Domenica 16 luglio 2023, Beata Vergine del Monte Carmelo
DOVEVA SUCCEDERE
I BRICS O DEL RITORNO AL REALE
di Luigi Copertino
La narrazione occidentale post-sovietica
Nel 1943 Gustave Thibon, il filosofo contadino che aiutò Simone Weil in fuga dai nazisti e poi ne curò la diffusione delle opere a lui lasciate dalla scrittrice, pubblicava quello che sarebbe diventato il suo saggio più noto Ritorno al reale. In questo saggio Thibon effettuava una attenta dissertazione sulla deriva della modernità, ossia di ciò che spazialmente chiamiamo Occidente. Una deriva, a suo giudizio, causata dal distacco e dal rifiuto del principio di realtà che è innanzitutto respingimento da parte dell’uomo dell’Unico Reale, ovvero dell’Essere dei filosofi, ossia del Dio dei teologi.
Il problema della Modernità-Occidente è dunque l’astrazione dal Reale e di conseguenza dalla realtà. Una astrazione che opera a tutti i livelli, non esclusi quelli politico ed economico. Alla concretezza sociale, fondata sulla concretezza metafisica, di altre epoche, la Modernità-Occidente oppone l’astrazione, ad iniziare dalla astrazione dell’individuo che non è la persona reale ma un fantoccio ideologico-illuminista. Un fantoccio che, a differenza della persona, è irreale, nel senso che non si dà mai nella realtà concreta delle comunità. Un fantoccio, poi, irrelato, nel senso che, non avendo concreta esistenza, non può essere in relazione con il prossimo nelle concentriche appartenenze sociali.
Che l’astrazione operi anche nel Politico e nell’Economico ce ne offre massimo esempio la storia mondiale degli ultimi decenni, seguenti alla fine del mondo bipolare USA-URSS ed all’emergere del tentativo unilaterale statunitense di rifare la realtà ad immagine e somiglianza dell’Occidente a trazione americana.
Nel 1989, dissolto l’Est sovietico, l’analista nippo-americano Francis Fukuyama proclamava l’hegeliana “fine della storia”, che egli vedeva coincidere con l’incipiente globalizzazione. In sostanza, dopo l’89, la narrazione è stata quella per la quale non poteva che esistere un modello unico senza alternativa costituito dal binomio mercatismo transfrontaliero/democrazia liberale. Cosa che comportava, immediatamente, la depoliticizzazione delle relazioni internazionali e, quindi, la fine dello stato bellicoso dell’umanità – che nella narrazione era connesso al primato del Politico sull’Economico, o meglio, sul mercato, inteso come luogo della pacifica concorrenza – e l’inevitabile approdo alla kantiana Pace Mondiale Perpetua apportatrice di Benessere e Prosperità in abbondanza per tutti.
Si trattava dell’ennesima utopia del Paradiso Mondano. Il “Sol dell’Avvenire” semplicemente cambiava paradigma ideologico: non più il comunismo ma il capitalismo avrebbe consentito all’uomo la liberazione delle sue potenzialità autocostruttrici, represse da secoli di oscurantismo antimoderno (nella anti-modernità rientrava anche la “barbarie illiberale” comunista).
Certamente, nell’Occidente anglo-sferico non tutti abboccavano a tale narrazione. Correnti di realismo, ma cinico e decisionista, come quella dei neoconservatori straussiani o quella della scuola del realismo politico di Kissinger, non intendevano certo abbandonare la prospettiva per la quale la democrazia liberale mercatista non sarebbe mai diventata globale se non facendo ricorso a tutti i mezzi di pressione politica, diplomatica, mediatica, finanziaria, financo “golpista” e bellica sui refrattari. Era l’idea della esportazione manu militari della democrazia liberale che ebbe molto spazio durante l’amministrazione Bush junior, fortemente influenzata e guidata dai neoconservatori “troskisti”.
Ma, al di là di queste eccezioni, la narrazione dominante è rimasta quella “kantiana” alla quale faceva riferimento Fukuyama e poco importava se essa fungesse da paravento per il decisionismo bellicista dei neoconservatori volti ad imporre la democrazia liberale con tutti i mezzi, come è accaduto, con le conseguenze che stiamo vivendo, a partire dal 2014, in Ucraina con il golpe dell’Euromaidan a Kiev, patrocinato dal Victoria Nuland plenipotenziaria in Europa degli Stati Uniti nonché moglie di Robert Kagan uno dei più influenti neocons.
Dollaro = democrazia?
Janet Yellen, ex governatrice della Federal Reserve, la Banca centrale statunitense, in una intervista concessa a Fareed Zakaria della CNN ha detto che le sanzioni alla Russia possono certo indebolire il dollaro ma non possono comprometterne l’egemonia e la stabilità dell’ordine economico mondiale perché i Brics non potranno sostituire la valuta statunitense essendo Paesi senza solidi mercati di capitali e privi dello Stato di diritto[1]. La correlazione posta dalla Yellen tra dollaro e democrazia è molto significativa perché essa indica l’alto tasso ideologico del conflitto globale in atto, quello tra Occidente americano ed il resto del mondo, del quale la guerra russo-ucraina è soltanto l’epifenomeno al momento più caldo.
