Minima Cardiniana 426/5

Domenica 9 luglio 2023, Santa Veronica

ARTE, ARTE E ANCORA ARTE
IL FUTURISMO: LA NASCITA DELL’AVANGUARDIA
Seconda parte
di Eleonora Genovesi

L’umanità ha bisogno del sublime. Il sublime del sublime è l’arte. Il sublime dell’arte è l’avanguardia” (Roland Topor)

Ed eccoci qui a riprendere il percorso di questa straordinaria mostra che ci porta per mano, periodo dopo periodo, all’interno del mondo futurista la cui modernità continua ad emanare fascino e attrazione. Entro ora nella Sala 6 intitolata Tridimensionalità-Polimaterismo chiedendomi cos’altro scoprirò sull’universo futurista. L’intitolazione data alla sala è dovuta al fatto che in essa si indagano i temi della “Tridimensionalità” della scultura e del “Polimaterismo”. Ma questo titolo potrebbe generare delle domande da parte del visitatore tipo:” In che senso polimaterico? Cosa lega la tridimensionalità con il polimaterismo?”.
A questo punto bisogna tornare un attimo su uno degli elementi fondanti del futurismo: quello di affrancare l’opera d’arte dalla bidimensionalità del suo supporto.
L’opera d’arte futurista in conformità con i principi del movimento deve proiettarsi nel caos e nella transitorietà della nuova realtà quotidiana. L’opera, pittorica o scultorea, deve oltrepassare i tradizionali confini della tela e della scultura, come affermò Umberto Boccioni nel Manifesto Tecnico della Scultura Futurista del 1912.
E qui lascio la parola a Boccioni: “La scultura, nei monumenti e nelle esposizioni di tutte le città d’Europa offre uno spettacolo così compassionevole di barbarie, di goffaggine e di monotona imitazione, che il mio occhio futurista se ne ritrae con profondo disgusto! Nella scultura d’ogni paese domina l’imitazione cieca e balorda delle formule ereditate dal passato. In tutte queste manifestazioni della scultura ed anche in quelle che hanno maggior soffio di audacia innovatrice si perpetua lo stesso equivoco: l’artista copia il nudo e studia la statua classica con l’ingenua convinzione di poter trovare uno stile che corrisponda alla sensibilità moderna senza uscire dalla tradizionale concezione della forma scultoria. La quale concezione col suo famoso ‘ideale di bellezza’ di cui tutti parlano genuflessi, non si stacca mai dal periodo fidiaco e dalla sua decadenza. Non vi può essere rinnovamento alcuno in un’arte se non ne viene rinnovata l’essenza, cioè la visione e la concezione della linea e delle masse che formano l’arabesco. Un’arte che ha bisogno di spogliare interamente un uomo o una donna per comunicare la sua funzione emotiva è un ‘arte morta!”.
Boccioni ci va giù duro nel suo esame dello stato in cui versa la scultura. E dopo aver sottolineato come la pittura si sia “rinsanguata, approfondita ed allargata” grazie alle nuove idee futuriste che portano alla compenetrazione simultanea dei piani a livello ambientale e umano, afferma che l’unico modo di rinascere per la scultura sia quello di estendere la sua plastica a tutto ciò, che la cecità di chi aveva operato sino ad allora, aveva reputato suddivisibile, impalpabile e quindi inesprimibile plasticamente. E allora? Boccioni prosegue: “Noi dobbiamo partire dal nucleo centrale dell’oggetto che si vuol creare, per scoprire le nuove leggi cioè le nuove forme che lo legano invisibilmente ma matematicamente all’infinito plastico apparente e all’infinito plastico interiore. La nuova plastica sarà dunque la traduzione nel gesso, nel bronzo, nel vetro, nel legno e in qualsiasi altra materia, dei piani atmosferici che legano e intersecano le cose”. Ecco spiegato il concetto di Trascendentalismo Fisico coniato da Boccioni che affida alla scultura il compito di far vivere gli oggetti rendendo sensibile, sistematico e plastico il loro prolungamento nello spazio… Boccioni asserisce: “Nessuno può più dubitare che un oggetto finisca dove un altro comincia e non v’è cosa che circondi il nostro corpo: bottiglia, automobile, casa, albero, strada, che non lo tagli e non lo sezioni con un ‘arabesco di curve e di rette”.
