Domenica 9 luglio 2023, Santa Veronica
IL CASO WATERS
DIFENDO ROGER WATERS
di Pietro Andrea Annicelli
La replica furibonda alle accuse tendenziose di antisemitismo (“Potete mettere insieme quanti imbecilli volete che ripetano questa bugia, ma rimane una sporca bugia”) Roger Waters l’ha affidata a un filmato d’una ventina di minuti trasmesso il mese scorso da Double Down News. La polizia tedesca dovrà però produrre informazioni sui concerti che l’ex leader dei Pink Floyd ha fatto a Berlino il 17 e il 18 maggio. Un pubblico ministero valuterà se sia plausibile quello che ha detto la polizia berlinese: “Nel contesto si ritiene che l’abbigliamento indossato possa approvare, glorificare o giustificare il dominio violento e arbitrario del regime nazista in un modo che viola la dignità delle vittime e quindi turba la pace pubblica”.
La memoria corta della polizia berlinese
Il “contesto” è una messa in scena, in replica da appena quarantatré anni in tutto il mondo, in cui l’artista indossa una cupa palandrana assumendo un grottesco atteggiamento nazistoide. Egli interpreta l’alter ego dittatoriale, effetto d’instabilità psichica, del protagonista dell’opera rock The wall, da lui ideata e pubblicata dai Pink Floyd in un doppio album epocale alla fine del 1979. Conosciuta e apprezzata ovunque, è forse la più importante del genere.
I tedeschi gradirono quando Waters la rappresentò a Potsdamer Platz nel 1990 per celebrare la caduta del Muro di Berlino: a quel concerto parteciparono diverse rockstar davanti a trecentocinquantamila persone. Questa volta si sono adontati dopo aver ricevuto pressioni dal governo israeliano e dal Centro Simon Wiesenthal.
Il Ministero degli Esteri israeliano, dall’account che gestisce su Twitter, ha accusato Waters di aver dissacrato “la memoria di Anna Frank e dei sei milioni di ebrei assassinati nell’Olocausto”. L’artista, nella coreografia dei suoi concerti, non solo quelli a Berlino, ha fatto scorrere a caratteri giganti il nome sugli schermi dell’adolescente ebrea tedesca insieme a quelli di altre vittime innocenti della violenza di stato passata e presente. Ad esempio Sophie Scholl, attivista pacifista cristiana e martire tedesca giustiziata dai nazisti. Mahsa Amini, giovane iraniana assassinata dalla polizia del suo Paese per l’inosservanza della legge sul velo. George Floyd, l’afroamericano soffocato con un ginocchio sul collo da un poliziotto a Minneapolis dopo essere stato immobilizzato.
A irritare i governanti israeliani è stato, verosimilmente, l’accostamento dei nomi di Shireen Abu Akleh, giornalista palestinese naturalizzata americana uccisa, si ritiene, da un cecchino israeliano, e di Rachel Corrie, attivista americana per i diritti umani schiacciata da un bulldozer dell’esercito israeliano mentre tentava d’impedire l’abbattimento d’una casa palestinese. L’attuale esecutivo, contestato da settimane con manifestazioni nelle piazze perché accusato di voler sovvertire l’ordine democratico tramite una riforma della giustizia che sottragga il primo ministro Benjamin Netanyahu a pesanti accuse di corruzione e frode, ce l’ha con Waters per il suo sostegno alla causa palestinese.
Waters persona non grata in Polonia
Tutto sarebbe demenziale se non fosse prima deprimente, cioè espressione del rinnovato atteggiamento censorio e ipocrita del potere, e dei suoi servitori, verso un artista indipendente. Waters si serve, come tanti altri, del senso del paradosso per condannare “l’ingiustizia e tutti coloro che la perpetrano”, come ha detto. Possibile che la polizia berlinese non sappia che “la rappresentazione di uno sfrenato demagogo fascista è stata una caratteristica dei miei spettacoli fin da The wall dei Pink Floyd nel 1980”?
