Domenica 3 settembre 2023, San Gregorio Magno
EPPURE BISOGNERÀ BEN DIRE QUALCOSA SUL GENERALE VANNACCI…
Con molti auguri agli editori italiani che si sono buttati a pesce sullo scoop Vannacci: quando però ormai la cosa si era già sgonfiata.
IL VANGELO SECONDO VANNACCI
di David Nieri
“Non esiste la società. Esistono gli individui”: lo sosteneva il Primo ministro inglese Margaret Thatcher nel lontano 1987, epigrafe perfetta per l’eventuale nuova edizione del libro dell’estate, ovvero Il mondo al contrario del generale Roberto Vannacci, best seller artigianale, autoprodotto e autopubblicato diventato un vero e proprio tormentone. Sì, perché è stata sufficiente la pubblicazione di alcuni estratti del libro su un famoso quotidiano per innescare la caccia al capolavoro in grado di dividere in due l’opinione pubblica addirittura prima che la stessa opinione pubblica lo avesse letto. Per un motivo molto semplice: il libro non si trova in libreria e, rispetto all’ordine online, sono necessari due/tre giorni per averlo a disposizione, visto che il self publishing funziona più o meno in questo modo; si ordina il libro, la piattaforma che lo gestisce lo stampa e poi lo invia a destinazione.
Gli stralci pubblicati, almeno a un primo esame approssimativo, potevano sembrare strumentali affinché la sinistra progressista potesse affilare le armi e accusare, di conseguenza, il malcapitato autore di sessismo, razzismo, omofobia e chi più ne ha più ne metta. Leggendo il libro, però, ci si accorge immediatamente che tali stralci non sono decontestualizzati; e, anche se lo fossero, nulla potrebbe giustificare alcuni toni ed espressioni utilizzati, senz’altro più consoni a una chiacchierata in osteria dopo un bicchiere di troppo.
Quel che più preoccupa, però, non è la “normale” reazione di una certa parte politica, compresi i suoi elettori, che in definitiva sono sempre meno; bensì l’acclamazione sguaiata della cosiddetta destra conservatrice, in gran parte “cattolica”, che sembrava non aspettare altro rispetto alla scoperta dell’acqua calda da utilizzare per la cottura del minestrone dell’ovvio. Addirittura, prima di aver letto il libro. E poi, purtroppo, anche dopo. Perché criticare a spada tratta la fantomatica censura che si sarebbe abbattuta sul generale chiamando in causa la “libertà di espressione” ha sinceramente poco senso. Prima di tutto, perché il libro non è stato ritirato dal commercio e tolto dalla circolazione, anzi: viaggia a suon di migliaia di copie vendute – la polemica si è trasformata in un’incredibile pubblicità –, numeri che un piccolo editore non raggiungerebbe neanche pubblicando il manuale delle verità assolute e incontestabili; infine, perché il “declassamento” del generale può anche avere una giustificazione, se vogliamo dirla tutta. Il generale è un esponente delle istituzioni e, come tale, detiene una responsabilità “civile”: se scrive “di pancia” un libro in cui si supera il limite del consentito – accade spesso, a mio avviso – è anche normale che, proprio a causa del ruolo che ricopre, sia chiamato a rispondere; inoltre, è proprio la sua “posizione” ad aver attirato l’attenzione dei media, che certo non avrebbe riservato lo stesso trattamento a un comune mortale. Che poi “sotto” possano esserci matrici “occulte” che corroborano una lotta intestina all’interno della coalizione di governo, poco ci interessa. E poco ci interessa il fatto che siano in molti, in queste settimane, a voler cavalcare il “successo” del libro per le proprie finalità, spesso poco trasparenti. D’altra parte, si sa, capita spesso che il carro del vincitore non offra attrattiva se non quella del quattrino, dell’opportunismo e del potere.