“La Segretaria Yellen”, ci informa Alastair Crooke, “ha recentemente tenuto un discorso sulle relazioni tra Stati Uniti e Cina, sottintendendo che la Cina ha ampiamente prosperato grazie a(ll’) … ordine di mercato anglo-americano, ma che ora si sta orientando verso una postura guidata dallo Stato: una postura che è ‘conflittuale nei confronti degli Stati Uniti e dei suoi alleati’. Gli Stati Uniti vogliono cooperare con la Cina, ma solo ed esclusivamente ‘alle loro condizioni’. Gli Stati Uniti cercano un ‘impegno costruttivo’, ma che deve essere subordinato alla garanzia dei propri interessi e valori di sicurezza. ‘Comunicheremo chiaramente alla Repubblica Popolare Cinese le nostre preoccupazioni sul suo comportamento … E proteggeremo i diritti umani’. In secondo luogo, ‘continueremo a rispondere alle pratiche economiche sleali della Cina. E continueremo a fare investimenti critici in patria, mentre ci impegneremo con il mondo per portare avanti la nostra visione di un ordine economico globale aperto, equo e basato sulle regole’. Yellen conclude dicendo che la Cina deve ‘giocare secondo le regole internazionali di oggi’. Non sorprende che la Cina non ci casca di certo, osservando che gli Stati Uniti cercano di guadagnare economicamente dalla Cina – mentre chiedono di avere mano libera per perseguire esclusivamente gli interessi statunitensi”[2].
Quindi il rimprovero dell’Occidente, per il tramite della Yellen, alla Cina è quello di essersi allontanata dal rispetto delle regole sulle quali si fonda l’ordinamento internazionale, anche economico, ossia i “diritti umani”. Ora, anche senza richiamare Carl Schmitt che ho dimostrato il carattere ideologico e di paravento delle politiche occidentali di domino dei cosiddetti “diritti umani”, va qui notato che i fatti smontano ampiamente la correlazione “dollaro/democrazia/diritti umani”. Negli anni più recenti, complice anche la nuovissima tecnologia digitale, proprio in Occidente abbiamo assistito a processi e dinamiche che hanno palesemente messo in discussione, nella sostanza più che nella forma esteriore, le basi stesse della democrazia liberale. Si pensi alle restrizioni delle libertà fondamentali nell’interesse delle multinazionali del farmaco, al ricatto “lavoro contro terapie geniche” imposto ai cittadini, alla non trasparenza delle contrattazioni tra Big Pharma e organismi sovranazionali – come nel caso dei messaggi whatsapp segretati tra Ursula von der Leyen, Presidente della Commissione europea, e Albert Bourla, ceo manager della Pfizer –, alla censura mediatica delle opposizioni dileggiate e diffamate come “complottiste”, alla possibilità dei gestori privati delle piattaforme digitali di chiudere ogni accesso all’agorà pubblica del web a chiunque, non esclusi uomini potenti come Trump, non si allinea alla cancel culture o alla cultura woke o all’ideologia antiscientifica del climate change o alla russofobia. Un noto propagandista di distopie come l’israeliano Harari gira per il mondo per spiegare che, per mezzo della bio-tecnologia, nel prossimo futuro l’uomo diventerà un cyborg e quindi raggiungerà l’immortalità e l’auto-deità (Homo Deus è il suo libro più noto).
La democrazia liberale, pur restando esteriormente tale, sta subendo cambiamenti strutturali e sostanziali che la dirigono verso forme di neo-totalitarismo virtuale ed immateriale ma non per questo meno costrittive ed invasive delle vecchie tipologie “statualiste” del totalitarismo. Anzi molto più di queste benché senza apparente violenza perché non più, forse, fisica bensì psicologica.
Le trasformazioni del capitalismo
Per raffigurarci il modello occidentale al quale faceva riferimento la Yellen dobbiamo fare tre nomi ossia Isaac Newton, il padre della fisica meccanicistica, John Locke, il padre dello Stato costituzionale, e Adam Smith, il padre dell’economia di mercato.
Il quadro alquanto idilliaco tratteggiato dalla Yellen nasconde tuttavia la realtà della trasformazione in atto del capitalismo nel passaggio dalla modernità solida alla postmodernità liquida. Il vecchio capitalismo patrimoniale si è trasformato nel “Ceo-capitalism”, in un capitalismo finanziario inteso a far denaro dal denaro in modo sempre più autonomo dalla produzione, dall’economia reale. Un capitalismo che non persegue più progetti concreti a medio/lungo termine ma ha per obiettivo la redditività immediata, con fixing persino quotidiani, del capitale azionario dalla cui commercializzazione, nel gioco speculativo della borsa valori (la “sovrastruttura finanziaria” della quale denunciava la pericolosità Federico Caffè), esso trae profitti ingenti e subitanei. Profitti però senza ricadute sociali benefiche in quanto, come detto, essi derivano da attività speculative e meramente finanziarie e non da investimenti reali e produttivi. I teologi medioevali, ma anche un Ezra Pound, avrebbero parlato di “usura”.
