Minima Cardiniana 445/4

Domenica 17 dicembre 2023, III Domenica di Avvento

SCHIZOFRENIA IBERICA
LE DUE OPPOSTE E BELLICOSE ANIME STORICHE DELLA SPAGNA CONTEMPORANEA (Madrid, 18-25 novembre)
di Andrea Anderlini
Sono tornato a Madrid il 18 novembre per presenziare ad un ciclo di seminari riguardanti il mio dottorato nella Complutense. Sapevo che la situazione politica fosse calda, ma non pensavo che avrei iniziato a studiare con la valigia ancora appresso. Difatti, giunto nel luogo in cui alloggiavo, la Casa de Velázquez, mi sono imbattuto con un corteo di manifestanti diretto al Palazzo della Moncloa, la residenza ufficiale del riconfermato Presidente del Governo spagnolo Pedro Sánchez; il quale aveva appena giurato il giorno prima alla Zarzuela davanti a re Felipe VI.
La polizia aveva sbarrato la strada e, pertanto, stavano tornando nel centro città, pronti per nuove proteste in Calle Ferraz, la via dove è situata la sede del Partito Socialista Spagnolo. Tutta questa mobilitazione era condita da un elicottero che volava a bassa quota per monitorare la situazione. In effetti, i dimostranti avevano bloccato la strada che corre alla sinistra dell’istituto di ricerca francese: nientemeno che l’autostrada A6, in direzione Madrid. La protesta riguardava la Ley de amnistía (che ha passato la sua prima votazione al Congresso dei Deputati il 12 dicembre, con 178 voti a favore e 172 contrari[1]), la proposta di legge che implicherebbe la cancellazione di tutti i procedimenti giudiziali e le condanne del Procés catalano, ossia il processo sui fatti che portarono alla dichiarazione unilaterale d’indipendenza della Catalogna nell’ottobre del 2017. La rabbia di alcuni manifestanti era talmente intensa da indurli a sostenere che il vero stato dittatoriale sia quello presente oggigiorno, non la dittatura franchista; eloquente risultava questo striscione posto sul ponte a lato della Casa de Velázquez.
Ma come si è giunti ad una tale proposta di legge? Bisogna tornare alle elezioni generali spagnole del 23 luglio 2023. Il Partito Popolare (PP), guidato Alberto Núñez Feijóo, vince le tornate elettorali ed ottiene da re Felipe VI l’incarico di formare il governo. I popolari riescono quindi ad accordarsi con il partito di estrema destra VOX, oltre che con altri due deputati: quello di Unione del Popolo Navarro e con l’esponente di Coalizione Canaria; tuttavia, sia nella votazione del 27, che in quella del 29 settembre, mancano la maggioranza per soli 4 deputati: 172, di fronte ad un minimo di 176. Il re passa dunque la palla ai socialisti di Sánchez, i quali, arrivati secondi (nonostante una grandissima rimonta rispetto le elezioni autonomiche del 28 maggio), riescono a formare un governo di grande coalizione con numerosi partiti e, specialmente, con gli indipendentisti catalani, pattando attraverso la famosa Ley de amnistía. Le manifestazioni dei principali partiti contrari (PP e VOX) a questo accordo sono iniziate sin da quando si è paventata una simile possibilità, perciò già dalla fine di ottobre, ma è nel mese di novembre che sono diventate quotidiane, con un gran numero di persone nel fine settimana. La disputa è stata portata dall’opposizione pure in Parlamento Europeo[2], il quale ha replicato che si tratti di un assunto interno, nonostante controllerà attentamente il tutto[3].
Un’atmosfera talmente infiammata non potevo certo perderla, così, in quella stranamente primaverile domenica del 18 novembre, ho deciso di recarmi in Calle Ferraz per vedere, sentire, ascoltare i pensieri dei presenti, insomma, vivere di persona la politica contemporanea spagnola. La gente astante proveniva da correnti trasversali. C’erano ovviamente sostenitori del PP o di VOX, ma anche veri e propri estremisti di destra (con bandiere carliste ed altre raffiguranti, forse, il loro nuovo simbolo dopo Franco e José Antonio Primo de Rivera: Miguel Ángel Blanco, il politico del PP assassinato da ETA nel 1997), chi si dichiarava cattolico, oppure libertario. Eppure, la grande maggioranza mi sembrava della vera a propria gente comune: uomini e donne, giovani e meno giovani, famiglie o gruppi di ragazzi; i quali, probabilmente, avevano come unico desiderio affine soltanto quello di ritrovarsi in quel luogo ed in quello specifico momento per protestare contro l’amnistia. Tutti loro erano uniti però da un simbolo: la bandiera spagnola. In effetti, erano pochi coloro che non portavano con sé il simbolo nazionale. Così, come in un buon stato capitalista che si rispetti, già si era creato il business: ambulanti e negozi della zona si erano muniti di diverse rojigualdas. Tra i dimostranti poi, alcune di queste presentavano un buco al centro (poche in verità), poiché era stata tagliata l’insegna della corona spagnola, rea, secondo loro, di non aver difeso la patria. Soprattutto il re veniva preso di mira: “¡Felipe, cagón, defiende tu nación! [Felipe, codardo, difendi la tua nazione!]”