La messa in scena, ovviamente, condanna il nazismo, non lo sostiene in qualche maniera. Censurarla sarebbe come togliere da Guerre stellari gli stormtroopers, i soldati bianchi dell’Impero Galattico tanto simili ai nazisti negli elmetti e nelle movenze.
Waters era già stato perseguitato dalle autorità di Cracovia. Dichiarato persona non grata, lo avevano costretto ad annullare due concerti per le sue critiche al nazionalismo ucraino. La municipalità di Francoforte, paventando inesistenti contenuti antisemiti, gli aveva invece vietato di suonare nella Festhalle dove nella Kristallnacht, la notte tra il 9 e il 10 novembre 1938 in cui i nazisti scatenarono pogrom in tutta la Germania rompendo vetri di proprietà ebraiche, gli ebrei francofortesi furono radunati per essere deportati.
Il tribunale amministrativo ha poi autorizzato il concerto perché Waters “non esalta né relativizza i crimini dei nazisti, né s’identifica con quell’ideologia razzista”. Ciò nonostante il “cattivo gusto” nell’uso di simboli su uno storico elemento scenico ben noto ai fans dei Pink Floyd: il pallone a forma di maiale che dal 1977 caratterizza i loro concerti e poi anche quelli del solo Waters. Nessun simbolo critica Israele e gli ebrei in quanto tali. Quando, tra gli altri, spicca la Stella di Davide, s’intende invece criticare le iniquità d’Israele verso i palestinesi.
È umiliante che Waters, il cui padre Eric Fletcher fu ucciso in guerra proprio dai tedeschi essendosi arruolato, nonostante fosse pacifista, per opporsi al nazismo, debba sottostare a queste verifiche insultanti. Basta conoscere la sua storia e i testi delle canzoni per sapere chi è e che cosa pensa un artista secondo solo a Bob Dylan tra i grandi del rock viventi.
Maccartismo all’israeliana
C’è una canzone, The Fletcher Memorial Home nell’ultimo suo disco con i Pink Floyd, The final cut del 1983, dedicato a suo padre, dove l’autore immagina i potenti del mondo ottenebrati dalla vecchiaia e riuniti in una casa di riposo che ha, sarcasticamente, il secondo nome del genitore perduto. C’è anche “il fantasma di McCarthy” (Joseph). L’infondatezza delle accuse di cui Waters è vittima assomigliano alle campagne di demonizzazione di cui, appunto, il senatore McCarthy si rese responsabile negli Stati Uniti dei primi anni Cinquanta e che sono passate alla storia con l’espressione maccartismo.
L’anziano artista ha sperimentato questa feroce isteria repressiva durante il restituito concerto di Francoforte del 28 maggio. Associazioni ebraiche e pro Israele lo hanno contestato con violenza, apparentemente convinte di trovarsi di fronte a un antisemita, negazionista della Shoah, odiatore di ebrei: tutte caratteristiche che nulla hanno a che fare con lui, la sua musica, la sua poesia. I dimostranti hanno pregato, sventolato la bandiera israeliana, cantato Am Yisrael Chai (il popolo d’Israele vive), recitato i nomi degli ebrei deportati durante la Kristallnacht. Un ragazzo ha invaso il palco sventolando la bandiera israeliana.
Waters, che per rispetto del drammatico significato storico della Festhalle non ha replicato la scena del “demagogo fascista” altrimenti presente negli altri suoi concerti, ha spiegato dal palco di comprendere “i sentimenti di chi pensa che si stia dissacrando questo posto, ed ecco perché ho deciso di fare questa sera questo gesto, spero significativo”. Alla fine, acclamato, commosso, si è seduto allo sgabello del pianoforte asciugandosi le lacrime.
Durante il concerto, una delle scritte sugli schermi giganti recitava: “Fuck antisemitism”. Non ha fatto cambiare idea a chi, accecato dalla post verità, cioè la tendenza a far prevalere le sensazioni sulla ragione, ha reiterato accuse farlocche. Emblematica una dichiarazione alla Associated Press di Elio Adler del gruppo ebraico WerteInitiative: “Le sue parole e le immagini che mostra diffondono l’odio per gli ebrei e s’inseriscono nella tendenza a normalizzare l’odio per Israele camuffandolo per libertà di parola o per arte”.
