocciatrice dei Wandervögel, ed era stato uno degli amori della regista Leni Riefensthal; come lei regista di cinema (era stato anche tra i suoi collaboratori alla regia del film “Olympia”) e famoso fotografo (tra l’altro ai tempi dell’alpinismo, si era inventato una piccola telecamera che sistemata sul petto, riprendeva le sue prodezze sugli sci e nelle arrampicate), al punto da diventare il documentarista ufficiale del Terzo Reich, cameramen della propaganda nazionalsocialista e poi il fotografo preferito dal Feldmaresciallo Erwin Rommel impegnato come corrispondente di guerra al seguito dell’Afrika Korps.
Con la fine della Seconda guerra mondiale, dopo l’arresto da parte degli Alleati impegnati nella denazificazione, e poi con il divieto di proseguire il suo lavoro, Ertl seguì la “via dei topi” dei fascisti d’Europa in fuga dopo la catastrofe, e con la moglie e le tre figlie raggiunse il Sud America, fu dapprima in Cile, poi in Bolivia.
Monika era la più grande delle sorelle e fin da piccola quella destinata a seguire le orme dell’arte fotografica del padre.
Stabilitasi in Bolivia, la famiglia Ertl, il padre e la figlia Monika, ormai quattordicenne, si dedicarono all’esplorazione e alla documentazione cinefotografica.
Assieme realizzarono il film “Vorstoss nach Paititi”; pellicola girata durante la loro spedizione, durata due anni, nelle Ande amazzoniche, alla ricerca di una misteriosa città degli Incas.
Fatiche avventurose che furono coronate dal successo, visto che trovarono davvero la dispersa Paititi, scoperta che fu premiata dal governo con una onorificenza.
Assieme a Monika, nella foresta individuarono anche una sconosciuta tribù e colsero l’occasione per girare un nuovo documentario.
Dopo tante avventure e successi, Hans Ertl cambiò vita; con i proventi dei film, dei libri che aveva pubblicato e con la vendita della sua attrezzatura per le riprese cinematografiche, dai monaci di un convento francescano acquistò un terreno e divenne agricoltore e allevatore di bestiame fino all’ultimo dei suoi giorni, quando si spense nel 2000.
Monika aveva spiccato il volo dopo tutte quelle esperienze affascinanti con il padre (era diventata non solo esperta nell’uso delle macchine fotografiche e della cinepresa, ma anche delle armi ed era una provetta cavallerizza), sposò un ingegnere minerario. Matrimonio che durò poco ma il tempo sufficiente per rendersi conto delle terribili condizioni di vita dei minatori.
Dopo il divorzio, con l’aiuto economico del padre aprì a La Paz un asilo per bimbi orfani. Probabilmente in quella attività assistenziale ebbe modo di entrare in contatto con persone in relazione con i movimenti di lotta al potere militare boliviano al servizio dell’imperialismo statunitense.
Monika da “simpatizzante”, dopo l’uccisione di Ernesto Guevara divenne una fiancheggiatrice dei combattenti, poi entrò in clandestinità e partecipò alle azioni di guerriglia del gruppo superstite di Guevara, restando in contatto epistolare con il padre al quale scriveva rassicurandolo costantemente sul suo stato di salute.
Nel 1969, anche Guido Alvaro “Inti” Peredo, successore di Guevara alla guida dei sopravvissuti all’annientamento di due anni prima (al quale Monika era legata sentimentalmente), fu catturato e ucciso dai servizi segreti boliviani che misero così fine alle azioni di quel gruppo di combattenti che avevano deciso di gettare le loro vite nella lotta. Anche in questo caso, Quintanilla non si era lasciato perdere l’occasione di una esibizione macabra, facendosi fotografare assieme ad altri, attorno al cadavere esposto di “Inti” Peredo.
Per eseguire la sua missione, che si presentava come un’azione suicida, Monika studiò ogni più piccolo particolare e si procurò l’indispensabile arma. Entrò quindi in possesso di una pistola che era stata acquistata regolarmente dall’editore Giangiacomo Feltrinelli a Milano alcuni anni prima.
Dopo l’uccisione del console e aver lasciato sul luogo un biglietto con la scritta “Victoria o muerte”, riuscì a fuggire ma fu costretta a sostenere una colluttazione nel corso della quale perse la parrucca che gli era servita per il camuffamento, e la borsetta che conteneva la pistola. Fu quindi identificata e su di lei oltre al mandato di cattura fu anche posta una grossa taglia in dollari.
Monika Ertl in fuga fu segnalata in Francia, in Argentina e a Cuba, ma nel 1972 tornò in Bolivia, forse progettando altre azioni assieme al gruppo dello scrittore francese Régis Debray, possibile tramite dell’arma di Feltrinelli e che in seguito sarà sospettato di aver fatto il doppio gioco.
In Bolivia infine fu catturata nel maggio 1973 da militari boliviani di forze speciali antiguerriglia. Nella sua cattura c’è stato anche lo zampino di Klaus Barbie, il quale dalla carriera di “boia di Lione” era passato a quella di agente della Intelligence americana, secondo logiche che paiono ormai consolidate, vista anche la attuale vicenda ucraina, di neonazisti transitati nel campo della democrazia all’americana, manovalanza accolta a braccia aperte senza scrupoli reciproci tra loro ed oligarchi ebrei.
Storia ancor più oscenamente triste se si pensa che da anni, Barbie, con una falsa identità, si era intrufolato nella vita degli Ertl, spacciandosi per un camerata dei bei tempi andati, al punto da farsi chiamare “zio” dalla piccola Monika.
Barbie la ricordava bene e la riconobbe incontrandola per caso nel centro di La Paz, la seguì e segnalò la sua presenza in una casa dove tre giorni dopo, il 12 maggio, fecero irruzione gli uomini delle forze di sicurezza. Monika e un argentino che si trovava con lei resistettero fino a quando ebbero munizioni. Dopo la cattura, Monika Ertl fu soppressa e il suo cadavere fatto sparire. Inutilmente suo padre chiese di poter riavere il corpo della figlia.
Non osiamo pensare a cosa sia successo dopo la sua cattura e probabilmente non lo sapremo mai.