E fu proprio nel Manifesto della Scultura Futurista che Boccioni si appellò alle potenzialità del polimaterismo asserendo: “Che anche venti materie diverse possono concorrere in una sola opera allo scopo dell’emozione plastica. Ne enumeriamo alcune: vetro, legno cartone, ferro, cemento, crine, cuoio, stoffa, specchi, luce elettrica, ecc. ecc.”.
Ed a suffragare queste tesi ardite ecco apparire dinanzi ai miei occhi in tutta la sua unicità una delle opere più famose di Boccioni: Forme Uniche di Continuità nello Spazio del 1913, che tanto stupisce e smarrisce i miei studenti.
L’opera presente in mostra è una fusione in bronzo del 1972, in quanto l’originale di Boccioni è in gesso ed è visibile nel Museo di Arte Contemporanea, a San Paolo del Brasile. Essa rappresenta simbolicamente il movimento e la fluidità mediante la realizzazione di una figura umana nell’atto di muoversi attraverso lo spazio. La figura, rappresentata nell’atto di procedere in avanti, con il busto piegato in direzione del movimento richiama alla mente la Nike di Samotracia, anch’essa protesa in avanti nell’atto di attraversare lo spazio. Forme uniche di continuità nello spazio si sviluppa mediante l’alternarsi di cavità, convessità, rilievi, pieni e vuoti che generano un chiaroscuro frammentato e discontinuo. La statua se osservata da punti diversi si trasforma modellandosi a seconda dello spazio circostante, assolvendo in tal modo alla funzione di plasmare le forme.
Ed anche la linea ottempera alla stessa funzione sviluppandosi come una sequenza di curve ora concave ora convesse, la cui irregolarità dei contorni, non circoscrive la figura come di consueto, ma, al contrario la dilata, espandendola nello spazio. Questo capolavoro di Boccioni è molto di più della pura esaltazione dell’espansione di un corpo nello spazio, poiché esso incarna il desiderio di lanciarsi verso il futuro: quella figura in movimento è una sorta di idolo moderno proiettato nel futuro.
Lo stesso concetto di rapporto tra individuo o oggetto e lo spazio la si ritrova nell’altra opera di Boccioni presente in questa sezione: Sviluppo di una bottiglia nello spazio del 1912. Anche qui, come in Forme Uniche, l’artista, grazie ad un’abile modellazione dei vuoti e dei pieni riesce a fissare la dimensione dinamica di un oggetto inanimato come una bottiglia. E poi i miei occhi sono catturati dalla scritta: “Proclamiamo l’assoluta e completa abolizione della linea finita e della statua chiusa. Spalanchiamo la figura e chiudiamo in essa l’ambiente” che racchiude meravigliosamente tutta la modernità del pensiero futurista.
Sotto questa sorta di proclama, ecco i Balli Plastici del grande Fortunato Depero, realizzati nel 1918, che costituiscono un esperimento che coniuga danza e teatro d’avanguardia, in cui gli attori sono delle marionette dai movimenti meccanici e rigidi come il Selvaggio Rosso ed il Selvaggio Nero, che richiamano alla mia mente dei giocattoli della mia infanzia. Guardando queste due opere di Depero è impossibile non stupirsi di come nel 1918 ci fossero occhi che vedevano già le forme che avrebbero caratterizzato gli anni del boom economico e delle modernità.
Ancora di Depero troviamo la Toga e il tarlo, un’opera del 1914 in legno e cartone dipinti, in cui questo grande artista interpreta in modo gioioso e colorato l’uomo meccanico di Ferdinand Lèger, carico di energia e dinamismo. Nella Toga e il tarlo troviamo forme semplificate in solidi geometrici, rese in modo sintetico grazie a campiture di colore larghe e piatte.
