Minima Cardiniana 429/6

Domenica 30 luglio 2023, San Pietro Crisologo

GUERRA O PACE
NON LASCIAMO CHE GOVERNI E MULTINAZIONALI SCELGANO PER NOI
di Valeria Poletti
Sono stati i russi e gli ucraini a scegliere di combattere gli uni contro gli altri?
Sono stati i cittadini ucraini ad infiammare il loro Paese e spingerlo alla guerra civile, preludio alla guerra in corso?
Sono stati i cittadini russi a decidere l’invasione dell’Ucraina?
Saremo noi a determinare le condizioni per l’allargamento del conflitto in Europa?
“Almeno 30 milioni di russi si oppongono alla guerra” sottotitola un articolo di Novaya Gazeta Europe del 4 maggio 2023 riportando i risultati di un’indagine statistica dell’agenzia indipendente ExtremeScan. Leggiamo nell’articolo che “l’estate scorsa [2022], il 75% degli oppositori della guerra pensava che si dovrebbe essere autorizzati a criticare la “operazione militare speciale” nel Paese. Ma non possono, infatti, esprimere la propria opinione: il 60% a maggio 2022 e il 73% a luglio 2022 riteneva pericoloso parlare pubblicamente contro la guerra, e avevano ragione. Il governo risponde con una brutale repressione alle critiche anche indirette e non pubbliche. Nel frattempo, il 58% dei sostenitori della guerra approva l’odierna persecuzione penale dei cittadini che hanno pubblicamente condannato l’‘operazione militare speciale’. Da allora, le autorità russe sono riuscite ad avere ancora più successo nel seminare la paura in coloro che non erano d’accordo con la linea del partito aumentando la censura, introducendo più repressioni e incarcerando in modo esemplare coloro che si opponevano. (…) Secondo le loro stesse valutazioni, la situazione finanziaria delle persone in questo gruppo è peggiorata molto più di quella dei sostenitori della guerra: 72% contro 35%. Vengono licenziati in massa per non essere leali, soprattutto quando si tratta di professioni con un incarico pubblico. Insegnanti e professori vengono perseguitati. (…) Le persone che si oppongono alla guerra hanno perso il loro futuro e si trovano in un vicolo cieco esistenziale. (…) In Russia, gli attivisti continuano il loro lavoro disinteressato: la contro-propaganda è condivisa su tutti i canali possibili, ci sono state manifestazioni contro la guerra e singoli picchetti nei primi mesi di guerra che hanno portato alla detenzione di migliaia di persone, stanno sostenendo i prigionieri politici, coscritti e soldati mobilitati, c’è un’intera rete di volontari che aiuta i rifugiati ucraini, viene gestito il finanziamento riservato delle attività contro la guerra, vengono effettuati sabotaggi in diverse forme e così via. Ma in generale, centinaia di migliaia e milioni di russi che sono categoricamente contrari alla guerra non scendono in piazza. (…) [Ma] non si può dimenticare che stiamo parlando di 30 milioni di russi socialmente attivi e più istruiti, il 70% dei quali ha meno di 49 anni”[1].
Riccardo Michelucci, su Avvenire dell’anno precedente (11 maggio 2022), riferisce che “Dalla prima metà di aprile – secondo le stime del Cit – dal 20 al 40% dei soldati che avevano preso parte alle operazioni militari a Kiev, a Chernihiv e a Sumy hanno cercato di disertare rifiutandosi di continuare la guerra. (…) Raccontare le diserzioni all’interno delle truppe russe resta assai difficile. Le dimensioni del fenomeno emergono dall’incessante lavoro degli avvocati, delle organizzazioni per i diritti umani e dei giornalisti investigativi che sono spesso costretti ad andarsene dalla Russia per motivi di sicurezza”[2].
Nonostante la sistematica autocensura della nostra stampa, i resoconti e testimonianze riguardo al dissenso e all’opposizione attiva, alla renitenza e alla diserzione sui due fronti della guerra sono tantissimi sul web (a volerli cercare!). E, nonostante l’intensa propaganda bellicista che martella le popolazioni in Russia come in Ucraina, in entrambe i Paesi cresce l’opposizione alle scelte di guerra dei rispettivi governi, quello dell’aggressore russo come quello dell’aggredito ucraino che, sobillato dal santo protettore statunitense, già ad aprile 2022 aveva ritrattato l’accordo quasi raggiunto per mettere fine alla guerra[3].
Dall’inizio della guerra, il 24 febbraio 2022, al 19 giugno 2023, secondo le statistiche pubblicate dall’UNHCR, 6.303.500 ucraini hanno lasciato il loro Paese e ottenuto lo statuto di rifugiati o conseguito altre forme di asilo in Paesi europei ed extra-europei[4]. Per quanto sappiamo (e abbiamo visto con i nostri occhi nelle nostre città) una prima ondata di profughi era costituita da borghesi benestanti che hanno raggiunto l’Europa dell’Ovest con l’intenzione di mettere al sicuro beni e denari, mentre una grande parte di questi milioni di rifugiati, invece, privi dei mezzi economici necessari ad arrivare nella “ricca” Europa, si sono fermati nei Paesi vicini. Si tratta certamente di famiglie con bambini, ma anche di grandi numeri di renitenti alla leva e disertori della prima ora. È solamente un indizio di un diffuso dissenso verso le politiche della “guerra fino alla vittoria” del presidente Zelensky?
Molti, come Taras Bilous, storico ucraino, attivista del locale Movimento Sociale e redattore di Commons: Journal of Social Critique, pur riconoscendo la natura reazionaria in politica estera e interna del governo ucraino, si sono comunque arruolati nelle Forze di Difesa Territoriale dell’Ucraina. Bilous dice di avere preso questa decisione perché considera il regime putiniano ancora peggiore del proprio[5] e sostenendo che, quindi, l’Ucraina stava combattendo una guerra di liberazione popolare. Questo nonostante riconoscesse che, in una diversa situazione, sarebbe stato più opportuno condurre una lotta partigiana indipendente [dal proprio governo]. Pu senza sottolineare l’evidente contraddizione, va detto che stiamo parlando di una figura, Bilous, che ha gli strumenti per dare voce alle sue posizioni. Ma come dobbiamo intendere la defezione dei tanti che non hanno voce[6]?
Si tratta di quei tanti che non si erano lasciati ingannare e non avevano aderito alle manifestazioni del 2004 che avevano dato avvio al colpo di Stato di EuroMaidan e alla conseguente guerra civile[7].
Di quei tanti che, convinti dalla sua campagna elettorale centrata su slogan che promettevano lotta alla corruzione e impegno per la pace nel Donbass (attraversato, dal 2014, da una guerra civile che ha fatto migliaia di morti) avevano decretato la vittoria elettorale di Zelensky[8] nel 2019, ma che meno di un anno più tardi riserveranno una bruciante sconfitta al suo partito alle elezioni amministrative. Di quei tanti, cioè, che, dopo aver sostenuto l’attuale presidente con un 73% di voti in tutto il Paese nel 2019, nell’ottobre 2021 hanno fatto crollare le statistiche di quanti approvavano l’operato del governo ad un 28,2% nelle sole regioni centro-orientali (escluso, dunque, il Donbass – che costituisce il 13% della popolazione ucraina – chiaramente contrario alle politiche del governo centrale)[9]. Di quei tanti, cioè, disingannati[10] dalla provata corruzione del loro leader, dallo stato di impoverimento e dalla restrizione dei diritti dei lavoratori, nonché dalla prosecuzione delle operazioni armate nel Donbass alla base della guerra civile in corso dal 2014.
Di quei tanti, infine, che, nelle regioni del sud-est, hanno subito la guerra intrappolati tra le milizie o i corpi speciali ucraini e i gruppi militari locali sostenuti tanto da oligarchi locali quanto dal regime di Putin.
Nonostante l’inaspettata invasione del 24 febbraio 2022 da parte dell’esercito russo abbia (comprensibilmente) fatto schizzare il consenso al presidente Zelensky, che si è ed è stato presentato in Occidente come il coraggioso difensore non solamente dei confini di Stato, ma soprattutto di un popolo aggredito da una potenza esterna, ad uno stellare 90% (tra i residenti delle regioni centro-occidentali), tra quei tanti dobbiamo ora segnalare quei “pochi” che, fino dall’inizio, hanno scelto e dichiarato di condurre una lotta partigiana indipendente (secondo la definizione di Taras Bilou) contro le truppe di invasione identificando la radice del conflitto nella contrapposizione tra NATO-Stati Uniti e Russia o, più semplicemente, rifiutando di prendere parte alla carneficina bellica. Tra loro i rappresentanti del Movimento Pacifista Ucraino (UPM). La sinistra, in Ucraina come in Occidente, invece, si è divisa: il movimento femminista[11] si è dichiarato favorevole alla prosecuzione della guerra fino alla vittoria o, quanto meno, all’invio di armi dai Paesi occidentali, socialisti ed anarchici hanno assunto posizioni anche tra loro incompatibili. Ma la sinistra ucraina ha subito una ondata di repressione di tale ampiezza e intensità da escluderla da ogni possibile attività politica e da isolarla completamente dal dibattito pubblico[12].
Una delle voci più consapevoli della sinistra ucraina, Yuliy Dubovyk (che attualmente vive negli Stati Uniti mantenendo una stretta relazione con gli attivisti nel suo paese), scrive: “Anche se non ho mai pensato che una guerra con la Russia fosse possibile, io e molti altri ucraini siamo contrari all’adesione dell’Ucraina alla NATO e all’escalation delle tensioni con le repubbliche separatiste e Mosca. Qualsiasi ulteriore escalation da parte degli Stati Uniti in questo momento può solo portare a una guerra più ampia. (…) Penso assolutamente che sia un crimine in questo momento sostenere la spinta del governo degli Stati Uniti per la guerra, le sanzioni o un’ulteriore escalation delle tensioni in Ucraina”[13].
Ma dobbiamo anche, allo stato attuale delle cose, includere in “quei tanti” le migliaia di disertori[14], una consistente parte della popolazione che chiede “la fine della guerra a qualsiasi costo” oltre a quegli anonimi soldati che contestano i loro comandanti, rifiutano gli ordini di combattimento e filmano testimonianze di militari al fronte[15]. Masse che, con un Paese distrutto e toccate dalla morte di migliaia di giovani, si rendono conto che non sono i confini a dividere i popoli ma la vorace arroganza delle loro classi dirigenti.

