Minima Cardiniana 441/3

Domenica 19 novembre 2023, Avvento Ambrosiano

ANCORA SUI MIGRANTI
TU CHIAMALE, SE VUOI, MIGRAZIONI
di Kesiana Lekbello
La politica globale contemporanea sta vivendo, a partire dal marzo 2003, le conseguenze della guerra preventiva iniziata dagli angloamericani in Iraq. Qualsiasi cosa si dica, l’America e l’Europa hanno sempre fatto ritorno alle loro brutte abitudini di cambiare alleanze e nemici. Sull’onda della crisi irachena, è nata la rivoluzione culturale del pensiero militare occidentale per le future basi americane in Europa Orientale, che si ponevano al centro del pensiero statunitense per affrontare le nuove sfide alla sicurezza poste dal terrorismo internazionale.
Non possiamo far altro che constatare che i paesi europei non solo si sono adeguati alla svolta bellica americana, ma in nome della “prevenzione” anche Finlandia e la Svezia sono diventati membri della lista atlantica. La neutralità di questi due paesi significava per l’Europa una deterrenza di pace, ma il pericolo del ritrovato nemico ha richiesto la loro adesione senza se e senza ma, nell’ottica di un ormai abusato slogan “prevenire è meglio che curare”. Perché, la decisione di colpire Iraq, Siria, Afghanistan, Libia… significava per tante persone – uomini e donne, bambini e anziani – la condanna a morte o all’esilio. Si potrebbe spiegare così l’esito della fuga di milioni di profughi che si muoveranno in cerca di “nuove” terre per sopravvivere, costruire le nuove comunità e iniziare una nuova vita: meglio ancora se questo fosse avvenuto in Europa. Siamo stati così bravi a prevenire gli eventi da non sentire il bisogno di una cura. Mossi dalla necessità della prevenzione ci impegniamo continuamente in protocolli/accordi tra stati per risolvere il problema dei migranti; le soluzioni proposte in Libia, Tunisia e ora in Albania vanno in questa direzione. Intanto, la rotta tunisina sembrerebbe essere tornata attiva, mentre quella libica non ha mai smesso di portare a Lampedusa cittadini afghani, siriani, bengalesi, egiziani, pakistani, sudanesi, senegalesi… Se poi finiscono in Albania, che male c’è?
Mi vengono in mente le parole di Cristo riportate da Matteo (7: 12): “Tutte le cose, dunque, che voi volete che gli uomini vi facciano, fatele anche voi a loro; perché questa è la legge e i profeti”. Questa è la regola d’oro che porta l’indicazione, semplice e radicale, delle dinamiche dell’umana amicizia tra le persone: quindi, se fossi immigrata, non vorrei mai essere rinchiusa in un centro/campo e non voglio che questa accada agli altri immigrati. Ma dell’universalità etica, di cui è diventato altrettanto universale il bisogno, gli Stati rispondono a loro piacimento: c’è chi costruisce muri e chi campi, mentre altri vagano in cerca di soluzioni. A questi scenari si presta anche l’Albania, ancora oggi terra di migranti, che si è offerta, anche in passato, per ospitare i rifugiati provenienti da diversi paesi del mondo. Forse in pochi sanno che, nel 2006, l’Albania avviò una stretta cooperazione con gli Stati Uniti d’America: nell’occasione il Dipartimento di Stato americano annunciò che Tirana aveva accettato di ospitare cinque uiguri nel Centro per rifugiati di Babrru. In seguito l’accordo è stato ampliato e il numero dei rifugiati uiguri aumentato fino a 100, provocando l’ira di Pechino che si oppose duramente congelando le relazioni diplomatiche con l’Albania per tutto il 2006. Nel 2010, quando Barack Obama, l’allora presidente americano, promise di chiudere la prigione di Guantánamo, l’Albania fu tra i primi paesi che rispose alla richiesta degli Usa di trasferire alcuni prigionieri da Guantánamo in Albania. Durante la visita del Segretario di Stato americano Hillary Clinton in Albania nel 2012, il primo ministro Berisha, alla fine del suo secondo mandato nel 2012, siglò con gli Usa un nuovo accordo che prevedeva l’arrivo in Albania di 210 Mujaheddin, i militanti dell’organizzazione armata iraniana nota come ‘Mojahedin-e Khalq’, comunemente conosciuto con il nome di MEK. Nonostante gli accordi