Sarebbe curioso sapere quali sarebbero, secondo Adler, le parole e le immagini che fanno quello che dice. Perché, se lo scopo di associazioni come la sua non è difendere a oltranza gli aspetti indifendibili della politica israeliana come l’apartheid verso i palestinesi (ne parla un rapporto di Amnesty International d’un anno fa), l’impressione è che recepiscano le tematiche di Waters con superficialità, sopravvalutando l’apparenza a discapito del senso.
Martelli, spade, asce e tridenti
Lo fa, ad esempio, Ynet, uno dei principali siti web di notizie e contenuti israeliani, quando sostiene che Waters sarebbe andato sul palco a Berlino “apparentemente vestito da soldato delle SS con una fascia al braccio”. Della messa in scena e della sua logica non si parla per raccontarla per quella che è. La “fascia al braccio” reca, notoriamente, il simbolo di due martelli incrociati in campo metà bianco, metà rosso. Furono ideati, come la celebre copertina del muro di mattoni bianchi e il resto della grafica del disco The wall, dal disegnatore Gerard Scarfe. Evocano lo stemma immaginario d’un regime totalitario dalla prospettiva psicolabile del personaggio. Considerata la passione dei Pink Floyd per il calcio, potrebbe essere un’ironica allusione alla squadra del West Ham il cui simbolo sono appunto due martelli incrociati. Diversamente, non significano nulla.
La malafede di gran parte dei politici, dei media e delle associazioni che contestano Waters, in particolare, oltre al governo israeliano, alcuni parlamentari britannici e tedeschi nonché il Dipartimento di stato americano, è evidente dalla compiacenza verso simbologie ben più sospette e temibili. Volodymyr Zelensky, in Italia a maggio per una visita di stato, ha incontrato, in felpa militare nera, il Presidente della Repubblica al Quirinale, il Papa in Vaticano, la Presidente del Consiglio a Palazzo Chigi. Ovunque ha esibito sulla manica uno scudetto nero con un tridente formato da una spada e da due asce che si fronteggiano.
Open, web giornale diretto da Franco Bechis e fondato da Enrico Mentana, ha ben spiegato che, contrariamente ad alcune accuse, non è un simbolo neonazista. Il tridente di Zelensky, come lo chiama Open ritenendolo un simbolo d’indipendenza nazionale, è una variante del tryzub o tridente bizantino dell’Ucraina. In origine fu il simbolo della dinastia dominante la Rus’ di Kiev dall’anno 862. Stilizzato, ha assunto nel tempo diversi significati ma soprattutto, di colore giallo in campo azzurro, compare nello stemma nazionale ucraino. Lo si ritrova, con questo significato, anche negli stemmi di unità delle forze armate italiane che parteciparono alla campagna di Russia del 1941/43.
Sulla felpa del presidente dell’Ucraina il tryzub così concepito ricorda invece il simbolo di Pravy Sektor, un partito ucraino e organizzazione paramilitare ultranazionalista, neonazista e neofascista. Suoi combattenti partecipano alla guerra in corso con la Russia. Furbo ammiccamento o gaffe colossale? Era così difficile venire in Italia indossando un abito con lo stemma nazionale invece di uno che ricorda una discussa milizia? Le forze politiche e i media progressisti, così petulanti nell’evocare presunte manifestazioni di fascismo dai loro avversari, nulla avevano da dire? E i cerimoniali della visita di stato?
Si preferisce sospettare, scioccamente, i martelli di Waters.
Prendersela con lui è un pretesto?
“Roger Waters è uno dei peggiori odiatori di ebrei e negazionisti dell’Olocausto al mondo!”. Così Amichai Chikli, ministro israeliano degli Affari della diaspora, uno che se l’è presa pure con George Soros accusandolo di finanziare, da ebreo, “le organizzazioni più ostili al popolo ebraico e allo stato d’Israele”.