Le origini del separatismo
Escludendo qui ogni analisi riguardo alle premesse e alle cause geopolitiche scatenanti della guerra in corso, interessa cominciare a tenere conto del sentire di una popolazione che questa divisione ha subito e che, nonostante l’accanimento delle élites a volerne sfruttare le diversità culturali e linguistiche per trarre profitto dall’una o dall’altra componente, ha vissuto in pace per decenni.
Interessa mettere in luce come l’Occidente ricco, promuovendo l’espansione del suo domino economico verso l’Est più povero, promuoveva quel “sogno europeo” che ha fatto la fortuna di pochi corrotti sfruttatori che hanno sacrificato lo sviluppo socio-economico e politico di un paese al proprio interesse privato, lasciando che l’Est rimanesse Est e il confine tra ricchezza e povertà rimanesse ben definito[16].
Dopo l’implosione dell’URSS, la transizione al modello capitalistico e l’apertura all’economia di mercato ha comportato, per la popolazione di tutta l’Ucraina, una caduta verticale degli standard di vita. Gli oligarchi, infatti, hanno accumulato capitali ingentissimi esportando le materie prime sottratte al controllo pubblico e desviluppando il paese. Tanto più hanno sofferto di questa deriva le popolazioni del più industrializzato e urbanizzato sud-est ucraino che, conseguentemente, hanno maturato una spesso forte nostalgia dei tempi dell’Unione Sovietica e una sempre maggiore aspirazione all’indipendenza da un governo centrale che ne ha frustrato le possibilità di sviluppo economico e di espressione politica.
In tempi di crisi economica e sociale, ripercussione del rapido processo di dissoluzione dell’URSS dopo il 1989, la privatizzazione delle risorse e del patrimonio industriale del paese da parte delle élites burocratiche locali ha portato al potere i cosiddetti oligarchi; formazioni separatiste di diverso orientamento e via via sostenute da alcuni nuovi potenti hanno cominciato a diffondersi e fare proseliti nelle regioni del Donbass.
“Il crollo sovietico del 1991 fu doloroso e disorientante per i 287 milioni di abitanti dell’URSS, ma colpì particolarmente duramente il Donbas. I legami economici con la Russia – ora [nazione] indipendente – iniziarono ad essere troncati, [così] la maggior parte dei benefici era svanita e minatori e lavoratori siderurgici un tempo benestanti si sono svegliati con una nuova realtà: il “capitalismo predatore” con inflazione galoppante, criminalità organizzata, corruzione e un totale riorientamento dell’ideologia da parte dello Stato”[17].
Già nel 1994, successivamente a importanti scioperi dei minatori “i consigli regionali di Donetsk e Luhansk hanno istituito un referendum, che ha posto ai residenti quattro domande: se l’Ucraina dovesse adottare una struttura federale; se la lingua russa dovesse avere uno status ufficiale; se il russo e l’ucraino dovessero essere usati allo stesso modo in contesti professionali, educativi e scientifici nelle regioni del Donbass e di Luhansk; e se l’Ucraina dovesse essere più strettamente integrata con la Comunità di Stati Indipendenti (CSI) post-sovietica. L’80-90% degli elettori ha risposto ‘sì’ a ciascuna domanda”[18]. L’esito del referendum è stato cassato dopo l’elezione di Leonid Kuchma alla presidenza dell’Ucraina in quello stesso anno.
Le controverse elezioni presidenziali del 2004, che vedevano contrapposti un candidato (Yanukovic) largamente vincente nelle regioni industrializzate e urbanizzate del sud-est e uno favorito nel centro-ovest (Yushenko), hanno portato all’avvio della Rivoluzione Arancione[19] e, in opposizione ad essa, riportato alla ribalta le aspirazioni separatiste. La maggioranza dei deputati del Donbass hanno chiesto l’appoggio di Putin al progetto di costituzione di una Repubblica autonoma del sud-est (doveva includere le regioni che avevano votato per Yanukovich: dalla Crimea a Luhansk)[20]. Mentre non nasce qui l’aspirazione indipendentista delle popolazioni del Donbass e del sud-est dell’Ucraina, comincia qui la contrapposizione sempre più accesa tra gli oligarchi del Donbass e quelli delle regioni centro-occidentali, portatori di differenti interessi economici e legati a diversi patrocini internazionali, russi ed europei.
La corruzione, endemica in Ucraina, ha appestato tutti i suoi governi provocando insoddisfazione e mortificazione negli elettori: ne è conseguito l’avvicendarsi al potere di leader e fazioni di volta in volta conformate agli interessi dell’Occidente o della Russia.
Victor Yanukovick vinse nuovamente le elezioni del 2010 e rimase in carica, con il favore dei deputati regionalisti, fino al 2014 quando venne defenestrato dalla cosiddetta “rivoluzione di EuroMaidan” condotta da esponenti filo-occidentali sponsorizzati dagli Stati Uniti[21] e attuata dai militanti dell’estrema destra ultranazionalista di Svoboda, Pravy Sektor e Spilna Prava con l’ausilio di milizie ingaggiate per avviare una efficace “strategia della tensione”[22]. Lo scarso consenso elettorale ottenuto da queste formazioni non ha loro impedito di diventare un fattore determinante nella vita pubblica condizionando, con la pratica della violenza e dell’intimidazione, larga parte della vita sociale.
In questo clima di emergenza, durante le partecipatissime proteste del febbraio 2014 a Sebastopoli[23], in Crimea[24], la folla rivendicava un’amministrazione parallela e squadre di protezione civile mentre inneggiava all’unione della regione alla Russia.
Sono fatti che hanno certamente rinfocolato il sentimento autonomista tra gli abitanti del Donbass e delle regioni a forte presenza di russi e russofoni che hanno immediatamente votato a stragrande maggioranza un referendum (illegale per la Costituzione ucraina) che chiedeva l’indipendenza, ma la svolta verso la contrapposizione violenta all’autorità centrale è stata organizzata e perseguita da milizie locali (nelle quali si sono arruolati anche molti civili) sostenute da oligarchi della regione, armate e finanziate dal Cremlino.
Tra gli altri, ne dà conto Pietro Orizio, collaboratore di Analisi Difesa, nel 2018 su Limes: “Come indicato dal gruppo di lavoro delle Nazioni Unite sui mercenari, nella guerra civile ucraina hanno partecipato diverse tipologie di combattenti: volontari con o senza addestramento, mercenari e soldati professionisti 28. Per quanto riguarda i foreign fighters lealisti [pro-Ucraina], essi provengono principalmente da Scandinavia, paesi baltici, Spagna e Polonia. Sul versante separatista, invece, da Russia, Serbia, Bielorussia e Ossezia, ma anche Francia e Italia. (…) Il bacino di reclutamento [per gli italiani] è costituito principalmente da gruppi neonazisti e fascisti (CasaPound, skinheads e Forza Nuova), nonché da frange violente delle tifoserie calcistiche. Non mancano, però, esponenti del versante opposto: militanti d’estrema sinistra e di un gruppo noto come Partito comunitarista europeo, a configurare una sorta di unione rosso-nera schierata con Putin. I militanti di sinistra ci tengono però a precisare di sentirsi in sintonia non con Putin, ma con l’Armata Rossa, contro il governo fascista di Porošenko e i suoi burattinai occidentali (NATO e UE)”[25].
La guerra civile che ne è derivata (nella quale hanno comunque giocato un ruolo i vertici statunitensi e russi) e che, a seguito della mancata applicazione degli accordi di Minsk e del tradimento delle promesse elettorali di Zelensky, è stato il presupposto dell’attuale conflitto armato che vede fronteggiarsi l’Ucraina, o meglio la NATO, e la Russia di Putin.
In questa tenaglia la popolazione del Donbass si è trovata ad essere ostaggio di due oligarchie contrapposte in una guerra che non avrebbe mai voluto si combattesse e gli ucraini tutti sono stati trasformati in vittime di un conflitto tra potenze, un olocausto offerto ad “nuovo ordine mondiale” che lo si voglia atlantista o euroasiatista.

