Domenica 18 giugno 2023, San Calogero
MADONNA CHE SILENZIO QUELLA SERA
UN RICORDO DI FRANCESCO NUTI
di David Nieri
Se n’è andato in un silenzio surreale, Francesco. Quel silenzio cui era costretto da anni, amplificato dalla scomparsa di un personaggio che ha caratterizzato la storia di un paese – il nostro – dal punto di vista politico e mediatico, ovvero Silvio Berlusconi. A poche ore di distanza, lo stesso giorno. La notizia del suo decesso è arrivata, quasi impalpabile, la sera di lunedì 12 giugno, quando ormai l’“attenzione” era concentrata esclusivamente sulla dipartita del Cavaliere a reti unificate o quasi. Come se non avesse alcun rilievo. Come se nulla fosse, liquidata frettolosamente nel giro di qualche secondo.
Eppure Francesco Nuti, classe 1955, nato a Firenze ma presto trasferitosi con i genitori a Narnali, frazione del Comune di Prato, un’epoca l’ha segnata; al tempo stesso decretandone, con la sua prematura scomparsa, la fine. L’epoca è quella che noi boomers abbiamo condiviso con le generazioni che ci hanno preceduto, gli anni straordinari del “cinema al cinema” e della tv pre-Cavaliere (c’è sempre un nesso, anche se non si vuol vedere), dove professionalità e talento erano coltivati con massicce dosi di gavetta e di infinite esibizioni sui palchi improvvisati di paese.
Francesco Nuti di talento ne possedeva in abbondanza. E lo aveva dimostrato fin da giovanissimo con i colleghi “Giancattivi” (Alessandro Benvenuti e Athina Cenci), che si fecero conoscere al grande pubblico a livello nazionale grazie all’intuizione di Enzo Trapani, che nel contenitore di Non stop (andato in onda su RaiUno dal 1977 al 1979) riuscì a sfornare quelli che negli anni successivi sarebbero diventati i protagonisti della comicità (e della commedia) italiana, forse gli unici in grado di raccogliere il testimone dell’età d’oro di un genere – quello dei Dino Risi e dei Mario Monicelli – ormai tramontato: Carlo Verdone (li ricordate i figli dell’amore eterno?), Massimo Troisi (e La Smorfia, con Lello Arena ed Enzo De Caro), I Gatti di Vicolo Miracoli, Gaspare e Zuzzurro oltre, ovviamente, al trio toscano.
Ma il cabaret fu solo la sua rampa di lancio. Inquieto e desideroso di “esprimersi”, nel 1982 lasciò baracca e burattini e decise di “mettersi in proprio”. Fu l’inizio di un percorso scintillante e ricco di successi: Madonna che silenzio c’è stasera (1982, regia di Maurizio Ponzi) segnò il suo esordio “da solista” e di colpo lo catapultò dalla categoria delle nuove promesse a quella dei “big” (sì, c’entra anche Sanremo…). Una pellicola a basso costo in cui Nuti si distinse quasi teatralmente, autentico one-man show, in una fotografia della Prato all’epoca dei telai magistralmente descritta, anni dopo, dal premio Strega Edoardo Nesi nel suo Storia della mia gente. Fu una sorpresa per tutti, ma fino a un certo punto.
Ricordo che in un’intervista, all’apice della sua carriera, Francesco Nuti rivelò che da ragazzo aveva tre sogni nel cassetto: il primo, “girare” un film sul biliardo; il secondo, cantare a Sanremo (eccolo, il collegamento); il terzo, giocare una partita con la “sua” Fiorentina.
È riuscito a realizzarne due, anche se, per quanto riguarda il terzo, l’ultima parola non è ancora stata scritta. Perché le vie del Signore, si sa, sono infinite.
Di film sul biliardo ne girerà diversi, ma sono soprattutto i primi due a lasciare il segno: il riuscitissimo Io Chiara e lo Scuro (1983) e la prima pellicola che lo vede alla regia, Casablanca, Casablanca (1985), ovvero il suo seguito ideale. Sono film pieni di riferimenti “metacinematografici”, con richiami al Paul Newman de Lo spaccone (ricordate il riferimento “A me Paul Newman…”?) e, ovviamente, al già mitico Humphrey Bogart. Con Io Chiara e lo Scuro inizia anche il suo sodalizio (spesso non solo “professionale”) con attrici bellissime: Giuliana De Sio, Ornella Muti, Clarissa Burt, Isabella Ferrari, Carole Bouquet…
All’epoca, soprattutto durante gli anni Ottanta, i suoi film sbancavano regolarmente “il botteghino”: ricordo lunghe file fuori dai cinema per riuscire a conquistare un posto in platea o in galleria, quella magia ormai scomparsa negli asettici multisala e, soprattutto, nel progressivo depauperamento di un genere, ormai privo di originalità e genuflesso al politicamente corretto. Perché se “ripassiamo” i film di Francesco Nuti, soprattutto quelli realizzati come regista, non possiamo non renderci conto che “quella” comicità, segnata da un’ironia tagliente e a tratti boccaccesca (come si conviene a un “genere” toscano che si rispetti), oggi non passerebbe le forche caudine della censura. Così, per esempio, non potremmo godere del “gioco” dei salumi declinato in Caruso Pascoski (di padre polacco) (1988), quello in cui “la mortadella è comunista” ma dove un tipico salume toscano non troverebbe “destinazione” di partito, per cui saremmo costretti ad accontentarci del prosciutto democristiano e della coppa liberale, senza i radicali.
