Domenica 19 novembre 2023, Avvento Ambrosiano
LIBRI LIBRI LIBRI
IL “CASO-BARBERO”. RILEGGENDO ALABAMA, TRA “PASSATO-CHE-NON-PASSA” E “RITORNO AL FUTURO”
Inauguriamo oggi una nuova linea recensoriale, basata sul répechage di libri magari recenti o recentissimi, ma che è necessario rileggere o perché sono stati troppo superficialmente accolti oppure presto dimenticati, o perché fraintesi e magari sottovalutati, o perché oggetto di “stroncature” non sempre in buona fede, o perché il tempo presente sta offrendo loro una rinnovata attualità.
Alcuni di questi libri appartengono al “Caso-Barbero”. Alessandro Barbero, torinese, classe 1959, ordinario di Storia medievale nell’Università di Vercelli, Premio Strega 1996 con un romanzo incentrato sul “viaggio in Europa” di un aristocratico statunitense ai primi dell’Ottocento.
L’amico Alessandro, che ha ormai i suoi bravi 64 anni (stento a crederci…) nonostante a prima vista almeno sembri ancora un ragazzino, ha decisamente del geniale: ed è un personaggio d’eccezione come storico, come docente, come romanziere, addirittura – le sue performances spettacolari dinanzi ai più vari tipi di pubblico (giovanile soprattutto ma non solo) – come show man televisivo; prima o poi farà la sua comparsa anche sul grande schermo, e dal canto mio credo (e un po’ spero) che entro un paio di lustri si deciderà a dare il suo contributo alla vita politica, quanto meno se il nostro paese riuscirà a ritrovare, in quell’àmbito, un minimo di dignità e di rappresentatività. Dal canto mio, queste cose in sintesi e senza specifici particolari (non sono un veggente), le dissi già al suo grande Maestro torinese, Giovanni Tabacco: e finora almeno in questo non mi sono sbagliato.
V’invito quindi a rileggere questo suo libro, che prova oltre ogni possibile dubbio le sue competenze anche come contemporaneista e americanista. Ovviamente attorno a lui, insieme con l’ammirazione, la simpatia e il consenso, è spuntata anche la foresta delle critiche non sempre positive, ricca anche di velenose malepiante. Lo si è acriticamente definito un “divulgatore”, dimenticando che ha vinto giovanissimo una cattedra universitaria per puri motivi scientifici: se nel tempo libero dalla ricerca e dall’insegnamento si dedica al romanzo, o alla divulgazione storica di qualità, dov’è la sua colpa? Chi lo accusa di “occuparsi di troppe cose”, si renderà conto che può permetterselo; chi sostiene (severità eccessiva? malevolenza? invidia?) che è “tutto un bluff” mediti con attenzione e onestà intellettuale su queste sue pagine e si ricreda. FC
Alessandro BARBERO, Alabama, Palermo, Sellerio, 2021, pp. 262, euri 15.
È cosa frequente, per quanto non comune, che uno studioso di professione specialista di medioevo sia anche uno scrittore e in particolare l’autore di romanzi storici; ma può stupire che egli, reduce da pochi mesi dalla non lieve fatica di una corposa, impegnativa biografia dedicata a Dante (Laterza) – un best seller che ha fatto “saltare il banco” delle vendite –, ci stupisca di nuovo a così breve distanza di tempo sfornando un romanzo storico: per giunta dedicato non al “suo” medioevo, non a Costantino o a Lepanto o a quella di Waterloo che sono suoi noti cavalli di battaglia, bensì all’Old Deep Dixie e alla guerra civile americana.
La cosa ha in realtà un suo senso profondo. Alessandro Barbero – che non è per nulla un “divulgatore”, per quanto all’alta divulgazione dedichi con entusiasmo parecchie delle sue forze – ha da tempo fornito con successo, accanto alle sue ponderate ricerche specialistiche, anche ottime prove nel campo della divulgazione storica di qualità: sia con saggi redatti in uno stile limpido e accessibile ma che nella sostanza “divulgativi” non sono per nulla, sia con prestazioni televisive che negli ultimi mesi ne hanno fatto un quasi onnipresente “divo del piccolo schermo”.
