Domenica 4 giugno 2023, SS. Trinità
ARTE, ARTE E ANCORA ARTE
IL FUTURSIMO: LA NASCITA DELL’AVANGUARDIA
Prima parte
di Eleonora Genovesi
“L’umanità ha bisogno del sublime. Il sublime del sublime è l’arte. Il sublime dell’arte è l’avanguardia” (Roland Topor)
Quanto chiasso, quanto rumore, quanto di tutto di questi tempi. Sentivo di avere bisogno del sublime e cosa c’è di più sublime dell’Arte? L’Arte ci calamita, ci eleva, spazza via la nostra fragilità, ci fa porre delle domande e molto molto altro ancora. E allora cosa c’è di più sublime del godimento derivante dalla visione di una splendida mostra come quella sul Futurismo tenutasi a Palazzo Zabarella a Padova dal 1ottobre 2022 allo scorso 23 febbraio? Tra i molteplici temi oggetto di mostre trovo quello sul Futurismo particolarmente interessante in quanto ci restituisce l’immagine di un’Italia, non più solamente dominata dall’arte del passato, ma proiettata nel futuro.
Il Novecento è un secolo estremamente fecondo a livello di novità e questa trasformazione non poteva non investire la l’ambito artistico. Mai come nel Novecento la cultura artistica ha conosciuto una tale velocità di evoluzione.
Novità e sperimentazioni artistiche nel corso di questo secolo si susseguono con un ritmo incalzante, frenetico.
Ed è proprio in questo contesto che il 20 febbraio del 1909, con la pubblicazione sul quotidiano francese Le Figaro del Manifesto Futurista da parte del poeta Filippo Tommaso Marinetti nasce il primo Movimento italiano d’Avanguardia.
A questo manifesto, che elenca i principi cardine del movimento, ne seguiranno altri come Il Manifesto dei pittori futuristi e Il Manifesto tecnico della pittura, pubblicati nel febbraio 1910 a Milano e tanti altri ancora.
Il fatto stesso di redigere manifesti programmatici fa del Futurismo il movimento di avanguardia per eccellenza.
Del resto, basta il solo nome scelto per questa nuova corrente avanguardistica a chiarirci le idee.
Futurismo in primis significa “Arte del futuro” e sarà proprio questo sentimento rivoluzionario di rinnovamento e di rivolta nei confronti del passato, unito alla sconfinata fiducia nelle possibilità offerte dalle innovazioni tecniche del futuro, ad animare questa avanguardia.
Uno dei punti chiave del movimento futurista è l’esaltazione della modernità, con le sue automobili, le industrie e gli aeroplani, unito alla glorificazione del patriottismo, del militarismo e della guerra. Altro punto cardine è il valore dato all’irruenza, anche violenta purché finalizzata a segnare un definitivo stacco con la cultura del passato, considerata noiosa, borghese e sorpassata. Non a caso nel manifesto si parla di “coraggio, audacia, ribellione” come elementi essenziali.
Nel periodo in cui l’importanza dell’industria cresceva in tutta Europa, i Futuristi sentivano il bisogno di confermare che l’Italia è presente, c’è, che anche l’Italia ha un’industria, e quindi ha il potere di prendere parte a questa nuova esperienza, scorgendo l’essenza superiore del progresso, attraverso i suoi simboli: l’automobile e la sua velocità.
Va detto che tra tutti i movimenti di avanguardia quello futurista fu il più prolifico, teso com’era ad imporre la rivoluzione avanguardistica, non solo nei diversi ambiti disciplinari come l’arte, la poesia, bensì in tutte le manifestazioni del costume della vita moderna. Una rivoluzione violenta, riformista e progressista che nasce dalla reazione a tutto quello che si identifica con il vecchio, l’obsoleto, il passato. Ma come ben sappiamo ogni cambiamento radicale necessita di un momento di forza estrema come ci insegna la storia. I futuristi si pongono come i cantori delle città dominate dall’elettricità, i cantori delle automobili, dei treni, delle innovazioni apportate dall’industria.