Ed ecco poi la ricostruzione effettuata nel 2022 dell’opera di Giacomo Balla dal titolo il Complesso plastico colorato di Linee Forza realizzata nel 1915. Si tratta di un’opera in cartoncuoio e fili di lana rossi e gialli, andata persa che per fortuna è possibile vedere grazie alla ricostruzione che è stata fatta. Queste opere polimateriche sono la testimonianza di quanto l’urgenza di modernità dei futuristi si estendesse a 360°.
Questa sesta sezione della mostra ci racconta come il desiderio di superare la dimensione piatta e inerte di un dipinto e l’esigenza di rimuovere le distinzioni accademiche tra pittura e scultura siano diventate un’impellenza.
Da qui le opere di Balla che seppe declinare in una prospettiva astratta il concetto di polimaterismo mediante l’ideazione, nel 1914, dei Complessi Plastici, singolari quadri-oggetto in rilievo, creati e visti per dilagare nello spazio, grazie ad un complesso, quanto ben articolato sistema di forme geometriche, e per stimolare in tal modo la percezione dell’osservatore.
Perché gli artisti della modernità, gli astrattisti futuristi Giacomo Balla e Fortunato Depero affermavano (Ricostruzione Futurista dell’Universo, Milano, 11 marzo 1915 Giacomo Balla, Fortunato Depero astrattisti futuristi): “Noi futuristi, Balla e Depero, vogliamo realizzare questa fusione totale per ricostruire l’universo rallegrandolo, cioè ricreandolo integralmente. Daremo scheletro e carne all’invisibile, all’impalpabile, all’imponderabile, all’impercettibile. Troveremo degli equivalenti astratti di tutte le forme e di tutti gli elementi dell’universo, poi li combineremo insieme, secondo i capricci della nostra ispirazione, per formare dei complessi plastici che metteremo in moto”.
Ed eccoci arrivati alla Sezione 7 intitolata SIMULTANEITÀ.
La parola Simultaneità calza a pennello con la filosofia futurista poiché essa indica la condizione nella quale compaiono i diversi elementi che costituiscono il dinamismo.
Ed il dinamismo è il concetto chiave della poetica futurista che è fermamente intenzionata a contrapporre alla convenzionalità della pittura tradizionale la mutevolezza del reale, intendendo con questo termine una sensazione dinamica che, superando le distinzioni fra passato e presente, si colloca in una nuova dimensione temporale, quella della simultaneità appunto, che comprende contemporaneamente tutti e 3 gli elementi (passato, presente, futuro).
Ma come si può visualizzare questa mutevolezza in un’opera d’arte, pittorica o scultorea che sia? Beh, gli artisti futuristi per realizzare la simultaneità si sono serviti della frammentazione delle figure, di un uso drastico dei colori complementari e della disgregazione della materialità attraverso il moto e la luce.
E questo concetto di simultaneità è quello che troviamo nelle opere presenti in questa sezione come la Danza dell’orso del1913 di Gino Severini in cui la scomposizione della figura non avviene per piani, ma grazie ad una sintesi di linee prospettiche di spessori diversi, diramate in senso verticale ed orizzontale. Il risultato è una composizione unica in cui i volumi, caratterizzati da un movimento rotatorio, si muovono in uno spazio privo di confini. E ancora il principio della simultaneità nel Ponte della velocità di Giacomo Balla realizzato tra il 1913 ed il 1915. Dinanzi ai miei occhi, sempre più catturati dalla magia dell’arte futurista, appaiono delle forme geometriche al cui interno i colori sembrano schizzare elettricamente. L’artista con l’uso di pennellate nervose e colori disarmonici vuole riassumere la corsa delle navi a vapore che passano al di sotto del ponte.
In tal modo Balla tiene fermamente fede alle sue asserzioni sottoscritte nel Manifesto della Pittura Futurista del 1910: “Tutto si muove, tutto corre, tutto volge rapido. Una figura non è mai stabile davanti a noi, ma appare e scompare incessantemente. Per la persistenza delle immagini sulla retina, le cose in movimento si deformano, susseguendosi, come vibrazioni, nello spazio che percorrono”.
