Domenica 28 maggio 2023, Pentecoste
HENRY KISSINGER, CENT’ANNI DI RICORDI E SEGRETI
di Giorgio Ferrari
Protagonista come segretario di Stato e consigliere delle aperture della politica di Nixon, venne offuscato dallo scandalo del suo presidente.
Cento anni. Di solitudine. E un groviglio di ricordi, di responsabilità, di successi diplomatici, di colpe storiche, di antri bui della coscienza nei quali lui solo può navigare, perché lui solo sa – come amano dire gli americani – “dove sono sepolti i cadaveri”.
Per questo Henry Kissinger è un ossimoro vivente. Una mente lucidissima e insieme tortuosa, segretario di Stato dal 1973 al 1977, alter ego di Richard Nixon e insieme a lui protagonista di un’impensata apertura nei confronti della Cina di Mao Zedong e dell’Unione Sovietica, spaesando il senso comune della Guerra fredda e conducendo per mano l’America verso quel multipolarismo che oggi, declinando la potenza americana, è il sigillo del nuovo disordine mondiale. Ma quel bambino tedesco di nome Heinz e di famiglia ebraica nato il 27 maggio 1923 a Fürth in Baviera nel medesimo anno del putsch della birreria di Adolf Hitler all’epoca non poteva immaginare cosa sarebbe stato di lui. Emigrato negli Stati Uniti nel 1938, studia a Harvard e si specializza in relazioni internazionali, scalando lentamente i gradini di una ruvida notorietà: la stessa che lo fa licenziare da Lyndon Johnson per aver criticato l’intervento americano in Vietnam, accompagnata dall’incapacità (ma forse no) di perdere del tutto l’accento tedesco. Così “SuperKraut” – il nomignolo gli viene ben presto affibbiato dai collaboratori terrorizzati dalla sua straripante capacità di lavoro – arriva alla soglia della Casa Bianca come consigliere per la sicurezza nazionale di Nixon. Benché non fosse ancora il segretario di Stato, il tandem fra lui e l’avvocato californiano divenuto campione di arroganza e paranoia funzionò alla perfezione. In pratica Kissinger e Nixon fecero politica estera in due, lasciando tutti gli altri al di fuori dello Studio Ovale. Il tandem portò a successi diplomatici che vennero poi oscurati dal Watergate e dalla caduta di Nixon, ma che in realtà sono stati preziosi per l’equilibrio mondiale, a cominciare dalla fine della guerra del Vietnam.
Delle relazioni fra i Paesi Kissinger condivideva la visione scaturita nel 1648 dalla Pace di Westfalia, che ponendo fine alla Guerra dei Trent’anni aveva garantito un ordine mondiale basato sull’esistenza di stati sovrani in confini ben definiti, che non interferissero negli affari interni degli altri stati, tanto da diventare il modello delle relazioni fra i popoli che meglio aveva funzionato perché basato sull’equilibrio dei poteri. Una teoria che Kissinger proclamò nel suo World Order (Ordine Mondiale), scritto però quando ormai quell’ordine scricchiolava sotto le spinte centrifughe di nuovi attori apparsi alla ribalta del mondo.
Il grande realista erede di Talleyrand non è stato tuttavia scevro di macchie e colpe che nessuna Realpolitik potrà mai cancellare. Una su tutte, l’aver incoraggiato nel 1973 il colpo di Stato di Pinochet in Cile, ma anche l’interessato silenzio sul giro di vite della dittatura in Argentina. E il via libera all’invasione del cattolico Timor Est da parte dell’Indonesia nel 1975. Tutte cose che il centenario uomo di mondo si porta dietro, in quell’animo certamente esausto di chi ha vissuto un secolo lungo in nome di un ordine che non esiste già più.
(Avvenire, 27 maggio 2023)