Perché in fondo, diciamocela tutta, il libro del generale Vannacci è brutto, mal scritto e a tratti illeggibile. Fare dell’autore il nuovo messia che si scaglia contro il politicamente corretto è un’oscenità. Immolarsi alla sua causa perché “dice quel che tutti pensano ma non possono dire” è una bestemmia. Ci sono numerosissimi libri ben argomentati che affrontano tali questioni, testi di valore che meriterebbero senz’altro più attenzione rispetto uno scritto povero di contenuti e spesso rivestito di insopportabile machismo in uniforme. La lista sarebbe lunga, ma basterebbe citare de Benoist, rifarsi all’impegno editoriale di Marco Tarchi e di molte case editrici che hanno fatto del dissenso e della protesta la loro “missione”, magari senza aiutini politici o di convenienza.
Un bell’articolo del linguista Massimo Arcangeli, pubblicato nei giorni scorsi sul Corriere della Sera (Strafalcioni e copia e incolla. Il linguista fa le pulci alla lingua del generale Vannacci- Corriere.it), evidenzia gli errori e gli scopiazzamenti del generale: una semplice lettura sconsiglierebbe l’acquisto del libro in questione. E a poco serve il fatto che i suoi “discepoli” si appellino alle tre lauree conseguite, sulle quali non c’è fondamentalmente chiarezza, perché prive, almeno per ora, di fonte “certa”: Scienze Strategiche (conseguita presso l’Università degli Studi di Torino), Scienze Internazionali e Diplomatiche (presso l’Università di Trieste) e Scienze Militari (presso l’Università di Bucarest); inoltre, un Master universitario di II livello in Scienze Strategiche presso l’Università di Torino e un Master di II livello in Studi Internazionali Strategico-Militari in collaborazione con l’Università Cattolica di Milano e l’Università LUISS di Roma.
Il fatto è che i titoli di studio, benché numerosi, non fanno necessariamente e automaticamente una persona intelligente; ma dovrebbero almeno aver insegnato al generale cosa siano l’ortografia e la sintassi.
I contenuti, d’altra parte, sono ben più preoccupanti delle pinzillacchere grammaticali. Prima di tutto, perché il novello paladino della “normalità” e del “buonsenso” – sempre declinati secondo le caratteristiche catalogate dal maître à penser de noantri – si scaglia principalmente contro le “minoranze” e – va detto, su questo punto siamo talvolta d’accordo – alcune aberrazioni del pensiero unico e della cancel culture, purtroppo esondando nel momento in cui inizia un’analisi seria deturpandola con una massa di idiozie; infine, perché la “filosofia” del generale senza macchia e senza paura fa spavento, e dovrebbe farlo soprattutto a coloro che si stracciano le vesti per seguire il “salvatore”. Il mondo “normale”, secondo il generale, si fonda su una prospettiva antropocentrica e occidentalocentrica che deve conformarsi al paradigma del progresso infinito della crescita costante; la potenziale epigrafe thatcheriana lascia intravedere una visione strettamente collegata al darwinismo sociale e alla legge della giungla, con i “poveri” che in definitiva se lo meritano – perché lavativi e nullafacenti –, neanche fossimo i discendenti dei padri pellegrini. Il fatto è che una prospettiva “spirituale”, nelle oltre trecento pagine del libro, non è contemplata, anche se l’autore parla spesso di “Creato” con la maiuscola, ma inteso come qualcosa da sottomettere, perché il sapiens è superiore e l’ha dimostrato negli ultimi diecimila anni.
Nei dodici capitoli del libro Vannacci è, allo stesso tempo, sociologo, meteorologo/climatologo, ingegnere, storico, antropologo, etologo, economista, architetto, filosofo, scienziato; in definitiva, come gran parte degli italiani da social, è laureato in tuttologia, con master di secondo livello in saccenteria.
Potrà essere utile qualche citazione, tra le più indicative, per dare un’idea sui contenuti. Molto significativa, per esempio, è la nota dell’autore, nella quale il generale “avverte” i lettori:
Se ne consiglia la lettura ad un pubblico adulto e maturo in grado di comprendere gli argomenti proposti senza denaturarli, interpretarli parzialmente o faziosamente compromettendone, così, la corretta espressione e l’originale significato.