L’elemento finanziario ha preso il sopravvento su quello patrimoniale in questo nuovo capitalismo, provocando – checché ne pensi la Yellen – l’instabilità dell’ordine economico occidentale, della quale i ripetuti e ricorrenti disastri finanziari degli ultimi decenni sono espressione, strettamente unito al tendenziale dissolvimento dello Stato di diritto, vanto del liberalismo occidentale. Infatti la forza della finanza apolide e delle multinazionali è tanto più potente di quella politico-giuridica degli Stati da piegarli alle loro esigenze, come nell’esempio, scandaloso ma impunito, dei rapporti segreti, in barba alla pretesa trasparenza dell’ordinamento giuridico liberale occidentale, tra Ursula von der Leyen ed Albert Bourla in merito alla contrattazione sugli pseudo-vaccini Rna prodotti da Pfizer.
Brics ed il ritorno all’oro
Nei suoi interventi pubblici, sopra richiamati, la Yellen ha fatto riferimento ai Brics – acronimo che sta per “Brasile, Russia, India, Cina e Sudafrica” – una organizzazione di cooperazione interstatuale in forte crescita di influenza, tanto che vi hanno chiesto di aderire già una sessantina di altri Paesi tra i quali l’Iran, l’Argentina. Il Messico, Cuba e perfino l’Arabia Saudita. Questo riferimento apre, tuttavia, una finestra sui timori americani per quello che si sta profilando all’orizzonte come un diverso approccio di politica internazionale nella prospettiva, da molte parti auspicata, di un passaggio dallo scenario unipolare allo scenario multipolare. Un passaggio che costituirebbe un primo forte segnale di ritorno alla realtà, la quale, da che mondo è mondo, è sempre, sul piano immanente e naturale, di necessità plurale e nient’affatto monista.
Ma, forse, il segnale più evidente del ritorno al reale sta nella tendenza registrata tra i Brics al ripristino del gold standard o di un tallone monetario sostenuto comunque da materie sottostanti che, nella specie, potrebbero anche essere le materie prime energetiche ed in particolare il gas.
Questo ritorno all’oro va comunque valutato a tutto tondo perché il gold standard, sebbene attribuisca un fondamento reale alla stabilità monetaria, impone d’altro canto anche un limite deflazionistico alle economie che lo adottano. Nella storia è già successo che eventi collegati a tensioni finanziarie, in concomitanza con gravi crisi, abbiamo costretto gli Stati ad uscire dal gold standard, qualunque ne fosse la materia prima sottostante. L’Inghilterra, ad esempio, poi seguita anche da altri Stati, uscì dall’allora vigente tallone aureo quando, travolta dalle conseguenze della Grade Depressione del 1929, ebbe bisogno di sostenere la domanda interna stampando moneta fiat. Infatti, le monete fiat, create ex nihilo, hanno la caratteristica di non essere vincolate al limite della quantità di oro posta a copertura e di essere rimesse alla prudenza politica dello Stato nel misurarne la quantità in correlazione con la capacità della massa circolante di assorbire l’offerta produttiva, senza consentire alla domanda di oltrepassare il livello di produzione raggiungibile da un dato sistema economico.
Inoltre va tenuto conto che la moneta a corso legale non è l’unico tipo di moneta in un sistema avanzato. Un ruolo, ormai predominante, lo gioca la quasi-moneta di creazione bancaria, ovvero la “moneta creditizia”. Questa corrisponde alle aperture di fidi bancari, usati tra gli operatori economici come mezzo di scambio monetario. Detta moneta creditizia ha natura endogena, non esogena come la moneta legale, Anzi, nei sistemi avanzati, è la moneta creditizia a trascinare la moneta legale, non potendo le Banche Centrali non rifornirne le banche commerciali per la copertura, a richiesta, della moneta creditizia da esse create con l’attività di prestito. Sicché pensare che il gold standard possa da solo dare stabilità al sistema monetario è riduttivo, dovendosi tener conto di altri fattori sui quali estendere appositi controlli governativi mediante idonee normative.
Sembra che l’annuncio ufficiale della nuova valuta, ancorata all’oro, è previsto ad agosto durante il vertice dei Brics in Sudafrica. In effetti i Paesi Brics e quelli che vogliono aderire all’organizzazione hanno tutti cospicue ed ingenti riserve auree. Il fatto che anche l’Arabia Saudita, tradizionale alleata di Washington, si sia avvicinata ai Brics evidenzia che il dollaro non viene più considerato da essa l’unica divisa accettata in pagamento del greggio. E questo rischia davvero di far saltare il banco di quello che Charles De Gaulle chiamava l’“esorbitante privilegio americano”.
La solita Yellen, nelle sue attuali vesti di Segretario del Tesoro degli Stati Uniti, fa mostra di tranquillità avendo dichiarato: “Voglio solo ribadire ciò che ho detto in passato, vale a dire che gli Stati Uniti possono essere certi che il dollaro giocherà il ruolo dominante nel facilitare le transazioni internazionali e servirà come valuta di riserva negli anni a venire. Non vedo quel ruolo minacciato da nessuno sviluppo, incluso quello … [della valuta comune dei Brics]”[3].