Per i futuristi non vi è una linea di demarcazione fra arte e vita poiché l’arte deve permeare la vita e la vita deve impadronirsi dell’arte. Da qui l’interesse dei futuristi per ogni ambito del costume e della società. E la réclame delle loro idee venne affidata ad una marea di manifesti programmatici redatti tra il 1909 ed inizi anni trenta.
L’opera d’arte si propaga nell’ambiente, non un ambiente naturale ma artificiale in cui le facoltà dell’uomo vengono per la prima volta scisse dai ritmi naturali. E in tutto questo l’artista diviene un profeta ma anche osservatore di un mondo che si evolve incessantemente.
L’arte futurista, accogliendo queste nuove istanze diviene il ponte tra la cultura metaforica dell’Ottocento ed il nuovo habitat novecentesco spezzettato ed elettrificato.
La mostra padovana ci ha raccontato l’iter complesso del Futurismo attraverso un percorso espositivo strutturato in dieci sezioni, che, partendo dalle radici simboliste del movimento arriva all’ultima sezione intitolata RICOSTRUZIONE FUTURISTA DELL’UNIVERSO.
La mostra ci presenta 121 opere realizzate in un arco cronologico ristretto che va dal 1910 al 1915 anno in cui Balla e Depero pubblicarono il Manifesto della Ricostruzione Futurista dell’Universo che teorizzava il nuovo indirizzo non figurativo dell’arte d’avanguardia, preannunciando quella che sarebbe stata la nuova arte, un’arte polimaterica fatta di azione, volontà, ottimismo, possesso, gioia e sempre un proiettarsi in avanti. Ma il 1915 segnò anche l’ingresso dell’Italia in guerra e questa circostanza insieme alla redazione del suddetto Manifesto farà del 1915 la linea di demarcazione nelle successive ricerche artistiche del movimento. Allora, siete pronti a partire per questa nuova avventura?
Si inizia con la prima sezione dal titolo LE RADICI SIMBOLISTE DEL FUTURISMO che ci racconta come, l’esigenza di quelli che saranno i protagonisti del futurismo, di contrassegnare la nuova arte in senso anti-realistico e psicologico, affondi le radici nel Simbolismo, attingendo anche dalle Secessioni mitteleuropee e dall’Estetismo di fine Ottocento. E voilà ecco apparire davanti ai miei occhi il bellissimo capolavoro di Giovanni Segantini, rarissimamente esposto, dal titolo Le ore del mattino del 1888, in cui l’eleganza delle figure rispecchia l’innato misticismo dell’autore. E poi La falsa civiltà di Duilio Cambellotti del 1905-1906 il cui simbolismo è espresso ponendo l’accento sul suo essere anti-borghese e tradizionalista. L’uomo che sta selciando il terreno e, quindi, distruggendo la natura, incarna la civiltà urbana che avanza e che causa il tramonto del vecchio mondo, quello dei contadini. Ma la sfocatura con cui è realizzata la figura dell’uomo sembra visualizzare la domanda che si pone l’artista “Ma questa è proprio civiltà?”.
E poi il bellissimo olio di Gaetano Previati, quel Paolo e Francesca del 1909, interpretazione in chiave simbolista del racconto narrato nel V canto dell’Inferno di Dante, in cui le forme paiono smaterializzarsi e amalgamarsi con lo sfondo. Solo le figure di Paolo e Francesca emergono dal buio mediante pennellate chiare ed ondulate che, grazie alla loro vibrazione luminosa, evidenziano il volume. A questa tendenza degli artisti simbolisti che aspiravano a realizzare una pittura di idee, sganciata dal naturalismo, dalla quotidianità, ma non dalla contemporaneità, per tendere alla spiritualità e ad esplorare l’ignoto, hanno contribuito con le loro opere anche futuristi della prima ora come: Boccioni, Balla, Carrà, Russolo.
Si pensi all’Autoritratto con teschi di Russolo del 1908, un ritratto delirante, in cui il volto dell’artista, circondato da teschi, affiora dal buio, quasi fosse la sua immagine surreale che si riflette su un limpido specchio. E cos’è questo se non il desiderio di esplorare l’ignoto, il proposito di andare oltre la dimensione del reale?