E molto “interessante” è il primo capitolo, nel quale l’autore affronta il “concetto” di “buonsenso”, che, insieme a “normalità”, rappresenta l’ossatura cardine delle sue “recriminazioni” contro il “mondo al contrario”:
Il Buonsenso rappresenta il concetto centrale di questa pubblicazione. La prima domanda che l’avventore si potrebbe porre incrociando con lo sguardo il titolo del libro è: “Al contrario di cosa?”. Del Buonsenso, del sentire comune, della tanto odiata “normalità” che si oppone all’ormai estrema percezione soggettiva del giudizio e della realtà. La parola normalità ha addirittura assunto un’accezione negativa, un significato “esclusivo”, ovvero che esclude tutto ciò che normale non può essere considerato proprio perché, se tutto dipende da me – e solo da me – perché dovrei essere soggetto ai canoni di normalità e ai parametri del buonsenso?
È vero, un paese è tanto più democratico quanto più rispetta e tutela le minoranze ma, non esageriamo! Ai nostri giorni si assiste paradossalmente alla prevaricazione delle minoranze sul resto della società!
È lo stesso Buonsenso che ci permette di rinvangare idee ed espressioni che ci sembravano naturali qualche anno fa e che ci venivano propinate in rapida e ripetuta successione dai nostri genitori e nonni quando ancora portavamo i calzoncini corti. Espressioni come “prima il dovere poi il piacere”, “la tua libertà finisce dove inizia quella di un altro”, “a casa a fare il mantenuto senza lavorare o studiare non ci stai”, “il professore ha ragione”, “se non ti trovi un lavoro finisci all’angolo di una strada” che sono diventate desuete, che cigolano e stridono come un cancello arrugginito e come i concetti di dovere, servizio, dedizione, Patria, sacrificio, gavetta, merito, tutti sostituiti dal pensiero plenipotenziario del “diritto ad avere diritti”.
Il secondo capitolo, dedicato all’ambientalismo, comincia a fornire qualche indizio in più. L’autore critica i movimenti ambientalisti – per esempio i Fridays for Future – e le “strategie” che dovrebbero garantire la transizione ecologica. Per poi cadere miseramente e contraddittoriamente sugli stessi fondamentali sui quali vorrebbe poggiare le sue certezze. Perché, in fin dei conti, il generale si mostra d’accordo con la “versione” che considera l’uomo quale principale responsabile del cambiamento climatico in corso:
L’ambientalismo pragmatico – quello vero – studia invece le relazioni tra l’umanità e l’ambiente inteso come ecosistema necessario per il sostegno alla vita e funzionale all’incremento del benessere umano.
Che la Natura si evolva è un fatto inesorabile, non un diritto. Di questa evoluzione fa parte l’uomo, che è un tutt’uno con la terra, e che il sapiens cerchi di piegare ed adattare le leggi fisiche a proprio vantaggio è alla base del progresso umano e sociale.
È il genere umano che deve trovare il modo per continuare a vivere in simbiosi con l’ambiente che lo circonda sfruttando al massimo tutte le risorse a disposizione per continuare, nel tempo, ad accrescere continuativamente il proprio benessere.
Ma ogni progetto viene ostacolato dai verdi, dagli ambientalisti, dagli amanti degli animali, dagli eco-ansiosi, dai progressisti, dai sostenitori delle trote e delle anguille, dai protettori delle lontre e dai fanatici della legge sulla restaurazione della Natura.
Secondo Vannacci, considerando “gli eventi estremi” che stanno martoriando il nostro paese con sempre più frequenza, e prendendo come spunto solo i più recenti – quelli che hanno provocato danni e vittime nel nord Italia –, una delle soluzioni potrebbe essere quella di eliminare gli alberi ad alto fusto nelle città per rimpiazzarli con piccoli arbusti e magari cespugli. In questo modo, è vero, gli alberi non cadrebbero e non causerebbero alcun pericolo ad automobili e persone. Il futuro della città ecologica è il cemento.
