Minima Cardiniana 444/5

Domenica 10 dicembre 2023, II Domenica di Avvento

TEMPO NATALIZIO
PER MEDITARE MENTRE ALLESTIAMO IL PRESEPIO
di Luigi Copertino
Ogni qual volta si legge un intervento di Franco Cardini è inevitabile rifletterci sopra per ore e talvolta per giorni, data l’ampiezza delle corde intime che lo storico riesce a toccare trattando, da par suo, di storia in modo professionale, forse disincantato, ma mai freddo o scettico nonostante il realismo di chi conosce molto bene altezze e bassezze della vicenda umana. Cardini ha proposto, nell’ultimo Minima Cardiniana 443 del 3 dicembre scorso, una meditazione, nel clima dell’Avvento, intorno al mistero storico di Francesco d’Assisi. Ponendo un problema non da poco per chi ancora professa la fede cristiana.
Lo storico fiorentino ci ha riportato ai “Fioretti” ben consapevole di quanto essi non siano ritenuti fonti sicure dagli storici. Il riferimento a questa fonte, al crocevia tra l’aneddotica edificante e la storia, sembra tuttavia un modo per superare i limiti di un discorso troppo poco aperto alla considerazione dei moti interiori dell’essere umano. Frate Masseo, dunque, stando ai Fioretti, non si capacitava perché mai tutto il mondo ammirasse Francesco che, dal punto di vista dei valori mondani, ossia potere, ricchezza e bellezza, non mostrava di possederne affatto.
Francesco, come sembra, non era granché affascinante esteticamente ma quando interpretava, durante il calendimaggio, il rex unus dies, alla testa della allegra comitiva dei giovani assisani più in vista, attirava i desideri, non solo romantici ma anche sessuali, delle ragazze della nobiltà cittadina. Certo, in questo, un non secondario peso lo aveva la ricchezza, ed il conseguente potere, della sua famiglia, borghese ma talmente ricca da essere ammessa nel giro dell’aristocrazia di sangue. Tuttavia, doveva giocare, nel renderlo ammirato dai suoi coetanei, anche un qualche fascino della sua personalità interiore. Ed è questo fascino che probabilmente esplose, poi, per effetto dell’esperienza mistica, di grazia, che lo travolse, non negando ma piuttosto sublimando le sue doti naturali ed innate, fino a indurre in lui un cambiamento radicale di vita, fino a portarlo a ritenere nulla tutto ciò che prima era al primo posto nelle sue aspirazioni e al contempo fargli superare il ribrezzo per tutto ciò, ad iniziare dalle piaghe purulente dei lebbrosi, che in precedenza rifuggiva atterrito.
Sembra che frate Masseo quasi rimproverasse Francesco per quel successo che aveva ottenuto nonostante il suo rifiuto del mondo. Masseo lo metteva di fronte ad una patente contraddizione quando gli rinfacciava che il mondo lo ammirava mentre lui lo aveva fuggito e rinnegato. Il fatto che Masseo non teneva in debito conto è che Francesco agiva come Alter Christus ed anche Gesù Cristo, prima di lui, era stato ammirato nonostante avesse fustigato i “valori del mondo”. Così accadde anche al frate di Assisi. Certo, a differenza di Cristo, Francesco non subì il Martirio della Croce, pur ottenendone alla fine della vita le stigmate, tuttavia anche lui, come Cristo, fu ammirato ma – ecco la questione che pone Cardini da cristiano ai cristiani – non seguito, se non nell’ambito delle manifestazioni di santità alle quali appartiene anche la vicenda dell’Assisiate.
La spiegazione, a nostro giudizio, sta in ciò che è essenzialmente il Cristianesimo ovvero salvezza del mondo da sé stesso, ossia da ciò che ne ha fatto la deviazione del cuore dell’uomo. Il rifiuto cristiano del mondo è in realtà il risanamento del mondo attraverso il rifiuto non del mondo in sé, quale atto dell’Amore creativo di Dio (come ben aveva compreso Francesco che di Esso fece la lode nel “Cantico delle creature”, testo anti-gnostico per eccellenza), ma del peccato che alberga nell’uomo esposto – nella sua fragilità, nella carne che tuttavia Dio, con l’Incarnazione, non ha esitato ad assumere per Sé perché Egli ama il mondo ed ha dato il Suo Unico Figlio, per mezzo del quale il mondo fu fatto, per la sua salvezza – alla fascinosa seduzione del male. Il cuore dell’uomo è affascinato dal male innanzitutto nella forma della “volontà di egemonia” che è la cifra dell’Occidente soprattutto da quando si è del tutto emancipato dal Dio cristiano, il cui Nome all’epoca del Poverello pure era sovente abusato ma con il Quale ciascuno ben sapeva di dover prima o poi fare personalmente i conti. Volontà egemonica, poi, amplificata dalla “potenza del denaro” che già ai tempi di Francesco iniziava ad emergere, incontenibile, per opera della dantesca “gente nova” dedita ai “sùbiti guadagni” generata da “orgoglio” e – si badi bene – “dismisura”.
