Domenica 2 luglio 2023, San Liberato Martire
IN MEMORIAM
CIAO, GIANNA
Sostengono gli antropologi che, nelle società tradizionali, la morte non esiste. È vero: succede sempre che qualcuno chiuda gli occhi e non si risvegli più; o che sia vittima di una violenza o di un incidente. Ma restano fenomeni singoli, dai quali non si trae una legge costante e comune. In realtà, la morte può essere un incidente di percorso: ma la norma è la vita.
Da noi, alcune persone – poche – rispondono nel loro intimo a questo sentire tradizionale. Giovanna Gurrieri Ceccatelli, la nostra Gianna, apparteneva all’Olimpo degli happy few che non possono scomparire: altrimenti il mondo non sarebbe più lo stesso. Ora che se n’è andata, possiamo misurare la crisi prodotta dalla sua assenza.
La professoressa Gurrieri Ceccatelli, consorte del famoso professor Gurrieri di Firenze, era a sua volta ben nota in quanto docente di punta nella Facoltà di Sociologia dell’Università di Firenze. Studiosa, scrittrice, opinion maker molto stimata (altro che influencer!…), spiritosa ma riservata, libera da vincoli di parte ma socialista da sempre e socialista sul serio, nel profondo, socialista e basta senz’aggettivi. Ma per me era la Gianna, amica e compagna di scuola, che aveva condiviso con me una lunga e inflessibile militanza nel Partito delle Persone Serie ed Oneste (PPSO) che in quel che dicono non hanno nulla da guadagnare e quindi rispettano chiunque ma al bisogno non guardano in faccia nessuno.
Gianna ed io ci conoscevamo e ci volevamo fraternamente bene “da sempre”: vale a dire da una settantina d’anni, da quando eravamo più o meno undicenne lei e tredicenne io. Un’adolescenza insieme, nel favoloso “rione” di Porta Romana (chi non lo ha conosciuto non sa che cos’era la dolcezza del vivere); e quindi nel ginnasio Machiavelli di fronte a Palazzo Pitti, e poi ancora nelle severe aule del leggendario liceo Galileo (dal quale comunque, dopo la prima classe, io trovai il modo di farmi cacciare). E molte serate insieme, d’estate, nel favoloso cinema all’aperto delle Scuderie Reali accanto al giardino di Boboli, a goderci doni del Signore come l’aranciata fresca, il gelato con lo stecco e la granita al limone. Alla facciaccia delle zanzare, che non erano quelle bestiacce feroci che ormai ci hanno importato dall’Africa o dal Brasile o da chissaddove e invece di punture ti fanno dei bubboni da appestati di manzoniana memoria.
Sempre insieme. E con noi tanti altri amici, a cominciare da Lorenzo Sanpaolesi, il figlio del grande studioso e architetto Piero, nel favoloso attico del quale al sesto piano di un palazzone sulla piazza di Porta Romana da cui si godeva un panorama mozzafiato di Firenze noi ci rifugiavamo ogni giorno, in teoria per fare i compiti, in realtà per farci un sacco di risate, per ascoltare musica tratta dalla sterminata discoteca classica del Professore (oh, fascino dei 78-45-33 giri!) e per vuotargli il generoso bar.
La politica era il nostro argomento preferito: politica da vecchia, cara Prima Repubblica. Ed eravamo gatta e cane, rouge et noir. Innamorati entrambi della guerra civile spagnola del ’36-’39, sull’argomento sapevamo tutto: i campi di Castiglia, Garcia Lorca, Cara al Sol e Los cuatro generales. Solo che lei ammantava la sua passione dei colori di Per chi suona la campana di Hemingway, io di quelli di Gilles di Drieu La Rochelle. E ci calavamo nei nostri personaggi favoriti: nella corrispondenza tra la giornalista-miliziana Simone Weil, fedelissima alla repubblica di Largo Caballero ma inflessibile denunziatrice della ferocia di anarchici e comunisti e degli incendiari di chiese, e il cattolico tradizionalista George Bernanos, che abitava un’isoletta delle Baleari e, padre di un tenente della Falange, ammirava senza riserve quel meraviglioso capo che fu José Antonio Primo de Rivera ma non esitava, nello splendido e terribile I grandi cimiteri sotto la luna, a stigmatizzare con orrore le violenze inaudite dei nacionales. Del resto, socialista matteottiana lei, falangista hedillista io, c’incontravamo perfettamente nella devozione per l’immortale “Che” Guevara (Aprendimos a quererte…).
Tra la Gianna socialista romantica e me, cattoreazionario-rivoluzionario, correva il filo di una concordia discors animata da un affetto fraterno profondo, che venne ribadito quando lei convolò a felici nozze con un altro caro amico, Francesco Gurrieri, studioso del “cupolone” del Brunelleschi e non solo. Purtroppo, negli ultimi anni, abbiamo avuto pochi momenti per incontrarci: ma sempre intensi ed alcuni bellissimi, come quando abbiamo seguito l’intelligente ed entusiastica iniziativa librario-editoriale di uno dei loro figli con momenti davvero molto alti, quali il memorabile incontro con Jean d’Ormesson e quello, eccezionale, con uno Stefano Malatesta (l’autore di un capolavoro della letteratura odierna di viaggio, Il cammello battriano) che quando lo ricevemmo a Firenze era già molto ammalato ma ancora pieno di vita e di humour e, già quasi immobilizzato nella sua sedia a rotelle, per nulla al mondo volle rinunziare alla sua “fiorentina” alta tre dita e al suo gelato in Piazza Frescobaldi, ai piedi del ponte a Santa Trinita. Gianna scherzava sulla mia amicizia con Malatesta, uomo (diceva lei), di forte e solida vocazione “di sinistra”. Ma scherzava un po’. E io, scherzando un po’ a mia volta, le ricordavo che quello scrittore di viaggio di livello degno di un Giuseppe Tucci, di un Tiziano Terzani, di un Fosco Maraini ed (ebbene, sì!) di uno Stenio Solinas, era pur sempre il figlio di un Moschetttiere del Duce (“buon sangue non mente…”, commentava ironica lei) e teneva sul tavolo di lavoro della sua incredibile casetta de Trastevere, in bella mostra, una foto del giorno delle nozze dei suoi genitori, lui in uniforme nera e con tanto di teschio e spade sul fez.
Me la ricordo così, la Gianna. Affettuosa, generosa, sorridente, sempre pronta alla polemica cordiale e all’ironia. Cattolici almeno sedicenti “di ferro” suo marito Francesco ed io, “socialista del cuore” lei, senza pregiudizi né superstizioni ideologiche ma perché innamorata della vita, del mondo e del genere umano: e quindi naturaliter cristiana, della razza di chi non dice di continuo “Signore, Signore” ma Gesù se lo porta dentro.
Ciao, Gianna, starai per sempre con noi.
Franco Cardini