Se continuiamo a proibire gli organismi geneticamente modificati sarà molto arduo selezionare e sviluppare quelle specie vegetali molto più resistenti al calore e in grado di crescere con poca acqua tali da garantirci raccolti soddisfacenti anche nelle condizioni climatiche che verranno.
Per salvarci dobbiamo mettere sul piatto della bilancia il benessere e le condizioni di vita che abbiamo oggi con quelle che vorremmo avere domani. Perché – togliamocelo dalla testa – non convinceremo nessuno a regredire, a rinunciare al livello di benessere raggiunto sino ad oggi o a pagare prezzi incalcolabili per ottenere gli stessi o minori benefici.
Non sarebbero, infine, i paesi più ricchi i principali responsabili dell’inquinamento, bensì i paesi più poveri e sottosviluppati.
Non vi è rispetto dell’ecosistema senza ricchezza e benessere!
L’ecologia è figlia del benessere, come l’animalismo e l’alimentazione vegana.
Una delle soluzioni più economiche e sostenibili per ovviare alla crisi energetica, secondo il generale, sarebbe il nucleare, sempre ostacolato dal fronte del “no”:
Alla fine, considerando l’assurdità delle pretese ecologiste, le strategie dei no e l’assenza pratica di proposte alternative viene un legittimo dubbio: ma non è che l’ambientalismo e l’ecologia ideologizzata siano solo un paravento ed una maschera per nascondere il desiderio di sovvertimento totale del sistema che sino ad oggi ha consentito benessere, progresso, sviluppo e prosperità?
Non è che i marxisti reali, quelli che vorrebbero “comunizzare” il mondo e livellare la società non si siano ancora arresi alla plateale sconfitta di questa ideologia che in tutto il 900 si è dimostrata fallimentare ed ora usano lo spettro dell’ecologia e dell’ambientalismo in funzione anticapitalista?
Non è che la cosiddetta “giustizia climatica” servirebbe quale alter ego del “regime del terrore” per cercare di scardinare le basi sulle quali si è sviluppata la benestante società occidentale moderna?
Perché questo dubbio, se considerato, allora spiegherebbe tante cose.
Il quarto capitolo è dedicato alla “società multiculturale e multietnica”, una delle ossessioni dell’autore, che esclude la possibilità di una qualsiasi possibilità convivenza tra “razze” diverse.
Ed ora guardiamo l’Europa, caratterizzata dalla comune origine cristiana e da una storia tutto sommato condivisa, ma che sotto la pressione degli importanti flussi migratori delle ultime decadi si sta trasformando e sta vivendo le stesse contraddizioni e conflittualità degli altri paesi in cui il fenomeno si è già verificato.
Le comunità dove ancora vince il migliore, a prescindere dalle altre caratteristiche, dove la giusta e corretta competizione incrementa l’efficienza, dove le capacità e i meriti individuali sono premiati sono considerate dal multiculturalismo troppo violente, razziste, esclusive e, in definitiva, da smantellare! È la competitività stessa a salire sul banco degli imputati, quella che garantisce la sopravvivenza e l’evoluzione di tutti gli esseri animati sulla terra: produce selezione, stress, affanno, fa emergere i migliori… Che schifo, va eliminata!
La mia società, quella in cui sono nato ed ho vissuto e per la quale ha combattuto mio nonno – classe 1898, che arruolandosi a 16 anni si è fatto la prima, la seconda guerra mondiale e la guerra di Spagna – tutto sommato mi piace.
La mia cultura, la considero un dono che i nostri avi ci hanno tramandato con cura e che dobbiamo custodire gelosamente. Sì, perché forse ingenuamente ed illudendomi un po’, ritengo che nelle mie vene scorra una goccia del sangue di Enea, di Romolo, di Giulio Cesare, di Dante, di Fibonacci, di Giovanni dalle Bande Nere e di Lorenzo de Medici, di Leonardo da Vinci, di Michelangelo e di Galileo, di Paolo Ruffini, di Mazzini e di Garibaldi.
