Minima Cardiniana 422/7

Domenica 11 giugno 2023, Corpus Domini

… SE L’IDEOLOGIA NON È MAI MORTA, LA DEMOCRAZIA NON SI SENTE TROPPO BENE
CRISI DELLA DEMOCRAZIA
di Bruno Bosi
Democrazia significa libertà, dai soprusi nel campo delle relazioni politiche e dal bisogno nel campo delle relazioni economiche. Presupposto indispensabile alla democrazia è l’uguaglianza dei diritti che partendo da una dichiarazione formale deve tendere a portare alla capacità effettiva, di tutti gli appartenenti a una comunità, di usufruire di pari opportunità. Un percorso interminabile e non un traguardo, che deve essere la missione della politica. I principi che devono informare questo cammino sono giustizia e uguaglianza, che in politica sono strettamente collegati, quasi sinonimi, e hanno un valore universale, cioè accettabili da tutti. L’uomo rimane il fine ultimo dell’evoluzione di ogni civiltà, ma ciò non toglie che la condizione umana sia costituita per metà da vizi e per metà da virtù. Per tenere sotto controllo il principale di questi vizi, l’egoismo individuale, cioè bramosia di potere e di ricchezza, che porta a relazioni conflittuali, l’uomo deve accettare dei legami-valori sia politici, per avere la libertà, sia economico-sociali, per accedere ad un più alto livello di benessere materiale. La democrazia deve essere un metodo che tiene a freno gli egoismi cercando soluzioni condivisibili nel rispetto della libertà individuale. Libertà che ammette la disuguaglianza dei risultati ma con un limite: riconoscere un uguale diritto alla libertà agli altri.
Il prevalere degli egoismi individuali, presenti in tutti gli esseri umani ma antisociali, portano alla conflittualità, all’involuzione e al declino. Quando raggiungono livelli inaccettabili si riafferma la propensione alla cooperazione che produce coesione evoluzione e progresso. Il progresso si misura con la diminuzione della distanza tra i dominatori e i dominati, con una diminuzione della povertà. Il declino di una civiltà al contrario si misura nell’inasprimento delle condizioni riservate ai dominati. Il procedere della storia ha visto l’alternanza di cicli di involuzione ed evoluzione. Nel lungo periodo fino ad oggi hanno prevalso i cicli di evoluzione, altrimenti non si spiegherebbe l’uguaglianza dei diritti politici. Ma la pace, il progresso, il benessere perseguiti con energia e determinazione una volta conseguiti portano ad un rilassamento, ad un allontanamento dalla politica del quale tornano ad approfittarne gli aspiranti dominatori.
Le democrazie avanzate soffrono la conflittualità, funzionale alla bramosia di potere dei politici di mestiere, per contendersi le briciole, i privilegi che sono previsti dal nostro ordinamento, mentre sono succubi del potere finanziario imposto dai dominatori. Il pluralismo, la tolleranza, la condivisione e la coesione vengono sostituite dalla faziosità tra schieramenti contrapposti, i partiti, che hanno la stessa logica delle tifoserie calcistiche. Litigano su tutto pur di non cambiare niente del dispotismo omologante implementato dal pensiero unico proveniente da un’entità virtuale che non vuole un confronto con le istituzioni democratiche. Per soddisfare le richieste dei dominatori i nostri delegati possono offrire un’unanimità inesistente nella volontà dei cittadini loro elettori ma questi non hanno altri mezzi per esprimersi se non attraverso i delegati. Questo procedimento è evidente nell’informazione servilmente sottomessa ai dominatori. Deve innanzitutto sottostare alle regole del mercato per fornire profitti, scivolando verso lo spettacolo. Poi deve procurare consensi ai politici di riferimento attizzando la conflittualità, ma restando all’interno del perimetro stabilito dall’alto, che fa da cornice all’unanimità offerta ai dominatori.
L’Occidente rivendica l’origine della democrazia e da qui la missione di imporla al resto del mondo. Questa pretesa si basa su aspetti formali supportati da una potenza economica e militare incontrastabile e non su un’effettiva democrazia. Nel Novecento, quando i paesi occidentali erano infastiditi da una svolta socialista in un paese in via di sviluppo, appoggiavano un colpo di stato per instaurare una dittatura. Oggi quando i dominatori sono infastiditi da un paese che non accetta l’egemonia occidentale, si organizza un colpo di stato o una rivoluzione colorata per imporre la democrazia. Questo fa pensare che la democrazia sia più duttile e docile delle tanto deprecate autocrazie alle pressioni egemoniche dei dominatori globali. Pressioni esercitate dai dominatori anche all’interno delle società occidentali che hanno portato ad amplificare le disuguaglianze economiche a livelli incompatibili con la democrazia, consentendo il formarsi di un’élite dominante che presuppone l’esistenza dei dominati. Un potere politico dei più forti esiste sempre ed è un pericolo per la libertà, ma il compito delle istituzioni democratiche è appunto quello di moderare tali pretese. Oggi le istituzioni di rappresentanza democratica vengono strumentalizzate per imbrigliare, snaturare, negare la volontà dei rappresentati, fino a presentarla come un’unanimità di facciata assurda e autolesionista, ma in linea col pensiero unico. Se qualcuno osa esprimere qualche perplessità viene etichettato col termine dispregiativo di populista, dimenticando che la nostra costituzione inizia con l’affermazione: “La sovranità appartiene al popolo”.