Il ritorno al gold standard da parte dei Brics va inteso principalmente come una rivolta contro il dollaro. La divisa americana dalla conferenza di Bretton Woods (1944) – allorché il rappresentante statunitense Harry Dexter White riuscì ad imporre il dollaro quale valuta mondiale di riferimento, prevalendo su John Maynard Keynes che, invece, avrebbe preferito una unità di conto internazionale, il “bancor” – è la moneta egemone negli scambi commerciali internazionali e tale è rimasta anche dopo il 15 agosto 1971 quando Richard Nixon dichiarò unilateralmente l’inconvertibilità in oro del dollaro, ponendo fine al sistema di gold exchange standard varato per l’appunto a Bretton Woods. Il passo di Nixon fu necessario agli Stati Uniti per evitare la bancarotta del Tesoro americano subissato da richieste, in particolari francesi, di conversione presentate all’incasso da parte degli altri Paesi del circuito dollaro, avendo Washington abusato in modo inverecondo del suo “privilegio” di creatore della moneta internazionale scaricando sugli altri le spinte inflazioniste che ciò comportava. Dichiarata l’inconvertibilità, immediatamente Nixon si recò in Arabia Saudita per stringere un accordo con i Paesi Opec, produttori di petrolio, affinché essi, in cambio della protezione politica e militare statunitense, accettassero esclusivamente il dollaro nel regolamento internazionale del commercio di greggio. Tutti gli Stati, in particolare quelli industriali occidentali, furono così costretti a pretendere in dollari il pagamento delle proprie esportazioni onde accumulare quantità sufficienti della divisa americana per approvvigionarsi di greggio.
La fine del gold exchange standard segnò, però, anche l’inizio dell’esplosione della finanza derivata, più che per la mancanza di un sottostante aureo per il venir meno dei controlli statali sui movimenti di capitali e sul governo della moneta[4]. Sta di fatto che la tendenza al ritorno all’oro, a fronte delle instabilità che stanno squassando la globalizzazione, è registrato anche da organismi ufficiali come il World Gold Council per il quale nel 2022 le Banche centrali di Cina, Turchia, Kazakistan ed India hanno acquistato oro per 1.136 tonnellate, dato che l’oro è una solida alternativa al dollaro “soprattutto se non si vuol sostenere gli Stati Uniti per motivi geopolitici” come ha detto l’economista Schnabl e dato che, come ha rilevato un altro economista, Thorsten Polleit, “anche il congelamento delle riserve valutarie russe da parte degli Stati Uniti ha spinto la domanda di oro” perché “dal punto di vista di molti investitori, questo [ossia il vero e proprio furto occidentale delle riserve monetarie russe in valuta americana] ha aumentato il rischio delle loro posizioni di riserva in dollari”[5].
Un Reset dell’economia globale
Il ritorno al sottostante reale va però inquadrato nel più vasto processo di riorganizzazione degli scambi commerciali con l’uso delle valute locali e, quindi, di de-dollarizzazione dell’economia mondiale. I Paesi Brics, in altri termini, stanno realizzando un sistema nel quale la circolazione di una valuta comune a copertura reale non dovrebbe abolire l’uso delle valute locali e nazionali. Ad esempio, l’Argentina e il Brasile hanno in corso trattative per la creazione di una moneta tra esse comune, il “Sur” (Sud in spagnolo), che non sostituirà il pesos argentino ed il real brasiliano perché sarà utilizzata soltanto per semplificare gli scambi commerciali tra i due Paesi e ridurre la dipendenza dal dollaro. A differenza dell’euro, il Sur non sarà la moneta ad uso interno di argentini e brasiliani che conserveranno le rispettive monete nazionali. Argentina e Brasile hanno compreso ciò che non è stato capito in Europa ossia che non esiste un’Area Valutaria Ottimale senza una Unità Politica di un qualche tipo, quantomeno confederale, tale da compensare, con gli opportuni trasferimenti di bilancio, le asimmetrie inevitabilmente sussistenti anche tra Stati economicamente omogenei. Sicché una eventuale moneta comune può essere utilizzata soltanto per gli scambi commerciali tra Stati e non anche come moneta interna trasversale. Con tutta probabilità anche la moneta comun di prossimo annuncio nel vertice agostano dei Brics in Sudafrica funzionerà come moneta per gli scambi commerciali intra-statuali senza sostituirsi alle monete nazionali[6].
Questo uso delle valute locali è stato, ormai da tempo, affiancato dalla creazione di un nuovo sistema informatico per i pagamenti internazionali tra banche, sostitutivo dello Swift del circuito del dollaro. Per non perdere la possibilità di operare nelle aree economiche dei Brics le principali banche occidentali, tra cui anche quelle europee, da Deutsche Bank a Paribas, ed italiane, da Unicredit a San Paolo, hanno fatto, sebbene riservatamente, richiesta di adesione al nuovo circuito monetario. Ulteriore segnale, questo, della perdita di importanza del dollaro nell’economia internazionale.