Anche se abbiamo seconde generazioni di Italiani dagli occhi a mandorla, il riso alla cantonese e gli involtini primavera non fanno parte della cucina e della tradizione nazionale; anche se Paola Egonu è italiana di cittadinanza, è evidente che i suoi tratti somatici non rappresentano l’italianità che si può invece scorgere in tutti gli affreschi, i quadri e le statue che dagli etruschi sono giunti ai giorni nostri.
Sorvolando sulle “origini cristiane” le cui radici sono state malamente rimosse e avvelenate ormai da qualche decennio, mi chiedo se il riferimento a Paola Egonu in merito all’“italianità” sia opportuno. E mi chiedo anche se il generale consideri più “italiano” un altoatesino, un toscano, un sardo oppure un siciliano. Perché in effetti, quanto a caratteristiche fisiche, la tipologia dei sopra citati “italiani” è diversa. Paola Egonu ha la pelle nera? Sì, è una tra le tante differenze. Non si è mai fatta distinzione, non ci sono mai state simili polemiche in riferimento alla ex lunghista Fiona May, come non c’erano alcuni decenni fa, quando due pugili “italiani” (Nino La Rocca e Patrizio Sumbu Kalambay) onoravano il nostro sport. I tempi cambiano, la morale lo stesso. Capita spesso che si faccia un passo avanti. Ma, altrettanto spesso, che se ne facciano due indietro.
Tanto per non farsi mancare nulla, ecco un’altra affermazione degna di nota. I migranti, per arrivare in Italia, sarebbero africani appartenenti alla classe media che si fanno un giro sul gommone:
Chi viene a vivere da noi, sgombriamo ogni dubbio, lo fa per scelta e non per necessità perché anche chi scappa dalla guerra, dalla fame, dal clima, dell’emarginazione non si sposta il minimo necessario per garantirsi la sopravvivenza ma sceglie deliberatamente l’Europa.
Nessun cenno al cimitero sul fondo del Mediterraneo. Nessun cenno alla disperazione, ai nostri cellulari – ai quali non si può rinunciare! – che funzionano grazie ai bambini congolesi che spesso – si parla di migliaia – sacrificano la loro vita nelle miniere di coltan.
Vengono da noi in cerca di denaro, di benessere, di garanzie, di casa riscaldata, di televisione, di smartphone, di cure gratuite, di impunità e di molte altre amenità che non sono funzionali solo a garantire la loro sopravvivenza. Sono un di più, sono benessere non indispensabile, sono prosperità, libertà, agiatezza che la nostra becera civiltà occidentale razzista e monoetnica si è guadagnata aspramente con decenni di guerre e di morti, con le schiene spaccate dei nostri avi che hanno dissodato la terra a mani nude, con il lavoro in miniera, con le ore passate in catena di montaggio, con la rinuncia alle ferie, con le valigie di cartone contenenti pochi stracci ed un salame per sbarcare il lunario, con i cappellini fatti di carta di giornale nei cantieri, con le morti nelle raffinerie o nelle cave di amianto.
Peccato che il generale dimentichi di ricordare che anche noi italiani siamo spesso riusciti a sopravvivere emigrando: quasi trenta milioni dei nostri concittadini hanno lasciato il proprio paese – spesso senza farci ritorno – tra il 1861 e il 1985. Per non considerare la “nuova emigrazione” dei giovani del ventunesimo secolo, privi di opportunità, diritti e tutele in quello stesso paese delle magnifiche così sorti tanto celebrato da sembrare, appunto, un mondo perfetto, messo in pericolo dalle “minoranze”.
Oggi, nei campi di pomodori e nelle “colonie dello sfruttamento”, muore spesso la “classe media africana” per una manciata di euro al giorno.