. I cori che si innalzavano sembravano asserire una presa di distanza dal franchismo: “¡No somos franquistas, somos nacionalistas! [Non siamo franchisti, siamo nazionalisti!]”. Piuttosto, si coglieva un sentimento reazionario di fronte alle spinte autonomistiche; in effetti si urlava: “¡España, unida, jamás será vencida! [Una Spagna unita mai sarà vinta!]”; o “¡España es una, no cincuenta y una! [La Spagna è soltanto una, non cinquantuno!]”. Pedro Sánchez, pertanto, accordandosi con i separatisti catalani, era considerato un “traditore” dello Stato, ed il coro più frequente era senz’altro quello poco riguardoso nei confronti della madre. I manifestanti in Calle Ferraz lo accusavano di esser sceso a patti, pur di rimanere al potere, con coloro che più disprezzavano la nazione spagnola. Lo si incriminava di aver così “alterato lo Stato di diritto”[4], imputandogli di essere un “dittatore”; di più, secondo Santiago Abascal, leader di VOX, aveva attuato un vero e proprio golpe di stato[5]. Ciò che esigevano le persone presenti, viceversa, anziché pattare con gli indipendentisti catalani, era vedere in carcare Puigdemont, il presidente della Generalitat de Catalunya che aveva proclamato l’indipendenza della Catalogna dopo il famoso referendum del 1° ottobre 2017. Non avrebbero mai più votato il leader socialista dopo un simile tradimento, consigliandogli, quindi: “¡Que te vote el Txapote! [Che ti voti Txapote!]”; ossia, uno dei più sanguinosi terroristi di ETA, condannato a 152 anni di carcere per diversi crimini e tra gli autori materiali (guarda caso) dell’omicidio di Miguel Ángel Blanco. Perché questo coro? Perché per ottenere l’investitura Sánchez aveva ricevuto l’appoggio anche dai sei deputati di EH Bildu, una coalizione di partiti nazionalisti ed indipendentisti baschi che hanno come coordinatore generale Arnaldo Otegi, etarra in gioventù e che andò diverse volte in carcere per crimini correlati a questa affiliazione.
Le critiche dei manifestanti erano anche per la polizia. In effetti, nelle vie in prossimità della sede del PSOE ogni sera vi erano numerose Guardias Civiles, oltre che camionette di agenti antisommossa poste agli angoli delle strade. Addirittura, la sera del 18 novembre, mi sono imbattuto in un vero e proprio cordone di polizia in Calle del Marqués de Urquijo, antistante alla stazione della metro di Argüelles. Difatti, in quei giorni erano avvenuti scontri tra gli agenti e i dimostranti più facinorosi, e ciò si ripresentò anche nella tarda serata di quella giornata, concludendosi con sei persone detenute[6].
Alcuni partecipanti alla protesta, invece, piuttosto che fronteggiarsi con le forze di sicurezza, intonavano: “¡La policía empieza a despertar! [La polizia inizi a svegliarsi]”, auspicando che anch’esse si unissero alle contestazioni. Qualcuno invocava una nuova sollevazione militare, dichiarandomi con tristezza, riferendosi al tentato Golpe Tejero del 23 febbraio 1982: “¡Qué pena! ¡Una ocasión perdida! [Che rimpianto! Un’occasione persa!]”[7]. Un’associazione di militari in pensione aveva persino richiesto all’esercito di destituire Pedro Sánchez e di riconvocare delle nuove elezioni generali[8].
Presi di mira erano bensì i giornalisti, accusati di esser parte attiva della propaganda socialista[9].
Anche i dati delle manifestazioni destano interesse; per esempio, per quella del 18 novembre, gli organizzatori assicuravano un milione di persone, mentre le fonti di governo ne contavano soltanto centosettantamila[10]. Sono comunque numeri considerevoli, come anche le trentamila persone che nella medesima giornata si erano riunite a Bilbao affinché si riconoscesse la nazione basca[11].