La stessa “New Development Bank”, la banca di sviluppo dei Brics con sede a Shanghai, nel perseguimento dello sforzo di de-dollarizzazione, offe attualmente il 30% dei suoi prestiti nelle valute nazionali dei Paesi ad essa aderenti. Dilma Rousseff, attuale Presidente della “New Development Bank”, ha palesemente ammesso che i Brics, attraverso la Banca da lei presieduta, operano per rendersi indipendenti dal dollaro e, soprattutto, procurarsi in modo alternativo le risorse necessarie agli investimenti a lungo termine contrastando gli alti interessi praticati nel sistema dollaro[7]. “Il mondo”, ha detto, “ora è sotto la minaccia di un’inflazione elevata e di una politica monetaria restrittiva, in particolare nei Paesi sviluppati. Tale politica monetaria significa un tasso di interesse più elevato e, quindi, una maggiore probabilità di riduzione della crescita e recessione. Questo presenta una questione importante per il Brics. Abbiamo bisogno di un meccanismo – un cosiddetto meccanismo anticrisi – che sia anticiclico e sostenga la stabilizzazione”[8].
Naledi Pandor, il ministro sudafricano per le relazioni internazionali, ha dichiarato lo scorso gennaio che il gruppo Brics intende “sviluppare un sistema più equo di scambio monetario [al fine di indebolire il] ‘domino del dollaro’. I sistemi attualmente in vigore tendono a privilegiare i Paesi molto ricchi [e] tendono ad essere … una sfida per Paesi come noi, che devono effettuare pagamenti in dollari [che costano] molto di più in termini delle nostre varie valute. Quindi penso che debba essere sviluppato un sistema più equo. È qualcosa che stiamo discutendo con i ministri Brics nelle discussioni del settore economico”[9].
Auto-centrismo aperto. La rivincita di Friedrich List
Ciò che si sta palesando nel resto del mondo, refrattario all’egemonia dell’Occidente, è la costruzione di una rete di collegamento tra sistemi economici “auto-centrici” ossia organizzati intorno a sistemi monetari caratterizzati da monete legate a sottostanti reali – materie prime, oro, gas – e quindi ad economie che sembrano tornare verso la “patrimonializzazione” attraverso un forte ridimensionamento della “finanziarizzazione”. L’“auto-centrismo” non equivale ad “autarchia”. Quelle auto-centriche sono economie di sviluppo nazionale, politicamente diretto, fondate sul primato dell’economia fisica, reale, che non escludono, anzi richiedono, ponderate proiezioni verso l’esterno, come nel caso di quella cinese della “via della seta”, concretizzate attraverso una rete di rapporti bilaterali o plurilaterali ma senza supporre organizzazioni sovranazionali che si impongano dall’esterno ai singoli Stati nelle loro reciproche relazioni internazionali.
Ora – questo è un punto sul quale riflettere e da non ritenere affatto secondario o strumentale – il dirigismo economico auto-centrico è impossibile senza una forte Autorità politica legittimata da radicamenti identitari di tipo storico-spirituale o, anche, se si vuole, dal loro recupero politico in funzione del potere (il che pone non pochi problemi alla “purezza” spirituale delle radici recuperate). La Russia post-sovietica e la Cina post-maoista hanno nell’Ortodossia e nel Confucianesimo le loro radici identitarie utilizzabili allo scopo. L’Occidente invece non le ha più perché vi ha rinunciato da secoli scegliendo la via della secolarizzazione più spinta.
“L’altra dimensione ‘meno notata’ della ‘rivoluzione’ sino-russa è quella metafisica – la riappropriazione della cultura politica nazionalistica che è qualcosa di più della ‘sovranità’. Il filosofo politico Alasdair MacIntyre, in After Virtue [Dopo la virtù], sostiene che è la narrazione culturale a fornire una spiegazione migliore all’unità della vita umana: ‘Le storie di vita individuali dei membri di una comunità si intrecciano e si intersecano. E l’intreccio delle nostre storie si estende fino a formare la trama e l’ordito della vita comunitaria. Quest’ultima non può mai essere una coscienza unica generata astrattamente e imposta da un comando centrale’. Il punto è che è solo la ‘tradizione culturale’, e i suoi racconti morali, a fornire un contesto a termini come ‘bene’, ‘giustizia’ e telos. ‘In assenza di tradizioni, il dibattito morale è fuori luogo; e diventa un teatro di illusioni in cui la semplice indignazione e la mera protesta occupano il centro della scena’ [cioè come in Occidente oggi]. Non sorprende che coloro che non vivono in Occidente – e che non si sono mai sentiti interiormente parte di questa modernità occidentale contemporanea, ma piuttosto si sentono appartenenti a un mondo culturale diverso, con una base ontologica molto differente – guardino a quest’ultimo come alla fonte da cui trarre energia per una nuova vita comunitaria. Si rifanno a vecchi miti e storie morali proprio per dare energia alla cultura politica – una tendenza che si estende dalla Cina, alla Russia, all’India e oltre. Sembra che Putin si preoccupi che la Russia sia virile, ma non militarizzata. Xi e Putin stanno cavalcando più ‘cavalli’: uno potrebbe aver bisogno di un tocco di sperone, l’altro di un po’ di freno. Il punto è che dovrebbero arrivare più o meno insieme”[10].