Patriottismo e nazionalismo
Come era prevedibile, e, forse, come è naturale che avvenga, nonostante il coraggio di molti oppositori e l’alto numero di renitenti e disertori su entrambe i fronti, una volta partita l’invasione dell’Ucraina da parte dell’esercito russo, in entrambe i paesi la popolazione ha espresso approvazione senza condizioni tanto alla guerra di difesa dell’Ucraina quanto alla guerra di aggressione della Russia. La grandissima maggioranza degli ucraini nelle regioni centro-occidentali (le indagini statistiche non sono state condotte nel Donbass) si è stretta intorno al presidente Zelensky nel sostenere lo sforzo bellico. Il consenso interno verso la politica di Putin è cresciuto sensibilmente[26].
Anche considerando naturale l’inaspettata, spontanea e imponente reazione di massa degli ucraini all’invasione, non si può non sottolineare il ruolo dell’ingegneria ideologica messa in campo dalla propaganda: patriottismo e nazionalismo sfrenato hanno invaso le televisioni e i media in entrambe i paesi.
Patriottismo (come devozione all’identità culturale di un popolo) e nazionalismo (come esaltazione identitaria dell’appartenenza nazionale) sono sentimenti facilmente manipolabili per produrre una adesione ideologica alle politiche belliciste dei governi. Non stupisce quindi che, con l’avanzare della guerra e l’insistenza della propaganda, il consenso alla guerra dei cittadini di entrambe le parti sia notevolmente cresciuto[27].
Un consenso alimentato anche dalla martellante campagna tesa a far in modo che ognuno si identificasse con un complesso di valori contrapposti gli uni agli altri. Quelli della liberal-democrazia e delle regole del diritto internazionale da un lato, quello del conservatorismo russo e della sovranità statuale, “la spada e l’altare” dall’altro.