Tra una sparata e l’altra, Chikli ha difeso un personaggio inquietante, il ministro della Sicurezza nazionale Itamar Ben Gvir, dalle critiche del leader dell’opposizione, Yair Lapid. Il 9 maggio i referenti europei in Israele hanno cancellato la cerimonia diplomatica per la Festa dell’Europa pur di non “offrire una piattaforma a qualcuno le cui opinioni contraddicono i valori rappresentati dall’Unione Europea”. Quel qualcuno era Ben Gvir, il cui incarico dimostra come Netanyahu, per sottrarsi alla magistratura, non abbia avuto scrupoli nel cedere posizioni chiave del governo all’oltranzismo messianico.
Il partito di Ben Gvir, Potere ebraico, è considerato l’erede del partito Kach del rabbino oltranzista Meheir Kahane, sciolto nel 1994 dal governo di Yitzhak Rabin perché ritenuto un’organizzazione terroristica. L’anno dopo il giovane Ben Gvir rubò un distintivo dall’automobile di Rabin minacciando: “Siamo arrivati alla sua auto, arriveremo a lui”. Rabin fu assassinato due settimane dopo da un attivista dell’oltranzismo messianico.
Il 13 ottobre 2022, a Gerusalemme est, Ben Gvir, condannato nel 2007 per istigazione al razzismo, partecipò a scontri tra coloni e residenti palestinesi esibendo una pistola, invitando la polizia a sparare ai palestinesi e strillando: “Qui siamo i padroni di casa! Ricordatevelo: sono il vostro padrone di casa!”. L’ha ripetuto il 1° novembre dopo la vittoria elettorale. Fino al 2020, quando lo rimosse, tenne in salotto un ritratto di Baruch Goldstein, il terrorista seguace di Kahane che uccise, nel ’94, ventinove musulmani in preghiera nella Tomba dei patriarchi a Hebron, in Cisgiordania, dov’era entrato armato d’un mitra.
Potere Ebraico è alleato con il Partito Sionista Religioso il cui leader, Bezalel Smotrich, attuale ministro delle Finanze, ha suscitato scalpore all’inizio dell’anno per una registrazione privata diffusa da una televisione israeliana in cui diceva: “Sono di estrema destra, omofobo, razzista e fascista”. Poi s’impegnava: “Non lapiderò omosessuali”. All’inizio del 2022 il Board of Deputies of British Jews, rappresentativo dell’ebraismo britannico, l’ha invitato ad andarsene dalla Gran Bretagna, dov’era per questioni religiose, motivando: “Rifiutiamo l’ideologia dell’odio di Bezalel Smotrich e le sue abominevoli opinioni, e invitiamo tutti i membri della comunità ebraica britannica a mostrargli la porta”.
Il 19 marzo scorso, a Parigi, Smotrich, ricordando un dirigente dell’estrema destra contrario ad accordi con i palestinesi, ha detto: “Il popolo palestinese è un’invenzione che ha meno di cent’anni di vita. Hanno una storia o una cultura? No, non le hanno. I palestinesi non esistono, esistono solo gli arabi”. Nella sala compariva una mappa del Grande Israele vagheggiato dall’oltranzismo messianico che, oltre alla Cisgiordania occupata illegalmente dal 1967, annetteva anche la Giordania con cui Israele ha firmato un trattato di pace. “Sapete chi è palestinese? Io sono palestinese. Mia nonna, nata a Metulla oltre cento anni fa in una famiglia di pionieri che ha creato insediamenti in Galilea, lei era palestinese. Mio nonno, che era la tredicesima generazione della sua famiglia a Gerusalemme, era un vero palestinese”. Ancora: “Questa è la verità e deve essere udita all’Eliseo e anche alla Casa Bianca”. L’Unione Europea ha invitato il governo israeliano a sconfessarlo.