Al modello economico occidentale a carattere apolide e quindi de-territorializzato, de-concretizzato, che è la cifra dell’astrazione dell’Occidente illuminista, sembra dunque contrapporsi un “modello patriottico” dotato di concretezza di contenuti identitari e, se non bisogna affatto nascondere i rischi ed i lati ambigui di tale identitarismo, quando esso tende a trasformarsi a sua volta in una imitazione parodistica della religione tradizionale dei vari Paesi, non è al tempo stesso possibile tacere su quanto in esso è legittimo nel senso di un ritorno al reale, ad iniziare dal ritorno verso il Sacro se ben inteso e non strumentalizzato.
Se Adam Smith è l’icona del modello occidentale, è forse possibile individuare – come ha suggerito Alastair Crooke[11] – nel suo antagonista ottocentesco, Friedrich List, l’icona del modello patriottico. Friedrich List fu il fondatore della “scuola nazionale di economia politica” che ispirò la politica di ascesa della Germania guglielmina. List era vissuto negli Stati Uniti del XIX secolo, l’espansione dei quali fu realizzata – sembra strano dirlo oggi – attraverso quello che nell’Ottocento era chiamato “sistema americano” in opposizione al “sistema britannico” ispirato a Smith. Se quest’ultimo era il sistema asimmetrico del liberoscambismo mercantile, realizzato nel Commonwealth coloniale, che presupponeva la dipendenza delle economie periferiche da quella centrale, attraverso la costrizione di ciascun paese al proprio, presunto, “vantaggio competitivo” onde acquistare dagli altri le merci che gli era proibito produrre in proprio – sicché l’India doveva restare un produttore di cotone e con il ricavato della sua vendita acquistare dall’Inghilterra i manufatti finiti realizzati con quello stesso cotone –, quello “americano” del tempo, che seguiva le idee di Hamilton contrastate da Jefferson, era il sistema di dirigismo selettivo nelle importazioni per una crescita protezionista dell’industria nazionale e il raggiungimento dell’indipendenza patria. Un sistema che non accettava né il mercatismo né il liberoscambismo, ossia, nel XIX secolo, la dipendenza nel sistema britannico dei “vantaggi competitivi” e che ha consentito agli Stati Uniti e, più tardi, alla Germania guglielmina di diventare potenze industriali moderne. Un sistema ad economia auto-centrica in un contesto di relazioni bilaterali o plurilaterali inseguendo l’unico criterio dell’interesse nazionale. Dove, infatti, Adam Smith esaltava il libero commercio e la finanzia cosmopolita, List indicava nella dimensione nazionale auto-centrica l’unico modo di utilizzare le risorse disponibili senza sprechi.
[1] Cfr. M. Blondet, Yellen afferma che le sanzioni potrebbero mettere a rischio l’egemonia del dollaro Usa, nel sito “Blondet&Friends”, 17 aprile 2023. “Quando utilizziamo sanzioni finanziarie legate al ruolo del dollaro, c’è il rischio che con il tempo questo possa minare l’egemonia del dollaro (…). Naturalmente, questo crea il desiderio da parte della Cina, della Russia e dell’Iran di trovare un’alternativa (…). Ma il dollaro è utilizzato come valuta globale per ragioni che non consentono ad altri Paesi di trovare facilmente un’alternativa con le stesse proprietà. (…). I solidi mercati dei capitali statunitensi e lo Stato di diritto sono essenziali in una valuta che verrà utilizzata a livello globale per le transazioni (…). E non abbiamo visto nessun altor Paese che abbia l’infrastruttura istituzionale di base che consentirebbe alla sua valuta di servire il mondo in questo modo”. Queste le parole testuali della Yellen, come riportate dal sito citato.
[2] Cfr. A. Crooke, La guerra per la psiche: la sfida di Russia e Cina al neoliberismo anglosassone, “Strategic culture” tradotto in Italia dal sito “L’Antidiplomatico”.
[3] Cfr. M. Blondet, I Brics pensano davvero la valuta di riserva supportata dall’oro. Pro e contro, nel sito “Blondet&Friends”, 10 luglio 2023. Dove l’autore commenta: “Mentre oggi le banche centrali creano la moneta indebitando qualcuno (gli Stati) che può essere insolvente (e per questo si fanno pagare gli interessi dal debitore), la moneta coperta dall’oro ha la solvibilità in se stessa. Insieme a certi svantaggi: è strutturalmente deflazionista”.