Partecipazione politica imponente, con toni a dir poco aspri. VOX ha tentato di illegalizzare i partiti indipendentisti catalani JUNTS e ERC (non ricevendo l’appoggio nemmeno del PP), accusandoli, attraverso la sua deputata Paloma Gómez, “di essere delinquenti messi al Governo” dai socialisti; di tutta risposta Estefanía Beltrán de Heredia, del PNV, ironizzava sul fatto che avessero promosso la loro stessa illegalizzazione, in quanto “violano i diritti fondamentali”, promuovendo “persecuzione ed esclusione di persone per ragioni di ideologia, nazionalità, razza e orientamento sessuale, fomentando una cultura di scontro contro chi la pensi differentemente”[12].
Un’altra situazione complicata è il mancato rinnovo del Consiglio Superiore della Magistratura. Si pensi che l’ultimo accordo tra PP e PSOE è datato nel lontano 2013 e doveva essere aggiornato già dal 2018[13].
Ma non è tutto, il 6 dicembre Podemos è fuoriuscito dalla coalizione di sinistra SUMAR (primo alleato di governo dei socialisti con i suoi 31 deputati) passando al gruppo misto; ora tale movimento avrà piena autonomia ed il PSOE dovrà andare a patti con un ulteriore partito: l’ottavo. In effetti, se i 5 morados si astengono dalle votazioni non creerebbero alcun problema ma, se dovessero votare contro la maggioranza, bloccherebbero ogni legge e/o iniziativa politica del Governo Sánchez[14].
Eppure, risulta difficile che il partito fondato da Pablo Iglesias possa passare nell’altro blocco, quello dei conservatori e capeggiato da PP e VOX. Sì, il termine è indicativo: blocchi, anzi di più, schieramenti. Perché tale suddivisione della politica spagnola ha radici lontane e profonde, da ricercare ovviamente nella storia. In una storia di guerra tra vicini, amici, familiari e fratelli: la guerra civile degli anni ’30 del Novecento. Un conflitto sanguinoso che ha generato due Memorie Storiche, opposte ed escludenti l’una con l’altra. Memorie che si sono ancor più differenziate negli anni della dittatura franchista prima, negli attentati di ETA poi ed infine nell’indipendentismo catalano. E qui mi voglio fermare, omettendo deliberatamente le molteplici specifiche questioni indipendentiste (basca e catalana in primis), poiché servirebbero dei necessari ed ulteriori approfondimenti. Voglio concentrarmi sulle due Memorie Storiche, tanto importanti quanto preziose da conservare per entrambe le parti, visibili nell’attenzione con cui vengono curati i simboli e i “martiri” di ogni blocco. Eloquente mi è risultato un commento di un collega dell’università: “ho dei riferimenti storici a cui mi collego e che hanno studiato la storia in cui credo”. E poi, riferendosi agli storici dell’altra parte: “non approfondisco i loro studi; perché i loro argomenti mi confermano la giustezza delle mie idee ed il loro torto”. È qua il punto: entrambi i raggruppamenti non riconoscono né considerano le ragioni dell’altra, peccano in mediazione, restando ancorati nelle loro “trincee” della guerra civile. Si etichettano, quello sì: “fascisti” gli uni, “comunisti” gli altri. Ma cosa sono i comunisti e i fascisti nel 2023? Semplice: è più facile generalizzare, non approfondendo la questione nel dettaglio, perché ciascuna delle due parti ha al suo interno una miriade di sfaccettature intrinseche che, a ben guardare, portano a pensare che questi due termini siano quantomeno nebulosi e lacunosi.
Ogni fazione ha di conseguenza i suoi feticci, che si trovano sparsi nei cimiteri di Madrid, chiaramente divisi e lontani gli uni con gli altri. Ecco, quindi, che nel cimitero dell’Almudena è possibile trovare i simboli di chi si sente collegato ai repubblicani: Marcelino Camacho, Dolores Ibárruri “La Pasionaria”, Pablo Iglesias, Francisco Largo Caballero e poi, il monumento per antonomasia, quello a “Las Trece Rosas [Le Tredici Rose]”, le tredici socialiste uccise durante la repressione franchista nel 1939.
Dall’altra parte, la simbologia dello schieramento che ha origine dai nazionalisti ha essenzialmente due nomi, pertanto due tombe da visitare: quella di José Antonio Primo de Rivera al cimitero di San Isidrio e poi quella dell’uomo forse più controverso della storia contemporanea spagnola, Francisco Franco, ora sepolto al cimitero di El Pardo-Mingorrubio. Le loro sepolture avevano fiori più freschi, probabilmente a causa del fatto che le avevo visitate nei giorni degli anniversari della loro morte, per entrambi il 20 novembre. Questi due corpi hanno “vissuto” delle vicende successive alla loro dipartita e che ho approfondito in una mia precedente ricerca. A El Pardo-Mingorrubio la simbologia raggiunge un livello successivo, quasi mistico per le persone che fanno visita al sepolcro del Caudillo; ho dunque deciso di fermarmici per un tempo superiore. Avevo notato un’affluenza particolare che ha catturato la mia curiosità. Erano diverse le persone che arrivavano, gente anziana, probabilmente in pensione, si avvicinavano il più possibile alla cappella mortuaria (spiccava in grandezza rispetto tutte le altre ed era posta non casualmente al centro del camposanto, subito di fronte all’ingresso[15]), quasi in venerazione, parlando tra di loro con nostalgia del regime franchista.