Se Russolo vede nel Simbolismo la possibilità di avventurarsi in un territorio sconosciuto, l’Allegoria del lavoro di Carlo Carrà del 1904, eseguita per la Cooperativa Pittori e Imbiancatori di Milano, nel mentre attesta lo schieramento dell’arte a sinistra nel clima turbolento causato dagli scontri sociali generati dalle rivendicazioni operaie, dall’altro, ci mostra come Carrà ravveda nel Simbolismo la possibilità di fare un’arte nuova, risultato della società del suo tempo e non un’arte specchio di una società borghese quanto ripetitiva. E poi il primo Umberto Boccioni con il suo trittico dal titolo Veneriamo la madre, realizzato a cavallo tra il 1907 ed il 1908, una composizione in cui l’artista sente profondamente il momento simbolista.
La figura femminile, ed in particolare quella della madre, riveste un ruolo centrale nell’immaginario dell’artista alla costante ricerca della personificazione dell’amore filiale.
L’uso della controluce fa emergere la sacralità dell’opera che parrebbe ispirarsi alla Pietà di Giovanni Bellini, opera amatissima da Boccioni. Si passa poi alla seconda sezione, quella del DIVISIONISMO in cui emergeranno con chiarezza i legami con l’arte divisionista mediante il confronto tra le opere di Segantini, Previati, Pellizza da Volpedo e le opere dei padri fondatori del futurismo quali Boccioni, Balla, Severini, Carrà, Russolo e Sironi. Le opere, presenti in questa sezione, introducono il visitatore a quel periodo artistico in cui il colore, persa la sua secolare unità, afferma il suo mutamento d’immagine in segni rapidi e decisi, la cui scomposizione cromatica avvia l’interpretazione del nuovo linguaggio della pittura contemporanea.
La mostra di Palazzo Zabarella, a differenza di altre, ripercorre tutto l’iter del Movimento Futurista, partendo dalle radici che affondano, dapprima nel Simbolismo e subito dopo nel Divisionismo.
Quest’ultimo costituisce il fulcro del cosiddetto complementarismo congenito indicato nel Manifesto tecnico della pittura futurista del 1910 come il nuovo linguaggio di questi giovani artisti rivoluzionari.
I giovani Boccioni, Carrà, Balla si servono della tecnica divisionista perché consente di rappresentare in modo incisivo sia la luce che il movimento. Ed è proprio questa incisività a renderla più consona del pointillisme francese a rappresentare la nuova poetica futurista.
Osservando opere come Il giorno sveglia la notte (1905) di Gaetano Previati o Il roveto (1900-1902) di Pellizza da Volpedo si evince come la frammentazione della materia nella vibrazione luminosa renda le figure e lo spazio interdipendenti tra loro. La stessa frammentazione che ritroviamo nel Ritratto di Ettore Roesler Franz del 1902 di Giacomo Balla e nel Paesaggio del 1909 di Carlo Carrà.
Ma è nel senso di velocità reso con pennellate rapide e luce sbriciolata del Treno in corsa realizzato da Cesare Maggi nel 1902 che si preannuncia tutta l’ormai prossima rivoluzione futurista. Quel treno anticipa di 20 anni il Treno in Corsa di Ivo Pannaggi. Ed eccomi dinanzi all’opera di Boccioni Meriggio. Officine di Porta Romana del 1910, che, seppur realizzata ad inizio futurismo, è ancora di matrice divisionista. Protagonista dell’opera la periferia industriale di Milano, dove l’artista era giunto nel 1907 dopo un lungo peregrinare. Milano la città che con la sua crescita commerciale ed industriale si sta evolvendo in una metropoli moderna, modernità sarà un elemento determinante della poetica futurista. In Officine a Porta Romana l’inconsueta inquadratura, dominata da linee diagonali tese a definire la struttura compositiva, coniugata con la tecnica divisionista, conferisce all’immagine un potente dinamismo accentuato da una vera e propria esplosione di contrasti cromatici cui si sovrappongono fasci di luce discendente. La luce è l’elemento protagonista di queste tensioni.
Siamo per Boccioni all’anticamera del Futurismo.
Entriamo ora nella terza sezione quella dello SPIRITUALISMO.