Uno dei capitoli chiave si chiude con una perla:
Se, forse in buona fede e credendo realmente in una trasformazione democratica del mondo, ci siamo dati delle regole sull’accoglienza incondizionata che ora minano le nostre stesse società e culture e che impongono cambiamenti nel tessuto sociale che la nostra collettività non è pronta ad accettare, allora è l’ora di cambiarle queste regole. Nulla è scolpito nella pietra per secoli. Nel Medio Evo era accettato lo ius primae noctis, oggi non solo non esiste ma sarebbe considerato un’ignominia.
A proposito dello ius primae noctis, mi limito a citare il buon Alessandro Barbero: “Lo ius primae noctis è una straordinaria fantasia che il Medioevo ha creato, che è nata alla fine del Medioevo, ed a cui hanno creduto così tanto, che c’era quasi il rischio che qualcuno volesse metterlo in pratica davvero, anche se non risulta che sia mai successo. In realtà è una fantasia: non è mai esistito”.
Il capitolo dedicato alla sicurezza e alla legittima difesa contiene ovviamente un decalogo dell’ovvio e dello scontato. Ma l’ovvio e lo scontato non possono implicare una giustizia da far west, soprattutto attraverso l’uso indiscriminato delle armi.
Altro capitolo significativo è quello sulla famiglia, uno degli argomenti che più stanno a cuore all’autore e dove spesso, purtroppo, riesce a dare il peggio di sé. Ovviamente, è la famiglia tradizionale che il generale intende difendere. Perché non possono esistere altri tipi di “famiglia”, un’istituzione ormai “sotto attacco” da decenni:
Il primo attacco proviene dal socialismo reale che brama di “comunizzare” la società e di assegnare alle sole istituzioni statali l’educazione dei giovani che devono essere, sin dai primi anni d’età, sottratti alle grinfie familiari che ne potrebbero alterare i valori di riferimento.
Altra incredibile bordata proviene dal movimento femminista che si batte per l’emancipazione della donna. Oltre a promuovere istituzioni come il divorzio e l’aborto al suon dello slogan “tremate, tremate, le streghe son tornate” si oppone alla figura femminile intesa come madre.
Si aggiungono i movimenti lgbtq+ che introducono il concetto di fluidità sessuale, di percezione del sesso e di transgender e che classificano come famiglia l’unione tra due persone di sesso uguale o, non importa quale sesso, anzi, il sesso non esiste è solo una percezione!
Arrivano poi gli animalisti che sostengono che l’amore, che assolutamente non può definirsi affetto, è possibile anche nei confronti di una tenera bestiolina e che, quindi, pretendono esteso il concetto di famiglia a chi vive con un gatto, un cane, un porcellino d’India o, addirittura, un maiale.
A finire sotto il mirino delle cannonate del generale dell’Esercito sono soprattutto le “famiglie arcobaleno”. Ma ce n’è per tutti (o meglio/peggio, per tutte):
La cosiddetta emancipazione femminile ed il concetto del “lavoro ad ogni costo” limitano, se non addirittura impediscono, il regolare svolgimento della funzione educativa da parte dei genitori che la delegano ad altre istituzioni appositamente concepite e finanziate. Gli asili nido si sono espansi dopo il boom industriale e dopo il rifiuto, da parte dei movimenti femministi di tutto il mondo, della figura di donna-madre. Servizi per l’assistenza all’infanzia, vengono chiamati in termini burocratici, perché ormai è penetrato nel nostro pensiero che dell’infanzia se ne debbano occupare apposite istituzioni e non i genitori naturali che, invece, dovrebbero produrre beni e servizi per altri.