Confini, stati, geopolitica dei due blocchi
La guerra che c’è, due popolazioni, dall’una e dall’altra parte del fronte, non l’avrebbero mai voluta, ma sono costrette a combatterla. Dall’una e dall’altra parte i cittadini russi e ucraini, così come non hanno avuto la forza di impedire la guerra, non hanno la forza di imporre le trattative.
Il falso assunto che il conflitto riguardasse i confini tra due Stati ha privato entrambe le popolazioni della capacità politica di contrastare quelle classi dirigenti che questa guerra hanno scatenato per imporre ciascuna il proprio sistema economico-politico che ne garantiva la permanenza al potere. Si tratta di due dirigenze che si avvalgono, l’una e l’altra, del supporto e della partecipazione militare dell’estrema destra di stampo nazista. Di due sistemi politico-economici che di queste dirigenze hanno necessità per conservarsi e perdurare dentro lo stato di guerra permanente che garantisce l’“ordine mondiale” fondato sul neo-colonialismo per la rapina delle risorse, la diseguaglianza, la gerarchia tra chi fa le regole e chi le subisce, uno squilibrio di potere che si chiama “diritto internazionale” (per ora a leadership statunitense). Di un ordine internazionale che non prevede l’autodeterminazione dei popoli ma la “sicurezza” dei confini. Di un ordine, oltre tutto, in disgregazione che, in questa fase, sta provocando l’emergere di due blocchi contrapposti, quello atlantista campione della “democrazia” liberale e che mira tuttora alla governance globale, e quello euroasiatista per un mondo multipolare basato, una volta di più, sulla spartizione delle aree di influenza. Facendo salva l’ormai irrinunciabile interconnessione delle economie e il sistema di sfruttamento delle risorse naturali ed umane comune ai regimi dell’Occidente e delle potenze asiatiche.

Chi sta da che parte
Noi, cittadini europei, in tutto questo siamo, in teoria, chiamati a scegliere tra due blocchi come fossimo un giudice imparziale estraneo alla contesa, mentre, in pratica, i nostri governi ci hanno già portato ad essere parte integrante del conflitto e anche parte attiva nella guerra.
Scegliere, per le nostre classi dirigenti in politica, significa schierarsi con il blocco atlantista della NATO in una guerra che c’è, indipendentemente da come è cominciata: come riporta la Repubblica del 12 settembre 2023, la nostra presidente del Consiglio dichiara che il suo partito “sta con Kiev e con la NATO”[28] (dichiarazione che sarebbe legittima se non venisse estesa automaticamente al suo governo).
Per le nostre classi dirigenti nell’industria scegliere significa incrementare i profitti producendo per la NATO e per le sue guerre in corso e a venire: relazionando in merito all’incontro del Consiglio del Nord Atlantico (NAC) del giugno 2023, il Corriere della Sera ci informa che “gli alleati occidentali dell’Ucraina stanno studiando come continuare a inviare alle Forze armate di Kyiv le attrezzature militari necessarie per contrastare e respingere l’invasione della Russia. I governi europei hanno chiesto alle aziende della difesa di aumentare la produzione, ma da parte loro le aziende richiedono chiari segnali di domanda a lungo termine per giustificare gli investimenti in nuove capacità produttive, catene di approvvigionamento e personale”[29].
Dunque, noi dovremmo scegliere di stare dalla parte dell’Ucraina, cioè della NATO, per favorire il modello politico della democrazia liberista fondata su un novo modello di sviluppo guidato dagli interessi economici del complesso militare-industriale (l’industria della difesa)[30]. Dunque, dovremmo produrre per pagare i costi di questa e delle future guerre.
Né ai russi, né agli ucraini, né agli europei è stato chiesto di scegliere. Al punto che sull’invio delle armi in Ucraina il nostro governo ha posto il vincolo di segretezza e che, se qualcuno vuole avere informazione riguardo all’imponenza del riarmo e al dislocamento delle nostre truppe[31] pronte a intervenire nelle prossime fasi della guerra in Europa, se la deve andare a cercare.
La guerra è affare di chi tiene le redini del potere, mica di chi ha il morso in bocca!

Opinione o soggettività politica
I cittadini italiani, per esprimere il loro punto di vista, possono solamente confidare nelle statistiche!
Secondo l’ultimo sondaggio di Demopolis, accreditato da molti fonti giornalistiche, “Il 68% degli italiani teme il rischio di un’escalation nucleare e di un coinvolgimento dell’Europa. Un anno di conflitto sembra aver inciso sugli atteggiamenti dell’opinione pubblica nel nostro paese. Sull’invio di armi a Kiev prevale la contrarietà: condivide la scelta il 43%, il 48% la ritiene invece inopportuna. A dividersi trasversalmente sono anche gli elettorati di quasi tutti i partiti. Secondo il sondaggio Demopolis, è condivisa da oltre l’80% degli italiani la volontà di sostenere il popolo ucraino con aiuti economici e alla ricostruzione. Ma quasi 9 su 10 non accetterebbero un intervento diretto del nostro Paese in guerra”[32].
Anche se l’opinione non crea la pace, sembrerebbero dati incoraggianti per quella parte di italiani che, in diverse forme oltre che con diverse posizioni politiche (non necessariamente corrispondenti a convinzioni ideologiche), sono impegnati in organizzazioni pacifiste o contro la guerra o, con agire più concreto, si spendono nel promuovere l’obiettivo della fine della guerra.
Già, ma per opporsi alla prosecuzione della guerra occorre schierarsi. Non prendendo campo per uno dei due blocchi in conflitto che ne sono i responsabili, ma costruendo un fronte attivo contro il blocco del quale, contro la nostra volontà (e senza alcun dibattito parlamentare), siamo chiamati a far parte, quello occidentale egemonizzato dagli Stati Uniti, comandato dalla NATO, patrocinato dall’Unione Europea, disciplinato dai nostri governanti deputati a levare le armi in appoggio agli interessi della grande industria e delle multinazionali azzurre nella competizione internazionale.
I gruppi e i singoli manifestanti che in Russia si oppongono alla guerra di Putin non si appellano alla NATO perché fermi le truppe della sua “democrazia sovrana”[33]. I disertori, i renitenti, i pacifisti ucraini non invocano la NATO affinché agevoli con l’invio di armi la vittoria del regime di Kiev. Il “vecchio” e il “nuovo” “ordine mondiale” sono programmi dei vertici degli Stati, non le aspirazioni dei popoli e dei proletari.