Normalmente si tende ad associare il futurismo alla dinamicità, ma questa mostra che scandaglia tutti gli aspetti del movimento, in questa sezione fa emergere un altro aspetto importante del Futurismo quello della spiritualità. Il sentimento futurista affonda le sue radici anche in un certo interesse verso l’occulto e verso le dottrine mistico-esoteriste piuttosto diffuse nella cultura di fine Ottocento. Ad esempio Luigi Russolo, futurista della prima ora, pittore ma anche musicista, appassionato di scienze occulte, nel dipinto presente in mostra dal titolo Profumo, realizzato nel 1910, anticipa la visualizzazione di uno dei concetti espressi nel Manifesto dei Pittori Futuristi, redatto insieme a Boccioni, Balla, Carrà e Severini, che verrà pubblicato nel febbraio del 1911 di cui riporto una frase: “È vitale soltanto quell’arte che trova i proprî elementi nell’ambiente che la circonda”.
E Profumo, in cui la protagonista è una donna, bella, dai lineamenti delicati, colta di profilo mentre reclina la testa leggermente indietro, con gli occhi chiusi e la bocca dischiusa, quasi rapita dalla fragranza che si diffonde nell’aria, è un’opera avvolgente, inebriante, ipnotica. Ma l’opera che si fa notare è Quelli che vanno di Umberto Boccioni (studio grande per Stati d’Animo) del 1911 in cui il volto concitato dell’uomo che parte, con gli occhi sbarrati, e le immagini effimere del paesaggio circostante, appaiono come smaterializzate dal treno in corsa.
Ma la dimensione del movimento che vuole evocare Boccioni è più emotiva che ottica e a tal fine inserisce in primo piano nel dipinto un triangolo nero che pare penetrare lo spazio, puntando verso l’uomo.
Il risultato finale è un’ambientazione non spaziale ma emotiva, un’espressione lirica del dinamismo pittorico futurista che apre la via al Surrealismo di André Breton. Altra opera che spicca nel contesto di questa sezione è Mercurio transita davanti al sole di Balla del 1914. Il dipinto rappresenta un fenomeno astronomico rarissimo, verificatosi poco dopo il mezzogiorno del 7 novembre del 1914, ossia il passaggio di Mercurio davanti al sole. Balla, fedele al credo futurista, riproduce il movimento scomponendolo in stadi successivi. L’andamento a spirale che caratterizza l’opera, sovrapponendosi alle altre forme, dalla differente cromia, crea uno straordinario effetto di dinamismo.
I colori sembrano frammentarsi come se li si vedesse attraverso la luce di un cannocchiale accentuando la dinamicità dell’opera che racchiude in sé l’essenza del movimento Futurista.
E finalmente arrivo al cuore di questa straordinaria mostra, la Sezione 4 intitolata DINAMISMO che è l’elemento che ha pervaso tutta l’opera futurista.
Dinamismo inteso, sia come slancio verso la modernità, sia come sprone a creare una visione rivoluzionaria del mondo fondata su diverse coordinate spazio-temporali.
“Bisogna dare la sensazione dinamica, cioè il ritmo particolare di ogni oggetto, la sua tendenza, il suo movimento, o per dir meglio la sua forza interna”.
E questo dinamismo si traduce nell’esaltazione della velocità resa tecnicamente con una pennellata, inizialmente di stampo divisionistico, divenuta poi estremamente sintetica. Qui vediamo fronteggiarsi le opere di Balla, Carrà, Boccioni, Severini, Sironi, Prampolini, Galli. Si parte dalla straordinaria Velocità d’automobile, realizzata da Giacomo Balla nel 1913. È un olio realizzato su carta applicata su cartone che ha come assoluta protagonista la macchina, simbolo della modernità, definita nel Manifesto del Futurismo come “più bella della Nike di Samotracia”. In realtà il vero soggetto dell’opera è la velocità dell’automobile che Balla studiò a fondo rappresentandola in diverse espressioni e formati.
Osservando l’opera si nota come in primo piano prevalga il moto sinusoidale delle ruote dell’auto, elemento ricorrente nelle opere di Balla. Nel resto dell’opera la scomposizione della velocità avviene secondo una sequenza dinamica, che inizia e termina in molteplici linee che si intersecano.