“Chi è Francesco?”, non quello serafico dei Fioretti ma quello ben altro che serafico della storia – che non esita a minacciare di nerbate i confratelli che si comportano male, che mangia dolci invece di pregare in punto di morte, che si getta nella fredda neve per placare l’ardore sessuale che lo assale al cospetto delle donne e forse anche di Chiara e delle sue monache, che davanti al Sultano testimonia, certo, Cristo ma non mostra di volerlo convertire se non con l’esempio ed anche in tal caso ottenendo ammirazione ma non sequela –, si chiede Cardini mettendo in rilievo che l’Occidente moderno è esattamente il suo opposto mentre evidenzia che egli fu uno sconfitto, a viste umane, giacché la sua proposta di seguire, in povertà, nudi Cristo nudo non è stata accolta dall’Europa che dopo di lui ha scelto l’espansione coloniale nella potenza bellica e tecnologica fino a farsi Occidente globale, tradendo le sue stesse radici cristiane.
Se molti oggi guardano, antistoricamente, ad un Poverello mosso da un moto malcelato di ribellione sociale ed antigerarchica, Cardini ricorda che invece Jacques Le Goff, in linea con lo storicismo delle “Annales”, riteneva il francescanesimo un fenomeno “reazionario” per via del suo disprezzo del denaro che, ai tempi di Francesco, era il simbolo del mondo futuro in fieri, il mondo del capitalismo ma anche del successivo socialismo e della successiva democrazia che avrebbero rettificato – ci permettiamo di correggere il grande storico dicendo avrebbero dovuto ma non hanno o non sono riuscite a rettificare – lo stesso capitalismo superandolo. Cardini ritiene una interpretazione quella legoffiana influenzata dai parametri della sua scuola storiografica e anche dalle sue idee socialiste. Egli sembra consentire maggiormente con Giovanni Merlo laddove sottolinea la necessaria distinzione tra francescanesimo e minoritismo prendendo atto della “vittoria” del secondo sul primo. La vicenda del difficile rapporto tra Francesco e la Chiesa del suo tempo è ormai arcinota per tornarci sopra, salvo ogni volta dover puntualizzare che quella vicenda non può essere considerata anti-ecclesiale dato che il Poverello mai ha messo in discussione il Sacerdozio o l’Eucarestia e quindi la natura gerarchica dell’Ecclesia, ed infatti Cardini, pur sommariamente citandola, non lo fa. Ma egli evidenzia che, sebbene la distinzione del Merlo non può essere tirata fino al punto di opporre Francesco all’Ordine Minoritico, tuttavia è indubbio che il messaggio di santità integrale – il Vangelo “sine glossa” – del Poverello è stato adattato.
Cardini, dunque, prende atto della vittoria del minoritismo e dell’adattamento del francescanesimo che ne è seguito. Tuttavia da parte nostra ci permettiamo di osservare che questo adattamento non è anche un tradimento nella misura in cui si tenga conto della effettiva condizione dell’uomo, conseguente al suo deficit ontologico non da tutti immediatamente colmabile. Francesco stesso, per le ovvie, ed anche inevitabili aggiungiamo noi, necessità del mondo ossia per venire incontro alla nostra umana fragilità che, nei più, non consente il raggiungimento, se non per l’aiuto kenotico di Dio, delle altezze mistiche cui lui era giunto, alla fine acconsentì alla “Regula” ed alla clericalizzazione del suo movimento spirituale. Non solo, quindi, per “santa obbedienza”.
