Domenica 3 dicembre 2023, Prima Domenica d’Avvento
EDITORIALE
UN’EUROPA POLITICAMENTE UNITA: IL NECESSARIO IMPOSSIBILE, OVVERO L’IMPOSSIBILE NECESSARIO
Mercoledì 29 scorso Mario Draghi, presentando il libro Quando eravamo padroni del mondo del giornalista e anchor man televisivo Aldo Cazzullo, ha pronunziato fra l’altro un giudizio che non esitiamo a definire “epocale”. Ecco come esso è stato riassunto da un quotidiano ieri 1 dicembre:
UE, DRAGHI: “MODELLO CRESCITA DISSOLTO. SERVE DIVENTARE STATO”
29 novembre 2023
“Il modello di crescita e sviluppo europeo si è dissolto fondamentalmente. Non possiamo più fare riferimento ai pilastri di prima. Occorre inventarsi un modo diverso di crescere. Per farlo, a differenza del passato, occorre diventare stato” così l’ex presidente del Consiglio Mario Draghi alla presentazione del libro di Aldo Cazzullo Quando eravamo i padroni del mondo nella chiesa di Sant’Ignazio da Loyola a Roma. “Nel mondo si dice che il mercato europeo è piccolo. Però è un mercato unico. In teoria sì ma in pratica no. E le imprese che crescono vanno negli Stati Uniti oppure vendono” ha aggiunto Draghi.
Quindi, Draghi torna si direbbe a proporre un nuovo “primato della politica”, da tradursi in una rinnovata coscienza che della cosa pubblica, del pubblico bene, insomma di quel che almeno da mezzo millennio e addirittura un po’ oltre si chiama stato, si continua ad avere bisogno. E lo stato, in tempi critici e quindi necessitanti la forza della decisione (Carl Schmitt resta imprescindibile, inevitabile, imprescrittibile), è indispensabile per armonizzare diritti e doveri facendo tacere gli egoismi particolari: qui cadono inevitabilmente tutti i “sovranismi” dinanzi alla necessità del superamento delle barriere e degli egoismi “nazionali”. Ma a tale scopo una soluzione metastatalistica di tipo “federale” (all’“americana” o “alla tedesca”) resta una misura inappropriata e inaccettabile: l’Europa è un “arcipelago” di comunità antiche, un albero dalle radici profondamente unitarie “che non gelano” ma che ha dato nel tempo frutti troppo diversi – e, nella loro diversità, tutti preziosi –, tali da indurci a conservare la loro diversità pur nella necessaria unione, a diventare quel che dobbiamo essere se vogliamo resistere agli altri blocchi: e pluribus unum. Proporre una via istituzionale futura di tipo confederale è forse quel che dobbiamo fare per mantenere l’essenziale della nostra generalizzata richiesta di unità nella diversità, quindi di libertà fondata sulla reciproca dipendenza spinta al massimo possibile e non ignara dell’indispensabile quota di cessione della sovranità di ciascuno nell’interesse di tutti.
Un obiettivo duro, che comincia ad affiorare all’interno di alcune forze politiche. Ci aspettano dure battaglie e forse non cocenti delusioni (bisogna evitare la delusione fuggendo da qualunque ingenua illusione) ma senza dubbio aspre sconfitte, quanto meno iniziali. La mia generazione, quella dei nati nella prima metà del Novecento, ha scarse speranze di poter vivere abbastanza da scorgere il vero e proprio inizio della svolta. Ma a ciò bisogna mirare: quello è il nostro scopo. Un domani che veda sul serio una libera Europa prendere il posto che le spetta e ch’è necessario al mondo intero proponendosi come centro equilibratore tra il blocco “occidentale” oggi rappresentato dalla NATO e dai suoi satelliti e il blocco (“orientale”, quanto meno simbolicamente) che già si sta configurando nel BRICS