Narcisismo ideologico
Alcuni gruppi, anti-NATO più che contro la guerra, spesso semplicemente per odio ideologico del dominio americano, auspicano la vittoria del fronte asiatista e fanno propaganda perché si prenda campo schierandosi con le contrapposte forze del “nuovo ordine mondiale” – cioè, in questa guerra, a favore di Putin e dei vertici statuali che lo sostengono – in nome di un “multipolarismo” che, non diversamente dall’imperialismo occidentale a guida USA, intende trasformare le frontiere in sbarre di innumerevoli prigioni per i “proletari di tutto il mondo”.
È estraneo a queste organizzazioni, il rispetto per il sentire e i diritti delle popolazioni soggette a regimi ultra-reazionari e per le lotte sociali che conducono.
Il “cartello” antiamericanista privilegia la vittoria di un blocco antiegemonico nella competizione geostrategica rispetto al superamento del sistema di dominazione capitalistico-imperialista.
Si tratta di una posizione che introduce un elemento di forte divisione in un movimento contro la guerra già debole e privo, a tutt’oggi e nel nostro Paese, di effettivo sostegno sociale: non tiene conto della necessità primaria di fermare l’estendersi della guerra – obiettivo condiviso da russi e ucraini, non certo dai loro governi, ma anche dalla maggioranza dei cittadini europei – e si pone fuori dalle istanze e dalla pratica dell’internazionalismo che è tema fondante della storia del movimento operaio.
La critica attiva alla guerra, alla militarizzazione e ad ogni forma di espansione neocoloniale non può essere dissociata dalla pratica internazionalista in difesa delle popolazioni che ne sono soggette e in sostegno dei movimenti rivoluzionari contro i regimi oppressivi, in qualunque “blocco” collocati.

Schierarsi
Predisporsi a cacciare le basi NATO dai nostri territori, a delegittimare la Commissione Europea, a paralizzare le disposizioni governative e danneggiare l’industria militare è una necessità in vista dell’estendersi della guerra permanente. Vuol dire fiaccare uno dei fronti della guerra, non delegare le nostre responsabilità nel costruire un fronte di pace.
Schierarsi, quindi, non significa collocarsi in uno dei due campi in conflitto: significa dissociarsi dalle politiche e dalle scelte (fatte in nostro nome ma senza il nostro mandato) dei nostri governi e, dunque, fare tutto il possibile per impedirne l’attuazione. Negare la delega a qualunque istituzione per trattative tra i blocchi (cosa che faranno con o senza il nostro consenso, ovviamente) che portino a “vittorie” dell’uno o dell’altro ponendo le premesse per nuovi conflitti e prenderci, invece, la responsabilità di rompere i fronti – in primo luogo quello nel quale i nostri governi e i loro mandanti ci hanno schierati – per costruire un fronte di pace internazionale in unità con tutti coloro (oppositori della guerra e/o dei propri governi guerrafondai, renitenti, disertori, pacifisti, popolazioni afflitte dal confronto in armi) per i quali la pace è un diritto dei popoli e da questi va costruita.
Riportare il movimento contro la guerra all’interno di un internazionalismo coerente con i suoi principi di emancipazione e solidarietà e fermare l’estendersi dei conflitti e la loro deflagrazione militare credo sia l’unico orizzonte per il quale valga la pena di “schierarsi”.
(www.valeriapoletti.com)

[1] Elena Koneva, Chronicles of the resistance: what we know about war opponents in Russia, 4 maggio 2023, https://novayagazeta.eu/articles/2023/05/04/chronicles-of-the-resistance-what-we-know-about-war-opponents-in-russia-en

[2] Riccardo Michelucci, Ucraina. Sabotaggi, diserzioni, proteste. Il malessere dei soldati russi , 11 maggio 2022, https://www.avvenire.it/opinioni/pagine/sabotaggi-diserzioni-proteste-il-malessere-dei-soldati-russi

[3] “Una bozza di trattato di pace tra Ucraina e Russia era stata concordata al 75 per cento ad aprile. Lo ha dichiarato il capo della delegazione russa ai colloqui con la parte ucraina, Vladimir Medinskij, a margine del Forum economico internazionale di San Pietroburgo. ‘Abbiamo intrattenuto a lungo intensi colloqui con la parte ucraina sui termini della soluzione post-crisi. Questi negoziati si sono conclusi il 15 aprile quando abbiamo consegnato alla parte ucraina una bozza di trattato concordata dai gruppi negoziali. Si era d’accordo al 75 per cento”, ha sottolineato Medinskij. (Agenzia Nova, Capo negoziatore russo: “Una bozza di trattato di pace con Kiev è stata concordata al 75% ad aprile”, 16 giugno 2022, https://www.agenzianova.com/news/il-ministro-della-difesa-ucraino-libereremo-tutti-i-nostri-territori-compresa-la-crimea/). “La leadership ucraina era pronta a risolvere il conflitto con la Russia, ma ha rinunciato sotto la pressione degli Stati Uniti. Lo ha detto il segretario del Consiglio di sicurezza russo Nikolai Patrushev. ‘Se non fosse stato per la pressione degli Stati Uniti su coloro che hanno messo a capo dell’Ucraina, questa situazione non si sarebbe verificata. Gli stessi leader ucraini erano pronti a firmare un accordo di pace e hanno presentato alla Russia proposte scritte che noi, in linea di principio, avremmo approvato’, ha dichiarato Patrushev, riferendosi ai negoziati tra le delegazioni russa e ucraina in Turchia nel marzo dello scorso anno [2022]”. (Redazione Adnkronos, Ucraina, Russia: “Senza pressioni Usa, Kiev avrebbe firmato accordo di pace”, 8 giugno 2023, https://www.adnkronos.com/ucraina-russia-senza-pressioni-usa-kiev-avrebbe-firmato-accordo-di-pace_cZFU0w4R6WsfAc1WEefcH?utm_medium=Social&utm_source=Twitter#Echobox=1686228178-1?refresh_ce). Cfr. anche: Ucraina-Russia: chi sono i negoziatori e quali gli scenari, 13 aprile 2022, https://www.ispionline.it/it/pubblicazione/ucraina-russia-chi-sono-i-negoziatori-e-quali-gli-scenari-34601