Non si è trattato soltanto di un cedimento, un adattamento, ma soprattutto di una dinamica del tutto comprensibile nella logica stessa dell’Incarnazione di quel Dio che, benché senza peccato, assumendo la natura umana, per redimerla, sapeva di “piegarsi” fino alle bassezze nelle quali la sua creatura era decaduta in illo tempore. Se Dio non ha disdegnato di entrare in contatto, pur restandone preservato, con l’infermità della natura umana – in qualche modo, si può dire, “adattandosi” ossia aprendo a noi la Via della Sua Misericordia senza la quale non potremmo mai attraversare indenni o purificati la Sua Giustizia, cui la prima è sempre congiunta – come possiamo noi rigettare questa prospettiva, che – ribadiamo – alla fine lo stesso Francesco non rigettò? Il Cristianesimo si differenza dalle altre Tradizioni perché proclama che Dio è entrato nella storia, onde poter raggiungere soteriologicamente l’uomo, e che questo è stato possibile mediante l’Incarnazione del Verbo Principiale, come da testimonianza di Giovanni evangelista, nel Cuore Immacolato di una ragazzina ebrea adolescente della Palestina di duemila anni fa, per farsi Uomo. Anche la vicenda di Francesco resta tutta interna a questa logica, nonostante i tanti, ed inutili, tentativi di sottrarvela.
Ed è alla luce di questa dinamica che bisogna capire fino in fondo, come mostra Cardini, anche il successivo percorso del minoritismo francescano, studiato da uno storico di prim’ordine quale Giacomo Todeschini ma anticipato da due grandi della storia dell’economia come Werner Sombart, che fu allievo in quel di Pisa del non meno grande Giuseppe Toniolo capostipite laico della moderna Dottrina Sociale Cattolica, e come Amintore Fanfani, propugnatore cattolico della soluzione corporativista e poi “istituzionalista” alle derive antisociali ed antiumane del capitalismo. Infatti il minoritismo francescano ha senza dubbio contribuito al generarsi della modernità capitalista attraverso la legittimazione del prestito ad interesse, prima aborrito ma nei fatti nascosto attraverso artifici pratici. Ma questo non può dirsi senza evidenziare, come ben afferma Cardini, che per i francescani del quattrocento, Bernardino da Siena in primis, si trattava di venire incontro alla povera gente – ai “poveri vergognosi” ossia quegli artigiani caduti in disgrazia ed impossibilitati a risollevarsi senza aiuti finanziari – con l’istituzione dei “Monti di Pietà” e la fissazione per i prestiti di modici tassi di interesse variabili tra il 2% ed il 5% (a supporto delle spese di funzionamento dei Monti), per avviarla a migliori condizioni di vita e di lavoro, ponendo regole e misura alla dantesca “dismisura” dell’avidità finanziaria. La quale consisteva, ieri come oggi, nel fare denaro dal denaro, senza investimento produttivo, con lo scopo di vivere di rendita monetaria sulle spalle dei lavoratori come prima i potenti premoderni vivevano di rendita fondiaria sulle spalle dei contadini. Il “credito sociale” dei minoriti ha lasciato il segno nella vicenda storica successiva e ne ritroviamo, ad esempio, le tracce nella concezione solidaristica delle banche popolari e delle casse mutue fondate dal Cattolicesimo intransigente e sociale ottocentesco ma anche nella banca di popolo di un certo tipo di socialismo non marxista, come quello proudhoniano.
Giustamente Cardini osserva che il capitalismo legittimato dai minoriti – un capitalismo, diremmo oggi, patrimoniale e imprenditoriale, non finanziario ossia borsistico – non era affatto quello weberiano e che è stata la vittoria di Max Weber su Werner Sombart a spalancare le porte in modo definitivo alla Modernità. O perlomeno alla Modernità occidentale come abbiamo imparato a conoscerla fino all’attuale deriva globalista caratterizzata dal dominio sempre più immateriale della potenza del denaro, ormai anch’esso cibernetico, sull’economia umana, solidale ed a misura di uomo, secondo, per chi ha fede, il volere di Dio.
Laddove avessero prevalso i minoriti, quindi sulla loro scia Toniolo, Fanfani e Sombart, avremmo conosciuto un’altra modernità, un altro capitalismo aperto alla socializzazione e non ad essa chiuso in nome di un profitto sfrenato ed emancipato da ogni istanza etica o sociale, un’altra Europa e, forse, un altro Occidente. Ma ha prevalso il capitalismo weberiano, il quale poi è nient’altro che il prodotto del contraccolpo calvinista alla rottura luterana del rapporto Dio-mondo. Un contraccolpo che, mentre il luteranesimo sfociava nel quietismo anti-mondano, per reazione portò al metodismo, all’ascesi professionale intramondana propugnata da Calvino, che, contro il quietismo, riaffermò la rivincita del mondo rivendicandone, poi in forma laicizzata, l’assoluta emancipazione, autonomia e libertà intesa – ecco dove sta il crocevia storico tra la Modernità minoritica che non è stata e quella che invece si è sviluppata – in senso liberale e liberistico. A condurre le danze della globalizzazione e della finanziarizzazione dell’economia è oggi il capitalismo weberiano, supportato dalla nuova tecnologia digitale che ha reso i flussi del capitale finanziario ancora più immateriali, virtuali, vorticosi, veloci e speculativi.