Certo, servirebbero centinaia di pagine per provare a spiegare al generale che il semplicismo superficiale messo nero su bianco su un libro dovrebbe rimanere nell’ambito della chiacchierata da osteria. Se gli asili nido esistono – per fortuna – non è tanto perché le donne vogliono “fare carriera” (se così fosse, cosa ci sarebbe di male?), ma soprattutto perché non hanno scelta. E non ce l’hanno perché, anche se volessero occuparsi per qualche anno dei loro figli, non ce la farebbero economicamente. Se alle spalle non ci sono i “nonni”, il nido è l’unica soluzione per non perdere il posto di lavoro. Magari, come accade ormai da diversi anni, si rinuncia addirittura ad avere figli: siamo, in effetti, in pieno inverno demografico. Un tempo un unico reddito era in grado di mantenere una famiglia intera, che spesso era addirittura “allargata”, una vera e propria minicomunità. Adesso, grazie al “benessere” tanto osannato dal generale, l’individualismo ha preso il posto del “bisogno” che faceva da collante alla società, ormai soffocata dal meccanismo produci/consuma/crepa che ha sovvertito le stesse leggi basilari dell’economia: non è più il bisogno che crea il bene, ma il bene che crea continui bisogni artificiali.
Il capitolo dedicato alla patria è ricco di spunti al contrario. Nutro rispetto per il generale e per le sue missioni, ma non venga a parlarci di patria, di bandiera, di senso dello stato quando, a livello militare, non si serve il proprio paese bensì la NATO dello Zio Sam, del quale siamo agenti monomandatari. Quale patria? Quale sovranismo?
L’ossessione prende di nuovo forma nel capitolo dedicato al mondo LGBTQ+++, dove l’autore si ostina a evidenziare il concetto di “normalità”. Non sopporta la sovraesposizione degli omosessuali attuata dai media, non sopporta le trasgressioni fini a se stesse né l’esibizionismo. Su questo, almeno parzialmente, possiamo anche dirci d’accordo. Ma poi, come al solito, si fa sentire il bicchiere di troppo:
Cari omosessuali, normali non lo siete, fatevene una ragione! Non solo ve lo dimostra la Natura, che a tutti gli esseri sani “normali” concede di riprodursi, ma lo dimostra la società: rappresentate una ristrettissima minoranza del mondo. Quando vi sposate ostentando la vostra anormalità la gente si stupisce, confermando proprio che i canoni di ciò che è considerato usuale e consuetudinario voi li superate.
Parole incommentabili. Come incommentabili sono quelle che seguono:
Chiunque esprima un’opinione che possa essere percepita come offensiva o discriminante nei confronti della comunità lgbtq+ rischia di essere sottoposto a giudizio per appurare se si tratti di libera espressione delle proprie opinioni o di omofobia ed incitazione all’odio. Per quanto esecrabile, l’odio è un sentimento, un’emozione che non può essere represso nell’aula di un tribunale. Se questa è l’era dei diritti allora, come lo fece Oriana Fallaci, rivendico a gran voce anche il diritto all’odio e al disprezzo e a poterli manifestare liberamente nei toni e nelle maniere dovute. La libertà di espressione è una delle prime conquiste delle democrazie e, non a caso, risiede nel primo emendamento della democrazia “moderna” più vecchia del mondo [la Costituzione americana].
Il capitolo sulle tasse è un amalgama mal riuscito di emerite fesserie. Guai a tassare i più ricchi, è controproducente. Sono loro il “motore del mondo”:
Anticipo da subito che non gradisco il termine “ridistribuzione della ricchezza”: evoca in me, nel migliore dei casi, un mostro tentacolare che priva di beni chi li ha guadagnati onestamente per darli ai meno fortunati ma anche a chi, probabilmente, non si adopera sufficientemente per essere autosufficiente.
Mi piace invece pensare che ognuno di noi abbia in mano il proprio destino, che se lo costruisca giorno per giorno con le proprie azioni quotidiane sfidando anche il caso ed il fato con un’appropriata dose di volontà e determinazione.
Chi conosce i meccanismi fiscali sa benissimo che i gettiti generati dalla tassazione delle grandi fortune sono minimi e controproducenti. Chi è molto ricco contribuisce allo stato sociale con altri meccanismi: investe in capitali e aziende; assume giardinieri, autisti, artigiani, personale per le pulizie e dipendenti per la manutenzione e valorizzazione dei propri beni; fa vivere le piccole imprese e società che girano attorno alle proprietà di lusso; gode di servizi e comodità che danno lavoro a centinaia di persone; attira capitali; attrae altri ricchi che alimentano il sistema.
