Domenica 18 giugno 2023, San Calogero
EDITORIALE
LA NOSTRA ITALIA VERSO UNA SVOLTA STORICA E UNA NUOVA AFFERMAZIONE IDENTITARIA
Gaudium magnum nuntio vobis: habemus novum Patrem Patriae. Lo ha proclamato mercoledì 14 scorso, nel duomo di Milano, l’arcivescovo successore di sant’Ambrogio. Le esequie di stato di Silvio Berlusconi e la proclamazione del lutto nazionale per la sua dipartita hanno segnato il battere d’un’ora nuova nel cielo della nostra patria: e, attenzione!, a parte il tono faceto non sto affatto scherzando. Anzi, sono profondamente contrariato e preoccupato.
Ho pregato per l’anima immortale del Cavaliere e spero che la Misericordia divina lo abbia accolto nella Sua Gloria. Ma non posso dimenticare che si tratta di un plurindiziato di vari reati che ha comunque ricevuto almeno una definitiva condanna; di un uomo che non ha condotto una vita esemplare e non è stato in alcun modo di buon esempio per la società nella quale ha vissuto coprendovi un ruolo di spicco: per quanto un prelato di Santa Romana Chiesa abbia tracciato di lui, nell’omelia in suo onore, un ritratto ispirato alla “gioia” e all’“amore” che avrebbero riempito la sua esistenza. Di un uomo che senza dubbio merita, ora che la sua vita è passata, rispetto e carità al pari di chiunque altro: ma che non ha meritato che il suo trapasso sia stato salutato dalle bandiere a mezz’asta, secondo un modello pensato per gli eroi e i benemeriti. Dal canto mio, ora che sono vecchio mi rendo conto che, dopo molti decenni di non so quanto onorata carriera di bastiancontrario, mi troverò di nuovo esiliato nello stretto scomodo recinto dei refrattari ostili al potere e da esso taglieggiati.
Due gesti, anzi due eventi, hanno segnato la nobile giornata del 15 giugno 2023: la severa e solenne promessa di Giorgia Meloni ai Mani dell’Estinto (“Sarai orgoglioso di noi”) e l’abbraccio fra Renzi e Salvini. Molti hanno assistito compunti e magari commossi dinanzi a quei prodromi di “unione sacra” promossi da forze avviate – oh, il vecchio Aldo Moro!… – verso un’elaborata strategia di “convergenze parallele”. Certo, qualcuno si è indignato: e, lo confesso, anch’io. A costo di trovarmi una volta tanto (spero non accada più) d’accordo con la pur intelligente Rosy Bindi, con il pur lucido e versatile Tomaso Montanari.
Quel che insomma si sta preparando ai vertici della politica e dello schieramento parlamentare del paese è molto chiaro: una nuova “serrata al centro”, ch’è da quasi due secoli la scelta caratteristica degli italiani – o meglio, delle loro classi dirigenti – quando si tratti di superare una crisi in atto. In questo caso, è probabile che ci verrà servita una nuova tetrarchia di sapore neodioclezianeo.
Stando a quel che sembra ormai acclarato, piaccia o non piaccia, dinanzi al feretro del Grande Estinto si è stipulato un Sacrum Foedus fondato su una Nuova Tetrarchia, con due Augusti (la Meloni per il centrodestra, Renzi per il Nuovo Centro) e, salvo modifiche dovute al malumore dei subalterni, con due “imperatori in seconda”, due Caesares (Tajani per il Centrodestra, Salvini per il Nuovo Centro). Vi saranno certo degli scontenti e dei semidelusi, con i relativi spostamenti interni alle due compagini e con l’esodo di qualche irriducibile alla volta di formazioni minore fatte di “duri-e-puri” o sedicenti tali. Ma il sistema potrà funzionare, riducendo le opposizioni ai margini o quasi, a meno che un miracolo non salvi il PD o che un evento imprevisto sconvolga un quadro che appare ormai destinato a lunga stabilità (certo, c’è l’incognita della guerra…).