Cardini tiene a ribadire che per Francesco, tuttavia, la strada, quella che egli scelse per sé, era altra anche rispetto all’adattamento minoritico, ossia quella del sostenersi lavorando con le proprie mani per non pesare sugli altri né imporre pesi agli altri. Sicché per Francesco, scrive Cardini, il denaro resta lo “sterco del diavolo”. Eppure ci resta difficile, nonostante tutto, scorgere una assoluta opposizione tra la “concretezza laburista” di Francesco e l’esperienza dei minoriti quattrocenteschi che, pur nel necessario adattamento, predicavano l’uso dello “sterco” in modo da sottrarlo al diavolo e farne uno strumento di carità cristiana e solidarietà umana. Forse Francesco, che era uomo intelligente per non comprendere che la sua via era tutta sua e per volerla imporre al prossimo (infatti, come ricorda Cardini, il Poverello non era Lenin e non ha mai avuto intenzione di costringere gli altri ad una via che era soltanto una tra le tante allora esistenti nella Cristianità del tempo per seguire, nella Chiesa, il Cristo), non avrebbe disprezzato Bernardino da Siena e gli altri minoriti che cercavano una via cristiana per la nascente economia moderna in modo da evitarne le deriva che essa ha poi conosciuto, trasportata dalle perturbazioni insite nel cuore dell’uomo.
Resta assolutamente vero che Francesco è un paradosso, forse uno scandalo, certo una sfida, come dice lo storico fiorentino, e che non è riducibile alla figurina dell’ecologista ante litteram, del pacifista anzi tempo o del rivoluzionario anarcoide, e neanche a quella del santino devozionale. Egli era un “miles Christi” che ha additato una via dura e difficile. Una via che può essere seguita solo se Colui che È – “Io Sono”, “Io sono Colui che Sono” (Esodo 3,14) – viene a raggiungerti direttamente, come fu per Francesco, mentre gli altri devono contentarsi di arrancare sulla salita tirati su grazie all’Eucarestia che anche per i mistici è tuttavia indispensabile. La “metanoia”, infatti, è sempre una iniziativa di Dio, non un merito o un diritto umano. Qui aveva ragione il monaco Martino. Ma a questa iniziativa divina deve corrispondere la risposta dell’uomo, ed è qui che sbagliava Lutero il quale la riteneva in sé inutile, anzi dannosa, tanto l’uomo non cambia, restando “cloaca di peccato” anche sotto l’azione di Dio. Ora la questione sta nel fatto che la risposta dell’uomo, alla chiamata di Dio, non c’è stata, se non in minima parte. Il nostro dramma storico, la tragedia dell’Occidente, è tutta qui. L’uomo occidentale ha preferito, perché è comodo ingannarsi per evitare la durezza della metanoia, inseguire le imitazioni, le parodie, di Dio, gli idoli ideologici, tecnologici, economici. In questo ha ragione Franco Cardini quando conclude che il Poverello fece una scelta irrevocabile per l’Essere contro l’Avere cui, invece, tende la volontà di potenza occidentale e che, soprattutto al giorno d’oggi, in un mondo post(anti)cristiano, come l’attuale, non resta, ai cristiani, che la via di Francesco, essendo ormai preclusa ogni speranza sul piano politico.
Qualcuno potrebbe pensare che questo sia un atteggiamento “evasivo”, un escapismo riluttante all’impegno civile e mondano, o addirittura un pessimismo “apocalittico” ma, a ben vedere, proprio perché apocalittico – nel senso della rivelazione del dramma di sempre dell’uomo lungo i secoli, non nel senso escatologico (per quanto esista una escatologia personale che deve riguardarci tutti prima e forse più di quella universale) –, è l’unico approccio veramente attivo dal quale possiamo sperare un cambiamento futuro. Dato che nel mondo rifulge la Sua Luce nella misura nella quale il canale per il quale Essa discende, ossia il cuore dell’uomo, è aperto o chiuso.