Ed ecco il tripudio cromatico dello splendido Movimento d’uccello di Fortunato Depero del 1916, in cui questo giovane creativo trentino sperimenta le nuove forme astratto- geometriche in grado di rappresentare il suono, gli stati d’animo, il colore e la natura così come descritti nel Manifesto della Ricostruzione Futurista dell’Universo, redatto nel 1915 insieme a Giacomo Balla, nel quale i due artisti si firmano come “astrattisti futuristi”.
Quest’opera è considerata a ragion veduta un capolavoro della produzione artistica di Depero. Sulla superficie del quadro i blocchi cromatici di colori primari si dispongono in una sequenza ruotante che richiama l’apertura delle ali di un uccello in volo. L’artista rifiuta di inserire nella composizione un qualsivoglia dettaglio naturalistico, affidando all’aspetto emozionale e intuitivo il compito di percepire la realtà dell’opera secondo i dettami dell’estetica delle “forme astratte analogiche” della realtà. L’interesse per l’anatomia delle forme naturali è molto forte in Depero che studierà le caratteristiche strutturali di una gran varietà di animali, traducendole poi in pittura con forme alternative a quelle naturali, ma da queste scientificamente derivate.
I giochi cromatici e la simultaneità delle forme che pervadono questa sezione sono solo un altro degli aspetti del magico universo futurista splendidamente indagato da questa mostra che conduce il visitatore in un mondo che si stenta a credere potesse coesistere con le idee di quei tempi.
Verrebbe da chiedersi: “Ma davvero tutto questo accadeva nell’Italia del primo ventennio del Novecento?” E con questa domanda nella testa mi accingo ad entrare nella Sezione 8 intitolata Parolibere. Come già detto il Futurismo è molto più di un semplice movimento di avanguardia circoscritto ad un unico settore. Il Futurismo è l’Avanguardia per eccellenza che mirò a cambiare, non solo l’arte, ma anche la vita.
La vitalità futurista avrebbe investito tutti i campi della creatività mediante la redazione di manifesti programmatici che dettavano le nuove regole per la moderna pittura, la moderna architettura, il moderno teatro, la moderna musica, la moderna letteratura, la moderna grafica, la moderna moda. E questa ottava sezione si occupa proprio del nuovo linguaggio che Marinetti avrebbe voluto per la moderna letteratura. Parole in libertà o Paroliberismo è il nuovo stile letterario introdotto dal futurismo i cui principi e regole sono stati scoperti e scritti da Marinetti nel “Manifesto tecnico della letteratura futurista” dell’11 maggio 1912 e ripresi anche nel successivo “Distruzione della sintassi/Immaginazione senza fili/Parole in libertà” dell’11 maggio 1913. Marinetti diviene così l’artefice di un processo rivoluzionario di rifondazione del linguaggio, un linguaggio in cui le parole che compongono il testo non hanno alcun legame sintattico-grammaticale fra loro, né sono organizzate in frasi e periodi. Vengono aboliti punteggiatura, accenti ed apostrofi.
Le Parolibere, se inizialmente vennero concepite solo per essere recitate, già nel 1913, dopo appena un anno dalla loro comparsa assunsero una forma visiva secondo il volere di Marinetti che sollecitava “una nuova concezione della pagina tipograficamente pittorica”. Ed ecco come il linguaggio futurista assume una valenza sia verbale che visuale. La scrittura diviene segno e forma, come ci attestano le onomatopee, i pittogrammi, i simboli matematici che, oltre ad essere in grado di rappresentare il suono, la gravità, il profumo di una parola o di una frase, riescono a trasmettere la simultaneità delle sensazioni sonore, visive ed emozionali.