Caruso Pascoski, insieme ai due film che seguono e che lo vedono ancora in veste di regista, ovvero Willy Signori e vengo da lontano (1989) e Donne con le gonne (1991) (insieme al delizioso Tutta colpa del paradiso del 1985, più intimo e poetico), rappresentano il punto più alto di una carriera che, nella percezione dei suoi estimatori, ha ancora molto da raccontare. Invece, proprio quando manca l’ultimo passo per raggiungere il paradiso (appunto), la sua ascesa, di colpo, si interrompe. Proprio all’indomani del secondo sogno realizzato, ovvero quello di “cantare a Sanremo”. Nel 1988, infatti, Francesco Nuti si presenta in gara con una canzone che incanta la platea della città dei fiori: non che non si sappia che il bravo Cecco sa pure cantare (lo ha dimostrato, a parte la scanzonata Puppe a pera, anche in altre occasioni come nel caso di Giulia, brano portante di Caruso Pascoski), ma un’interpretazione del genere e una canzone così bella nessuno se l’aspettava. Sarà per te – questo il titolo del brano – è un colpo al cuore, una poesia in musica, una vera e propria carezza.
Dopo il successo di Donne con le gonne, come dicevamo, la sua carriera subisce una brusca sterzata. A parte il fatto che, come regista (e come attore), Nuti non vuole ripetere il solito cliché che l’ha reso famoso (in primis: le croci e le delizie del rapporto tra i sessi), a mostrarsi “determinante” è anche la componente “critica” che considera i suoi film di bassa lega, poveri di ispirazione e contenuto, ripetitivi, spesso volgari. Francesco, che oltre alla genialità custodisce una massiccia dose di insicurezza e fragilità, ne soffre. E vuole dimostrare a tutti di essere all’altezza della sua fama, non solo un regista “comico”. Comincia dunque a preparare quello che a suo dire dovrebbe rappresentare il “capolavoro” di un’intera carriera (fatta finora di soli alti), e, al tempo stesso, la sua “avvelenata” di gucciniana memoria. Ma OcchioPinocchio, che esce nelle sale nel 1994 dopo una travagliatissima produzione che va avanti tra rimandi e problemi di budget, si rivela un flop totale a livello di pubblico e (purtroppo) anche di critica, nonostante un avvio promettente. La fragilità dell’artista, da qui in avanti, avrà la meglio sulla genialità, che non riuscirà più a trovare la giusta direzione e la giusta modalità per esprimersi. I film che seguono, infatti, sono ripetizioni del cliché al quale il regista intendeva sottrarsi: piccole intuizioni ma pellicole, appunto, “già viste” (Il signor Quindicipalle, 1998; Io amo Andrea, 2000; Caruso, zero in condotta, 2001).
È la caduta di un talento straordinario. Così arrivano, purtroppo puntuali, la depressione, l’alcolismo, infine un tentativo di suicidio. Fino al settembre del 2006, quando un incidente domestico (una rovinosa caduta dalle scale, così si dice) lo costringe al coma dopo un delicatissimo intervento alla testa. Da quel momento, il Francesco Nuti che conoscevamo non esiste più. Dal coma esce debilitato, con gravi danni neurologici, costretto su una sedia a rotelle e senza l’uso della parola. Un altro incidente, nel 2016, aggrava ulteriormente un quadro clinico già seriamente compromesso.
E qualche sera fa, che silenzio, madonna che silenzio. In tempi “normali”, la sua scomparsa di rumore ne avrebbe fatto eccome. Ma il palcoscenico mediatico era troppo occupato e in altre dipartite affaccendato per curarsi di lui. Che ce ne facciamo, sembravano dire, di “uno che si è rovinato la vita da solo”? Dimenticando quanto la vita di molti di noi debba al caro Francesco da Narnali. Battute, gag, intuizioni straordinarie. Come la sua risposta al mitico Novello Novelli (una sorta di deus ex machina, e non solo per Nuti) in Madonna che silenzio c’è stasera: “Chi tace acconsente”, dice il Novelli. “No, chi tace sta zitto!”, risponde Francesco. Ma è impossibile citarle tutte.
Vogliamo immaginarti così, in quella dimensione dove il cammino è leggero e i sogni escono fuori dal cassetto. Perché alla fine te ne mancava solo uno. E allora, laddove avrai finalmente capito di che materiale è fatta (legno o alluminio?) la stecca con la quale Dio ha creato il mondo (“toc, toc, frrrr”), ci sarà una maglia viola da indossare per giocare l’ultima partita prima della tanto agognata pace che ti meriti.
Grazie di tutto, Francesco.