Una ventina di giorni prima due fratelli israeliani erano stati uccisi in un attentato palestinese nel villaggio di Huwara. Erano seguite ore di violenza incontrollata e d’incendi dolosi da parte dei coloni della zona. “Un pogrom” ai danni dei palestinesi secondo un comandante militare israeliano. Smotrich dichiarò: “Penso che Huwara debba essere cancellato ma è dovere dello Stato d’Israele farlo, non di privati cittadini”. Un indignato Yair Lapid, per il quale Smotrich “ha incitato a crimini di guerra”, replicò: “Gli ebrei non compiono pogrom, non cancellano villaggi. Questo governo è uscito di strada”. Il Dipartimento di Stato americano definì le affermazioni di Smotrich “irresponsabili, ripugnanti, disgustose”.
Nell’anno del suo settantacinquesimo anniversario, il 14 maggio scorso, Israele è fortemente diviso non soltanto tra la sua opinione pubblica democratica e la componente oltranzista messianica e di estrema destra sionista al governo, ma per la cointeressenza del governo più estremista della sua storia con le vicende giudiziarie di Netanyahu e con il suo tentativo, per ora fermato dalle imponenti mobilitazioni di piazza, di sottrarre l’esecutivo al controllo della magistratura. In Europa c’è stata un’eco ovattata e confusa di questa battaglia che potrebbe delineare per gli anni a venire il senso della democrazia in Israele. Amplificare le accuse pretestuose di antisemitismo a un personaggio di grande fama e di altrettanta visibilità qual è Roger Waters è indubbiamente servito a sollevare una cortina fumogena sugli aspetti sconcertanti, inqualificabili e pericolosi dell’attuale governo israeliano.
La mobilitazione del pregiudizio
L’altra ragione per colpirlo, oltre, come egli stesso ha detto, per il suo sostegno alla causa palestinese, è la sua apertura alle ragioni della Russia nel conflitto con l’Ucraina. Proprio questo atteggiamento ha indotto l’ambasciatore russo alle Nazioni Unite, Vasilij Nebenzja, a chiedergli d’intervenire in videoconferenza, l’8 febbraio scorso, durante una sessione del Consiglio di sicurezza sulla guerra.
A nome della “maggioranza senza voce”, l’artista ha parlato per quattordici minuti fissando, autorevole, una posizione ineccepibile: “L’invasione dell’Ucraina da parte della Federazione Russa è stata illegale. La condanno nei termini più forti possibili. Non si può dire però che non ci sia stata una provocazione dietro a questa invasione. Quindi condanno anche i provocatori nei termini più forti possibili”. Inoltre: “Cosa hanno da dire i milioni di Senza Voce? Dicono: grazie per averci ascoltato. Siamo i tanti che non partecipano ai profitti dell’industria bellica. Non alleviamo volentieri i nostri figli o le nostre figlie perché diventino carne per i vostri cannoni. Secondo noi l’unica linea d’azione sensata oggi è chiedere un cessate il fuoco immediato in Ucraina. Senza se e senza ma. Non si deve sprecare un’altra vita ucraina o russa. Non una. Sono tutte preziose ai nostri occhi”.
La voce del buon senso rispetto all’insensatezza della guerra non è piaciuta a Mikhaylo Podolyak, consigliere di Zelensky e figura essenziale dell’oltranzismo ucraino. La sua replica è stata che “Waters chiede un cessate il fuoco in Ucraina” ma “in realtà, dice: date la terra alla Federazione Russa, non perseguite i criminali di guerra, arrendetevi”. Ribaltando e distorcendo la prospettiva e il senso, Podolyak ha attuato una precisa metodologia politica chiamata mobilitazione del pregiudizio dagli studiosi statunitensi Peter Bachrach e Morton Baratz. I due distinguono tra la faccia visibile del potere, quella che prende le decisioni, e quella nascosta, propria di uomini come Podolyak, a cui spettano le non decisioni. La seconda, secondo la loro teorizzazione, si serve di procedure, credenze, valori, rituali per attutire, diluire, dilazionare, troncare decisioni che ritiene contrarie ai suoi interessi. Nella fattispecie, negoziare per fermare la guerra come aveva chiesto Waters.