siglati nel passato, nel 2021 l’ex primo ministro Berisha è stato dichiarato “persona non grata” dal Dipartimento di Stato degli Stati Uniti d’America, che lo ha accusato di grave corruzione e pericolo per la democrazia nel suo paese; con la stessa motivazione, nel 2022, anche la Gran Bretagna ha dichiarato Sali Berisha “persona non grata” per l’Inghilterra. Non mi soffermo su questo capitolo che meriterebbe un’altra riflessione: ma l’ex premier albanese Sali Berisha ha fatto sapere, a mezzo stampa, di aver presentato un ricorso per diffamazione contro il segretario di Stato Usa, Antony Blinken e andrà avanti anche contro il “non grata” inglese. I rapporti e l’impegno dell’Albania nei confronti degli Stati Uniti d’America sono stati rispettati anche dal leader socialista Edi Rama, che ha assunto la carica di primo ministro nel settembre 2013, favorendo la creazione di una base in Albania per ospitare tutte le famiglie del MEK. Un’operazione finanziata inizialmente con 20 milioni di dollari attraverso l’agenzia dell’ONU UNHCR.
Tra richieste e accordi con gli Stati Uniti, fino al 2016 l’Albania si è trovata a ospitare l’intero gruppo di 3.000 Mujaheddin che hanno lasciato l’Iraq per sistemarsi a Manza (località tra Tirana e Durazzo), ricevendo ringraziamenti e lodi dal Segretario di Stato americano, John Kerry, durante la sua visita a Tirana il 14 febbraio 2016. Ricordiamo ai nostri lettori che l’Albania è il principale paese nel mondo in cui si rifugiano i Mujaheddin, considerati dall’Iran, nel 1979, traditori del Paese; negli anni Ottanta si rifugiarono in Iraq e parteciparono, insieme a Saddam Hussein, alla guerra tra Iraq e Iran. Nella seconda metà degli anni Novanta, i Mujaheddin furono inseriti nella lista delle organizzazioni terroristiche dagli Stati Uniti e dall’Unione Europea. Ma le cose cambiano e i nemici di una volta chiamati – terroristi – furono riabilitati nel 2009 da parte di Bruxelles, che decise di rimuoverli dalla lista delle organizzazioni terroristiche; nel settembre 2012, anche per gli Stati Uniti i Mujaheddin non erano più terroristi.
Rifugiati in Albania da dieci anni (2013-2023), i Mujaheddin hanno continuato a costruire la loro “fortezza” chiamata Ashraf-3, composta da 127 edifici su un’area di 40 ettari in continua espansione, dove al suo interno sono forniti tutti i servizi. Il complesso è militarizzato, strettamente sorvegliato ed è difficile anche solo avvicinarsi: ma non dovrebbero essere integrati? E chi li finanzia, essendo loro perennemente chiusi all’interno della loro ‘città-stato’, senza legami con l’esterno? Ci sono molti punti interrogativi sulla provenienza dei fondi a loro destinati: alcuni media stranieri, come il Guardian e Al Jazeera che scrivono di MEK, citano l’Arabia Saudita come possibile finanziatore, ma nessuna affermazione può essere considerata attendibile. Inoltre, mi domando: la loro permanenza in Albania è definitiva? La rottura dell’accordo con il MEK a chi spetta, all’Albania o agli Usa? Poca trasparenza al riguardo, eccetto alcune interviste dell’ex ministro degli Interni albanese, Bledi Çuçi, che ha dichiarato ai media: “Non si pensa di espellere il gruppo… ma devono rispettare le leggi dello Stato albanese”. Per l’ex ambasciatore americano a Tirana, Yuri Kim, la decisione di interrompere l’eventuale accordo con il MEK spetta al governo albanese. Siamo seri: non c’è alcuna possibilità che l’Albania decida da sola di espellere i Mujaheddin, perché Michael Pompeo, ex direttore della CIA e 70° Segretario di Stato americano, visitando Ashraf-3, il quartier generale dell’Organizzazione dei Mujaheddin del Popolo dell’Iran (MEK), il 16 maggio 2022 ha dichiarato, di fronte ai membri del MEK e in Tv: “Alla fine, il popolo iraniano avrà una Repubblica laica, democratica e non nucleare. Sono impegnato in questa causa, so che lo siete anche voi”. Dopo Pompeo era arrivato anche il vice di Trump, Mike Pence; sì, ma non per questo ci sentiamo sollevati: in quale luogo dovrebbe nascere la Repubblica laica, democratica e non nucleare del MEK?