Dinanzi ai miei occhi sempre più incuriositi appaiono la copertina di Parole, consonanti, vocali, numeri, in libertà di Marinetti del 1915, il manifesto di Giacomo Balla per la mostra dal titolo: Fu Balla e il Futurismo del 1915 in cui si mescolano asserzioni scoordinate fra loro come: passatisti, eilaaaaaaa, morte alla Germania. E ancora il Sole d’imbellità di Carlo Carrà del 1914, in cui le parole sono liberamente disposte secondo linee inclinate e divaricate e ancora le bellissime copertina e sette pagine di Tè li Lè di Olga Rozanova e Nicolai Kul’Bin del 1914.
Ma la parola futurista subirà un’evoluzione che la porterà ad assumere toni dissacranti ed irriverenti, ma anche a caricarsi della giocosità e dirompenza della parodia, fino a mutarsi in quella che è la voce dell’inconscio e dell’irrazionale cioè una mera espressione fonetica priva di qualsiasi significato.
Ed il percorso museale si avvia al suo termine con l’ingresso nella penultima sezione, la Sezione 9 intitolata La Guerra.
Il rapporto dei Futuristi con la guerra, in particolar modo con la Prima guerra mondiale, fu molto forte e lasciò ferite dolorose dovute alla morte di alcuni dei principali esponenti del movimento come Umberto Boccioni e Antonio Sant’Elia.
I Futuristi in linea con la loro arte parteciparono alle manifestazioni interventiste tenutesi a Milano nella primavera del 1915 e alcuni di loro vennero arrestati dai carabinieri perché si erano resi protagonisti di risse ed atti di violenza. Il loro slogan era “La guerra sola igiene del mondo”, frase citata nel Manifesto futurista del 1909. Personalmente ho sempre cercato di inquadrare questa affermazione nel giusto contesto, evitando di demonizzarla. Credo che questa espressione abbia un duplice significato: a livello sociale e culturale questo inno alla guerra rispecchiava il desiderio di radicale rinnovamento cui il movimento futurista ambiva, a livello estetico, invece, esso incarnava la metafora della creazione artistica.
Il 24 maggio del 1915 l’Italia entra in guerra fornendo agli artisti futuristi uno spunto direi fondamentale per esprimere il loro pensiero a livello ideologico ed estetico.
Il percorso inizia con l’opera di Gino Severini, Cannoni in azione, realizzata nel 1915. Il dipinto, che celebra il conflitto divenendo quasi un manifesto interventista, è futurista allo stato puro con il suo mix di pittura e poesia. Severini raffigura ed esalta i suoni, i movimenti, gli odori ed i colori della guerra in un audace intreccio di parole ed immagini.
Non ci restituisce il caos e la catastrofe del conflitto bensì la forza e la potenza della macchina da guerra. Persino il soldato, al centro del dipinto, perde rilievo circondato e sommerso da armi e parole.
Si passa poi a Giacomo Balla, fervente interventista che nel manifesto Il vestito antineutrale del settembre 1914, afferma che “La neutralità è la sintesi di tutti i passatismi”.
Balla nel corso del 1915, dopo essere stato arrestato per ben due volte, realizzerà una serie di opere dedicate alle Dimostrazioni Interventiste di cui fa parte il dipinto presente in mostra dal titolo Dimostrazione XX Settembre.
Per Giacomo Balla l’interventismo è una posizione morale ma anche una colorata sintesi di quell’entusiasmo che caratterizza l’età giovanile. Dimostrazione XX Settembre, come tutte le altre costituenti la serie delle Dimostrazioni interventiste si colloca all’interno della fase astrattista futurista di Balla, in cui l’artista si serve di forme geometriche e colori puri per sintetizzare simbolicamente il dinamismo conflittuale tra le forze positive dell’interventismo, rappresentate da un vortice di forme geometriche dalle cromie accese che sono un chiaro riferimento allo sbandieramento del tricolore italiano, e le forze negative di del disfattismo ed antipatriottismo rappresentate da forme geometriche dalle cromie scure. Balla in quest’opera riesce a coniugare splendidamente la posizione morale della scelta interventista con la cromia accesa di quell’entusiasmo giovanile che ne è la scintilla.
E poi ecco la copertina della celeberrima opera letteraria di Marinetti Zang Tumb Tumb pubblicata nel 1914.