Il potere politico è svuotato di significato in quanto sottomesso dal potere economico-politico dei creditori. Qualsiasi maggioranza esca da una consultazione elettorale, non è più in grado di agire nell’interesse degli elettori ma deve rispondere al potere che viene dall’alto, dalla finanza globale. I politici, per compiacere i dominatori, devono indebitarsi, poi trasferiscono la sudditanza tipica del debitore nei confronti del creditore sui loro elettori. Come reazione i cittadini si allontanano dalle pratiche democratiche non andando più a votare. Per la maggior parte dei cittadini, per gli aventi diritto al voto, la politica è percepita come la capacità di mentire, di illudere con vane promesse mai realizzate, ma che catturano i consensi, per mancanza di un’alternativa.
La saggezza ci farà uscire anche da questa temporanea fase di regresso nella quale noi cittadini dei paesi occidentali ci siamo lasciati intrappolare, appagati dalla sensazione di essere dei privilegiati e per sempre. Una postura non più sostenibile nonostante un potente apparato di disinformazione volto a stimolare egoismo e pigrizia, vizi presenti in tutti gli umani. L’egoismo ha ridotto le relazioni coi nostri simili, per quanto riguarda la sfera istituzionale economica, ad una società consumista, dove valgono solo quei beni che servono a farci sentire superiori ai nostri vicini, una forma di arrampicamento sociale che non conosce limiti. Peccato che, dopo trent’anni di neoliberismo, da una corsa al rialzo siamo passati a una corsa al ribasso, alla rassegnazione e al declino. La pigrizia ci ha portati alla rinuncia del potere politico conquistato nel secolo scorso con l’uguaglianza dei diritti politici. Questa conquista, che doveva e poteva essere la soluzione di tutti i problemi che da tempo immemorabile attanagliano l’umanità, si è ridotta a un gesto simbolico: esprimere la propria opinione “nel segreto dell’urna” come se ce ne dovessimo vergognare. Passato quest’attimo non abbiamo neanche più la pretesa di vedere esaudite le promesse della campagna elettorale e gli eletti non rispondono più agli elettori ma a un potere occulto che proviene da un’entità esterna all’impianto istituzionale democratico. Da quest’entità, la finanza predatoria, viene irradiato il popolo col pensiero unico. È il lubrificante che riesce a far girare gli ingranaggi di un sistema insostenibile con la rassegnazione al declino. Riesce a impedire di immaginare e poi pretendere un’alternativa. Deve disorientare, spingere l’opinione pubblica a infervorarsi per falsi problemi in un contesto di faziosità, divisione e conflittualità che impediscono l’azione politica. Il risultato è una società che vede da una parte una moltitudine di individui, che possono essere produttori, consumatori, risparmiatori, credenti, ultimamente degenti, ma sempre indigenti, e dall’altra parte un centro di potere che irradia questa moltitudine di autorità, di fede o di denaro, ma quest’ultimo in una situazione che deve essere di scarsità, in quanto è la mancanza di denaro che lo rende prezioso per chi non ne ha. La moltitudine è un insieme di individui accomunati dalle condizioni materiali di sudditanza, ma omologati in una percezione individualizzata delle relazioni sociali, che ne impedisce una dimensione politica. È frutto di un’attività di progressivo addomesticamento della volontà individuale, con una informazione unidirezionale, volta all’annullamento delle capacità critiche e alla rassegnazione al declino. Ognuno è geloso del filo che apparentemente lo congiunge col vertice, non lo vuole condividere e non è più in grado di rendersi conto di vivere un rapporto unidirezionale dal vertice alla base appiattita, passiva e rassegnata, in una parola dominata. Se si riesce a stimolare la consapevolezza di questa comune condizione di dominati per la stragrande maggioranza degli esseri umani è già una rivoluzione, e le pretese dei dominatori si dissolvono, come è avvenuto con la nobiltà alla fine dell’antico regime o più recentemente con i burocrati onnipotenti dei regimi comunisti. L’uomo è un animale sociale, si è sempre detto, quindi lasciamo fare a questo istinto animale e tutto andrà a posto da solo. Probabilmente non è così, l’istinto animale è quello della sopraffazione mentre la socialità è un’attitudine culturale che trova il presupposto nella superiorità della cooperazione sulla conflittualità, quindi è una scelta ragionevole in quanto offre vantaggi oggettivi. Questa scelta deve essere facilitata e coltivata da istituzioni educative: dobbiamo difendere i nostri valori, se ancora ne abbiamo, non farlo significa lasciare il campo all’ideologia dei dominatori liberisti che riempie tutti gli spazi, concede e stimola le libertà più insignificanti ma non ammette la libertà di una alternativa che limiti i livelli di assurdità raggiunti nella distribuzione della ricchezza prodotta col lavoro.