[4] La causa principale dell’instabilità finanziaria, conseguita alla denuncia unilaterale americana degli Accordi di Bretton Woods, sta nel distanziarsi sempre crescente della moneta e degli altri strumenti finanziari dall’economia reale. La necessità di avere una qualche misura di flessibilità al cambio aureo delle monete nazionali per sostenere la domanda durante le crisi deflattive, necessità impostasi ai tempi della crisi del ’29 ma che più tardi portò all’irresponsabilità statunitense nell’inondazione del mondo di dollari, provocando la fine degli Accordi di Bretton Woods, si è rovesciata nella apertura indiscriminata e senza apparenti limiti del vaso di Pandora finanziario. Intanto però nel resto del mondo avanzano economie non basate sul primato della finanza ma saldamente ancorate alla realtà materiale della produzione cui la finanza deve esse servente e strumentale. La guerra russo-ucraina può interpretarsi come lo scontro tra due diverse concezioni dell’economia, quella finanziaria occidentale, che mostra sempre più la sua insostenibilità sociale, e quella reale dei Paesi Brics, che stanno per l’appunto creando un sistema monetario internazionale alternativo saldamente legato a parametri reali (materia prime, gas, oro). “Su quelle radici”, scrive Fabrizio Pezzani riferendosi a quanto maturato in Occidente tra il 1971 ed il 1989, “si è costruito un mondo della finanza staccato dall’economia reale che ha potuto muoversi al di fuori di ogni limite quantitativo reale, ma solo numerico ed infinito. L’illusione dell’infinita ricchezza è diventata verità incontrovertibile e la collusione tra finanza, politica ed accademia è diventata la prassi dell’operare per massimizzare i valori troppo spesso fasulli attribuiti alle attività economiche in quanto costruiti sul nulla delle aspettative e senza legami con il mondo reale. Non ci sono stati limiti di sorta all’espansione di questa suicida manovra, che ora sta cominciando a portare i conti di un dissesto finanziario senza pari nella storia perché ha determinato il collasso del modello socioculturale occidentale costruito sui desideri e sul debito creato da una finanza senza controlli. Sono venuti meno i controllori troppo spesso allineati dalla cultura della finanza infinita da cui attingevano interessi finanziari; le società di rating, le società di certificazione dei bilanci, le big four, hanno avvallato tutto. Poi il sistema troppo gonfiato ha cominciato a mostrare le prime bolle e nel 2008 il caso Lehman ha mostrato i limiti di un percorso cieco dettato solo dall’avidità senza scrupoli morali e regole idonee a contenere il disastro. La Fed, di fronte al crollo del sistema, anziché bollare il disastro criminale commesso ha preferito la strada del “troppo grande per fallire” ed ha salvato le prime cinque banche americane, dando l’illusione che di fronte ai danni della finanza ci si sarebbe potuti salvare ed aumentando di conseguenza il “moral hazard” a commettere atti illeciti e di fatto cancellando con il salvataggio tutta la normativa sull’antitrust e sul lobbismo finanziario. Lehman non è servito ed oggi ci presentiamo al caso della Silicon Valley Bank che racchiude tutti i sintomi di un gigante malato e con i piedi di argilla. Da Lehman in poi la Fed e tutte le altre banche centrali hanno inondato il sistema di carta moneta fiat, cioè senza sottostante, dandola a tassi vicino allo zero esattamente come aveva fatto Greenspan, il santone della Fed, agli inizi del nuovo secolo, innescando il tonfo Lehman. In questi anni però il sistema socioculturale del mondo occidentale si è indebolito e per realizzare il massimo profitto ha delocalizzato tutta la manifattura nell’Est, stordito da un’egemonia che si stava sgretolando, facendo così crescere e prosperare a nuova vita i Paesi a cui era stata affidata la manifattura occidentale. La moneta stampata senza sottostante ha cominciato a rifare i danni, dando l’illusione di una ricchezza infinita, spingendo così le imprese ad assumersi rischi sempre più grandi ed a creare un debito pubblico e globale che ha continuato ad alimentarsi in un drammatico schema Ponzi. Abbiamo dimenticato la lezione di Hyman Minsky che aveva indicato come “Minsky moment” il momento in cui l’azzardo morale e finanziario finisce, per crollare sotto il debito alimentato dalle illusioni della crescita infinita. Oggi il caso della SVB mostra tutte le carenze di un sistema fuori controllo, con le società di certificazione che hanno avvallato tutto, con Moody’s che attribuiva alla banca un rating illusorio e con banche come la Morgan-Chase che consigliava i clienti sull’acquisto di quelle azioni. Oggi quella banca è il problema minore, perché è più grave il debito Usa, che ha raggiunto il 135% del Pil e cresce più rapidamente di quest’ultimo, con un deficit commerciale di oltre 50mila mld di dollari; questo modello di sviluppo a cui afferiscono 1 miliardo e 300 mln di persone fondato sulle aspettative e non sull’economia reale si scontra con il modello del resto del mondo a cui afferiscono 6,7 mld di persone. La guerra in Ucraina rappresenta lo scontro finale in cui la povera Ucraina è stata condannata a fare la guerra per procura, come ha detto in televisione Victoria Nuland, ma il vero scontro è tra civiltà: quella occidentale, fatta sulla finanza, e l’altra costruita sull’economia reale, le materie prime e la mano d’opera in cui la finanza è solo strumentale alle imprese. La seconda sta progettando una moneta legata all’oro ed alla sostituzione del sistema Swftt avendo una posizione debitoria ben diversa. La Russia ha un debito sul Pil del 14% e nessun debito, così come la Cina e gli altri paesi Brics, a cui si stanno aggiungendo tanti altri come l’Iran, l’Arabia Saudita, il Kazakistan. Oggi siamo di fronte a un conflitto fra modelli culturali opposti ed invece di continuare a fare una guerra per salvare l’indifendibile egemonia unipolare degli Usa, sarebbe bene che la politica scendesse dalle nuvole per ricongiungersi a quel mondo reale troppo lontano per essere da lei capito”. Cfr. F. Pezzani, SVB/ L’ultimo capitolo di una maxi-Lehman che finirà con la sconfitta dell’Occidente, sul sito “Il Sussidiario.net”.