[4] https://data2.unhcr.org/en/situations/ukraine

[5] “L’Ucraina non è il Rojava, e possiamo elencare molte lamentele sulla politica interna ed estera di Volodymyr Zelensky. L’Ucraina non è nemmeno una classica democrazia liberale: qui, ogni nuovo presidente cerca di accumulare più potere possibile attraverso meccanismi informali, il parlamento approva leggi incostituzionali e i diritti e le libertà dei cittadini sono spesso violati. Anche durante la guerra, il governo ucraino ha approvato una legge che limita i diritti dei lavoratori. (…) Dopo il 2014, quando in Ucraina è diventato popolare etichettare Putin come fascista, ho criticato questo punto di vista. Ma negli ultimi anni il regime di Putin è diventato sempre più autoritario, conservatore e nazionalista e, dopo la sconfitta del movimento contro la guerra, ha raggiunto un nuovo livello. (…) In molti conflitti armati è giusto invocare la diplomazia e il compromesso. Spesso, in caso di conflitti etnici, gli internazionalisti non dovrebbero schierarsi. Ma questa guerra non è un caso del genere. A differenza della guerra del 2014 nel Donbas, che è stata complicata, la natura della guerra attuale è in realtà semplice. La Russia sta conducendo una guerra imperialista aggressiva; L’Ucraina sta conducendo una guerra di liberazione popolare”. (Taras Bilous, Self-Determination and the War in Ukraine, 4 maggio 2022, https://www.dissentmagazine.org/online_articles/self-determination-and-the-war-in-ukraine/). Estrapolando frasi dal più complesso tessuto di un articolo, si corre il rischio di trasmettere contenuti impropri o travisati: invito quindi a leggere il testo originale e trarne direttamente osservazioni e conclusioni.

[6] Nel 2015, il Partito Comunista è stato messo fuori legge in Ucraina, perché promuoveva il “separatismo”. Più recentemente, il 22 marzo, un mese dopo l’incursione russa, Zelenskyj ha messo al bando 11 partiti di opposizione per lo più di sinistra.

[7] Una serie di manifestazioni di protesta che hanno preso avvio nel novembre 2013 e che avevano origine dal malessere economico e sociale hanno rappresentato l’occasione per gruppi di estrema destra, nazionalisti e anche propriamente nazisti, per intervenire a deviare gli obiettivi delle dimostrazioni verso più generali istanze filo-europeiste, e nel corso dei tre mesi successivi e con la copertura e l’appoggio di operatori statunitensi, per provocare violenti scontri con la polizia e azioni armate che hanno portato, nel febbraio del 2014, alla estromissione del presidente Yanukhovic, alla caduta del governo. Tra i cambiamenti introdotti dal nuovo governo, l’abolizione della legge che riconosceva il russo come lingua regionale ufficiale.

[8] Nel secondo turno delle elezioni presidenziali, Zelenskyj ha vinto con il 73,22% dei voti contro il 24,45% di Poroshenko [tra i più corrotti governanti che l’Ucraina abbia mai avuto]. Zelensky ha vinto in ventitré dei ventiquattro oblast dell’Ucraina, un risultato senza precedenti per le elezioni presidenziali in Ucraina. Ha continuato il suo successo nelle elezioni parlamentari anticipate del 2019, in cui il suo partito Servo del popolo ha ottenuto una schiacciante vittoria e ha ricevuto una considerevole maggioranza parlamentare (254 deputati su 450) (cfr.: Oleh Haiko, The Future of Ukraine’s Political Consensus, 10 maggio 2023, https://www.wilsoncenter.org/blog-post/future-ukraines-political-consensus)

[9] Cfr.: Socio-Political Moods Of The Population Of Ukraine: The Results Of A Survey Conducted On October 25-29, 2021 By The Method Of Personal (“Face-To-Face”) Interviews (Kyiv
International Institute of Sociology, 2 novembre 2021, https://www.kiis.com.ua/?lang=eng&cat=reports&id=1069&page=1.

[10] “Nella primavera del 2019 uno showman si è trasformato in un politico, poi in uno statista. Il 73 per cento degli elettori che lo hanno sostenuto, (o che hanno votato contro la minaccia [dell’elezione di] Petro Poroshenko) nelle elezioni presidenziali, aveva una chiara serie di richieste di cambiamento: (1) trovare una soluzione alla guerra del Donbas, (2) frenare il prezzi in costante aumento senza pari dei servizi comunali e una crescita adeguata del reddito familiare e (3) rivedere le politiche culturali divisive. Anche se la piattaforma di Zelensky come candidato era, nel migliore dei casi, nebulosa, una cosa era chiarissima: qui c’era un uomo che era diverso in tutto e per tutto dalle orde affamate delle vecchie élite. (…) Con sorpresa del grande pubblico, il nome di Volodymyr Zelensky è [poi] apparso nell’elenco dei titolari di società offshore [dei Pandora Papers del International Consortium of Investigative Journalists, ndr]. I documenti testimoniano che Zelensky e i suoi partner (ora capi delle agenzie di sicurezza e parte del ramo esecutivo del governo) possedevano società offshore nelle Isole Vergini britanniche, a Cipro e in Belize. Queste società sono state utilizzate per ‘difendere i suoi affari in Ucraina’, ha ‘spiegato’ il presidente. Prima della campagna elettorale del 2019, Zelensky aveva ceduto il controllo delle sue azioni al suo attuale capo aiutante e capo del servizio di sicurezza del paese, ma la famiglia di Zelensky continua a “ricevere denaro dalle [operazioni commerciali] offshore” (Mykhailo Minakov, Just Like All the Others: The End of the Zelensky Alternative?, 2 novembre 2021, https://www.wilsoncenter.org/blog-post/just-all-others-end-zelensky-alternative).

[11] Cfr.: Francesco Brusa, Piero Maestri, Elisabetta Michielin, Ucraina, la lotta femminista non si ferma con la guerra, 19 luglio 2022, https://www.balcanicaucaso.org/aree/Ucraina/Ucraina-la-lotta-femminista-non-si-ferma-con-la-guerra-219387?fbclid=IwAR1m9H8utwDGtu6vF0cFkqJMuzL%E2%80%A6

[12] Cfr.: Maxis Goldarb, Ideological opponents of the Ukrainian government are waiting for prison or death, 4 maggio2023, https://www.wsws.org/en/articles/2023/05/05/mena-m05.html

[13] Yuliy Dubovyk, Ukrainian leftist criticizes Western war drive with Russia: US is using Ukraine as ‘cannon fodder’, 14 marzo 2022, https://geopoliticaleconomy.com/2022/03/14/ukrainian-leftist-war-russia-us/

[14] Per quanto non sia facile trovare dati pubblicati in inglese, sono tantissime le fonti dirette reperibili sui social. Tra le fonti “insospettabili” a stampa, un articolo della BBC dell’8 giugno 2023, Ukraine war: Deserters risk death fleeing to Romania, dà conto delle migliaia di renitenti e disertori che hanno passato la frontiera: “La polizia di frontiera ucraina ha recentemente riferito che arresta fino a 20 uomini al giorno. La BBC ha contattato le forze armate ucraine per un commento sui tassi di diserzione e renitenza alla leva. Ma secondo l’autorità rumena per l’immigrazione, 6.200 uomini ucraini in età militare hanno attraversato illegalmente il confine di 600 km (373 miglia) con la Romania dall’invasione su vasta scala della Russia lo scorso anno e hanno ottenuto protezione temporanea. Circa 20.000 altri sono arrivati lì legalmente, armati di esenzioni – a volte pagate, a volte no – e hanno scelto di non tornare. E secondo dati ucraini non ufficiali, 90 uomini sono morti durante il viaggio verso la Romania – annegati nel fiume Tisa o congelati in montagna – negli ultimi 15 mesi”. (https://www.bbc.com/news/world-europe-65792384). Il confine che vede il maggior numero di rifugiati è, comunque, quello con la Moldova.