Se lo scopo dei falchi in Occidente, nonché dei nazionalisti ucraini e dei loro sodali polacchi e baltici, è ridimensionare la Russia e far cadere Vladimir Putin costi quel che costi, mascariare (inguaiare subdolamente: è un’espressione sicula) chi va autorevolmente controcorrente fa parte del piano. Ecco quindi l’accusa di putiniano che colpisce, talvolta sfidando il ridicolo, coloro che, intellettualmente onesti, disinnescano la narrativa della propaganda. Nel caso di Waters la si raddoppia con quella, ben più infamante, di antisemita.
La verità sull’impegno
Intendiamoci: l’artista, che ha un carattere difficile non privo di atteggiamenti ruvidi, aggressivi e contraddittori, non sempre ha ragione. Sbaglia, ad esempio, a negare o minimizzare le atrocità dei russi nella guerra in atto. Oppure nel sostenere il movimento filo palestinese Bds (Boicottaggio, disinvestimento e sanzioni) il cui scopo è contrastare in maniera indiscriminata tutti gli israeliani, e non soltanto i coloni, per porre fine all’occupazione della terra palestinese e garantire ai palestinesi i loro diritti. Molto criticabile è anche la sua pretesa di voler imporre ad altri musicisti rock di non fare concerti in Israele: non è isolando una popolazione dalle forme d’arte internazionali che si difendono gli oppressi. È anzi una manifestazione di cancel culture analoga a quella messa in pratica nei suoi confronti.
Se però si vuole andare a fondo delle ragioni dell’impegno che Roger Waters, ottant’anni tra due mesi, continua a manifestare, apparentemente instancabile, verso questioni scomode del nostro tempo mettendo in gioco la sua visibilità e la sua reputazione, quando invece potrebbe, come tanti suoi colleghi ben più giovani, rifugiarsi nel fare soldi con la musica trasformata in circo, si deve guardare molto lontano nella sua storia personale di orfano di guerra tirato su, insieme al fratello, da una madre coraggiosa e determinata che gli ha trasmesso esempi e valori dove non c’entrano né l’antisemitismo né Putin, qualunque cosa costui possa significare.
C’è una sua frase che spiega molte cose: “Voglio essere nella trincea della vita. Non voglio essere al quartier generale, non voglio essere seduto in un albergo da qualche parte a guardare il mondo che cambia, voglio cambiarlo io. Voglio essere impegnato. Probabilmente, in un modo che mio padre forse approverebbe”.
Eric Fletcher Waters cadde “e la testa di ponte di Anzio / fu tenuta al prezzo / di poche centinaia di vite comuni”, canta il figlio nell’inno When the Tigers broke free pubblicato con i Pink Floyd. In quell’essere, nonostante la sua eccezionalità, sempre tra le vite comuni e dalla loro parte, c’è il senso della frustrazione e della sofferenza che Waters, come tanti, prova di fronte ai drammi della storia dove “nessuna croce manca” come nella poesia di Giuseppe Ungaretti. Perciò ha valore che metta insieme le tragedie di Anna Frank e Shireen Abu Akleh, George Floyd e Mahsa Amini, Sophie Scholl e Rachel Corrie, senza che nessuno debba sentirsi offeso. Perciò la sua insistenza pervicace, coraggiosa, talvolta commettendo errori come qualunque vita comune, ma con generosità sincera, nel denunciare le questioni che causano le guerre. Il cui esito, ci ricorda sempre Bertolt Brecht, è che “fra i vinti la povera gente faceva la fame. / Fra i vincitori la povera gente faceva la fame egualmente”.
Tutto cominciò, prima che l’avventura dei Pink Floyd cambiasse la sua vita e la storia della musica, presiedendo a Cambridge, da ragazzo, la sezione giovanile della Campagna per il disarmo nucleare. Rappresentare i Senza Voce alle Nazioni Unite è stata quindi per Roger Waters la logica continuazione d’un impegno che, ha assicurato David Gilmour spiegando la sua ostinazione, continuerà finché vivrà.