Ci verranno in altri termini proposti, non saprei dire se presto o tardi e se in forme chiare o nebulose, due nuovi partiti: un “Forza Fratelli d’Italia” (FFI) esito dell’Anschluss meloniano-tajanesca, e una “Lega dell’Italia Viva” (LIV) risultato dell’accordo renziano-salviniano.
Insomma, e in senso generale, quel che possiamo aspettarci in un momento di crisi e di desiderio di nuove stabilità e di nuove sicurezze sarà quanto da quasi due secoli a oggi è si può dire nel DNA degli italiani, parte vera e integrante (forse la principale) della loro “identità” politica. O, come avrebbe detto il grande Marc Bloch, dei suoi caractères originaux.
Negli altri paesi europei, se e quando si arriva al momento dell’irrimediabile divergenza e quindi dell’aperto e inevitabile confronto, ci si divide in due: vogliamo dire in una “destra” e una “sinistra”? Non sono termini adeguati, ma usiamoli pure per intenderci. È successo sempre così: e a volte ha condotto a vere e proprie rivoluzioni e guerre civili, a volte a lunghi duelli seguiti da faticosi e magari insoddisfacenti compromessi. È successo agli inglesi con la Glorious Revolution di fine Seicento; ai francesi con la Rivoluzione del 1789-1792 magari prolungatasi con l’era napoleonica fino alla Restaurazione; ai russi con le due Rivoluzioni del 1917 fino a tutto il periodo sovietico; ai tedeschi con la repubblica di Weimar e un po’ a tutta l’Europa orientale con l’incerto periodo successivo alla prima guerra mondiale e quindi con la lunga notte dell’egemonia sovietica.
A noi, no. Il nostro genio è quello del compromesso: del “cambiare tutto affinché tutto resti come prima”, a dirla con un personaggio del Gattopardo. Noi ce la siamo cavata con tre semirivoluzioni o pseudorivoluzioni, ricche magari di aspetti ridicoli e magari, ohimè, anche tragicomici: il Risorgimento, il regime fascista, la Resistenza. Ma la nostra “verità più vera” è che a ciascuno di questi tre lunghi momenti ha presieduto non il dramma della Rivoluzione e della vera Guerra Civile, bensì l’opera buffa o al massimo tragicomica di un disordine risolto in una “serrata al centro”, un’ammucchiata verso la prospettiva del moderatismo centrista con il correlativo fenomeno del trasformismo politico. È successo così con Cavour, con Giolitti, con Mussolini, con De Gasperi, ora anche con Berlusconi e i suoi seguaci ed epigoni. Sta infatti succedendo di nuovo adesso: con una nuova “Democrazia Cristiana” (in parte) declericalizzata e dislocata in due nuovi partiti che non sono ancora nati, ma che sembrano in avanzata fase di gestazione. E che, entrambi sostanzialmente antieuropeisti (estranei o addirittura implicitamente ostili entrambi all’idea della possibile creazione di un’autentica unità politica europea, federale o confederale che potrebbe essere) e in totale accordo – nonostante qualche area di rassegnazione – con la prospettiva di una subordinazione di lunga durata agli Stati Uniti d’America e al loro braccio politico-militare transoceanico, la NATO, punteranno alla perpetuazione del regime “democratico”-conservatore individualista e pseudopermissivista (perché de facto fenomeni quali la cancel culture sono punti fermi sulla via del liberticidio), atlantista, occidentalista, consumista, iperliberista, ostile al multipolarismo che ormai si sta affermando nel resto del mondo e fedele supporto della vecchia e cadente formula monopolarista ostinatamente eretta a difesa dei privilegi delle élites lobbistiche le quali, rappresentando si è no meno del 10% della popolazione mondiale (ormai arrivata agli 8 miliardi), detengono e gestiscono oltre il 90% delle risorse e delle ricchezze del pianeta.