Ma c’è poco da stupirsi se un “accademico” che ha scritto di storia greca a romana ma anche moderna e contemporanea (fino alla battaglia di Lepanto, a quella di Caporetto, all’impresa di Fiume) possa saltabeccare con nonchalance fino all’America dell’Ottocento e trovarvisi a suo agio. Va ricordato che nel 1996 il poco più che trentacinquenne Barbero, ancor promettente allievo torinese del grande Giovanni Tabacco, stravinceva uno Strega con Bella vita e guerre altrui di Mr. Pyle gentiluomo, romanzo storico dedicato a un giovane immaginario aristocratico americano piovuto nell’Europa napoleonica poco dopo la guerra d’Indipendenza. E ce ne volevano, di conoscenze storiche e filologiche, per render credibile un quadro di quella complessità.
Né basta ancora. Già alle primissime righe del suo Alabama – un autentico pocket, nel senso originario del termine – si viene assaliti da una prosa fluente, ruvida e al tempo stesso maestosa: qualcosa che con la sua punteggiatura quasi assente e con le sue continue riprese colloquiali fatte di anacoluti e di sineddoche richiama immediatamente William Faulkner e magari Mark Twain (nonché, visti ambiente e soggetto, perfino Margaret Mitchell e Harriet Stowe). E va ben ricordato allora che quando c’è del genio, quello vero, l’improvvisazione non serve granché: ci vuole studio. E Barbero, così ironico e brillante, è uno che le sue brave e serie ossa americanistiche perdinci se le è fatte: ad esempio come traduttore de Il segno rosso del coraggio di Stephen Crane; a parte l’attenta lettura della Storia della guerra civile americana di Raimondo Luraghi, e anche quella si sente. Specie nella descrizione della battaglia di Chancellorsville, fronte della Virginia, fra l’aprile e il maggio aprile del ’62.
E allora immaginatevela, questa Alabama otto decenni dopo, nel bel mezzo della seconda guerra mondiale: con i suoi ruvidi e spiantati farmers che si chiedono come mai quei tali giapponesi ce l’abbiano con la libera America (e come mai tempo addietro gli yankees ce l’avessero con loro) e le bandiere confederate accanto alle porte di casa. Immaginatevi le poche Ford a giro, enormi mostruosi trabiccoli guardati con sospetto, e gli stagni pieni di zanzare, e la polvere dappertutto, e gli empori sgangherati dove c’è poco di tutto dalle candele al petrolio alle caramelle, e il sole a picco e il sudore.
Immaginatevi una studentessa spigliata e di buona famiglia che un professore progressista ha sguinzagliato alla ricerca degli ultimi testimoni viventi del macello del secolo precedente e che a casa sua vive con un padre che tiene il ritratto del generale Thomas J. “Stonewall” Jackson – occhi di ghiaccio e barba nera –, appeso nello studio. Pensate a come la guardano, ai commenti che si sprecano alle sue spalle.
Non ci crede, l’austero padre della ragazza, al fatto che i neri venivano ancora massacrati verso la fine della guerra civile. Ma lei rintraccia invece un vecchio pieno di catarro che mastica tabacco inchiodato alla sua poltrona, un reduce pressoché centenario. I vecchi non ricordano quasi nulla di quel che hanno fatto il giorno prima. Però, di roba di ottant’anni prima, accidenti se si ricordano. Magari, semmai, non ne parlano volentieri. Se ne vergognano? Chissà…
Noi seguiremo questo lento, paziente esercizio psicanalitico-mnemotecnico, questo monologo quasi ininterrotto per 262 pagine che la ragazza riesce silenziosamente a dirigere. La banalità del male, la spontaneità non sai se fanciullesca o bestiale della violenza, la quotidianità di un mondo povero e ignorante dove la vita umana non conta, i rari idilli amorosi d’una sensualità tutta e solo carnale, e le vendette e gli stupri e le bestemmie e le bevute che ti disgustano e che pure, misteriosamente, ti affascinano. Whiskey e granturco, scazzottate e inni al Signore Dio degli Eserciti, un mondo senza fede che rigurgita di religione. L’infinito massacro dei neri d’America ha queste radici. E il ventre che l’ha partorito è ancora gravido.
Il caso ha voluto che questo libro uscisse a poca distanza dai fatti del Black Lives Matter. Un bello scoop. Tra qualche mese uscirà in tutti i cinema d’Europa il nuovo kolossal di Ridley Scott, un temo più che discutibile Napoleone, e gli editori di Barbero ripubblicheranno il suo Waterloo, che sarà di nuovo un best seller da top in classifica. Questa è fortuna editoriale e mediatica, si dirà: questo Barbero tanto abile quanto simpatico è nato con la camicia, ha una fortuna con una bella “C” maiuscola. Senza dubbio. Il resto è studio, intelligenza, lungimiranza.
Franco Cardini