[5] Cfr. Acquisti record di oro: torna il gold standard?, su http://t.me/chaosmega 01.04.2023.
[6] Cfr. La nuova moneta di Argentina e Brasile sul sito https://www.geopolitika.ru/it/article/la-nuova-moneta-di-argentina-e-brasile, 11 aprile 2023.
[7] Cfr. Ramon Torney, Brics. New Development Bank che abbandona il dollaro Usa offrendo prestiti in valute locali.
[8] Cfr. Ramon Torney, op. cit.
[9] Cfr. Ramon Torney, op. cit.
[10] Cfr. A. Crooke, op. cit.
[11] “Marx e Lenin non sono stati gli unici a sfidare la versione anglo e liberale. Nel 1800, Johann Fichte pubblicò The Closed Commercial State [Lo Stato commerciale chiuso]. Nel 1827, Friedrich List pubblicò le sue teorie che contestavano l’‘economia cosmopolita’ di Adam Smith e JB Say. Nel 1889, il conte Sergio Witte, primo ministro della Russia imperiale, pubblicò un documento che citava Friedrich List e che giustificava la necessità di una forte industria nazionale, protetta dalla concorrenza straniera da barriere doganali. Così, al posto di Rousseau e Locke, i teorici tedeschi avevano offerto Hegel. Al posto di Adam Smith, avevano proposto Friedrich List. L’approccio anglo-americano si basa sul fatto che la misura ultima di una società è il suo livello di consumo. Nel lungo periodo, tuttavia, sosteneva List, il benessere di una società e la sua ricchezza complessiva non sono determinati da ciò che la società può acquistare, ma da ciò che può produrre (cioè il valore derivante da un’economia reale e autosufficiente). La scuola tedesca, profondamente scettica nei confronti della ‘serendipità’ del mercato di Adam Smith, sosteneva che enfatizzare il consumo sarebbe stato alla fine autolesionista. Avrebbe allontanato il sistema dalla creazione di ricchezza e, in ultima analisi, avrebbe reso impossibile consumare così tanto o impiegare così tanti lavoratori. List era preveggente. Aveva visto il difetto, ora così chiaramente esposto nel modello anglo: un’attenuazione dell’economia reale, ora aggravata dalla massiccia finanziarizzazione. Un processo che ha portato alla costruzione di una piramide rovesciata di ‘prodotti’ finanziari derivati che succhiano l’ossigeno dalla produzione reale. La fiducia in sé stessi si erode e una base sempre più ridotta di creazione di ricchezza reale sostiene un numero sempre minore di occupati adeguatamente retribuiti. In parole povere: Il punto di incontro tra Putin e Xi Jinping… è il loro comune apprezzamento per la sorprendente scalata della Cina ai ranghi di una superpotenza economica. Nelle parole di Putin, la Cina ‘è riuscita nel miglior modo possibile, a mio avviso, a utilizzare le leve dell’amministrazione centrale (per) lo sviluppo di un’economia di mercato… L’Unione Sovietica non ha fatto nulla di simile, e i risultati di una politica economica inefficace hanno avuto un impatto sulla sfera politica’. Washington e Bruxelles chiaramente non lo ‘afferrano’. E il discorso della Yellen è la prima ‘prova’ di questo fallimento analitico: l’Occidente aveva compreso l’implosione sovietica e il caos finanziario degli anni di Eltsin in modo esattamente opposto all’analisi di Xi e al consenso di Putin al duro verdetto di Xi. In parole povere, la valutazione di Xi e Putin è che il disastro russo è stato il risultato della svolta verso il liberalismo occidentale, mentre la Yellen vede chiaramente che l’‘errore’ della Cina – per cui la rimprovera – è nell’allontanamento dal sistema mondiale ‘liberale’. Questo disallineamento analitico spiega in parte l’assoluta convinzione dell’Occidente che la Russia sia uno Stato così debole e fragile dal punto di vista finanziario (a causa del suo errore primordiale di sottrarsi al sistema ‘anglo’), che qualsiasi inversione di rotta sul fronte ucraino oggi potrebbe portare a un collasso finanziario da panico (come quello del 1998) e all’anarchia politica a Mosca, simile a quella dell’era Eltsin. Paradossalmente, gli osservatori non occidentali vedono oggi l’opposto di ciò che ‘vede’ la Yellen: vedono la fragilità finanziaria occidentale contro la stabilità economica russa”. Cfr. A. Crooke, op. cit.