[15] Un esempio: “Дезертирство на фронті” – Валерій Маркус Головний сержант 47 Бригади “Маґура” (https://www.youtube.com/watch?v=WbRiPmjOjhg). Si possono inserire sottotitoli in italiano.

[16] “Dall’Ucraina si emigra a causa di un’economia fragile e squilibrata. In effetti, la divisione tra parte occidentale, ucrainofona e culturalmente più vicina all’UE, e parte orientale, maggioritariamente russofona, vi è una frattura soprattutto economica oltre che etnica o politica. La zona occidentale, il “granaio del mondo”, è essenzialmente agricola e povera. La zona orientale, fortemente industrializzata, è più ricca. È dalle regioni, meno sviluppate e più povere, confinanti con i Paesi dell’UE, che emigrano donne e uomini ucraini che preferiscono lasciare il poco garantito dal lavoro nei campi con la speranza di trovare migliore occupazione nell’Unione Europea in modo da poter inviare le rimesse in patria per mantenere le famiglie. Le mete iniziali d’emigrazione sono la Polonia, l’Ungheria, la Bulgaria, la Turchia, e, soprattutto, l’Italia dove si entra prevalentemente con visti turistici e si rimane poi a tempo indeterminato. (…) Le donne ucraine [emigrate già prima della guerra] sono 176mila e rappresentano il 77,4% della comunità [ucraina] in Italia. Hanno un’età media di circa 45 anni: molto più alta della media degli altri gruppi immigrati. Sono in genere impiegate nei servizi, il 50% come colf o badanti e 20% nei settori del commercio e in quello alberghiero-ristorazione. Dall’Ucraina, perciò, si è emigrato in questi anni per motivi economici. I cittadini che hanno cercato fortuna all’estero provengono soprattutto dalle regioni povere occidentali, lontane dal Donbass e dai territori contesi tra truppe governative ucraine, milizie filorusse ed esercito di occupazione russo” (L’Ucraina e le migrazioni: uno sguardo storico per capire mutamenti e tensioni di oggi, 7 marzo 2022, https://www.ascs.it/lucraina-e-le-migrazioni/).

[17] Mansur Mirovalev, How Ukraine’s Donbas has ‘evolved’ under pro-Russia separatists, 22 aprile 2022, https://www.aljazeera.com/news/2022/4/22/reporters-notebook-how-donbas-evolved-under-separatists

[18] Konstantin Skorkin, Who decided on the boundaries of the ‘Russian World’? A brief history of Donbas separatism, 17 febbraio 2023, https://meduza.io/en/feature/2023/02/17/a-brief-history-of-donbas-separatism

[19] I sostenitori di Yushchenko hanno contestato la legittimità della vittoria elettorale di Yanukovich. Secondo quanto riferisce il Guardian il 26 novembre 2004, i militanti di Pora (che significa “è giunto il momento”), hanno condotto una campagna sul modello sperimentato in Serbia con Otpor, finanziata e organizzata dagli Stati Uniti; sono scesi in piazza in massa riuscendo a far annullare la vittoria di Yanukovich. L’Ucraina è precipitata in una crisi politica. Il nuovo turno elettorale ha assegnato la vittoria a Yushchenko. Cfr.: Ian Traynor, US campaign behind the turmoil in Kiev, 26 novembre 2004, https://www.theguardian.com/world/2004/nov/26/ukraine.usa

[20] Cfr.: Konstantin Skorkin, op. cit.

[21] Un episodio emblematico a dimostrazione di questa affermazione lo riporta, tra i tanti altri, la Reuters il 7 febbraio 2014 nell’articolo di Alastair Macdonald che titola Mosca accusa gli Stati Uniti di aver fomentato il golpe in Ucraina; registrazioni trapelate (https://www.reuters.com/article/ukraine-russia-us-idINDEEA1602A20140207)

[22] Fausto Biloslavo, inviato di guerra, riporta che “i cecchini che hanno fatto una strage in piazza Maidan provocando la fuga e caduta del regime del deposto presi­dent­e Viktor Yanukovich avreb­bero sparato sia sui rivoluziona­ri che sulla polizia. Una strate­gia della tensione che secondo la telefonata intercettata fra il rappresentante della politica estera Ue Catherine Ashton e il ministro egli Esteri estone na­sconde lo zampino della stessa opposizione ucraina”. (Fausto Biloslavo, L’altra verità sui cecchini “Non erano del regime, volevano scatenare il caos”, 7 marzo 2014, http://www.faustobiloslavo.eu/articolid.php?id=30554). In un articolo precedente, precisava: “La guerra civile in Ucraina, sempre più sanguinosa e dimenticata, schiera in prima linea un reparto fedele a Kiev che arruola volontari provenienti da paesi europei come Italia, Svezia, Finlandia e Francia. Il battaglione Azov, accusato di simpatie naziste, sta combattendo con i suoi 250 uomini sul fronte di Mariupol, una città costiera nell’Est dell’Ucraina. Una dozzina di volontari stranieri, che sostengono di non venir pagati, hanno già prestato giuramento. Altri 24 stanno arrivando e su Facebook, il veterano francese della guerra in Croazia, Gaston Besson, ha lanciato da Kiev un appello all’arruolamento. Per giorni abbiamo seguito dalla base di Berdyansk, nell’est dell’Ucraina, il battaglione Azov, che è sotto il controllo del ministero dell’Interno. (…) Per il colore della divisa e la provenienza dall’estrema destra ucraina ed europea sono conosciuti come ‘gli uomini neri’”. (ibidem).

