Minima Cardiniana 428/4

Domenica 23 luglio 2023, Santa Brigida di Svezia

CAPITALISMO E GENERE UMANO. “STRANA COPPIA” O PARADOSSO?
PER UN CAPITALISMO DAL VOLTO UMANO
di Bruno Bosi
Il sistema capitalista sembra essere arrivato alla soglia di un declino irreversibile a meno che non si riescano ad apportare aggiornamenti sostanziali di portata rivoluzionaria. I limiti evidenziati nella crisi che viviamo attualmente derivano dalla trasformazione del mezzo, il denaro come unità di misura del valore, nel fine unico e assoluto dell’agire umano. Questo attribuisce a chi detiene il denaro un potere eccessivo che annichilisce tutti gli altri interlocutori: società civile, politica, esigenze ambientali, esigenze di coesione, diritti dei lavoratori sia dipendenti che imprenditori. Viene resa impraticabile ogni forma di dialogo o di critica, con l’imposizione del paradigma liberista che fa apparire come razionalità e normalità, l’assurdità di una disuguaglianza insostenibile. Le esigenze e i valori alternativi alla logica dell’accumulo di denaro, anche se inutilizzabile, diventano privi di senso o di attrattiva.
Prima della modernità, il potere politico era dato dai privilegi della nobiltà e del clero, giustificati come espressione della volontà divina, questi erano determinanti anche dell’ingiustizia nella spartizione della ricchezza, per l’eternità. Oggi abbiamo la funzione di riserva di valore del denaro che si pretende eterna, inoltre si pretende anche quantitativamente illimitata. Da quando non è più convertibile in oro è completamente slegata dalla realtà. Non rientra tra le facoltà umane la possibilità di creare elementi o entità che possano avere la pretesa di essere illimitati nel tempo e nello spazio. Non possono far parte della realtà, possono avere effetti reali come risultato di una fede che impone sacrifici, questi sì reali, per la gloria di una qualche forma di divinità. Fino a quando dura la fede tutto può essere giustificato senza limiti alle ingiustizie, ma basta voltargli le spalle e le pretese dei dominatori spariscono senza lasciare traccia di sé. Così è stato per le divinità dell’antico Egitto, per le divinità dell’America precolombiana, per i privilegi della nobiltà ecc. Oggi abbiamo personaggi, reali o virtuali, ai quali vengono attribuite quantità di ricchezza abnormi e indescrivibili, se non col ricorso ad unità di misura come un multiplo del PIL mondiale. Possono avanzare la pretesa di colonizzare nuovi pianeti a titolo personale. Sono i nuovi dominatori simili alle crudeli divinità che erano in grado di imporre sofferenze ai loro dominati e i nuovi sacerdoti sono i politici, gli opinionisti e i giornalisti, con qualche rara eccezione. Oggi è la finanza che trascina con sé la politica e assieme impongono la visione o paradigma liberista anche alla scienza. Questo allineamento omologante di tutti i protagonisti della strutturazione delle relazioni sociali, economiche e culturali rende integraliste le nostre società composte da una moltitudine di homo economicus che ha come unico valore il denaro. Il paradigma neoliberista, il mito della funzione di riserva di valore del denaro imposto come normalità, come verità assoluta e pertanto incontestabile è frutto di una rivoluzione. Una rivoluzione non cruenta ma che persegue gli stessi esiti della violenza: imporre una relazione di dominio di pochi ricchi sulla base sterminata dei poveri. Un’operazione che doveva risultare impossibile nei paesi che si pretendono democratici dove le decisioni vengono prese a maggioranza. L’ostacolo è stato aggirato togliendo il potere di iniziativa alla politica per assegnarlo alla finanza. Una rivoluzione partita con la deregulation e l’edonismo reaganiano distribuendo l’illusione della possibilità di arricchimento per tutti per avere consenso. Oggi è evidente a tutti che avviene il contrario pertanto occorre dare inizio ad una nuova rivoluzione per riprendersi l’iniziativa. Per iniziativa intendiamo la facoltà di impegnare l’avversario sui punti dove è più vulnerabile, chi subisce l’iniziativa è costretto ad una postura difensiva volta a limitare i danni.