Accanto al tema della velocità troviamo quello del tempo, altrettanto caro ai futuristi, tempo scandito da una velocizzazione di istanti che si sovrappongono fra loro, sia in superficie che in profondità, sotto forma di ampi triangoli.
E ancora Cavallo e cavaliere di Carlo Carrà, collage e tempera su cartone del 1915, in cui il moderno cavaliere, con la schiena arcuata e il volto girato verso lo spettatore, galoppa il cavallo del futuro, costituito da scritte prese dal vocabolario futurista, in un gioco di linee che imprimono all’immagine un forte dinamismo. Ma il dinamismo non è solo quello dell’auto, come si rese conto Gino Severini, nel corso della sua giovinezza trascorsa a Parigi dove ebbe modo di sperimentare l’atmosfera inebriante del mondo della danza. Severini capì che il dinamismo e l’energia del mondo moderno si manifestavano, non solo nelle innovazioni tecnologiche e meccaniche, ma anche nelle frenetiche evoluzioni del corpo umano in movimento, impegnato nelle danze di moda all’epoca come ad esempio il tango argentino. Ed è il dinamismo della danza quello che troviamo nella bellissima opera del 1914 dal titolo Ballerina (Danceuse), un papier collé che ci restituisce un’immagine del movimento molto particolare, un’immagine quasi astratta, con le sue forme geometriche in cui l’elemento cromatico si sposa felicemente con dei lustrini emblema delle ballerine. Lo stesso tema è trattato da Mario Sironi nella sua Ballerina del 1915, un collage che testimonia la sua attrazione per il dinamismo plastico dei futuristi.
Con pochi, veloci, sintetici tratti neri, mixati al calore del giallo e del rosso, Sironi ci restituisce l’immagine di una ballerina che emana un forte dinamismo. E ancora la Danzatrice di Enrico Prampolini del 1916 che richiama alla mente la simultaneità della visione di matrice cubista. E con il Dinamismo meccanico e animale opera di Gino Galli, realizzata fra il 1914 ed il 1916, che visualizza uno dei principi del credo futurista, quello della compenetrazione, si chiude la 4 sezione. Vediamo un cavallo ed un uomo su di una motocarrozzetta che procedono in direzioni opposte: l’uomo in profondità ed il cavallo verso lo spettatore… Le traiettorie inverse dei 2 moti si avvicinano dando luogo ad una sorta di compenetrazione tra la meccanizzazione dell’uomo e la velocità.
Si passa ora alla Sala 5 intitolata VITA MODERNA in cui troveremo opere che testimoniano la rivoluzione scientifica, tecnologica e filosofica che caratterizza gli anni a cavallo tra la fine Ottocento e la prima guerra mondiale.
Fulcro di questa sezione è lo spirito rivoluzionario e di totale rottura con i modelli del passato come ci attestano le opere presenti. Per un attimo provo a pensare cosa abbiano rappresentato per le persone di quel periodo tutte le numerose innovazioni tecnologiche che si susseguivano con grande rapidità: indubbiamente un cambiamento epocale, uno spartiacque tra un passato superato e un presente in divenire.
E a conferma del mio pensiero viene il dipinto di Carlo Carrà, intitolato Ciò che mi ha detto il tram, del 1911, un chiaro esempio dell’intenzione del movimento futurista di dare voce al dinamismo delle cose che poi rispecchia il dinamismo del periodo, creando un nuovo stile, quello del movimento.
Già il titolo dell’opera è di per sé significativo. Le persone vanno e vengono alternando il movimento alla stasi. Ed il tram, simbolo del nuovo che avanza, si pone come agente catalitico assorbendo e riconvertendo lo spazio urbano.
Quel che parrebbe un caos indecifrabile di linee e forme che non ci consente di capire quale sia il confine fra interno ed esterno, altro non è se non la volontà da parte dell’artista di visualizzare il movimento di un mondo in cui i rapporti tra gli elementi mutano di continuo. Ed ecco balzarmi agli occhi l’opera di Fortunato Depero intitolata Ritmi di ballerina + clown del 1914. Depero, futurista firmatario del Manifesto del Movimento che si proponeva quale indiscusso obiettivo l’intenzione di modificare tutti gli ambiti della vita, in tutte le sue opere manifesta la chiara volontà di esprimere il senso della forza. E la forza deperiana è espressa mediante immagini forti e geometriche che rompono tutti gli schemi e gli equilibri di un’Italia di inizio Novecento assopita e spaventata.