[23] Cfr.: Howard Amos, Ukraine crisis fuels secession calls in pro-Russian south, 23 febbraio 2014, https://www.theguardian.com/world/2014/feb/23/ukraine-crisis-secession-russian-crimea

[24] “Nel marzo 2014, dopo la destituzione, nel mese precedente, del presidente ucraino V. Januković e l’insediamento a Kiev di un governo provvisorio filo-occidentale, le forze filorusse hanno assunto il controllo delle basi militari ucraine in Crimea, e il Consiglio supremo della Repubblica autonoma ha votato la secessione dall’Ucraina e la richiesta di annessione alla Federazione russa, decisione confermata con il 97% dei voti favorevoli da un referendum popolare. Nonostante il mancato riconoscimento della comunità internazionale e l’emanazione di sanzioni da parte di Stati Uniti ed Unione europea, il 18 marzo V.V. Putin ha firmato il trattato di adesione della Crimea alla Federazione russa” (https://www.treccani.it/enciclopedia/crimea)

[25] Pietro Orizio, Ucraina, la guerra mercenaria, 2 maggio 2018, https://www.limesonline.com/cartaceo/ucraina-la-guerra-mercenaria

[26] Ne parlano, in un articolo molto documentato ed equilibrato, Kseniya Kizilova e Pippa Norris, due ricercatrici (ucraina l’una e americana l’altra) un mese dopo l’inizio dell’invasione. Ci informano, tra l’altro, che “I dati sull’opinione pubblica più attendibili disponibili in Russia provengono dal Centro Levada, un’organizzazione di ricerca non governativa che conduce sondaggi regolari dal 1988. I sondaggi Levada del 17-21 febbraio hanno rilevato che la maggior parte degli intervistati (52%) si provava un sentimento negativo nei confronti dell’Ucraina. La maggior parte (60%) incolpava gli Stati Uniti e la NATO per l’escalation delle tensioni nell’Ucraina orientale, mentre solo il 4% riteneva responsabile la Russia. I loro sondaggi suggeriscono che l’approvazione pubblica di Putin è aumentata di circa 13 punti percentuali da dicembre, un effetto rally [round the flag] intorno alla bandiera, con quasi tre quarti (71%) che hanno espresso approvazione per la sua leadership entro febbraio” (Kseniya Kizilova e Pippa Norris, What do ordinary Russians really think about the war in Ukraine?, 17 marzo 2022, https://blogs.lse.ac.uk/europpblog/2022/03/17/what-do-ordinary-russians-really-think-about-the-war-in-ukraine/). L’articolo dà anche conto della rilevanza assunta dalla propaganda e dai mezzi di comunicazione nell’infiammare sentimenti nazionalistici.

[27] Mentre Putin ha ammassato una grande forza d’invasione al confine ucraino alla fine del 2021, i sondaggi hanno mostrato che meno di 1 russo su 10 credeva che Mosca “avrebbe dovuto inviare forze militari per combattere contro le truppe del governo ucraino”. A metà febbraio, mentre l’esercito russo organizzava massicce esercitazioni, un altro sondaggio – che inquadrava l’uso della forza come uno sforzo per respingere le aspirazioni NATO dell’Ucraina – ha rilevato che 1 russo su 2 credeva che la forza sarebbe stata giustificata. Una settimana dopo l’invasione, secondo quanto riferito, il 58% dei russi ha sostenuto l’invasione dell’Ucraina. (Will Russians continue to support Putin’s war in Ukraine?, 15 marzo 2022, https://www.washingtonpost.com/politics/2022/03/15/russian-patriotism-putin-support/).

[28] Carlo Tecce, Con Kiev e con la NATO: così Meloni ha portato FdI lontano dall’ex modello Putin, 12 settembre 2023, https://espresso.repubblica.it/politica/2022/09/12/news/meloni_ex_modello_putin-365308937/

[29]Aurélie Pugnet, La Nato prepara un incontro con i vertici dell’industria della Difesa per discutere il sostegno all’Ucraina, 12 giugno 2023, https://euractiv.it/section/mondo/news/la-nato-prepara-un-incontro-con-i-vertici-dellindustria-della-difesa-per-discutere-il-sostegno-allucraina/

[30] Cfr.: Valeria Poletti, L’Italia va alla guerra e gli italiani la pagano cara, aprile 2023, http://www.valeriapoletti.com/index.php?p=biblio

[31] “In meno di un anno è aumentato di cinque volte il numero dei militari italiani schierati in Europa orientale alle frontiere con Ucraina, Russia e Bielorussia. Sui 7.000 effettivi impiegati attualmente in missioni internazionali quasi 1.500 operano in ambito NATO nel ‘contenimento’ delle forze armate russe. A partire dal 2014 l’Alleanza atlantica ha dato vita ad un’escalation bellica sul fianco est come mai era accaduto nella sua storia. Nelle Repubbliche baltiche, in Polonia, Romania, Bulgaria e Ungheria, sono state realizzate grandi installazioni terrestri, aeree e navali, sono state trasferite le più avanzate tecnologie di guerra, sono state sperimentate le strategie dei conflitti globali del XXI secolo con l’uso dei droni e delle armi interamente automatizzate, cyber-spaziali e nucleari. (…) A seguito dell’invasione russa dell’Ucraina del 24 febbraio 2022 il processo di riarmo e militarizzazione dell’Europa orientale è pericolosamente dilagato e ancora oggi appare inarrestabile. E l’Italia c’è con le sue truppe d’élite, le brigate di pronto intervento, gli obici, i carri armati e i cacciabombardieri ‘gioielli di morte’ del complesso militare-industriale nazionale e dei soci-partner stranieri, primi fra tutti USA e Israele. A inizio 2023 il tricolore sventola in Lettonia, Ungheria, Bulgaria e Romania. E ogni giorno, 24h, le truppe sono in stato d’allerta e si addestrano in condizioni estreme ad ogni possibile scenario di conflitto con il Cremlino, dai combattimenti casa per casa, vicolo per vicolo, piazza per piazza, agli sfondamenti nell’infinito bassopiano sarmatico, finanche all’impiego di armi atomiche, chimiche e batteriologiche e alla ‘sopravvivenza’ al tragico inverno nucleare. Missioni di aperta e dichiarata cobelligeranza, pericolosamente provocatorie e infinitamente dispendiose sul piano politico-diplomatico e su quello economico-finanziario. Ma del tutto ignorate dai media mainstream che dallo scoppio della guerra fratricida hanno scelto di fare da cassa amplificata di Ares e Thanos e che gli italiani neanche immaginano quanto esse potrebbero trascinarci alla terza e ultima guerra mondiale” (Antonio Mazzeo, Soldati italiani nell’Europa dell’Est. 1500 pronti alla guerra con la Russia (parte 1), 10 gennaio 2023, https://pagineesteri.it/2023/01/10/primo-piano/italia-russia/)

[32] Un anno di guerra tra Russia ed Ucraina nel sondaggio Demopolis: crescono le preoccupazioni degli italiani, https://www.demopolis.it/?p=10914

[33] “L’applicazione della formula della ‘democrazia sovrana’ come prassi politica significò il rafforzamento del potere centrale con l’introduzione della ‘verticale esecutiva del potere’”. (Cristina Carpinelli, Il revanscismo imperiale di Putin: tra codici di civiltà e riferimenti storico-culturali, 22 marzo 2022, https://fondazionefeltrinelli.it/il-revanscismo-imperiale-di-putin-tra-codici-di-civilta-e-riferimenti-storico-culturali/).