Il capitalismo è un metodo di usare un mezzo: il denaro. Un mezzo socialmente pericoloso quindi richiede particolare cautela nell’usarlo. Partendo dallo stesso punto si possono percorrere strade che portano a risultati completamente diversi: il capitalismo selvaggio delle origini, il capitalismo dal volto umano dopo la seconda guerra mondiale, il capitalismo socialdemocratico e il capitalismo finanziario neoliberista che domina l’inizio del nuovo millennio. Il punto dirimente sta nel libero arbitrio umano che può propendere per il vizio o per la virtù. Per non farsi male conviene cercare dei legami-valori che impediscono la sopraffazione e alla lunga sono convenienti per tutti. Certo che la tentazione di imboccare una qualche scorciatoia può essere individualmente conveniente, una volta acquisito un qualche vantaggio, sappiamo che l’appetito viene mangiando, fino ad arrivare alle mostruose ingiustizie odierne. Il nuovo ordine neoliberista si è sviluppato dall’inizio del nuovo millennio, vent’anni che hanno determinato una svolta in direzione della rassegnazione al declino. Siamo ancora in tempo a rovesciare questo ciclo negativo per riprendere un percorso ascendente della nostra civiltà. Stiamo vivendo una fase di transizione, con regole vecchie che sono solo d’intralcio alla gestione della nuova situazione che si sta delineando a livello globale. Mancano regole nuove adeguate a questa nuova situazione e cerca di approfittarne chi ha la disponibilità dei flussi finanziari che consentono il controllo anche dei mezzi militari. Questi non si fanno scrupoli a provocare calamità come pandemie o guerre pur di mantenere la loro egemonia. Contro questi egoismi deve mobilitarsi l’umanità esprimendo la volontà di perseguire un futuro migliore di pace, cooperazione e prosperità, obbiettivo comune a tutti i popoli che fanno parte della comunità globale.
La logica che sorregge un sistema economico a capitalismo finanziario neoliberista è perseguire come fine ultimo l’aumento della quantità di denaro inutilizzato al quale è riconosciuta la funzione di riserva di valore. Il capitalismo se si tratta di incrementare la quantità ha dimostrato di essere efficace ma non riesce a tenere sotto controllo l’egoismo dei singoli individui anzi li stimola, e per questo si autodefinisce liberista. Complessivamente questo sistema contribuisce alla fiducia nel denaro e questo può essere un aspetto positivo in una fase dove la crescita è un valore e richiede anticipi per accelerare i tempi. L’anticipo viene concesso all’imprenditore e da questo ai lavoratori dipendenti e ai fornitori di beni servizi, in ultima analisi si tratta sempre di lavoro. La funzione dell’anticipo è di consentire i mezzi di sostentamento per chi partecipa al processo produttivo di un prodotto che troverà valore al momento in cui arriverà sul mercato e andrà a coprire il profitto dell’imprenditore e il valore degli anticipi distribuiti ai fornitori e ai lavoratori che sono anche consumatori. Appare evidente che la funzione di anticipo la svolge il lavoro che dà valore al falso anticipo. L’altra evidenza è che il lavoro non è una merce ma il mezzo onesto per procacciarsi da vivere. Questo, è il fine di tutta l’attività economica, e non l’accumulo di abnormi quantità di denaro inutilizzato ottenuto considerando un anticipo di ricchezza quello che era solo l’uso di cartamoneta creata dal nulla per fini contabili. Questo procedimento viene ammorbidito da un susseguirsi di scambi che dopo il primo passaggio vedono delle transazioni di denaro non più frutto di anticipo ma di risultati concreti derivanti dalla monetizzazione di prodotti fatti affluire sul mercato. Questo consente la rateizzazione della restituzione dell’anticipo in più cicli consecutivi ma impone anche quella frenesia di risultati che diventa mancanza di scrupoli o aggressività nei confronti dei nostri simili. È così che apparentemente la disponibilità della finanza può sembrare illimitata, un meccanismo infernale che una volta che ha sottomesso il potere politico può contare sul sostegno delle istituzioni per penalizzare sempre di più il lavoro pur di mantenere una solo apparente ragione di esistere. Deve crescere se no crolla ma il crollo è inevitabile se non si cambiano le regole. Quando eravamo nel pieno della crisi finanziaria del 2007, tutti i politici a cominciare dal presidente americano hanno ammesso che la struttura della nostra società, dominata dalla finanza speculativa, è in serio pericolo di crollo ed avevano indicato come via d’uscita il trasferimento delle risorse, che ora vengono divorate dalla finanza, all’economia produttiva, a chi lavora. Avevano detto che continuando sull’attuale direzione la crisi si sarebbe ripresentata con cicli più brevi e conseguenze più gravi, fino ad arrivare ad un crollo inevitabile. Poi i provvedimenti presi sono andati nella direzione opposta, prelevando ulteriori risorse da chi lavora per darne la disponibilità alla finanza tanto che possa tirare avanti, almeno fino alla prossima crisi. La giustificazione del presidente americano è stata “la condotta dei grandi gruppi finanziari va considerata riprovevole sotto il profilo etico, ma dal punto di vista legale non si può imputare loro nulla”. Questa affermazione ci dice che è lecito per i governi legalizzare dei comportamenti che negano i diritti fondamentali dei cittadini alla libertà, alla sicurezza e alla felicità. Le leggi che rendono lecito un tale comportamento sono state emanate dai politici statali su pressione dei grandi gruppi che controllano la finanza globale.