Nelle società a dimensione statale, il potere istituente dei singoli individui deve essere delegato. La delega è una rinuncia, una deresponsabilizzazione, un indebolimento del potere istituente degli individui. Il potere rinunciato individualmente si concentra nella disponibilità di potere dei delegati. In un sistema democratico questi derivano la ragione di esistere dalla capacità di procurarsi consensi. I consensi sono per la democrazia come il denaro per la finanza. Deve essere procacciato in una competizione senza esclusione di colpi. Si fa passare la democrazia per una mera pratica di acquisizione di consensi, non importa come. Corruzione e raccomandazione sono mezzi efficaci che la politica usa per avere consensi. La pratica della raccomandazione è l’aspetto peggiore della nostra società italiana che rende tanto inefficiente quanto odiosa la politica e la burocrazia. Si scambiano favori in cambio di voti, si cerca di non creare conflitti coi poteri forti, coi creditori, e si finge di credere nel ritorno ad una crescita che sarà eterna e risolverà tutti i problemi. In nome della crescita, e quindi per il presunto bene di tutti, si chiedono sacrifici che possono pesare solo su chi lavora, mentre gli utili che ne derivano vanno in tutt’altra direzione. Dare a tutti senza dire a chi si deve prendere è il messaggio di ogni campagna elettorale. Ma la realtà non funziona così, se la politica dà qualcosa a qualcuno lo deve togliere a qualcun altro oppure deve indebitarsi, il che significa che a pagare, a rinunciare a parte del frutto del proprio lavoro saranno le categorie più deboli, che magari non sono ancora nate. Alla fine si prende solo da chi lavora ma non si può dire.
Per i delegati progressisti la ragione di esistere diventa l’esistenza di una categoria che deve essere mantenuta a livello di sussistenza, in perenne stato di bisogno di carità pubblica o di dignità calata dall’alto. La dignità non deve più derivare dalla capacità dei singoli di contribuire alla causa comune, ma deve essere calata dall’alto dalla benevolenza dei leader progressisti. I conservatori trovano la ragione di esistere proponendo ordine al posto della libertà. Progressisti-assistenzialisti e conservatori-autoritari sono entrambi liberisti, nessuno dei due schieramenti individua il nemico nella finanza predatoria, riproponendosi entrambi di conservare quella parte di potere politico che può essere rivolta solo verso il basso per fare accettare le direttive che provengono dalla finanza in cambio dei loro privilegi o per non essere dichiarati inutili. La degenerazione della politica è la rinuncia a contrastare il potere dei dominatori proveniente dall’alto e nello stesso tempo la determinazione a oscurare il potere istituente della società civile proveniente dal basso.
Il vincitore delle elezioni di un paese occidentale va al governo con il consenso di un 25% degli aventi diritto al voto, o in caso di sorprese impreviste – come potrebbe essere il successo di forze antisistema – dx e sx andranno al governo assieme sostenendo un personaggio al di sopra delle parti, cioè coi piedi in testa ai cittadini e alla costituzione.
I rappresentanti del popolo, delegati alla gestione della democrazia, hanno perso il contatto con i rappresentati, rispondono solo alle pretese dei capi partito che li hanno candidati. Il voto serve solo a dirimere le bramosie di potere dei politicanti. Dopo ogni consultazione elettorale si azzuffano per una nuova legge elettorale senza che ci sia un minimo accenno alla effettiva rappresentanza degli elettori. Il numero dei delegati deve rispondere alla necessità di rappresentanza dei cittadini a partire da una dimensione locale. I collegi uninominali potrebbero essere una soluzione per connettere gli eletti agli elettori. È da rivedere ed ampliare il ricorso al referendum popolare come strumento di democrazia diretta. Nella dimensione statale o sovrastatale credo che sia da provare il presidenzialismo come espressione diretta della volontà popolare. Visto che i nostri delegati non sono stati in grado di eleggere un nuovo presidente, credo che sia da ridare al popolo questa prerogativa. Naturalmente questa figura proprio perché eletta dal popolo dovrebbe avere un incremento di potere da togliere al parlamento, luogo ideale per veti incrociati, per pratiche clientelari, per operazioni di lobby, per cambi di casacca che portano all’inefficienza quando non alla paralisi totale. Forse è giunto il momento di sostituire la forma partito con la forma movimento. Il partito si basa su un’appartenenza duratura che non ha più ragione di esistere, è funzionale solo a intrighi sottobanco. Il movimento raccoglie l’adesione su obiettivi condivisi e, una volta ottenuto il risultato, scompare lasciando spazio ad uno successivo.