Si tratta di un testo ispirato all’assedio di Adrianopoli durante la guerra bulgaro-turca, composto da parole in libertà, eliminando articoli, avverbi e congiunzioni, in cui l’onomatopeismo la fa da padrone.
Si passa poi all’opera di Carlo Carrà del 1914 intitolata Esplorazione aeroplano mare luna 2 mitragliatrici/Vento nord-ovest, una tavola realizzata in matita grassa e inchiostro su cartone per il libro Guerrapittura, in cui, in una sorta di collage cubista, combina pittura, parole in libertà e carte stampate. E da ultime, ma certamente non per ultime, ecco le opere del grande Mario Sironi, meno noto ai più rispetto ad altri esponenti del futurismo.
Del Futurismo, Sironi condivideva l’audacia, la provocazione, lo sdegno per l’individualismo borghese e l’arte “da salotto”, il nazionalismo e la politica interventista. Tuttavia non si allineerà mai totalmente alle regole del gruppo.
Decisamente originale è la grafica a soggetto militare adottata dall’artista, influenzata dal costruttivismo russo.
Nei Gesti della Guerra, del 1° febbraio 1915, tratto da Noi e il Mondo vediamo soldati realizzati con un forte geometrismo nell’atto di compiere azioni guerresche come l’assalto o il manovrare un cannone. Figure essenziali caratterizzate dalla bicromia del verde e del rosso che rendono molto bene il concetto di guerra. Sironi, da un lato compie una sintesi volumetrica notevole che lo accomuna sotto il profilo estetico a Carrà e Severini, dall’altro si accosta, come detto, al costruttivismo russo. E ancora di Sironi ecco il Cadavere austriaco, emblema della guerra, una tempera su cartone, facente parte delle Illustrazioni per la pubblicità del libro: “La storia della guerra mondiale”, in cui troviamo ancora una volta una potente sintesi volumetrica. E tra me e me penso che queste illustrazioni di Sironi superano per potenza plastica e per interesse drammatico le più celebri illustrazioni di giornali e riviste europee e americane.
E la mostra volge al suo termine con l’ingresso nell’ultima Sezione 10 intitolata RICOSTRUZIONE FUTURISTA DELL’UNIVERSO che altro non è se non il titolo di un manifesto pubblicato nel 1915 da Giacomo Balla e Fortunato Depero, due tra i maggiori esponenti del Futurismo.
Quando i due artisti firmano questo manifesto, il movimento
Futurista stava entrando in una nuova fase caratterizzata dalla volontà di estendere la propria azione in ogni campo.
L’espressione Ricostruzione Futurista dell’Universo racchiude in sé l’esigenza dei futuristi di un’arte che riesca ad influenzare molteplici aspetti dell’esistenza mediante una radicale trasformazione dell’ambiente: dalla moda all’arredo, dal cinema al teatro, dalla musica alla danza, dal manifesto pubblicitario al design. E questa nuova via aperta dai futuristi influenzerà molte avanguardie europee. Così la pittura e la scultura smisero di essere le uniche manifestazioni artistiche designate a qualificare l’estetica dell’arte contemporanea.
Si inizia quindi il percorso con il numero del giornale futurista La Balla, intitolato Ricostruzione Futurista dell’Universo, per poi proseguire con il Manifesto del settembre 1914 dal titolo il Vestito Antineutrale.
E qui riporto le esatte parole del Manifesto: “L’umanità si vestì sempre di quiete, di paura, di cautela e d’indecisione, portò sempre il lutto, o il piviale, o il mantello. Il corpo dell’uomo fu sempre diminuito da sfumature e da tinte neutre, avvilito dal nero, soffocato da cinture, imprigionato da panneggiamenti. Fino ad oggi gli uomini usarono abiti di colori e forme statiche, cioè drappeggiati, solenni, gravi, incomodi e sacerdotali. Erano espressioni di timidezza, di malinconia e di schiavitù, negazione della vita muscolare, che soffocava in un passatismo anti-igienico di stoffe troppo pesanti e di mezze tinte tediose, effeminate o decadenti. Tonalità e ritmi di pace desolante, funeraria e deprimente…”.