Per facilitare gli scambi e non dover tornare al baratto la ricchezza reale deve avere un corrispettivo in carta monetata, un semplice strumento contabile che non dovrebbe diventare il fine assoluto oggetto di culto idolatrico: “la separazione dell’ombra dal corpo e l’istaurazione di un mercato dell’ombra” era stato definito da Sismondi agli albori del capitalismo. Basterebbe stabilire una scadenza per il denaro e sarebbero garantiti i meriti dovuti alle diverse capacità individuali ma nello stesso tempo non ci sarebbe spazio per le grandi concentrazioni di denaro e potere che sempre sono una minaccia per la libertà e la giustizia.
Se l’umanità è entrata in una fase dove la quantità di risorse non è più un problema continuare a stimolare la crescita crea solo problemi sociali e ambientali. Dobbiamo passare dall’inseguire la crescita a perseguire relazioni che puntino ad una più equa distribuzione della ricchezza con uno spirito di cooperazione al posto della conflittualità. Smantellare quegli strumenti istituzionali che erano funzionali ad una crescita illimitata e una voracità pure illimitata degli aspiranti dominatori attuali, sostituendoli con altri che incentivino quella moderazione che consente il rispetto del diritto dei nostri simili ai nostri stessi diritti, come avvenuto per i diritti civili e politici.
La funzione di riserva di valore del denaro deve essere sottoposta ad un limite, ad una scadenza. I più bravi ne avranno di più ma lo devono spendere, lo devono rimettere in circolo all’interno dell’economia reale se no si perde. Questo porterebbe alla moderazione nella bramosia di denaro. Solo così il denaro tornerebbe ad avere un ruolo positivo, al servizio dell’umanità, un mezzo per facilitare gli scambi commerciali. Se il denaro diventa il mezzo per procurarsi altro denaro, senza limiti, senza neanche la possibilità di utilizzarlo, non può avere altra ragione di esistere che quella di diventare potere politico. Ma è usato contro l’umanità e contro l’ambiente. L’inquinamento degrada l’ambiente, il denaro è arraffato dalla finanza predatoria e diventa sempre più importante per chi non ne ha. È così che si alimenta la fede nella funzione di riserva di valore del denaro. Kissinger a Davos 2022 ha dichiarato “col controllo sul cibo si dominano i popoli, col controllo sulle fonti di energia si dominano le nazioni, col controllo sul denaro si domina il mondo”.
Passata l’onda della rivoluzione neoliberista dobbiamo perseguire un nuovo ciclo in contro tendenza che riporti la società sulla via della solidarietà, cooperazione e coesione per affrontare i temi dell’emergenza ambientale in un contesto di relazioni globali possibilmente pacifiche. Grazie all’uguaglianza dei diritti politici conquistata nel secolo scorso possiamo procedere a questa rivoluzione senza ricorso alla violenza. Si tratta di perseguire l’uguaglianza anche per i diritti sociali ed economici. Le istituzioni democratiche devono rivendicare la facoltà di intervenire nella sfera istituzionale economica che le teorie liberiste hanno portato sull’orlo del baratro.