Intanto, dopo le visite americane, nel luglio 2022 tutte le istituzioni albanesi subirono un gravissimo attacco informatico, ritenuto una ritorsione iraniana contro l’Albania che sostiene i membri MEK. Il contrattacco del governo albanese fu immediato: tutte le relazioni diplomatiche con la Repubblica islamica dell’Iran furono interrotte. Ma le insidie non sono finite. Il 22 giugno 2023 una durissima battaglia tra la polizia e i militanti dell’organizzazione armata iraniana MEK ha messo in risalto il contrasto, esplicito e diretto, fra la loro permanenza e la contrarietà dell’opinione pubblica, perché la resistenza, anche armata, degli iraniani ha impedito ai poliziotti albanesi di entrare nella cittadella Ashraf-3. L’episodio ha provocato decine di feriti, tra cui diversi poliziotti, a causa della resistenza opposta dai residenti iraniani. L’operazione di polizia era stata ordinata dal settore della magistratura albanese che si occupa di lotta alla criminalità organizzata e al terrorismo, che nutrica sospetti sul MEK in merito a diversi reati: provocazione della guerra, intercettazione illegale di dati informatici, interferenza nei dati informatici, intrusione in sistemi informatici e uso improprio di apparecchiature. Se le informazioni risulteranno attendibili e comprovate, la loro permanenza provocherebbe una contraddizione rispetto al loro status: l’accordo che l’Albania ha stipulato dovrebbe essere, a mio avviso, rescisso. La presenza in Albania del MEK non fa altro che aggravare ulteriormente la delicatissima situazione nei Balcani, dove sono già presenti in forze altri gruppi jihadisti e islamisti. A questi si aggiungono i 4000 afgani fuggiti da Kabul e arrivati in Albania dopo il ritiro delle truppe americane, nel 2021; cosa si farà di questi rifugiati che vivono nel limbo in attesa dei documenti e del visto americano che non arriva? Fino ad arrivare all’accordo Italia-Albania del 6 novembre 2023; come conviene in questi casi il numero è indicativo, 3000 immigrati e nuovi campi. Difficile non trarne qualche interrogativo sull’evoluzione delle “nostre” democrazie fondate sul principio della rappresentanza, il quale prevede che i cittadini scelgano chi deve governare, prendere decisioni di pubblico interesse al posto nostro. Il nuovo centro migranti, “se funziona sarà un bene… una lotta di tutta l’Europa verso un fenomeno che diventa sempre più grande”, ha affermato il premier albanese Rama. È un peccato constatare che la visione europea sia la vita reclusa dei migranti. Da qui il problema: la continua costruzione di campi, soprattutto oltre-Adriatico, rischia di incrementare la destabilizzazione in un’area già caratterizzata da forti tensioni politiche, etnico-religiose e in difficili condizioni socio-economiche. Il governo albanese deve risolvere quanto prima i problemi con i campi già in essere e non diventare così operoso da offrire continuamente all’Europa/Usa nuovi campi, mentre la sua gente attraversa ancora la manica, direzione Inghilterra, con i barconi. Infine, i nostri governanti devono capire, una volta per tutte, che l’era dei profughi finirà quando verranno meno le cause alla loro origine.