Quindi i nuovi abiti futuristi saranno
“1. Aggressivi, tali da moltiplicare il coraggio dei forti e da sconvolgere la sensibilità dei vili.
2. Agilizzanti, cioè tali da aumentare la flessuosità del corpo e da favorirne lo slancio nella lotta, nel passo di corsa o di carica.
3. Dinamici, pei disegni e i colori dinamici delle stoffe, (…)
4. Semplici e comodi, cioè facili a mettersi e a togliersi, che ben si prestino per puntare il fucile, guadare i fiumi e lanciarsi a nuoto.
5. Igienici, cioè tagliati in modo che ogni punto della pelle possa respirare nelle lunghe marcie e nelle salite faticose.
6. Gioiosi. Stoffe di colori e iridescenze entusiasmanti…
7. Illuminanti. Stoffe fosforescenti, che possono accendere la temerità in un’assemblea di paurosi, spandere luce intorno quando piove, e correggere il grigiore del crepuscolo nelle vie e nei nervi.
8. Volitivi. Disegni e colori violenti, imperiosi e impetuosi come comandi sul campo di battaglia.
9. Asimmetrici. Per esempio, l’estremità delle maniche e il davanti della giacca saranno a destra rotondi, a sinistra quadrati.
10. Di breve durata, per rinnovare incessantemente il godimento e l’animazione irruente del corpo.
11. Variabili, per mezzo dei modificanti (applicazioni di stoffa, si ampiezza, spessori e disegni diversi) da disporre quando si voglia e dove si voglia, su qualsiasi punto del vestito, mediante bottoni pneumatici. Ognuno può così inventare ad ogni momento un nuovo vestito…”.
E nei disegni dei nuovi abiti maschili realizzati da Balla si visualizza l’abito futurista: dinamico, aggressivo, urtante, volitivo, violento, volante, agilizzante, gioioso, illuminante, fosforescente. In linea con i dettami della filosofia futurista, la moda proposta da Balla non vuole soffocare il corpo ma dare movimento alla forma umana. Grazie all’introduzione di nuove forme geometriche, diventa espressione di linee veloci, spezzate, disegni fantasiosi e tagli spigolosi con colori, fosforescenti e vivi capaci di esprimere libertà, velocità e frivolezza. Il vestito diventa un’opera d’arte, esattamente come i suoi dipinti o le sue sculture, dove le forme si intrecciano tra di loro per ricreare il dinamismo di treni ed aeroplani encomiando la tecnologia e i progressi nel campo industriale.
E gli stessi criteri progettuali li ritroviamo nello straordinario acquerello su carta del 1916 dal titolo Studio di borsetta con linee di velocità, uno dei numerosi studi realizzati da Balla per la moda. Una borsa tonda di piccole proporzioni con un manico a tracolla medio, che mi ha ricordato una borsa da occasioni eleganti di mia nonna Chiara. Ma l’assoluta originalità della borsa Futurista di Balla non è nella forma, che come detto già esisteva, bensì nell’essere permeata da forme geometriche rette e curvilinee che imprimono movimento e dinamicità come mai visto prima. Addirittura da una forma curvilinea nera spunta una gamba, quasi essa fosse un abito, a sottolineare il movimento della borsa. Davanti a questo bozzetto si resta davvero stupefatti da tanta modernità.
Il Futurismo di Balla con il suo fascino e la sua forte carica creativa, ha ispirato e continua ad ispirare, non solo la pittura, la grafica, le arti applicate, ma anche l’arredamento e la moda come attestato da una bellissima borsa, di piccole dimensioni realizzata con inserti di camoscio di diversi colori e bachelite e con la tracolla dipinta a mano (non presente in mostra), realizzata nel 1986 dalla nota casa di moda Borbonese su disegno originale di Balla.