Non poteva mancare, infine, l’antianimalismo un tanto al chilo. Uno dei capitoli, quello finale, tra i più esilaranti. Vannacci se la prende con chi ama (troppo) gli animali e li “umanizza”, cadendo nella solita vulgata dell’“incapacità di relazione” del “proprietario” che concentra la propria frustrazione sociale e la sostituisce con l’affetto nei confronti di un animale domestico, che almeno non reagisce, non è capace di relazionarsi e ama incondizionatamente. Ed è anche uno dei problemi mai “risolti” da parte della chiesa cattolica e dei cattolici in particolare, che sembrano non capire che l’amore per un animale non toglie nulla – anzi, è complementare – a quello per gli altri esseri umani, figli compresi. Criminalizzare chi ama gli animali è stupido e controproducente. E poi, se vogliamo dirla tutta, probabilmente “umanizziamo” gli animali perché di umano, nell’essere sapiens tanto caro al Vannacci, c’è rimasto ben poco. Non mancano, anche qui, alcune perle degne di nota:
Ora, nel progredito occidente il paradigma sembra cambiare e, nel pianeta sottosopra, molte anime sensibili sono infastidite dalla distinzione tra uomo e animale perché, con l’assurgere di una mentalità falsamente inclusiva, odiosamente omogeneizzante ed ipocritamente antidiscriminatoria, si tende a limare all’inverosimile tutto ciò che evidenzia le anche palesi diversità tra un essere ed un altro. Così come uomo e donna sono uguali, e le apparenti differenze percepite non rappresentano che una mera, effimera e perversa “costruzione sociale”, le bestie assurgono ad avere caratteristiche umane, diventano portatrici di diritti a loro rigorosamente attribuiti dall’uomo, hanno una loro coscienza e cultura e vengono incluse nei nostri nuclei familiari alla stregua dei bambini.
Ce ne dobbiamo fare una ragione: l’uomo non è uguale alla donna; la bestia non è uguale all’uomo così come un pesce non è uguale ad un mammifero, ad un uccello o ad un insetto: il comunismo cosmico non esiste e il tentativo di teorizzarlo rappresenta un’idiozia globale!
Se per costruire una strada che migliorerà la vita dei residenti e diminuirà l’inquinamento cittadino è necessario sloggiare i nidi di passeri e falchi e disturbare il quieto intercedere di rospi e tritoni sono convinto che l’opera debba essere realizzata.
Mi oppongo categoricamente alla distruzione delle dighe dalle quali ricaviamo energia elettrica pulita per consentire il libero accesso a salmoni, trote, anguille ed altri pesci che risalgono la corrente.
L’antropomorfismo risiede alla base di un bieco e distorto animalismo da salotto. Se continuiamo ad attribuire caratteristiche umane a ciò che umano non è, interpretiamo la realtà secondo un prisma che ce la fa apparire totalmente distorta e falsata.
Questo, in estrema sintesi, il contenuto del Vangelo secondo Vannacci. Un brutto libro che ha almeno un merito: quello di aver evidenziato il vuoto culturale nel quale siamo terribilmente e sconsolatamente immersi. Perché tra tutti i problemi che affliggono questo triste presente – nel caso in questione, il nostro devastato paese – con un governo totalmente incapace di risolvere anche le emergenze più pressanti – l’inflazione, la crisi dei migranti, il problema energetico –, con l’escalation di violenza che sta esplodendo nei quartieri e nelle strade delle nostre città, con i mille e passa morti l’anno sul posto di lavoro e con un collasso sociale all’orizzonte, osannare uno scritto come quello del generale è proprio degno di un mondo veramente al contrario.
Ma, cari amici, paulo meliora canamus! Forse è troppo presto per sperare nei Brics, ma non si sa mai…E poi come ama ripetere un mio vecchio amico, peggio della Nato non saranno!