Ritmi di ballerina + clown come detto è stata realizzata nel 1914 anno in cui scoppiò la prima guerra mondiale, una guerra tra le tante che paiono non aver fine neanche oggi.
La percezione immediata che ho dell’opera è di inquietudine generata dal sorriso a denti serrati del clown, che sembra un ghigno che annuncia il dolore del futuro.
L’immagine che ci restituisce Depero non è solamente quella di un particolare momento della storia italiana e mondiale, ma anche quella di alcuni momenti vissuti da molti di noi…
Chi non ha visto una volta nella propria vita quel clown sogghignante con il suo messaggio di paura? Tuttavia Depero ci invita a guardare aventi, in profondità come ci dicono le file di ballerine dal sorriso coinvolgente. Il messaggio è chiaro: a dispetto delle paure bisogna guardare avanti, ampliare i propri orizzonti come ci dice il bellissimo sole sulla sinistra, realizzato con pennellate forti, i cui raggi squarciano il buio della notte, del dolore esistenziale di quel tempo come di oggi e di ogni persona del passato e del presente. Allora come ora c’era la paura ma c’era anche dell’altro: il sole che vince il buio.
E allora mi dico: “Quest’opera è così bella nella sua attualità perché mi invita a guardare il sole che rinascerà cancellando il buio delle paure”. Tra tutti i vari elementi che caratterizzano il nuovo mondo futurista ecco quello della vita notturna animata da danze scatenate come ci mostra il Veglione alla Scala o Carnevale alla Scala del giovane Arnoldo Bonzagni del 1910. Arlecchini e giovani donne mascherate e sorridenti sono la perfetta visualizzazione del dirompente desiderio dei pittori futuristi di rendere e magnificare la vita dei loro tempi, una vita nuova, moderna, dinamica. La pennellata tanto densa quanto rapida di Bonzagni, che sovverte la tradizionale concezione spaziale, ci restituisce l’immagine di un teatro dove tutto è luce e movimento, dove tutto è in divenire.
E ad esaltare la modernità della nuova società ecco La tourniquiet du cafè de Paris di Ugo Giannattasio realizzato tra il 1912 ed il 1913, il cui linguaggio spoglio ma rigoroso, con riferimenti al cubismo riesce ad operare quella sintesi di simultaneità dinamica tanto cara ai futuristi. E l’analisi della VITA MODERNA tanto cara ai futuristi, tema di questa sezione, si conclude con i progetti architettonici, ahimè mai realizzati, del grande Antonio Sant’Elia, scomparso troppo prematuramente.
All’architettura monumentale dei vecchi palazzi il giovane Sant’Elia contrappone un’architettura nuova, in linea con i nuovi tempi: l’architettura futurista.
La Città Nuova, immaginata da Sant’Elia e mai realizzata a causa della sua precoce dipartita, ha un enorme respiro dato da un sistema di relazioni e connessioni, mediante elementi quali ponti, strade, ascensori che vivifica senza soluzione di continuità, sia lo spazio che gli edifici che si stagliano verso il cielo. La Stazione di aerei e treni con funicolari del 1914 o la Casa a gradinata, sempre del 1914 o ancora le Case con ascensori esterni e sistemi di collegamento su più piani stradali del 1914 ci mostrano esattamente come la Città Nuova oltrepassi la staticità di quella vecchia con un fitto, funzionale sistema di interconnessioni che si pone come punto di partenza oltrepassando la staticità della costruzione isolata.
Si passa poi alla Sala 6 intitolata TRIDIMENSIONALITÀ-POLIMATERISMO… Ma questa è un’altra storia di cui parleremo prossimamente.
“Abbiate fiducia nel progresso, che ha sempre ragione, anche quando ha torto, perché è il movimento, la vita, la lotta, la speranza” (Filippo Tommaso Marinetti)