Stesso dinamismo e movimento li si ritrova nel Progetto di Ventaglio, un acquerello e vernice su carta del 1918, in cui il ventaglio, con il suo alternarsi di forme rettilinee e curvilinee, sembra proteso in avanti come un uccello che si staglia in volo. La potente creatività di Balla la ritroviamo anche nel campo dell’arredo come ci mostrano alcuni progetti del 1918 caratterizzati dalla monocromia, come il Progetto per Arredamento celeste, con i suoi divani stondati ed una lampada dal design modernissimo o il Progetto per camera da pranzo o ancora il Progetto per Arredamento rosa.
Gli arredi di questi progetti anticipano di 70 anni il design moderno. Peccato solo che non siano stati mai realizzati, ma siano rimasti solo dei bozzetti, perché altrimenti oggi parleremmo dei mobili di Giacomo Balla come parliamo della Poltrona Wassily realizzata da Marcel Breuer nel 1925 quando era direttore del laboratorio del legno presso il Bauhaus di Dessau, per la residenza del collega Wassily Kandinsky, da cui prese l’iconico nome. E dopo il bellissimo arazzo del 1916 dal titolo Lampada Futurista quale opera migliore con cui chiudere questo lungo, proficuo percorso museale se non con Genio Futurista un olio su tela di arazzo del 1925 che inneggia al genio futurista e quindi alla modernità, mito su cui si basa il movimento. In questo arazzo sono riassunti tutti i temi portanti del lavoro di Giacomo Balla. Al centro della composizione troviamo il “Genio”, fortemente stilizzato, la cui testa a forma di stella irradia energia ovunque. Il tronco e le braccia del genio formano una M, forse un tributo a Marinetti? O a Mussolini? Chissà. Il verde del tronco e delle braccia, insieme al rosso delle gambe, rappresentate come due ceppi rossi, accostati al bianco di forme geometriche, rimandano ai colori della bandiera italiana in senso di omaggio.
Intorno alla figura del genio troviamo forme geometriche nette e taglienti che per Balla rappresentano le “forme-rumore” che si incrociano con dei volumi immaginari, utopici, un po’ come furono le idee del Futurismo per i loro contemporanei.
Esco da Palazzo Zabarella, non appagata, ma conquistata. È stato un viaggio a ritroso nel tempo che mi ha condotta nel mondo futurista scandagliandone tutti i momenti, da un inizio dalle radici simboliste al punto di arrivo con la ricostruzione futurista dell’universo espressa egregiamente dall’operato di Giacomo Balla… Qualcuno potrà pensare che i futuristi fossero presuntuosi: voler ricostruire l’universo con le regole futuriste? È l’esatto contrario. La ricerca futurista del movimento, della modernità è un anelito di pochi eletti a staccarsi da una tradizione vissuta e accettata passivamente.
Perché il mondo va avanti. Qualcuno penserà forse che l’era del digitale sia un novello futurismo. Ahimè no: il Futurismo spingeva le persone a dare sempre di più, a puntare sempre più in alto, a scommettere con se stessi di poter fare meglio, i nuovi tempi con le loro modalità tendono alla lobotomizzazione dei cervelli. Dopo il 1915, ahimè, il futurismo seguirà un percorso diverso, talora reazionario. Ma questo è un altro discorso. La mostra in questione ci parla del vero Futurismo, quello degli anni a cavallo tra il 1909 ed il 1925, invitandoci a riflettere, in un mondo come questo dove l’omologazione la fa da padrona, sull’importanza del pensiero non omologato, per dar vita a nuovi progetti. Il Futurismo è davvero di un’attualità sconcertante.
E allora uscita dalla mostra mi concedo un Campari in onore di Depero che ne disegnò la bottiglia nel lontano 1932 con un mio personale progetto, quello di divulgare sempre di più a scuola questo movimento, incoraggiata dall’interesse che suscita in molti miei allievi. Un brindisi in onore dei Futuristi.

Abbiate fiducia nel progresso, che ha sempre ragione, anche quando ha torto, perché è il movimento, la vita, la lotta, la speranza” (Filippo Tommaso Marinetti)