Una venerazione che ho potuto riscontrare anche nel monumento più discusso della Spagna: il Valle de los Caídos, ora Valle de Cuelgamuros. Sì, anche il nome ha destato e desta tutt’ora conflittualità (rimando sempre alla mia precedente ricerca). Qua i visitatori erano diversi: innanzitutto numerosi (era sempre e comunque un periodo particolare, i giorni dell’anniversario della morte di Franco e di José Antonio Primo de Rivera). Ma poi più giovani rispetto che a El Pardo-Mingorrubio: molti ragazzi e famiglie con bambini piccoli. Tante bandiere rojigualdas. Oltre ciò, l’atmosfera all’esterno era affine ad una militarizzazione del monumento, con una trentina di Guardias Civiles all’ingresso. Misure di sicurezza senz’altro dovute alla manifestazione che era stata programmata al di fuori del complesso monumentale; eppure, respiravo un’aria estremamente pesante anche all’interno del mausoleo. A chi faceva una serie di foto con l’emblema nazionale rigorosamente presente, bramosi di realizzare un ricordo del compimento del pellegrinaggio verso la Mecca nazionalista, c’era chi sogghignava con estremo disappunto, senz’altro per quest’ultimi la visita aveva come fine quello di vedere con i loro occhi il simbolo dell’Auschwitz española.
Ma la parte più interessante è stata all’interno della basilica, nei pressi dell’altare maggiore dove fino al 2019 giacevano assieme Franco e José Antonio Primo de Rivera. La gente mi sembrava moltiplicata, vi era un andirivieni continuo di nuove persone. Così ho deciso di sedermi su una delle panche lì vicino, per gustarmi appieno un qualcosa che non poteva non essere notato. Un agente e una responsabile della sicurezza controllavano continuamente e severamente che nessuno facesse delle foto sui luoghi che erano stati per tanti anni le tombe dei due personaggi storici, era una marcatura asfissiante, degna del miglior Baresi, e riuscivano a bloccare molti temerari. Eppure, qualche coraggioso, con fare felino, riusciva nel proprio intento.
Credo che questa lotta per fotografare essenzialmente delle mattonelle sia indicativa. Quelle piastrelle alla devozione di alcuni generano il disprezzo più totale di altri. Ed uno spettro, morto nel 1975, aleggia ancora nelle terre di Don Chisciotte. Il fantasma di Francisco Franco è un esempio eloquente: la Spagna non ha ancora fatto i conti con la sua storia più recente, né tantomeno lo desidera. Ma, con una tale implicazione, come si può voltare pagina, volgersi ad un differente futuro, insomma: com’è possibile una riconciliazione se entrambi le parti, chi più chi meno, hanno un tale vincolo con il passato? Per gli spagnoli ciò è impossibile e la risposta è sempre la medesima: “no hay reconciliación [non c’è riconciliazione]”.
Questo è il punto che più mi affascina in tutta questa vicenda e che mi ha sempre colpito della Spagna: questa storia e, quindi, questa politica vissuta intensamente, con passione, a volte in una forma quasi ossessiva e maniacale. Viceversa, in Italia ravviso una mancanza di importanza per i nostri avvenimenti storici, che si riversa in una noncuranza e in un disinteresse nella politica; ciò è evidente nel fatto che l’effettivo primo partito italiano delle ultime elezioni (ma non solo) è quello degli astenuti, unito alle schede bianche e a quelle nulle. È forse frutto dei numerosi scandali che si sono registrati negli ultimi quarant’anni? È questo un processo coscientemente voluto? Sono alcuni degli interrogativi che mi assalgono. Certamente, però, anche questa ossessione spagnola ha i suoi grandi problemi, che li porta ad essere costantemente in uno stato latente di guerra. Così si vive in “un passato che non passa”[16], con un peso da dover sopportare in eterno, come in “una maledetta cella di detenzione” che influisce “nello spazio pubblico come l’ossido fangoso e putrefatto che permea le terre paludose”[17].
Quindi, nonostante l’incoraggiamento di re Felipe VI a “superare le divisioni e gli scontri”[18], la Spagna è ancora prigioniera, in balia della propria storia, ferma alle trincee degli anni ’30 del secolo scorso.