Coloro che vengono premiati da questo sistema sono così pochi che non possono essere considerati il problema. Il problema è dato da politica, scienza e informazione che accettano di divulgare il pensiero unico in cambio di piccoli privilegi economici e in declino. La potenza dei dominatori sta nel “dividi ed impera” riferito ai dominati. Le forze contrapposte denotano una tale sproporzione numerica che ci porta nel campo dell’assurdo, basterebbe esprimere un consenso diffuso alla volontà di cambiare che ai dominatori non resterebbe che dileguarsi. Così è sempre stato, anche se nei tempi passati era necessario un inizio violento, una scintilla che desse inizio al cambiamento. Oggi anche questa scintilla si può evitare, per questo esiste il potente apparato di divulgazione del pensiero unico, per assopire l’aspirazione ad un futuro migliore. Gli uomini sono tutti per metà buoni e per metà cattivi è la nostra natura dobbiamo accettarla. Non si ottengono risultati predicando il bene agli uomini. La politica, visto che la democrazia ce lo consente, deve agire sui mezzi, sulle istituzioni come avvenuto per la nobiltà e per la monarchia in campo politico, o per i monopoli e i latifondi in campo economico. L’istituzione che oggi giustifica le ingiustizie, le guerre, l’inquinamento è la funzione di riserva di valore attribuita al denaro. Ne consegue una conflittualità per scalare la piramide del potere che è ritornato ad essere un tutt’uno politico-finanziario, e non accetta limiti prestabiliti. Il potere del denaro in questa visione è per sempre nel tempo e illimitato nella quantità. È questa visione che non può conoscere la moderazione necessaria per poter coesistere pacificamente coi nostri simili, cioè riconoscere agli altri i diritti che pretendiamo per noi. L’uso buono o cattivo che facciamo di questo mezzo, dipende dalla nostra volontà, se siamo in grado di trasmetterla alle istituzioni politiche che deleghiamo alla strutturazione della nostra società. Se questo non avviene la responsabilità può essere o dei delegati o dei deleganti o di entrambi. Questo significa che è il nostro metodo democratico che deve essere rivisto perché così come è non tutela gli interessi dei cittadini. La democrazia fa parte del catalogo di sistemi di governo che nel corso del tempo si sono alternati come metodi di gestione delle comunità umane. In teoria dovrebbe essere quella che ha più possibilità di implementare i principi universali di giustizia ed uguaglianza in quanto non esclude nessuno dalle decisioni politiche ma fino ad oggi non c’è mai riuscita, forse perché la qualità della democrazia dipende dalla qualità dei cittadini. Gli ideali di libertà e di giustizia che per tramutarsi in democrazia devono essere accettati e distribuiti secondo una logica egualitaria si scontrano con un altro elemento costitutivo delle relazioni umane: il potere. Il potere può essere politico e economico e per esplicarsi deve essere per aspetti limitati ma significanti, esclusivo. Tra il potere e chi vi è sottoposto una qualche forma di tensione c’è sempre sia all’interno della sfera politica che economica come tra le due sfere che si contendono la guida della società. Saper dosare questa disuguaglianza che sempre deve esistere per l’esistenza di qualsiasi forma di potere è la condizione per l’esistenza della democrazia. La libertà che per la democrazia è un suo sinonimo ha un solo limite la libertà degli altri, facile a dirsi ma per essere digerita deve esserci una crescita culturale come cittadini che regolarmente viene posta in secondo piano rispetto agli egoismi individuali che se soddisfatti procurano i piaceri della vita di chi si vede attribuito una qualche forma di potere. Per questo la democrazia nel corso della storia è nata e morta più volte. Atene, Roma repubblicana, i Comuni italiani del tardo Medio Evo, le città stato anseatiche del nord Europa, gli eventi rivoluzionari del Cinquecento in Germania, del Seicento in Inghilterra, del Settecento e Ottocento in Francia sono i momenti in cui il progresso delle relazioni tra umani si è espresso o ha tentato di esprimersi in forma democratica. Complessivamente sono brevi periodi inframmezzati da lunghi periodi dove hanno prevalso sistemi alternativi. Non esiste una correlazione tra questi periodi nel senso di una evoluzione del metodo democratico. La democrazia nasce da condizioni facilitanti che si vengono a creare all’interno di una società e scompare quando queste condizioni vengono a mancare. Le dimensioni della società e le aspettative, le paure, le necessità o le opportunità materiali degli individui possono spingere in direzione della democrazia o decretarne la fine. Un percorso senza fine che non ammette l’immobilità, o avanza guadagnando spazio per la coesione sociale o regredisce lasciando spazio agli egoismi individuali.