La politica deve produrre delle istituzioni che devono contribuire a realizzare le aspirazioni dei cittadini. Anche le istituzioni più complesse devono essere gestite da persone fisiche. Non esiste complessità che possa superare le capacità di un singolo individuo. Il potere politico anche di una grande comunità può essere espresso da un singolo meglio che da un parlamento composto da centinaia di delegati. Il singolo non deve necessariamente essere un dittatore. Il singolo tutto sommato è più debole di un parlamento pseudo democratico. È più facile da rimuovere è più responsabile. Si possono prevedere dei limiti ben identificabili per la decadenza dei suoi poteri. Il ricambio diventa effettivo mentre un parlamento è il classico muro di gomma che può assorbire qualsiasi urto ma deve sopravvivere perché così è previsto. Questo modo di intendere il potere si trasmette a cascata su tutte le istituzioni espressione di sovranità dei cittadini, di fatto annullandola. Dai politici di mestiere si passa alla casta avulsa dalla società dove il consenso è presunto dalla mancanza di un’alternativa.
Non deve esistere una vocazione a ricoprire le cariche distribuite dalla politica che significano comandare, disporre della libertà degli altri. Deve essere un dovere civico. Può esistere una passione per la politica ma non nel senso di occupare sistematicamente i centri di potere istituzionali. La passione per la politica può invece contribuire a individuare obiettivi da perseguire sulla strada del progresso o ad indicare un’alternativa quando il sistema vigente si inceppa. È il ruolo dei precursori, ma questi non possono essere espressione di un ordine costituito. Devono dare voce al potere istituente della società civile che sta a monte e deve plasmare l’ordine istituito. Un leader del cambiamento non può essere anche un governatore. La concentrazione di potere innovativo-progressista e amministrativo-conservatore nella figura del politico di mestiere è inconciliabile con la democrazia. Il capo partito che pretende di interpretare il ruolo di governatore e di governato è una concentrazione di potere che non si addice a una società democratica: meglio mantenere una netta distinzione tra la funzione istituente che tende naturalmente ad essere progressista e alla quale appartiene il potere, e la funzione di governo, per la quale la stabilità è un valore, amministra ma non ha il potere.
La principale garanzia contro i rischi di degenerazione della democrazia è data da un ricambio continuo degli addetti e da un bilanciamento tra più centri di potere locali e una regia che era statale, è già sovrastatale e per certi aspetti sta diventando globale. Ricambio significa che deve esserci l’ingresso di non appartenenti alla casta, che passato un periodo limitato nella gestione della cosa pubblica, devono ritornare alla società civile. La politica deve essere un dovere civico, come lo era fino a qualche tempo fa il servizio militare, passato un periodo con incarichi pubblici, cioè al servizio della comunità, il cittadino deve tornare ai suoi impegni nel settore privato, che quindi avrà interesse a migliorare. Se invece uno pensa di essere sistemato per sempre al contrario vedrà il settore privato come un settore da spremere.
Fino a quando sopportiamo questa rappresentazione della politica, come conflittualità paralizzante, nell’illusione che il traguardo della democrazia sia raggiunto per sempre, tutti i paesi occidentali che si pretendono democratici, sono sottoposti a una relazione di dominio da parte del capitalismo neoliberista, finanziario e globale. Il percorso verso la democrazia non può restare immobile: o avanza o regredisce. Questi extraterrestri per dominare il mondo devono sostituire la libertà con la paura dividendo l’umanità in fazioni contrapposte fino a trascinarla in situazioni di pandemia o di guerra. Con continue emergenze giustificano l’assurda pretesa di drenare una quantità sempre in aumento di risorse dall’attività economica della società, mettendo in pericolo la sicurezza e il benessere dei comuni mortali. La democrazia non può essere solo conflittualità tra opposte fazioni. Il leader può essere tale se riesce a coagulare una solida maggioranza, che non può essere per sempre ma in vista di obiettivi delimitati e raggiungibili. La democrazia per essere vitale non si esaurisce nella scelta dei delegati ma ha più a che fare con la capacità di determinare le scelte di questi o di farle coincidere con le promesse della campagna elettorale.