[1] Telediario matinal – 8 horas del 13 dicembre 2023, nel canale “La1”, dal minuto 5:03.

[2] Telediario fin de semana – 15 horas del 22 novembre 2023, nel canale “La1”, dal minuto 14:28.

[3] Telediario fin de semana – 15 horas del 23 novembre 2023, nel canale “La1”, dal minuto 11:07.

[4] Come affermavano alcuni intervistati dal Telediario fin de semana – 21 horas del 18 novembre 2023, nel canale “La1”, dal minuto 0:45.

[5] Ivi, dal minuto 1:31.

[6] Telediario – 21 horas del 19 novembre 2023, nel canale “La1”, dal minuto 8:53.

[7] Non tutti i contestatori della Ley de amnistía vedono di buon occhio tale avvenimento. Alberto Núñez Feijóo, leader del PP, per esempio, così ha affermato al Congresso de Deputati a riguardo della prima votazione di tale emendamento: “È la sessione più triste e più decadente da quel pomeriggio del 23 febbraio del 1981. (Telediario matinal – 8 horas del 13 dicembre 2023, cit., dal minuto 5:30)

[8] Telediario – 15 horas del 17 novembre 2023, cit., dal minuto 13:20. La stessa associazione che il 3 dicembre 2020 aveva ricevuto un’investigazione per una chat di WhatsApp in cui si ipotizzava di fucilare ventisei milioni di spagnoli e di attuare un golpe di stato. Alcuni di questi militari avevano persino inviato una lettera al re in cui si erano lamentati del governo di Pedro Sánchez. Si veda il Telediario – 15 horas del 3 dicembre 2020, nel canale “La1”, dal minuto 08:32.

[9] I quali hanno protestato, attraverso la loro associazione, accusando di stare “in mezzo ad un fuoco incrociato per la polarizzazione politica”, non ricevendo l’appoggio dei partiti politici. Telediario – 15 horas del 17 novembre 2023, cit., dal minuto 12:20.

[10] Telediario fin de semana – 15 horas del 18 novembre 2023, nel canale “La1”, dal minuto 1:11.

[11] Telediario fin de semana – 21 horas del 18 novembre 2023, nel canale “La1”, dal minuto 3:18.

[12] Junquera N., Los ultras se quedan solos en el Senado al pedir ilegalizar a JUNTS y ERC, in “El País”, 22 novembre 2023.

[13] Telediario – 15 horas del 4 dicembre 2023, nel canale “La1”, dal minuto 3:08.

[14] Telediario fin de semana – 15 horas del 6 dicembre 2023, nel canale “La1”, dal minuto 7:43.

[15] La chiave della cappella gentilizia non è tenuta dalla famiglia Martínez-Bordiú Franco, bensì dal Patrimonio dello Stato, lo stesso cimitero e la delegazione del Governo. Pertanto, se volessero recarvisi, i discendenti del Generalísimo dovrebbero chiedere la previa autorizzazione a queste entità statali [Si veda: Exhumación de Franco en directo, Url https://www.youtube.com/watch?v=z_zM9TphiSo (verificato in data 15 dicembre 2023), dal minuto 1:54:43].

[16] Muñoz Soro J., Marino M., La transizione spagnola rivisitata, in “Ventunesimo secolo”, 9, 23 (2010), Per una storia comparata delle transizioni europee: Francia, Spagna, Italia, p. 126.

[17] Terreros N.R., Por la concordia, in “El Mundo”, 25 ottobre 2019, p. 19.

[18] Telediario fin de semana – 15 horas del 29 novembre 2023, nel canale “La1”, dal minuto 4:31.