Se accettiamo che non possa esserci un’esistenza umana senza un sistema di relazioni coi propri simili, il giudizio, positivo o negativo, sul comportamento umano dipende dal prevalere dei sentimenti di cooperazione o di sopraffazione. Il risultato del divenire della storia, come sistema di relazioni, è il livello di civiltà raggiunto da una società, è la possibilità di una pacifica convivenza che per essere liberamente accettata da tutti deve tendere al rispetto dei principi universali di giustizia ed uguaglianza. Questa è la via del progresso o della perfettibilità che conviene a tutti seguire pur avendo ben chiaro che la perfezione non potrà mai essere raggiunta, non è di questo mondo. Ma questa limitazione offre un maggior grado di libertà o di libero arbitrio che non potremmo avere se il nostro percorso avesse un traguardo prestabilito, una verità data. Quello che possiamo fare è di migliorare le relazioni coi nostri simili e sembra esserci una spinta in questo senso che viene da dentro di noi, dal nostro profondo essere umano, se no non si spiegherebbero i progressi che hanno portato a regole per il contenimento degli egoismi individuali e degli istinti di sopraffazione per quel che riguarda i diritti politici. Ma il nemico più tenace per i singoli molte volte sono state e tuttora sono le istituzioni delle società di appartenenza che quasi sempre, per amministrare il potere devono innanzi tutto preoccuparsi di conservarlo, e passano dalla funzione di garanzia dei diritti a quella di tutela dei soprusi. Non sfugge a questa deriva l’impalcatura giuridica delle nostre società democratiche che si pretendono le più garantiste dei diritti dell’uomo mentre in realtà non siamo assolutamente artefici del nostro destino. La nostra è l’epoca del dominio del virtuale sul reale: il valore del denaro, il potere della finanza, le multinazionali, le società di capitali, l’intelligenza artificiale, la rivoluzione digitale, il martellamento dei mezzi d’informazione o disinformazione sono in grado di manipolare come vogliono l’immagine della realtà proposta all’individuo. Questo ormai è costretto ad attingere quasi esclusivamente a questi strumenti per comunicare con la realtà nell’illusione di avere un campo d’azione sconfinato. Sono incentivate le espressioni di individualismo più esasperato, senza limiti nell’arricchimento, nei consumi, nei costumi. Sono le nuove libertà di tatuarsi, di coprirsi di piercing, di cambiare sesso, di nuovi metodi di procreazione, dell’uso di tranquillanti o di eccitanti, di narcotici che svalutano la libertà di vivere umanamente. Poi questi comportamenti individuali confluiscono in fenomeni sociali di arrampicamento e consumismo, che diventano la normalità per una moltitudine di individui resi incapaci di condivisione e di coesione con un impoverimento culturale funzionale allo status di dominato. Aspirare ad un futuro migliore e rifiutare la rassegnazione al declino diventa un valore solo se condiviso assumendo una dimensione politica in grado di determinare le relazioni tra i vari gruppi sociali organizzati in società. La sensibilità che porta ad un rifiuto delle ingiustizie che determinano sofferenze e morte per mancanza di cibo e acqua, per guerre, pandemie pilotate e disastri ambientali è relegata a livello meramente individuale, cioè non politico e pertanto ininfluente nelle decisioni che dovrebbero esprimere la sovranità del popolo nei paesi a democrazia avanzata come si pretendono i paesi occidentali. Se la nostra civiltà riuscirà a salvarsi da una guerra nucleare o da disastri ecologici verrà il giorno in cui dovremo vergognarci dell’infimo livello toccato dalle relazioni tra umani nella nostra epoca. Tutta la strabiliante potenza economica della nostra epoca va a beneficiare figure virtuali: società di capitali, multinazionali, finanza. Tutta la strabiliante potenza militare e tecnologica deve imporre questo sistema all’umanità. Il rovescio della medaglia è un impoverimento economico e culturale dei comuni mortali.
In una società che continua a pretendersi democratica, la divisione in dominati e dominatori non è ammissibile, non deve essere oggetto di discussione. Pur essendo insostenibile, l’assurda spartizione della ricchezza con un 1% sempre più ricco e un 99% sempre più povero, non è mai oggetto di analisi da parte dei media che contano, che sono in grado di raggiungere e condizionare i cittadini. La politica si occupa di banalità per infastidire i cittadini mentre tralascia le questioni fondamentali come guerra o pace, e le eccessive disuguaglianze nella distribuzione della ricchezza. È un potere politico rivolto solo verso il basso che diventa sempre più autoritario mentre ha rinunciato ad ogni parvenza di sovranità nei confronti dei dominatori occulti della finanza. Le relazioni sociali che determinano le condizioni di vita presenti e quelle per i prossimi 40 anni, sono già stabilite. Anche chi ancora non è nato dovrà sentirsi vincolato a pagare i debiti, inestinguibili, sottoscritti dai nostri politici. Ma qualcosa deve essersi inceppato, la libertà non esiste più per la mancanza di possibilità di scegliere un’alternativa, il benessere materiale è sostituito dall’impoverimento generale, l’aspettativa di un futuro migliore è sostituito dalla rassegnazione al declino. Per tirare avanti il sistema dominante, ma traballante, ormai deve ricorrere a continue emergenze, forme di ricatto che hanno per oggetto la sicurezza dei cittadini. La “provvidenza” sembra venire in aiuto ai dominatori e ai loro sacerdoti prima con la pandemia, poi “un atto di follia di un pazzo criminale” che vede un inusuale unanimità dei politici dei paesi occidentali entusiasti di entrare in guerra, sicuri di rappresentare la volontà dei loro cittadini. Per mantenere la rassegnazione ad accettare lo status di dominati, l’ultimo aspetto da mettere sotto torchio, dopo la libertà e la felicità o benessere materiale, rimane per i dominatori la gestione della sicurezza o del diritto alla vita: si va delineando un nuovo status di degenti strutturali, che si aggiunge a quella di lavoratore, consumatore e risparmiatore, ma sempre indigente cioè bisognoso di credito o di tutela calati dall’alto. Bisognosi di cure che costano e richiedono nuovi debiti. Le questioni di guerra e pace e le relazioni internazionali in generale non sono mai state sottoposte a consultazioni democratiche. Per questo la potenza militare è facilmente utilizzabile per smantellare ogni possibilità di resistenza alla volontà dei dominatori. Dopo la pandemia è la guerra, il rischio di una guerra nucleare, che deve terrorizzare l’opinione pubblica.
La sfida per la politica non dovrebbe essere di far sopravvivere un sistema che presenta delle crepe irreparabili, ma di sondare la possibilità di una strada alternativa, che esiste sempre. La politica deve tornare a fare il suo mestiere, rendere realizzabile l’aspirazione ad un futuro migliore. Il diritto alla vita, richiede un ambiente in condizioni di salubrità e relazioni pacifiche coi nostri simili. Sono beni pubblici che dovrebbero essere tutelati e anche imposti dal potere politico indirizzando il progresso tecnico scientifico a rispondere a queste necessità. Anziché disquisire di guerra tradizionale o nucleare si dovrebbe parlare di disarmo globale, di proibire le armi chimiche e batteriologiche che hanno prodotto la pandemia. Nessuna seria iniziativa viene presa in questa direzione. Le uniche cure che il sistema capitalista, liberista e finanziario può prescrivere sono ulteriori iniezioni di denaro andando a incrementare ulteriormente l’indebitamento. La strada è spianata dall’implementazione del pensiero unico tanto che anche i partitini antisistema premono per aumentare il debito pubblico, inveivano contro l’EU quando proponeva il pareggio di bilancio. Fino a qualche mese fa tutti i governi predicavano la necessità di diminuire i servizi pur di diminuire il debito che soffocava l’economia, ora si parla di prendere a prestito migliaia di miliardi per salvare l’economia e la vita. Da dove arriva questo anticipo di ricchezza virtuale? Da un’entità esterna che non compare tra le istituzioni previste dalle costituzioni democratiche. Si può attingere solo dalla presunta illimitata disponibilità della finanza, ma che ha un costo che sta diventando soffocante. Questa disponibilità è l’applicazione delle condizioni imposte dalle agenzie di rating ai governi e da questi ai loro cittadini lavoratori. La ricchezza si produce solo col lavoro e può essere prelevata solo dal lavoro.